lunedì 31 maggio 2010

Festa della SS.ma Trinità (Anno C)


Festa della SS.ma Trinità

Dal libro dei Proverbi 8, 22-31
Così parla la Sapienza di Dio: «Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all'origine. Dall'eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua; pri¬ma che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo. Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull'abisso, quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell'abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo».

Salmo 8 - O Signore nostro Dio, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?

Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi.

Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 5, 1-5
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a que¬sta grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo:
a Dio che è, che era e che viene.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 16, 12-15
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, siamo ad una settimana dal giorno in cui lo Spirito Santo è stato effuso su di noi a Pentecoste. Un tempo di grazia si è aperto, benedetto dal dono dello Spirito che è l’amore di Dio. E’ un dono di cui c’è un grande bisogno. Ed oggi ricordiamo lo Spirito assieme al Padre e al Figlio contemplando la realtà del nostro unico Dio in tre persone distinte. Il Dio dei cristiani lo sappiamo, non è un’unica persona, ma tre realtà diverse, con caratteristiche diverse, storia diversa, tanto che addirittura una delle tre, il Figlio, ha condiviso la vita degli uomini in tutto. Ma perché, ci chiediamo, che bisogno c’era di una complicazione tale? Non era più semplice un Dio unico e basta, potente e sempre uguale a sé? No fratelli e sorelle, perché il Dio cristiano, come ci dice l’apostolo Giovanni, non è innanzitutto potenza e forza, ma è amore e non può esistere senza l’atro. E’ questa la sua essenza: essere con l’altro. Per questo le persone della trinità sono tre: diverse ma insieme, unite. La trinità allora non è un concetto difficile, da guardare come una formula matematica che non si capisce, è piuttosto la realizzazione dell’unità vera, perché basata non su interessi comuni o convenienza ma solo sul volersi bene fino in fondo.
Questa caratteristica di Dio è così fondamentale che egli ha mostrato sempre nella storia un amore per l’uomo che non trova altro motivo se non nel fatto che Dio non riesce a stare lontano dall’uomo e lo cerca continuamente, fino ad essersi fatto come lui per essergli ancora più vicino. Infatti non a caso il male che contrasta la realtà di amore che è Dio si chiama “diavolo” che in greco significa “divisione” . Sì il non essere uniti come le persone della Trinità è il male più grande e la vittoria del re del male.
L’uomo e la donna, ci dice il libro della genesi, sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26). Cioè abbiamo anche noi scritto nelle nostre fibre, nell’anima il bisogno di essere uniti come lo sono il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, sì, proprio nello stesso modo. Anche noi uomini siamo stati fatti per non poter vivere senza l’altro: Dio dopo aver creato Adamo disse “Non è buono che l’uomo sia solo” (Gen 2,18). Eppure, per assurdo, sembra che l’impegno più grande degli uomini sia proprio affermare il contrario e cioè che l’uomo per stare bene debba starsene da solo, che ciascuno debba essere autosufficiente e autonomo, che gli altri siano un fastidio, che io basti a me stesso e meno ho a che fare con altri e meglio é. È questa forse la più grande bestemmia, perché nega che nell’uomo rispecchi l’immagine di Dio che è amore fra tre persone, assumendo invece le fattezze del diavolo, principio di divisione che esalta l’essere soli e autosufficienti.
Anche noi tante volte pronunciamo con la nostra vita questa bestemmia. Lo diciamo, ad esempio, quando affermiamo che non si può vivere assieme con chi è diverso da sé. Pensiamo al rifiuto di chi è straniero, al pregiudizio contro chi è di cultura o religione diversa. Sembra una cosa così naturale, eppure anche il Pare e il Figlio sono diversissimi, il loro essere insieme non è perché sono uguali ma perché l’amore che è la loro essenza è più forte di qualunque differenza e diversità. E lo stesso possiamo dire di quelli che accampano la diversità del carattere o dei gusti per dire che con quello o con quella non posso vivere, che quell’altro è troppo diverso da me perché io possa capirlo e accettarlo, eccetera. L’apostolo Paolo ci ha ricordato oggi che: “l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” ma noi cosa ne abbiamo fatto? Allo Spirito di amore ed unità di Dio noi abbiamo preferito lo spirito di divisione del maligno, che divide e allontana, che ci rende insopportabile. Questa è quella “bestemmia contro lo Spirito” di cui Gesù parla con così grande durezza: “Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non verrà perdonata.” (Mt 12,31)
Il questo rifiuto dello Spirito per lasciare invece spazio allo spirito del maligno sta la radice della violenza che segna il mondo. La radice della guerra, dell’odio, della divisione nella società, dell’essere sempre gli uni contro gli altri.
Noi potremmo dire: cosa faccio di male io, non posso certo sentirmi responsabile di una guerra o di tanto male che c’è nel mondo. Ogni gesto che esclude e allontana un fratello o una sorella, perché disprezzato, antipatico, nemico e semplicemente perché estraneo è una bestemmia contro lo Spirito Santo, è dire che noi e loro non dobbiamo avere niente da spartire, che i nostri figli e i loro figli devono crescere divisi perché sono diversi, che la terra che calpestiamo noi non può accogliere loro, e così via. I tanti piccoli gesti che quotidianamente affermano questi principi umiliano l’immagine di Dio che il creatore ha voluto mettere in noi: invece di uomini e donne uniti da un unico Spirito, come la Trinità, chi esclude l’altro imita il maligno, re della divisione.
Fratelli e sorelle, perché fare tanta fatica per negare l’immagine di Dio in noi e non assecondarla, per far emergere la vera natura umana che è non poter vivere senza l’altro, senza voler bene a qualcuno, ma non per convenienza o abitudine?
Per questo l’amore più bello, ci dice Gesù, è l’amore per i poveri perché è gratuito e disinteressato, non è legato a interessi o convenienze e non è nemmeno spontaneo, ma è frutto dello Spirito mandato da Dio e accolto con gratitudine. Potremmo dire allora che il cristiano è colui che ha almeno un povero per amico, uno a cui non è legato da vincoli di sangue o di altra natura, ma solo ed esclusivamente dal vincolo santo della carità di Dio.
Il Diavolo ci sconsiglia, semina diffidenza e paura perché non vuole che l’amore di Dio si diffonda nel mondo, che la Trinità regni in mezzo agli uomini. A noi sta la scelta fra il lasciare emergere da dentro di noi l’immagine di Dio che è amore e non può fare a meno dell’altro e l’accogliere il suggerimento del maligno e decidere di vivere solo per sé stessi. È una scelta che siamo obbligati a fare: non si può vivere a metà, o siamo figli dello Spirito santo o di quello della divisione.
Ci sembra troppo difficile per noi gente comune? Lasciamo agire lo Spirito in noi: “Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera” dice Gesù nel vangelo di Giovanni, accogliamo dunque lo Spirito di amore che ci viene dal Vangelo ed egli, con naturalezza ci guiderà alla verità tutta intera che è l’amore di Dio Trinità.

mercoledì 26 maggio 2010

Meditazione tempo di Pasqua 2010 III


Meditazione tempo di Pasqua 2010 III


Abbiamo festeggiato domenica scorsa la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli a Pentecoste. E’ una festa cui la Chiesa dà una particolare importanza, perché con essa si chiude il Tempo liturgico di Pasqua. Questo non significa che la Pasqua viene archiviata come qualcosa di ormai superata, come si fa con i vestiti pesanti ora che il tempo si fa più caldo.
La Pasqua, ci siamo ripetuti spesso in questo tempo, è qualcosa di decisivo per noi cristiani, e lo Spirito a Pentecoste viene a rendere definitiva questa realtà nella nostra vita. Lo Spirito che discende su di noi ci rende uomini e donne pasquali, cioè persone per le quali la dimensione della Pasqua non è qualcosa di passeggero, ma permanente, costante per tutta la vita. Ma questo non è vero solo per quanto riguarda la durata (per sempre, fino alla fine della nostra vita) ma anche il “sempre” di ogni momento, di ogni situazione, di tutte le dimensioni della mia vita, direi un “sempre” che si estende in profondità nel nostro intimo.
Dicevamo che la dimensione pasquale è vivere una vita non più circoscritta al mio “io” ma aperta ad una dimensione larga della famiglia dei discepoli del Signore che abbraccia una moltitudine di persone.
L’uomo della pasqua è quello per il quale gli altri sono importanti, per i quali la liturgia e l’amore privilegiato per i poveri, a imitazione di Dio, sono come i due momenti più importanti in cui vivere la dimensione “allargata” di una vita che esplode e si espande, mescolandosi con quella di tanti altri come in un tessuto.
Lo Spirito rende questa dimensione larga permanente e definitiva. Ma come avviene tutto ciò?
Noi facciamo fatica a comprendere cosa è lo Spirito e ad incontrarlo. Il rischio è di farne una specie di farmaco euforizzante, ma se è così, il suo effetto è limitato nel tempo e “artificiale”. Oppure lo si considera qualcosa di inutile, perché inconsistente, volatile, ecc..
La lettura dei primi due capitoli degli Atti degli apostoli ci aiutano a comprenderne meglio la natura. Il libro si apre con la promessa del dono dello Spirito:
Mentre [Gesù] si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l'adempimento della promessa del Padre, ‘quella - disse - che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo’". (At 1, 4-5)
Questo fatto ci fa capire che si tratta di una comunità che ancora non ha ricevuto lo Spirito: è la prospettiva, ma ancora non è la loro realtà. Eppure gli Atti presentano una realtà così bella, quasi invidiabile. Subito dopo l’ascensione di Gesù al cielo infatti iniziano tutta una serie di vicende interne alla comunità degli apostoli con i discepoli della cerchia più stretta, quelli che erano rimasti dopo la passione e morte del Signore. :
“Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. 13Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.” (At 1, 12-13)
Essi rimangono uniti, pregano, si preoccupano diremmo dell’organizzazione della loro comunità, del suo buon funzionamento. Per esempio associano Mattia agli apostoli in sostituzione di Giuda che si era ucciso. Sembra un quadro più che soddisfaciente: non ci sono divisioni, tutto sembra andare per il meglio. Ma quella comunità vive ancora nel chiuso della stanza al piano superiore e tutto il primo capitolo degli Atti si svolge tutta all’interno della cerchia dei discepoli.
La discesa dello Spirito santo segna invece un punto di svolta e inaugura una grande novità: le porte si spalancano e gli apostoli vanno per strada e annunciano il Vangelo a tutti. Il libro degli Atti ci viene a dire cioè che stare bene fra noi è importante, perché è già un grande progresso, rispetto alla realtà di divisione e conflittualità normale nel mondo. E infatti questo ha una sua rilevanza: che i fratelli e le sorelle restino uniti, preghino insieme, siano amici è la premessa indispensabile che permette che lo Spirito li possa raggiungere. Lo dicevamo domenica scorsa a messa, se si fossero dispersi o, peggio, avessero cominciato a litigare, magari su chi doveva essere il capo di quel nuovo gruppo, lo Spirito non sarebbe potuto scendere, o non se ne sarebbero accorti nemmeno, agitati da ben altre faccende. Ma tutto ciò non basta. Lo Spirito non viene per ratificare quella realtà di fatto. Non scende per rinsaldare i legami di solidarietà fra i discepoli, ma quasi a metterla in discussione, affermando che quella famiglia è vera se arriva a comprendere chi non c’entra niente, chi sta per strada e non nella stanza al piano di sopra, chi nemmeno conosco o mi sta antipatico. È quello che Pietro, riempito dallo Spirito, sente subito, e lo traduce in azioni concrete: esce per la strada, parla a tutti, facendosi capire da tutti. Con quel suo lungo discorso di Atti 2 annuncia in breve l’essenziale della fede in Gesù (il kerigma):
“E Pietro disse loro: "Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro". Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: "Salvatevi da questa generazione perversa!" (At 2, 39-41)
Possiamo notare come Pietro sia appassionato in questo suo lungo discorso: si sente responsabile per quella gente che lo sta ad ascoltare, come suoi familiari, perché sa che la generazione di cui fanno parte (ed è vero per ogni generazione cristiana) è perversa, cioè perde la vita. Pervertire infatti non vuol dire solo essere immorali, ma significa letteralmente “girare la vita dalla parte sbagliata”. A questa realtà si contrappone convertire, cioè “girare la vita dalla parte giusta”. Non è che quella gente che ascolta Pietro fosse diversa da tutti gli altri. Non erano perversi perché scelti fra i bassifondi di Gerusalemme. Lo Spirito però fa cambiare direzione alla vita di chi lo incontra: da tutti concentrati su di sé e sul proprio piccolo mondo, ad una estroversione decisamente verso gli altri. E’ questa la “direzione giusta” che permette di non essere pervertiti dalla vita. Cambia così il nostro modo di vedere gli altri: da gente che ci spaventa, rivali, nemici, antipatici, se gli vogliamo bene, ci fanno compassione, perché sentiamo che senza il Signore la loro vita si perde, pur facendo cose del tutto normali.
Pietro si accalora lungo la strada, tanto che lo prendono per un ubriaco, eppure quelli non sono discepoli d Gesù, lo stanno conoscendo per la prima volta attraverso di lui, molti non sono nemmeno giudei, sono stranieri che vengono da tutte le parti. È lo Spirito che fa superare a Pietro e agli altri ogni barriera e limite che loro erano tentati di porre attorno alla comunità dei discepoli, cioè al gruppo di quelli che ormai avevano imparato a stare bene fra di loro.
La Pentecoste ci viene a dire che “la famiglia” del Signore non sono quelli “già ci stanno”, perché sono di più quelli che mancano, per i quali è la promessa: “per tutti quelli che sono lontani”.
Ricevere lo Spirito dunque significa innanzitutto sentire la mancanza di quelli che non ci sono, i lontani, e cercare di fare di tutto per radunarli; come a Pietro infatti lo Spirito ci suscita un senso di responsabilità appassionata nei loro confronti e la preoccupazione per il pericolo che corrono di perdere la loro vita. Luca alla fine di quella giornata straordinaria annota:

“Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone. … Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.” (At 2, 41; 47)

E’ la dimensione missionaria che la Pentecoste suscita nei discepoli del Signore.
Chiaramente si apre ai dodici la domanda di cosa vuol dire missione.
In tutte le epoche storiche i cristiani sono posti dal racconto dalla Pentecoste contenuta negli Atti davanti a questa domanda concreta, perché o si vive come uomini pasquali pieni di Spirito, e quindi preoccupati che quelli che abbiamo di fronte non perdano la loro vita e responsabili di aiutarli a convertirsi, oppure si è cristiani morti, inanimati.
Per molto tempo si è risolto il problema dicendo che era compito di alcuni specialisti: i missionari, e riservato ad alcune regioni della terra: le missioni.
Gli Atti però specificano bene che la missione è “convertire” ogni generazione “pervertita”.
La domanda è allora: ci accorgiamo che la vita spesso gira dalla parte sbagliata? Ci sentiamo responsabili di dirlo, e soprattutto, crediamo che dobbiamo trovare il modo migliore di dirlo?
Sono le domande della Pentecoste, quelle che ci fanno sentire la necessità di non essere da soli a porcele e, tanto meno, a potervi rispondere, sentendo il bisogno di uno Spirito buono che ci aiuti. E’ la premessa indispensabile perché possiamo accogliere il dono dello Spirito che ci rende uomini e donne pasquali in modo pieno e definitivo.

lunedì 10 maggio 2010

Avvento IV (anno C)

Avvento IV (anno C)

Dal libro del profeta Michea 5,1-4a
Così dice il Signore: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui, fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d'Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra. Egli stesso sarà la pace!».

Salmo 79 - Signore, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

Tu, pastore d'Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo, e vedi e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell'uomo che per te hai reso forte.

Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.

Dalla lettera agli Ebrei 10,5-10
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: "Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà"». Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Ecco la serva del Signore:
avvenga a me secondo la tua parola.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 1,39-45
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Ap¬pena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bam¬bino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orec¬chi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Commento 2009/10

L’evangelista Luca ci racconta oggi di come dopo aver ricevuto l’annuncio dell’imminente nascita di Gesù “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa.” Ci colpisce l’atteggiamento di questa ragazza che nonostante fosse incinta, non risparmia la fatica di un viaggio non breve, in una zona montuosa e fredda per assistere un’anziana che, come lei, era incinta. Maria avrebbe avuto tutti i motivi per risparmiarsi questa fatica, visto il suo stato. Era lei ad aver bisogno di assistenza e sostegno, vista la giovane età e il modo così inconsueto con cui aveva iniziato il suo matrimonio, rischiando anche di essere condannata per adulterio o ripudiata dallo sposo. Tutte queste difficoltà del momento non fanno però pensare a Maria che era meglio risparmiarsi e prendersi cura di se stessa. Avrebbe potuto a pieno diritto dirsi: “i tempi sono difficili, la mia situazione complicata, meglio risparmiare risorse ed energie per usarle per me stessa”.
E’ quello che molti in questi giorni si dicono: “C’è la crisi economica, i tempi sono difficili, meglio risparmiare le risorse e tenercele per noi.” Lo vediamo dal clima che caratterizza questi ultimi giorni prima di Natale. La preparazione del cenone, le spese per i regali, gli ultimi affanni per organizzare le feste: chi invitare, che regali fare, ecc… confermano un affaccendarsi ad organizzare per se stessi si un felice Natale, come la tradizione vuole. A volte veramente questo affanno diventa parossistico, tanto che si giunge addirittura a fare del Natale occasione per conflitti nella famiglia o di angoscia per quello che si ha da fare ecc….
Maria oggi ci indica un modo diverso di prepararsi al Natale. Infatti, come accennavo, restiamo colpiti dal suo non preoccuparsi di preparare il proprio Natale, ma quello di un’altra donna, alla quale porta sostegno. Maria è donna imprudente, quasi avventata: che bisogno c’era di darsi tanto da fare? Forse anche per questo suo preoccuparsi degli altri e poco di sé il suo Natale la colse senza nemmeno una casa o le minime comodità di cui aveva bisogno. Molti di noi, più saggi e prudenti, le direbbero: poteva preoccuparsene prima, essere più prudente e meno altruista. Chi di noi non darebbe questo consiglio se avesse una figlia o una giovane amica incinta come era Maria?
Cari Fratelli e care sorelle, Maria nella sua ingenuità un po’ bambina e semplice non ha fatto altro che mettere in pratica il messaggio profondo della Scrittura che è messaggio di amore generoso. Elisabetta lo capisce bene e infatti pronuncia forse l’elogio più bello di Maria: “beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto.” E’ questo infatti il motivo vero del suo essere una donna straordinaria. Come il giorno dell’annunciazione, quella giovane non fa spazio a ragionamenti di prudenza e risparmio di sé, ma ha una fiducia ingenua e piena nel fatto che mettere in pratica, adempiere la parola di Dio sia il modo migliore per vivere beati, cioè felici.
Noi potremmo dire: “ma la Madonna era speciale, non possiamo mica aspirare ad essere come lei?” Così dicendo crediamo di essere monto devoti a Maria, mettendola su un piedistallo irraggiungibile. In realtà ciascuno di noi può vivere la beatitudine di Maria, cioè fidarsi della parola di Dio, credere possibile mettere la propria vita al servizio di Dio perché da essa, come avvenne a Maria, possa nascere la Salvezza del mondo, la gioia e la consolazione di chi lo invoca. Nella sua semplicità ingenua Maria intuisce che lì sta la propria salvezza, che è una falsa illusione credere di salvarsi la vita mettendola al servizio del proprio benessere e tranquillità, come tanti fanno. Passata l’ubriacatura del consumismo e del clima di felicità artificiale, chi ha preparato il proprio Natale con quello spirito di servizio al proprio benessere non potrà concepite altro che il frutto amaro dell’egoismo e dell’amore per sé stessi.
Fratelli e sorelle, proviamo anche noi in questo ultimo breve tratto del tempo di avvento a vivere la fretta che spinse Maria ad uscire dal chiuso della propria rassicurante casa per intraprendere un viaggio verso un’anziana bisognosa di sostegno. Sì, la strada è in salita, ci sono le montagne delle nostre abitudini e delle tradizioni che ci sembrano impossibili da superare; Maria, pur essendo giovane e non forte, le superò perché animata dalla fiducia nel Signore.
Anche noi allora in questi giorni prepariamo non solo il nostro Natale, ma anche quello di chi ha bisogno di sostegno. E’ questo il senso della festa che organizziamo il 5 gennaio qui in chiesa con tanti poveri, gente sola, stranieri, anziani, che ci chiedono di avere qualcuno che dia loro la speranza in un futuro migliore. Il 25 a pranzo in duomo e il 5 gennaio qui a Santa Croce cerchiamo in qualche modo di imitare Maria, la sua ingenua fiducia, per sperimentare che sì, è possibile essere beati perché crediamo nell’adempimento della Scrittura. Non la beatitudine della prudenza e del pensare a sé, non la beatitudine del preparare la propria festa, ma la beatitudine di vedere realizzato il sogno di un banchetto in cui ad essere serviti sono i poveri e a servire i ricchi. E’ un angolo di cielo, una pregustazione di quel regno di Dio che realizzerà nella pienezza quello che umilmente noi proviamo a vivere fin da ora.

Preghiere

O Signore che sei sceso nella vita umile di Maria, aiutaci a essere come lei attenti agli altri e pronti ad aiutarli, senza risparmiarci né trattenere per noi.
Noi ti preghiamo

Fa’ o Gesù che come Maria anche noi ci affrettiamo in questo ultimo tratto del tempo di avvento verso il luogo della tua nascita. Aiutaci a non restare fermi, bloccati dall’egoismo e chiusi in una vita avara.
Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Signore Gesù perché nella nostra città ci siano cuori attenti e pronti ad accogliere te che stai per nascere. Fa’ che ci manteniamo immuni dall’ubriacatura dell’affanno per sé, ma restiamo attenti alla voce della tua Parola.
Noi ti preghiamo

O Padre che non smetti di invitarci a sollevare lo sguardo da noi stessi per incontrare i fratelli e le sorelle, fa’ che come Maria siamo pronti a incamminarci verso l’altro superando la via in salita e le difficoltà.
Noi ti preghiamo

O Padre misericordioso, ti preghiamo di perdonare la durezza dei nostri cuori e l’avarizia delle mani. Fa’ che senza indugio ti veniamo incontro preparando la festa che accoglie la tua venuta.
Noi ti preghiamo

Invochiamo o Dio la tua protezione su tutti coloro che si preparano nel mondo a celebrare la tua venuta. Fa’ che ognuno possa ricevere la salvezza di un Dio fattosi uomo per incontrarlo ed essergli vicino.
Noi ti preghiamo.

Aiuta o Signore Onnipotente tutti quelli che hanno bisogno di sostegno: i malati, i sofferenti, i peccatori, gli immigrati, i soli e i dimenticati. Fa’ nascere per tutti la possibilità di un futuro diverso.
Noi ti preghiamo


Ricevi O Signore l’offerta del nostro desiderio di restarti vicino. Non ti sdegnare del nostro peccato, sii paziente per la nostra lentezza a venirti incontro. Aiutaci a credere come Maria nella realizzazione concreta della tua Parola nella nostra vita.
Noi ti preghiamo



Avvento III (anno C)

Avvento III (anno C)

Dal libro del profeta Sofonìa 3,14-18a
Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia».

Is 12,2-6 - Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d'Israele.
Ecco, Dio è la mia salvezza;
io avrò fiducia, non avrò timore,
perché mia forza e mio canto è il Signore;
egli è stato la mia salvezza.

Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere,
fate ricordare che il suo nome è sublime.

Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose eccelse,
le conosca tutta la terra.
Canta ed esulta, tu che abiti in Sion,
perché grande in mezzo a te è il Santo d'Israele.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 4,4-7
Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 3,10-18
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Commento 2009/10

Cari fratelli e care sorelle abbiamo iniziato tre settimane fa il tempo di Avvento dicendo che questi giorni che precedono il Natale sono un’occasione per prepararci alla venuta del Signore Gesù vivendo con un atteggiamento pensoso, evitando le ubriacature di un clima falsamente festaiolo per concentraci invece sull’interrogativo circa il nostro bisogno di un Salvatore. Ma ecco che oggi la Scrittura ci si propone con un atteggiamento diverso. Il Profeta Sofonia ci dice: “Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore” e anche l’apostolo invita: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti.” Non è una contraddizione? E più in generale, ci potremmo chiedere, non è contraddittoria la Scrittura che da un lato si propone alla nostra vita con un messaggio forte e rigoroso che invita alla conversione, a tagliare via tante parti superflue o negative della nostra vita, ad un senso serio ed austero, così come è incarnato dalla figura di Giovanni battista nel deserto, mentre dall’altra pretende di essere la salvezza e la felicità dell’uomo? Ce lo siamo chiesti, credo, un po’ tutti noi, e a volte facciamo prevalere un aspetto, a volte un altro a seconda dell’umore o della situazione in cui ci troviamo.
Credo però che in realtà non ci sia contraddizione fra i due richiami, entrambi decisivi e veri. La felicità infatti per essere vera non può sfuggire l’aspetto drammatico della vita dell’uomo, il suo essere in balia di tante vicende a volte di segno opposto, la fragilità, la finitezza di un ciclo che comunque ha una conclusione, ecc… Troppe volte viviamo la tentazione di sfuggire questa dimensione, facendo finta che non esista. Si evita di pensarci riempiendosi la vita di mille occupazioni in modo che non si abbia un tempo di riflessione, oppure la si nega rincorrendo un senso di artificiale giovanilità, di benessere esasperato, ecc… sono le tante fughe delle droghe chimiche, ma anche di un modo di vita drogato perché un po’ sempre affannato e su di giri, esagitato e inquieto.
La scrittura ci viene a dire oggi che non dobbiamo avere paura di guardare a questa dimensione della vita, che evitarla non la annulla, ma anzi rende ancora più drammatico il sopravvenire dei segni inevitabili della sua presenza. La vita dell’uomo infatti non è una corsa verso il nulla, ma ha come meta la vita assieme al Signore: “Il Signore ha revocato la tua condanna… Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente.” Il profeta Sofonia esprime la liberazione dalla condanna di un senso angusto e angosciato della vita che trova invece il suo vero compimento nella compagnia del Signore che salva dal non senso e dal vuoto.
Proprio questo essere liberati dal vuoto di senso da un’importanza enorme al nostro vivere, direi ad ogni istante della nostra vita. Non è indifferente infatti come sono, come mi comporto, per che cosa spendo il tempo e le risorse che ho. Le posso infatti usare per avvicinarmi alla meta della compagnia felice del Signore, o per sfuggirla, per negarla cercando rifugio in qualcosa che ci appare più rassicurante, come appunto il benessere o il successo, ma che in realtà è effimero e fugace.
Questo ci dona una serenità enorme: nulla si perde della nostra vita se va nella direzione della realizzazione del bene che il Signore vuole per noi. Anche la fatica e il distacco che ci sembra doloroso da tante cose che non valgono nulla, in realtà sono una liberazione e un’alleggerimento da tanti impacci e pesi che gravano sul nostro animo. Ecco perché allora il cristiano non può che essere lieto, come dice l’apostolo, perché non ha nulla da temere. Anche la fragilità della vita si supera in un senso di abbandono fiducioso al Signore che viene per restare con noi.
Chiediamoci allora oggi: noi viviamo il modo lieto e pieno di senso di una vita libera dalla paura? Sentiamo che possiamo andare incontro agli altri fiduciosi e pronti ad accoglierli, o piuttosto crediamo che bisogna difendersi da loro come da minacce al nostro stare bene? Siamo convinti che voler bene a tutti e per primi, essere generosi senza cercare il contraccambio sia il modo per assicurarci un futuro migliore rendendo felici altri o crediamo che sia un pericolosa imprudenza? Crediamo che essere disarmati e vulnerabili davanti alle realtà che incontriamo sia il modo più umano di vivere o pensiamo che bisogna corazzarsi e preservarsi innanzitutto?
Quelli che vanno da Giovanni avvertono che c’è qualcosa di autentico in quell’uomo che non si difende e non sfugge la dimensione drammatica della vita, ma che neppure ne ha paura ma è pieno di fiducia nel Signore che sta per venire. Per questo gli rivolgono la domanda chiave della vita: “Che cosa dobbiamo fare?” Anche noi oggi, come bambini fiduciosi ci rivolgiamo a lui con questo interrogativo ingenuo e serio. A chi lo interroga così il battista indica la via di una generosità che si fa toccare dall’altro senza avvertirlo come una minaccia da cui difendersi, ma come qualcuno che ha bisogno di essere sostenuto dalla nostra amicizia, concreta e protettiva come una tunica e nutriente come un cibo sostanzioso: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Facciamo noi altrettanto in questo tempo di Avvento e il Signore che sta per nascere ci troverà pensosi e lieti e non ubriachi di affanno per se stessi.
Preghiere
O Signore che vieni e visiti la nostra vita, aiutaci a vegliare davanti al mondo che ci si presenta così pieno di sofferenza. Fa’ che non volgiamo altrove lo sguardo per sfuggire il dolore altrui, ma siamo sempre pronti a fare nostra l’invocazione di chi ha bisogno.
Noi ti preghiamo

Dio Padre buono e misericordioso, dissoda il terreno della nostra vita, perché la strada sia appianata e i fossi siano colmati e tu possa giungere fino a noi a donarci la salvezza.
Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Dio Padre nostro per i tanti motivi di gioia che ci doni. Per la vita che ci è stata concessa, l’amore vissuto e le tante occasioni di fare del bene che ci sono state accordate. Fa’ che non lo dimentichiamo mai.
Noi ti preghiamo

Aiuta o Signore tutti i tuoi figli ad essere lieti del destino di bene che prepari per loro. Fa’ che non resistano ad esso percorrendo le vie dell’orgoglio e dell’amore per se stessi.
Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Dio del cielo per tutti coloro che sono nel dolore. Per i malati, per gli anziani, per chi è senza casa e famiglia, per le vittime della guerra e della violenza, per i prigionieri, per i disprezzati, per chi è solo e senza speranza. Aiutali e perdona chi è causa del loro dolore.
Noi ti preghiamo

Trasforma o Dio il cuore degli uomini di questa città, perché nessuno sia straniero e disprezzato, ma ognuno trovi porto sicuro e approdo amichevole per la loro vita.
Noi ti preghiamo.

O Padre che hai preparato un padre e una madre che si prendesse cura del Verbo fatto carne, fa’ che tutti noi siamo pronti a farci padri e madri, fratelli e sorelle, amici e compagni di chi incontriamo, perché nessuno sia senza vestito e cibo quando noi ne abbiamo in abbondanza.
Noi ti preghiamo

O Dio ti preghiamo per tutti i poveri che celebreranno il Natale in questa Chiesa nella festa che prepariamo per loro. Fa’ che sappiamo accoglierli con amore e generosità.
Noi ti preghiamo


Avvento II (anno C)

Avvento II (anno C)
Dal libro del profeta Baruc 5,1-9
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell`afflizione,
rivèstiti dello splendore della gloria
che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul capo il diadema di gloria dell`Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore
ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre:
Pace della giustizia e gloria della pietà. Sorgi, o Gerusalemme, e sta’ in piedi sull`altura
e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti
da occidente ad oriente,
alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.
Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici;
ora Dio te li riconduce
in trionfo come sopra un trono regale. Poiché Dio ha stabilito di spianare
ogni alta montagna e le rupi secolari,
di colmare le valli e spianare la terra
perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso
faranno ombra ad Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia
alla luce della sua gloria,
con la misericordia e la giustizia
che vengono da lui.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 1,4-6.8-11
Ringrazio il mio Dio ogni volta ch`io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest`opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell`amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.


Dal vangelo di Luca 3,1-6
Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Commento 2006/07

Noi, uomini e donne “moderni” siamo abituati a vivere in un mondo pieno di rumori, da un caos che ci distrae continuamente, da una sorta di grande luna park dell’effimero, specialmente in questi giorni in cui la città si veste come un carrozzone per farci dimenticare cosa stiamo aspettando in questo avvento. Io non sono contro la festa o il divertimento, anzi. Questa società è troppo triste, ha bisogno di festa, ma di quella vera. Non basta buttarsi a capofitto nel consumismo più sfrenato per essere felici, è una stupida illusione. Noi alla festa ci crediamo, ma quella vera. Il consumismo attuale ci vuole far credere che la vera festa è quella che ognuno fa a se stesso. Tutto a Natale deve ruotare attorno a sé, alla ricerca sfrenata di una soddisfazione del proprio egoismo ed egocentrismo. Noi crediamo invece che la vera festa è quella che si fa ad un altro. Il Natale è la festa che si fa a Gesù che nasce, chi se lo ricorda più. Quanto anche le nostre feste di Natale sono fatte solo per soddisfazione nostra, per festeggiarci da noi stessi. Lo dice anche il proverbio: Natale con i tuoi…, cioè, pensa a te stesso, chiuditi in casa con i tuoi, degli altri chi se ne importa. Con la fine dei soldi della tredicesima tornerà la tristezza di sempre, forse anche peggiore. Per questo la liturgia di oggi ci presenta la figura di Giovanni Battista. Giovanni era un uomo dell’essenzialità, è un buon compagno per riscoprire il senso vero di questo tempo di avvento. Giovani non era un uomo isolato e triste, tanto che, come ci dice il Vangelo, viveva circondato da una cerchia di amici. Due cose caratterizzano Giovanni l’essenzialità e il parlare. Cioè Giovanni non fonda la sua vita su ciò che non conta, ciò che è effimero e illusorio, cerca quello che è vero, la felicità profonda, quella de cuore e non tanto quella del portafoglio. Non cerca il successo facile, quello che viene dal consenso degli altri, cerca il successo vero che è la realizzazione del Regno di Dio, un regno in cui non c’è dolore, sofferenza, in cui nessuno, dal più grande al più piccolo, ha più bisogno.
Per questo Giovanni vive nel deserto. Il deserto, non è un luogo tanto distante da noi: è il deserto delle nostre città ove una vita degna di questo nome è troppo spesso rara; è il deserto di questo mondo ove il peccato e la solitudine provocano amarezza e morte. Chi di noi non sperimenta nelle sue giornate un po’ di questa aridità attorno e dentro di sé?. Giovanni allora non è uno che scappa dagli uomini per rinchiudersi nella solitudine, no, è uno che guarda in faccia la realtà e chiama le cose con il loro nome. Chiama deserto una vita arida e senza amore, mentre noi sfuggiamo e mascheriamo l’aridità e il poco amore incartandoli con la carta luccicante del consumismo e dei regali di natale. Giovanni è essenziale e vero: chiama deserto il deserto, m anon perché vuole renderci tristi, ma perché vuole che quel deserto fiorisca di vita nuova. Per questo in quel luogo senza vita vera, come tante parti della nostra città e tanti angoli della nostra vita, fa risuonare la sua voce forte. Dice: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” Cioè Giovanni annuncia forte la possibilità che nel deserto di vita arida di amore sgorgerà una sorgente nuova di acqua pura e dissetante se lavoreremo sodo per spianare la strada al Signore che vuole entrarci, perché solo così “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Vorrei sottolineare due cose di queste parole. La prima è che la nascita di Gesù, la sua venuta fra di noi, non è cosa scontata, che avviene senza bisogno che noi facciamo qualcosa. No, il Signore chiede di raddrizzare le strade, di spianare gli abissi di egoismo, di buttare giù le montagne di indifferenza e diffidenza, altrimenti lui non arriverà a raggiungerci. L’affanno di tanti in queste giornate sembra invece proprio volere il contrario, cioè ammassa mucchi di egoismo, scava trincere attorno a sé perché nulla di triste o di poco luccicante raggiunga lo sguardo. L’avvento è il tempo che Dio ci dona perché prendiamo piccole e badile e spianiamo le montagne di egoismo della nostra vita e riempiamo gli abissi dipoco amore, raddrizziamo le tortuosità della nostra psicologia che ci fa mascherare il deserto in qualcosa di gradevole. Facciamolo, non sciupiamo l’avvento come un tempo inutile.
Ma poi Giovanni dice un’altra cosa importante. “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” Questa frase ci dice una verità molto semplice ma essenziale: non si è felici da soli. La salvezza di Dio viene per tutti, per ogni uomo. Noi crediamo che la felicità sia chiudere le porte, alzare i muri per non vedere l’infelicità degli altri, come fa ogni famiglia nel tradizionale cenone di natale: porte sbarrate, pensiamo a noi e saremo felici. Se poi fuori dalla porta c’è un povero che come Lazzaro vorrebbe sfamarsi delle briciole che cadono dal nostro tavolo, chi se ne importa, l’importante è non vederlo. La salvezza che viene da Dio è qualcos’altro. E’ felicità per tutti, a partire proprio dagli ultimi. E’ felicità vera perché non ignora chi sta peggio. E’ felicità duratura perché non finisce quando si spengono le lucette degli addobbi per le strade.
Ieri sera con alcuni ragazzi della parrocchia siamo andati a portare la cena ad alcune persone che vivono per strada. Lo facciamo ormai da un mese regolarmente due volte a settimana. E’ un gesto semplice, che non costa molta fatica. Credo che sia un buon modo per prepararci al natale. Sì, perché Gesù quando nascerà il 25 dicembre non avrà il volto paffuto e sorridente delle statuine di gesso, né nascerà al caldo degli appartamenti o delle sale da pranzo imbandite. No nascerà infreddolito in una baracca, come quella dove siamo stati ieri sera a parlare con i nostri amici zingari. In fondo passando tempo con loro stiamo preparandoci al Natale, per essere pronti a riconoscerlo quando nascerà.
E’ quello che vogliamo proporre anche a tutti voi. Vogliamo che qui a Santa Croce il Natale sia vero, non di plastica e porporina posticcia. Per questo come l’anno scorso e come ogni anno in cattedrale, apriremo le porte della chiesa ai poveri per festeggiare con loro la nascita di Gesù in un grande cenone di natale. Ci sembra il modo migliore per fare quello che Giovanni Battista ci chiede oggi. Appianiamo le strade che permettano al Signore assieme ai deboli, ai soli, ai più disprezzati e dimenticati di raggiungere il nostro cuore. Ce lo ritroveremo più caldo e felice.

Avvento I (anno C)

Avvento I (anno C)
Dal libro del profeta Geremia 33,14-16
Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d'Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia.

Salmo 24 - A te, Signore innalzo l'anima mia
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza e i suoi precetti.
Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza
.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési 3,12-4,2
Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio - e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 21,25-28,34-36
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saran¬no segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le po¬tenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nu¬be con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risol¬levatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'im¬provviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Ve¬gliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di com¬parire davanti al Figlio dell'uomo».

Commento 2009/10

Cari fratelli e care sorelle, si apre oggi l’Avvento che, come tutti sappiamo, è il tempo di attesa che il Signore Gesù nasca a Natale. Sono quattro settimane in cui la liturgia ci invita, attraverso le parole dalla Scrittura, a essere vigilanti e pronti a cogliere i segni che ci preparano alla venuta del Signore.
Ci sono tante diverse aspettative, individuali e collettive che segnano il nostro tempo. La realizzazione di progetti, il compimento di aspirazioni. Sono gli “auguri” che ci scambieremo nelle prossime settimane, a Natale e Capodanno, perché tutto vada bene a ciascuno di noi.
Ma se andiamo dentro queste aspettative e questi progetti vediamo come tutti abbiano un grande timore per il futuro, segnato dalla crisi economica e dall’incertezza, e l’augurio non è tanto che si realizzi qualche novità eclatante, quanto piuttosto che si mantenga almeno quello che già esiste, che già abbiamo.
È più forte infatti il timore di ricevere cattive notizie che la speranza di riceverne di buone. Ecco che allora i sogni e le aspettative sono perché tutto resti così com’è e almeno non si vada indietro.
Infatti le regole che organizzano il mondo sono rigide, l’economia, le grandi potenze, le norme sociali, cosa posso sperare io di cambiare? Che forza ho io per poter augurare una novità che vada contro il solito modo di andare del mondo? Paradossalmente in un mondo in cui il progresso sembra rendere tutto possibile, poi, nella pratica, tutto è bloccato e non è possibile fare niente di nuovo e aspettarsi chissà cosa, meglio volare basso per non essere delusi.
Questo è lo spirito con cui il mondo, e anche noi, si prepara a vivere questo Avvento e il Natale che lo conclude.
Davanti a questo senso di impotenza e di impossibilità il Natale diviene allora qualcosa che deve servire a stordire, a non farci pensare, a distrarci, a illudere, attraverso il consumismo e le tradizioni.
Noi allora oggi, alle porte di questo tempo che si apre ci vogliamo chiedere: possiamo accettare tutto questo, farci schiavi dell’impotenza e della paura, riaffermare che niente di nuovo e diverso è possibile e stordirci per non pensarci ?
E’ una scelta, una decisione da prendere, perché anche lasciarsi trascinare dalla corrente consumista è una scelta. Davanti a questo quadro il brano del profeta Geremia che abbiamo letto ci propone una visione diversa. Geremia annuncia al popolo d’Israele: “In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra.” Egli parla mentre si trova in carcere, nella città di Gerusalemme assediata dal forte esercito del re di Babilonia. Eppure Geremia non è prigioniero del presente suo e del suo popolo. La sua visione scavalca il muro di impossibilità, di rassegnazione, di impotenza e annuncia un tempo nuovo di giustizia che Dio annuncia. Ad essere realisti Geremia non ne può scorgere i segni. Tutto sembra negarlo, eppure Dio lo promette. Davanti ad una realtà difficile, come quella di oggi che descrivevo, l’uomo di Dio si fida della Parola e getta la propria vita al di là del muro dell’impossibilità che sembra così solido e invalicabile. Anche il vangelo di Luca descrive un tempo difficile: “Vi saran¬no segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra.” Cosa di buono ci si potrebbe aspettare davanti a tanto male?, ma l’evangelista prosegue: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risol¬levatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.” E “Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nu¬be con grande potenza e gloria.”
Il vangelo ci propone una strada: alza lo sguardo da te stesso, dal piccolo mondo di disillusioni e paure e guarda invece la prospettiva larga del vangelo. C’è qualcosa di grande che può accadere, la salvezza dal presente incerto si realizzerà, una prospettiva si apre al futuro. Ma per fare questo bisogna mantenere gli occhi del cuore ben aperti. Dice Luca: “che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'im¬provviso” Stiamo attenti a non ubriacarci nel clima natalizio consumista e tradizionale, perché così non saremo capaci di vedere la visione dell’uomo di Dio e quel giorno, cioè il Natale ci passerà davanti inutile e scontato, una ulteriore occasione persa per essere più felici.
Ma cosa è questa visione di cui parla Geremia e il Vangelo? In un tempo di ingiustizia il profeta Geremia parla della realizzazione di un mondo giusto. Anche oggi ce n’è un gran bisogno, e il tempo di Natale spesso è proprio un indicatore che segna la differenza fra chi è nell’abbondanza e spreca il più possibile all’insegna dell’ubriacatura consumista e chi invece non può permettersi di festeggiare la venuta di Gesù. Per questo, come è ormai tradizione a S. Croce, noi vogliamo a Natale festeggiare con le persone più povere che durante l’anno aiutiamo. E’ un segno di giustizia, un gesto che riafferma che la povertà di tanti è una ingiustizia che non accettiamo come normale. Per questo le domeniche di Avvento saranno dedicate a raccogliere le offerte per imbandire la Tavola del Natale qui in chiesa con i circa 200 poveri che l’anno scorso hanno festeggiato con noi. E’ un segno concreto, una visione di giustizia che ci vogliamo portare nel cuore e che ci aiuta a non ubriacarci nell’affanno consumista ma ad alzare lo sguardo in alto verso l’attesa di una novità grande.
Preghiere
O Signore nostro Dio che vieni a visitarci, aiutaci a vivere questo tempo nell’attesa della tua venuta, perché non siamo distratti e presi da noi stessi, ma attenti ai segni che preparano il tuo Avvento.
Noi ti preghiamo

Signore, ti preghiamo, vieni presto fra di noi, porta la giustizia che tanti invocano e abbatti i muri di separazione e di odio che dividono tanti uomini.
Noi ti preghiamo

Signore, ti preghiamo, vieni presto fra di noi, e porta la pace nei tanti luoghi dove ora infuria la guerra e il terrorismo. Fa’ che presto nessuno più muoia per la mano violenta dell’uomo-
Noi ti preghiamo

Signore, ti preghiamo, vieni presto fra di noi, porta il bene dove ora il male detiene il suo potere. Porta guarigione e salvezza gli ammalati e conforto a chi è nel dolore.
Noi ti preghiamo

O Signore, ti chiediamo perdono perché spesso non vediamo la necessità che tu venga presto a salvarci. Liberaci dalla cecità del cuore e dalla pesantezza degli occhi perché impariamo a sentire l’invocazione dei tanti che aspettano con impazienza la salvezza che viene da te.
Noi ti preghiamo

Dio Padre del cielo, che hai tanto amato gli uomini da mandare il tuo figlio unigenito per la nostra salvezza, fa’ che questo nostro mondo diviso e spaventato sappia far spazio all’Emanuele, Dio-con- noi.
Noi ti preghiamo.

O Signore insegnaci a fare nostre le visioni grandi degli uomini di Dio. Fa’ che non viviamo ripiegati su noi stessi, attenti solo ai nostri piccoli drammi, ma aperti ad un mondo che abbracci la vita di tanti, specialmente dei più poveri.
Noi ti preghiamo

O Cristo che sei venuto, ma i tuoi non ti hanno accolto, fa’ che o tuoi discepoli sappiano fare spazio nel mondo perché quando verrai tu trovi accoglienza e amore.
Noi ti preghiamo


giovedì 6 maggio 2010

Liturgia in memoria dei martiri

LITURGIA EUCARISTICA IN MEMORIA DEI MARTIRI
E DEI TESTIMONI DELLA FEDE DEL XX E XXI SECOLO

PROCESSIONE DI INGRESSO CON CINQUE CROCI CHE RICORDANO I CINQUE CONTINENTI.
LE CROCI SONO COLLOCATE NEL PRESBITERIO

Colletta
O Dio, origine e fonte di ogni paternità, che hai reso fedeli alla croce del tuo Figlio fino all'effusione del sangue i santi martiri e i testimoni della fede, per la loro intercessione fa' che diventiamo missionari e testimoni del tuo amore fra gli uomini, per chiamarci ad essere tuoi figli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna nei secoli dei secoli
Amen

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Atti 6,8-10; 7,54-60

In quei giorni, Stefano pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilìcia e dell'Asia, a disputare con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava.
All'udirlo, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio».
Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.

Vangelo Mt 10,17-22

In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato».

COMMEMORAZIONE DEI TESTIMONI DELLA FEDE

Breve introduzione

EUROPA
Un prete italiano, don Roberto Angeli, nella sua testimonianza sui religiosi nella baracca ventisei del campo di Dachau, ha scritto: «... in mezzo a preti cattolici di ogni paese, pastori protestanti, pope ortodossi, tutti sacerdoti allo stato puro — senza poteri, né orpelli, né privilegi — rosi dalla fame e dal freddo, torturati dai pidocchi e dalla paura, senza più nessuna dignità oltre quella invisibile del sacerdozio, imparammo a scoprire l’essenza della vita e della fede».
Il 21 gennaio 1945 padre Giuseppe Girotti, domenicano italiano morto a Dachau, tenne nel campo una meditazione per la fine dell’ottavario per l’unità dei cristiani, in cui disse: «A nessuno inoltre sfugge che l’unità di tutte le Chiese e Comunità è massimamente necessaria ai nostri giorni..: La Chiesa fu, è e sempre sarà l’unico rifugio del senso di umanità, di amore e di misericordia; rifugio della verità, dei principi della retta ragione, della civiltà e della cultura... Ora, questa straordinaria missione della Chiesa nel presente gravissimo momento della storia, fratelli carissimi, non può essere perfettamente condotta a termine, se i fedeli di Cristo, uniti nell’anima della Chiesa.., rimangono invece divisi nel corpo visibile a causa di scismi e divisioni».

Preghiamo:

Ti preghiamo o Signore per tutti i cristiani che hanno sofferto per la loro fede, aiutaci a vivere come loro un amore più forte della morte, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Per le vittime dei totalitarismi e delle dittature, perché la testimonianza dei martiri ci rafforzi nell’impegno a costruire un futuro di pace in Europa, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Perché la testimonianza di unione dei cristiani nel dolore della persecuzione affretti il cammino verso l’unità di tutte le Chiese e le comunità cristiane, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Accensione di un cero davanti alla croce dell’Europa

AFRICA

Dopo il tentativo etiopico di riconquistare la capitale, nel luglio 1936, il governatore della colonia Graziani, scatenò una dura repressione sulla popolazione e sul clero etiopico. Abuna Petros, uno dei quattro vescovi etiopici, fu catturato, processato e impiccato. Così riportava la notizia il giornale Corriere della Sera: «Processo all’abuna Petros in piazza del mercato ... (Il vescovo) Ammette di aver desiderato la liberazione della sua patria... Alla domanda di rito se ha nulla da aggiungere, dice molto tranquillo: “il mio vero processo avverrà dinanzi a Dio, cui risponderò” Trae dall’involucro di seta la croce d’argento e traccia benedizioni su chi lo stava condannando a morte».

Preghiamo:

O Signore Nostro Gesù Cristo che dall’altro della croce rivolgi agli uomini parole di perdono, fa che sappiamo restarti vicino, ai piedi delle tante croci piantate ancora oggi ovunque nel mondo, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Ti preghiamo o Signore, dona al Continente Africano, bagnato dal sangue di tanti testimoni della fede, una pace duratura e la salvezza dalla povertà. , noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

O Signore della pace, sostieni quanti annunciano il Vangelo in situazioni di pericolo e persecuzione. Sostienili col tuo amore, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Accensione di un cero davanti alla croce dell’Africa

OCEANIA

A Timor Est il sacerdote Tarcisio Dewanto e suor Erminia Cazzaniga nel settembre 1999 portavano viveri ai rifugiati nascosti sulle colline, fuggiti a causa delle violenze. Con lei sono e due seminaristi e uno studente: tutti furono uccisi in un agguato con armi da fuoco e machete. La religiosa era stata invitata dai superiori a lasciare la missione allo scoppio dei disordini: «Non vi preoccupate per me - aveva detto - io sono vecchia: posso anche morire senza paura». Così aveva scritto nella sua ultima lettera al parroco del suo paese nel nord Italia: “Siamo in piena guerra. Una guerra subdola che tiene la gente sem¬pre nella paura e nell'insicurezza. È cominciato il vandalismo diffuso, gruppi formati e appoggiati dai militari che infestano e distruggono il paese, uccidendo, saccheggiando e bruciando. Tra i due gruppi - quelli per l'integrazione di Timor e quelli per l'indipendenza - c'è una rivalità brutale: per conseguenza morti e distruzioni. Quante persone sono rimaste sen¬za casa, e quanti bambini senza genitori. La nostra missione oggi è non solo di aiutare, ma come dice San Paolo, di piangere con chi piange, condividere con chi è nel bisogno, e dare tanta speranza e fiducia in Dio Padre che non abbandona i suoi figli... E lei, caro parroco, benedica la sua pecorella in mezzo ai lupi rapaci”.

Preghiamo:

O Padre misericordioso, guarda benigno il nostro mondo, ancora troppo insanguinato per i conflitti e la violenza. Fa che il buon seme del martirio produca frutti di pace e la conversione dei nostri cuori, noi ti preghiamo
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Dona ai popoli dell’Asia e dell’Oceania di udire presto l’annuncio del Vangelo che ha dato a tanti testimoni della fede la forza di non vivere per sé stessi, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Proteggi o Signore i religiosi, i sacerdoti, i laici che nel tuo nome continuano a diffondere il Vangelo della carità e del perdono, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison
Accensione di un cero davanti alla croce dell’Oceania

ASIA

Una suora, Maria Rosa Hsu Pang Ai, ingegnere elettronico, partita nel 1947 per gli Stati Uniti per divenire suora del Servizio Sociale, ottenne di ritornare in Cina, dove era rimasta solo una sua consorella nel 1950. La notte precedente il suo imbarco per la Cina, Maria Rosa diceva che sarebbe stata martire. Nel 1959 il vescovo Walsh, religioso di Maryknoll, fu arrestato come spia. Suor Maria Rosa fu sospettata di complicità e sottoposta a continui interrogatori e colloqui di indottrinamento, ma alle autorità non sembrò fare «progressi». Alla fine, nel 1963, fu arrestata e condannata a sette anni di prigione per spionaggio. Nell’ultimo messaggio inviato alle consorelle scrisse: «Io sono rassegnata alla volontà di Dio. Non mi lamenterò mai e non rimpiangerò mai di essere tornata nel mio paese. Non preoccupatevi della mia salute. Il Signore si prenderà cura di me». Dopo cinque anni di detenzione, nel 1969, Maria Rosa era diventata debolissima: morì sola, in prigione.
Preghiamo:

O Padre di eterna bontà, ti preghiamo per tutti coloro che soffrono nel mondo a causa della violenza fratricida. Soccorri chi è ferito nel corpo e nello spirito, perché ogni piaga sia guarita con l’unguento della tua misericordia infinita. Noi ti preghiamo
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Dona o Signore al continente asiatico di vivere nella pace e nell’amore, perché il sangue dei tanti che hanno offerto il loro sangue per tuo amore sia seme di un futuro nuovo, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Abbi misericordia o Dio di tutti coloro che cedono alla tentazione del male: per i peccatori, i persecutori, coloro che insultano il tuo nome, coloro che profanano la santità della vita umana, dono loro perdono e salvezza, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison
Accensione di un cero davanti alla croce dell’Asia

AMERICA

Mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, il 24 marzo 1980 è stato assassinato mentre celebrava l’eucarestia. Il suo sangue si è mescolato con le ostie ed il vino che stava consacrando. Qualche anno prima, in occasione del funerale di un sacerdote ucciso dai governativi, aveva predicato la necessità di ristabilire la pace con la forza inerme della fede e del perdono: “Se la Chiesa ripudia la violenza, se la Chiesa non approverà mai un crimine come quelli che sono stati commessi questa settimana, non lo fa con odio verso chi ha sparato, ucciso, sequestrato, ma con amore dice: "Convertiti... Convertitevi, non siate più pieni di odio, non uccidete più persone, non calunniate, con¬vertitevi...". Quanto è stata bella la morte del padre Navarro... Racco¬gliamo questi esempi e guardiamoli, fratelli; se qualcuno per disgrazia si trova in questa tenebra dubitando della Chiesa, credendo nelle calun¬nie, maledicendo i sacerdoti, che oggi sono le vittime del giorno, io gli dico, fratelli, convertitevi.”

Preghiamo:

O Signore ti ringraziamo perché anche dove il male è sembrato vincere è sempre risuonato forte l’annuncio gioioso della tua Resurrezione, noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

O Padre, ti preghiamo per tutti i popoli in guerra, per i poveri oppressi dalla miseria, per i prigionieri, per i condannati a morte, fa che l’amore testimoniato dai martiri ci renda capaci di vincere il male con il bene. Noi ti preghiamo.
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Per tutti i pastori che con coraggio indicano al popolo dei discepoli di Cristo la via dell’amore e della pace come l’unica che conduce al regno dei cieli, noi ti preghiamo
Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison
Accensione di un cero davanti alla croce dell’America

Oremus
Padre che durante tutto il Novecento hai accolto nel tuo regno una schiera cosi grande di martiri e testimoni della fede, accogli oggi la nostra preghiera, perché sappiamo raccogliere la loro eredità preziosa d’amore, divenendo testimoni e annunciatori audaci del Vangelo ovunque nel mondo, Per Cristo nostro Signore.

Sulle Offerte
Accogli, o Padre, i doni che ti presentiamo nel ricordo della passione dei santi martiri; dona anche a noi fra le avversità del mondo la grazia di una fortezza intrepida e trasformaci in offerta a te gradita. Per Cristo nostro Signore.

PREFAZIO DEI MARTIRI

V. Il Signore sia con voi.
R. E con il tuo spirito.

V. In alto i nostri cuori.
R. Sono rivolti al Signore.

V. Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
R. E’ cosa buona e giusta.

E’ veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.

A imitazione del Cristo tuo Figlio
i santi martiri
hanno reso gloria al tuo nome
e hanno testimoniato con il sangue
i tuoi prodigi, o Padre,
che riveli nei deboli la tua potenza
e doni agli inermi la forza del martirio,
per Cristo nostro Signore.

E noi
con tutti gli angeli del cielo,
innalziamo a te il nostro canto,
e proclamiamo insieme la tua gloria:


Dopo la Comunione
Signore Dio nostro, che nel fare memoria dei santi martiri e dei testimoni della fede ci hai nutriti dell'unico pane eucaristico, concedi di perseverare unanimi nella tua carità per ottenere il premio eterno riservato a quanti soffrono per la fede. Per Cristo nostro Signore.

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Il papa Giovanni Paolo II e i martiri del XX e XXI secolo
(tratto dal libro A. Riccardi, Il secolo del martirio, Mondadori, Milano 2009)

Era la Domenica delle Palme del 2000 e salii all’appartamento di Giovanni Paolo 11 in Vaticano, per il pranzo. Il papa, già malato, mi aspettava seduto a tavola per un incontro fuori dell’ordinario. Non avevo capito il motivo di quell’invito, anche perché ero stato da lui meno di una settimana prima. Il papa aveva sul tavolo da pranzo le bozze di questo libro (che uscì, nella prima edizione, pochi giorni dopo). Fu molto affettuoso come il solito e, dopo avermi fatto accomodare, mi svelò il motivo dell’incontro: bisognava parlare della celebrazione del 7 maggio 2000 al Colosseo per i nuovi martiri. Giovanni Paolo II non era tanto soddisfatto di come andavano avanti i preparativi e voleva pensare al suo discorso per un evento a cui dava grande importanza.
Fui molto toccato da questo vecchio dolente che, malgrado la sua infermità, non era ripiegato sul suo soffrire. Non era succube della malattia che pure lo stava imprigionando. Era sempre affettuoso, capace di sostenere gli altri e di interessarsi a loro. Aveva un grande interesse per il tema del martirio: era una vicenda non remota, una parte palpitante della sua vita e di quella della Chiesa e del suo popolo. A Giovanni Paolo II si deve l’intuizione dell’attualità del martirio, riproposta in modo originale, non come una rivendicazione dei torti subiti, ma come un’interpretazione profonda della vicenda del cristianesimo del Novecento. Si sentiva un testimone di tanto soffrire da parte dei cristiani del XX secolo.
Il Novecento è stato il secolo del martirio. Forse lo è stato in una misura così intensa come non accadeva dai primi secoli della storia del cristianesimo. Allora, parlando del mio libro (che ebbi l’impressione fosse stato letto dal papa, anche da come scorreva le pagine e trovava i diversi passaggi), Giovanni Paolo Il insistette sul fatto che bisognava narrare la storia del martire, ma guardare anche al persecutore, perché — in un certo senso — martire e persecutore costituiscono una «coppia». Si doveva guardare in faccia con chiarezza il persecutore, non demonizzarlo, comprendere la sua carica anticristiana e antiumana con un atteggiamento intelligente e capace di perdono.
Questo interesse per il persecutore mi colpì molto, quasi il papa volesse ricordare interamente la storia e non solo la parte colpita. Non c’era in lui soltanto l’indulgere alle vittime o il rivendicare il ruolo di perseguitati per la Chiesa e i cristiani. La storia del martirio, per Giovanni Paolo II, era quella di una lotta tremenda e tragica, che andava scritta, capita e soprattutto non dimenticata. Era ben più di una rivendicazione: «Se ci vantiamo di questa eredità» disse durante la celebrazione al Colosseo, il 7 maggio 2000 «non è per spirito di parte e tanto meno per desiderio di rivalsa nei confronti dei persecutori, ma perché sia resa manifesta la straordinaria potenza di Dio...».
Il tema del martirio passava dentro la vita di Giovanni Paolo II. Parlò della Chiesa russa come di una Chiesa di martiri. E insistette sul fatto che bisognava citare nella memoria dei martiri anche i cristiani polacchi caduti durante la seconda guerra mondiale. Nel suo discorso al Colosseo si ritrova l’eco di questa coscienza: «La generazione a cui appartengo ha conosciuto l’orrore della guerra, i campi di concentramento, la persecuzione. Nella mia patria, durante la seconda guerra mondiale, sacerdoti e cristiani furono deportati nei campi di sterminio». Il suo amico Jerzy Zachuta, compagno di seminario, era stato prelevato dalla Gestapo (la polizia segreta nazista) nell’arcivescovado, dove viveva con il giovane Karol, e fucilato. La morte era passata accanto al papa.
C’è qui la particolare vicenda della Polonia, di cui Wojtyla era stato partecipe. Più di sei milioni di polacchi morirono a causa della violenza nazista: il 22% della popolazione. Un tema dell’epica polacca è proprio quello della nazione martire, il «Cristo delle nazioni» di Mickiewicz. I santi archetipi della nazione polacca (riconosciuti come tali da Giovanni Paolo II) sono sant’Adalberto e san Stanislao, entrambi martiri. Per papa Wojtyla, che conosceva Nikolaj Berdjaev e aveva avidamente letto le pagine di Mickiewicz, la storia aveva una profonda dimensione spirituale, che poteva essere colta da alcuni segni. Tra i principali c’era il martirio: «Se, tuttavia» scrive in Dono e mistero «guardiamo con occhio più penetrante la storia dei popoli e delle nazioni che hanno attraversato la prova dei sistemi totalitari e delle persecuzioni a causa della fede, scopriremo che proprio lì si è rivelata con chiarezza la presenza vittoriosa della croce di Cristo».
Per il papa, parlare di comunismo e di nazismo era ripercorrere la storia di due tragedie che avevano sconvolto il suo paese e l’Europa. Ne dava una lettura storica e allo stesso tempo spirituale. Erano rivelazioni apocalittiche del male. Il loro carattere anticristiano (e non dubitava che una vittoria nazista avrebbe cancellato il cristianesimo dall’Europa) era una conseguenza dell’essere radicalmente espressione del male. Come i cristiani avevano resistito al male? Questo era il suo interrogativo, mentre raccontava la fragilità di tanti martiri e notava in loro, però, la «straordinaria potenza di Diò».
Il 7 maggio 2000, di fronte al Colosseo, nella celebrazione dei nuovi martiri, il papa prese la parola solennemente. La giornata volgeva al tramonto e lo scenario dell’antico monumento romano era bello e grave. Le parole di Giovanni Paolo II si fecero solenni e forti nella preghiera: «Ricordati, Dio delle tenebre del Venerdì Santo, Dio del silenzio del Sabato Santo, ma anche Dio dell’alba gioiosa della Resurrezione, ricordati di tutti i cristiani vittime del nazismo: cattolici, protestanti, ortodossi e anche fratelli e sorelle della prima alleanza e di altre religioni; essi hanno sofferto la fatica dei lavori forzati, l’umiliazione della loro dignità umana, la fame e la sete, l’annientamento della memoria fino alla loro distruzione nelle camere a gas e nei forni crematori...».
Poco prima aveva ricordato i martiri del comunismo, perseguitati «per la causa del Vangelo e per la loro fedeltà alla tradizione cristiana, pregando per i loro persecutori». Poco dopo si sarebbe volto all’Asia e all’Oceania, alla Spagna e al Messico, all’Africa dei martiri («irrigata con il loro sangue»), infine all’America. Qui, tra i pastori caduti, Giovannì Paolo II ricordò «l’indimenticabile arcivescovo Oscar Romero, ucciso all’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico». C’era allora una polemica su Romero: se fosse da considerare un caduto per motivi politici o un simbolo della teologia della liberazione. L’allora segretario di Stato era intervenuto in questo senso: così almeno disse il papa. Giovanni Paolo II, malgrado non avesse avuto un rapporto di piena intesa con Romero, si era inchinato di fronte al suo martirio. Proprio in un incontro precedente con me il papa aveva ricordato la sua visita in Centro America nel 1983 e il confronto con il regime sandinista in Nicaragua: «Con la fine dell’URSS sono cambiate molte cose in Centro America» concluse. Ero, per parte mia, convinto che l’arcivescovo di San Salvador, ucciso sull’altare, fosse un martire del suo amore pastorale. Poco dopo questo mio incontro con Giovanni Paolo II, il card. Cassidy, responsabile dell’ecumenismo, era stato ricevuto dal papa a cui aveva parlato di Romero da giovane, conosciuto da lui personalmente in Salvador molti anni prima, come di un ottimo prete. Così, alla fine, il nome dell’arcivescovo salvadoregno ucciso mentre celebrava la Messa, era stato inserito nella preghiera al Colosseo per una scelta personale del papa.
La vicenda dei martiri era un punto decisivo della lettura della storia di Giovanni Paolo Il. Papa Wojtyla aveva una sensibilità geopolitica, un’interpretazione della storia dei popoli e della Chiesa legata a segni e a eventi rivelatori (si potrebbe dire, con espressione conciliare, i «segni dei tempi»). Per lui le terre e i popoli non erano tutti uguali. C’era una storia di Dio con le nazioni, nei loro dolori, nelle ore di follia, in quelle di liberazione e di fede. Non si trattava di un atlante storico sistematico, ma di una visione organica, affascinante, in cui egli mescolava la sua cultura storico-geografica, la memoria dei suoi incontri e dei suoi viaggi, le sue interpretazioni spirituali e le sue intuizioni geopolitiche. Il martirio illuminava la vita di un popolo, di una Chiesa: sicuramente gettava luce sulla storia della Chiesa del Novecento, di cui Wojtyla si sentiva figlio.
«I martiri» disse il papa al Colosseo, «questi nostri fratelli e sorelle nella fede, a cui oggi facciamo riferimento con gratitudine e venerazione, costituiscono un grande affresco dell’umanità cristiana del XX secolo. Un affresco del Vangelo delle beatitudini, vissuto fino allo spargimento del sangue.» E Wojtyla, in quel tramonto romano presso il Colosseo, un luogo carico di memorie dell’antico martirio dei cristiani, affermò con decisione, malgrado la sua voce fosse segnata dalla malattia: «Sono testimone io stesso, negli armi della mia giovinezza, di tanto dolore e di tante prove». L’autorità del papa e quella del testimone si fondevano insieme in un invito che era quasi una supplica: non dimenticare!
La sfida che lanciava alla Chiesa, ma anche alla storia, era non dimenticare questa parte sommersa del cristianesimo del XX secolo. Infatti, per lui, il cristianesimo dei martiri era una fonte di autenticità e di rinnovata forza per la Chiesa nel nuovo secolo in cui essa stava entrando. La memoria gli sembrava una lotta contro la forza banalizzatrice dell’oblio e la congiura del silenzio. Gli pareva anche una lotta contro una Chiesa che si normalizzava come una grande e mediocre istituzione del mondo contemporaneo. «E sono tanti!» riuscì a gridare quella sera, parlando dei martiri. E aggiunse: «La loro memoria non deve andare perduta, anzi va recuperata in maniera documentata. I nomi di molti non sono conosciuti; i nomi di alcuni sono stati infangati dai persecutori, che hanno cercato di aggiungere al martirio l’ignominia; i nomi di altri sono stati occultati dai carnefici. I cristiani, però, serbano il ricordo di una gran parte di loro».
Era una sfida alla vita dei cristiani. Ma lo era pure per la storia. Infatti la storia dei nuovi martiri non è finita. Non è finita con la crisi dei regimi comunisti dell’Est europeo o con la scomparsa dell’Unione Sovietica. Non è finita con il Duemila. Il nuovo secolo si presenta anch’esso come difficile e insidioso per i cristiani. Antiche forme di violenza si intrecciano con nuove e più raffinate. In questo differente quadro, ricordo la lezione di Giovanni Paolo II: guardare in faccia il persecutore e non generalizzare, provare a scrutare la forza dell’odio nel cuore, nella mente e nel mondo di chi uccide il cristiano. La storia del martirio non è tutta uguale, riducibile a una formula o a una ideologia. Vale la pena ed è doveroso seguirne lo sviluppo drammatico.
La storia del martirio non finisce nella constatazione che i cristiani sono le vittime dell’ora presente, quasi per invocare una riscossa cristiana. Si tratta di una riscossa che, in questi nostri tempi, non si risolve in nulla se non nell’accrescere un po’ di più
l’ostilità verso l’altro. I martiri non sono stati tali perché potessimo avere qualche motivo in più per disprezzare gli altri o diffidare di loro. In ben altra logica, che quella della riscossa o della vendetta, si colloca il martirio cristiano. Per Giovanni Paolo 11, la memoria del martirio era legata a quell’espressione tipica del suo pensiero: «Perdoniamo e chiediamo perdono». Sì, la Chiesa dei martiri doveva perdonare quanti avevano colpito violentemente i suoi figli. Non era una Chiesa senza forza, anche se la sua era una forza mite. Questa Chiesa, con papa Wojtyla, perdonava i suoi persecutori e chiedeva perdono per i suoi errori.
Poco prima della celebrazione al Colosseo, Giovanni Paolo II aveva proclamato: «Perdoniamo e chiediamo perdono!». La storia del martirio era per lui la vittoria della forza particolare dei cristiani: «Laddove l’odio sembrava inquinare tutta la vita senza possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come “l’amore sia più forte della morte”. All’interno di terribili sistemi oppressivi, che sfigurano l’uomo, nei luoghi di dolore, tra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto».
Affermava il papa: «Nella loro fragilità è rifulsa la forza della fede e della grazia del Signore». Il martirio è stato, proprio nel complesso Novecento, la rivelazione del volto vero del cristianesimo: la forza nella debolezza. Per questo la sua memoria non doveva andare perduta. Anzi, nel discorso al Colosseo, Giovanni Paolo II parlò del martirio come di un’eredità. Innanzitutto «indica la via dell’unità ai cristiani del XXI secolo». Ma è anche una sorgente di vita rinnovata, di coraggio, di chiarezza interiore, per il cristianesimo che comincia a vivere nel XXI secolo.

lunedì 3 maggio 2010

Scuola del Vangelo 2008/09 - XVII

XVII incontro

Commento della Prima lettera
dell’Apostolo Giovanni.
Siamo figli di Dio, fratelli dell’umanità,
operatori della salvezza del mondo.
(23 maggio 2009)
1Gv 3, 1-2
Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d`ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Giovanni rivela ai suoi discepoli che siamo realmente figli di Dio. Sottolinea “realmente” perché questa cosa che forse a noi suona un po’ scontata, in realtà è una grande novità rispetto alla sensibilità israelita, ma direi, più in generale, al modo di pensare normale, anche il nostro.
L’Antico Testamento
Nell’Antico testamento esiste la definizione degli uomini come “figli di Dio” ed ha soprattutto il significato di appartenenti ad un gruppo, cioè al popolo eletto da Dio. E’ noto infatti come per gli ebrei, in generale, l’appartenenza alla schiera dei prescelti da Dio, oggetto della sua alleanza e della promessa di salvezza era garantita dai vincoli di sangue che legava ogni israelita attraverso la sua famiglia ad una delle dodici tribù e quindi al popolo eletto.
Essere figlio di Dio significava pertanto per un ebreo innanzitutto essere figlio di sangue di una famiglia israelita e restare fedele alle sue tradizioni. In questo modo gli era garantito di rientrare in quell’alleanza nella quale veniva quindi immesso in virtù della sua appartenenza etnica.
Come dicevo, altro elemento necessario era la fedeltà alla legge che in qualche modo confermava l’appartenenza al popolo. I profeti infatti rimproverano l’infedeltà degli ebrei che, rinnegando l’obbedienza a Dio e alle sue leggi, praticamente rifiutano di esserne figli:
Ad esempio Dio esprime il desiderio che gli israeliti riconoscano questa figliolanza da cui discende la realizzazione della promessa:
“Io pensavo: Come vorrei considerarti tra i miei figli e darti una terra invidiabile, un'eredità che sia l'ornamento più prezioso dei popoli! Io pensavo: Voi mi direte: Padre mio, e non tralascerete di seguirmi.” (Ger 3,19)
E’ quello che afferma Davide a nome del popolo (1Cr 29,10)
“Davide benedisse il Signore davanti a tutta l'assemblea. Davide disse: “Sii benedetto, Signore Dio di Israele, nostro padre, ora e sempre.”
Questa concezione emerge anche nel Vangelo quando Gesù, mentre battezzava sul Giordano, apostrofa farisei e sadducei per il fatto che credevano di non aver bisogno di convertirsi, certi che per la loro salvezza fosse sufficiente l’essere figli di Abramo e pertanto “etnicamente” garantiti dal patto di alleanza di Dio:
“Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre.” (Mt 3,7-9)
Gesù ironicamente afferma che l’appartenenza etnica o figliolanza familiare di Abramo ha un valore pari a quella di un sasso, cioè nulla, se non è accompagnata dalla conversione interiore.
La novità del Vangelo di Gesù
In un altro luogo Gesù, sempre parlando con i farisei, affronta lo stesso tema e afferma di nuovo che essere “figli del Padre” non dipenda dall’avere come capostipite familiare Abramo e quindi essere eredi in lui della promessa fattagli da Dio, ma la figliolanza di Dio è basata sull’accoglienza del suo amore che esige una risposta di amore, che si realizza attraverso il cambiamento della vita, cioè la conversione:
“So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!». Gli risposero: «Il nostro padre è Abramo». Rispose Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. …». Gli risposero: «Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, … Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio”. (Gv 8,37-43, 47)
Con queste ed altre parole Gesù afferma delle importanti novità rispetto alle convinzioni degli ebrei:
1. per Gesù si è figli di Dio se si accoglie e si ricambia il suo amore e si entra in rapporto con lui
2. se si è figli di Dio, in questo rapporto di amore, si diviene simili a Gesù, come insegnano le beatitudini:
“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.” (Mt 5,9)
3. si è figli di Dio se si crede nella resurrezione, cioè nella prova suprema dell’amore di Dio:
“e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.” (Lc 20,36)
4. Si è figli di Dio se si accoglie Gesù, cioè lo si ama
“Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome.” (Gv 1,11-12)
Siamo realmente figli di Dio
A questo nuovo significato si riferisce Giovanni quando sottolinea con forza “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” proprio per affermare che siamo suoi figli non per appartenenza etnica ma per un amore che lui ci ha donato e che chiede di essere ricambiato.
Essere figli di Dio allora è un dono, è l’iniziativa di un Padre che adotta un figlio non suo.
San Paolo nella lettera ai Romani riprende questo tema dell’adozione a figli operata da Gesù attraverso il dono dello Spirito santo, che è amore, nel battesimo:
“Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. … Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, … La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio … Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli;” (Rm 8)
Questo discorso sull’essere figli di Dio ha una grande importanza nella vita dei cristiani.
Viene costituito un nuovo modo di essere famiglia che non si fonda più sul vincolo di sangue ma sull’amore per Gesù che ci fa “appartenere” a lui.
Infatti se siamo figli di Dio:
1. siamo fratelli degli altri uomini
2. siamo eredi dei beni di Dio
3. la nostra adozione cambia anche il nostro rapporto con tutto il mondo: non siamo più quelli di prima
Questo nuovo modo di essere famiglia si esprime ad esempio nel noto passo:
“Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre».” (Mt 12,47-50)
Evidentemente Gesù non vuole dire che la famiglia di sangue vada abolita, ma che viene allargata e resa vera dalla scelta di amare Dio, di compierne la sua volontà.
Come essere figlio di Dio e fratello degli uomini?
Innumerevoli sono le implicazioni di questa nuova realtà che siamo invitati a vivere.
Ci chiediamo innanzitutto: Noi accettiamo, praticamente e non solo teoricamente, di essere figli di Dio, o preferiamo le nostre figliolanze “naturali” che ci limitano in una famiglia, in una cultura, in un mondo, in un popolo, ecc…?
Cioè qual è l’orizzonte entro il quale ci pensiamo, immaginiamo la nostra vita e i nostri interessi. Potremmo dire sinteticamente: i fatti di chi crediamo che ci riguardino? Qual è il confine che pongo a quello che mi tocca e mi riguarda?
Allargare l’orizzonte dei nostri interessi ci fa paura, ma così facendo a quante cose rinunciamo!
Ogni uomo e ogni donna sono come un “mondo” e noi davanti a ciascuno possiamo scegliere di affacciarci ad esso, di interessarci, di lasciarci coinvolgere o invece di volgerci altrove e ignorarlo. A quali e quante ricchezze di umanità, conoscenze ed esperienze rinunciamo?
“Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. … il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano …(il figlio rifiuta il rapporto col padre).
Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. (la distanza dal padre immiserisce la nostra vita)
Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. … Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, … non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. (si desidera vita misera da schiavo)
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, … disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa.” (Lc 15,11-24) (essere figli di Dio è come un banchetto ricco, rispetto al cibo misero del servo)
Noi rifiutando la figliolanza divina arriviamo a mendicare una carruba per i porci mentre il Padre ci prepara un pranzo abbondante a base di carni arrostite.
Noi partiamo da una prospettiva in cui ci spaventa l’idea di doverci occupare di troppe persone, che ci tolgono la serenità, la pace e la vita: pensiamo ad esempio alla paura dei poveri. Ci difendiamo da essi perché abbiamo paura di legarci a loro come a parenti: dove andremmo a finire? Eppure nel dolore i poveri tante volte hanno affinato umanità belle e ricche, e anche quando invece risultano contorte e problematiche quanto è bello lasciarsene coinvolgere con stupore e rispetto. Guardare con amore di fratello alla vita di qualcun altro abbatte ogni separazione e siamo messi in comunicazione diretta con realtà così diverse dalla nostra. E’ come vivere tante volte e fare nostri i dolori, le gioie, le speranze, le delusioni, i sogni di tanti che hanno vissuto così diversamente da me.
Come si può temere di restare impoveriti da ciò?
Noi invece per paura a forza di rifiutare di avere a che fare con altri e di allontanare “vite” da noi restiamo con una carruba striminzita da rosicchiare, invece di gustare il lauto pranzo dell’umanità larga e piena.
Cosa vuol dire che ogni uomo è mio fratello nell’amore di Gesù?
Spesso si pensa questo come un carico di responsabilità insopportabile: “Devo forse pensare io a tutti?” Ma potremmo capovolgere l’affermazione e dire: “Per fortuna che non sono solo al mondo e posso contare su tanti fratelli!”
Idea moderna che per non far mancare nulla al proprio figlio bisogna averne uno solo. In realtà gli si nega la cosa più bella: avere fratelli e sorelle. Per questo in genere i nostri bambini sono pieni di cose, ma soli. Non c’è infatti solo da considerare me stesso come fratello di tutti, ma anche gli altri come fratelli miei.