sabato 27 novembre 2010

I domencia del tempo di Avvento




Dal libro del profeta Isaia Is 2,1-5
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore.

Salmo 121 - Andiamo con gioia incontro al Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

È là che salgono le tribù del Signore, +
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 13, 11-14
Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
donaci la tua salvezza.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 24, 37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Commento


Cari fratelli e care sorelle, l’evangelista Matteo ci riporta le parole che Gesù pronunciò ai suoi discepoli mentre, stando nel tempio, questi ammiravano la magnificenza delle pietre del tempio. Già commentavamo, qualche domenica fa, come i dodici vedevano nella solidità di quelle pietre una forma di protezione e garanzia per il loro futuro: chi potrà mai sgretolare rocce così solide? Eppure Gesù a quella sicurezza dei discepoli risponde con l’invito a non fidare nella solidità delle certezze umane: la forza, il potere, l’abitudine, per cercare invece nel Signore l’unica protezione reale. Sì, la vera nostra salvezza sta nella venuta del Signore che oggi, con questa prima domenica di avvento, iniziamo ad attendere.
Ci chiediamo dunque, in questa prima tappa del nuovo anno liturgico, che cosa significa attendere la salvezza che viene dal Signore? Noi che cosa attendiamo?
Una grande insoddisfazione caratterizza l’uomo e la donna moderna. Assai difficilmente troveremmo infatti qualcuno che dica che la situazione in cui viviamo è buona. Il primo motivo di insoddisfazione è la congiuntura economica internazionale: la crisi ha sconvolto i mercati e ha messo in luce che tante illusioni di benessere erano in realtà solo un effetto drogato dell’economia senza reale consistenza. Alcune nazioni europee, come la Grecia e l’Irlanda, ma anche Spagna, Portogallo e Italia, l’intero continente africano e buona parte dell’Asia, si trovano ad affrontare una situazione economica grave: disoccupazione, debito pubblico, rischio di bancarotta.
Vi è poi una crisi mondiale delle istituzioni sovranazionali, come l’ONU, il G9 o G20 o l’Europa, che sembrano impotenti, divise al loro interno, senza idee chiare sul da farsi e lasciando sempre più spazio ai particolarismi regionali o nazionali, se non addirittura etnici.
Infine, al nostro livello nazionale, la politica è giunta ad un livello deplorevole, nessun ideale raccoglie consensi, nessun progetto coagula le forze, nemmeno si riesce a celebrare il 150° anniversario dell’unità d’Italia, come a dire: “se questo è il risultato!”. Le sorti del Governo sono legate alla cronaca rosa, le rivelazioni scandalistiche di qualche signorina, o lo scoop sui parenti di qualche leader.
Anche il tessuto di convivenza è consumato e pieno di strappi: la famiglia stessa sempre più spesso è teatro di violenza o di divisioni e incomunicabilità fra generazioni, con il rifiuto di ricoprire ruoli per paura delle responsabilità conseguenti, restando in uno stato di eterna adolescenza.
Insomma tante rocce su cui si è fatto affidamento negli anni passati per dare solidità alle nostre società si vanno sgretolando. Prevale un senso di crisi, d’incertezza, di disorientamento. Come ci salveremo da tutto ciò?
La risposta istintiva e più diffusa è quella di provare a restare a galla cercando di farcela con le proprie forze. Ognuno si dia da fare per sé, sfrutti i propri talenti a proprio vantaggio, cerchi di emergere e garantirsi un futuro.
E’ questa la salvezza che ci propone il Signore?
Il vangelo parla della venuta del Signore paragonandola alla salvezza che rappresentò l’arca con la quale Noè mise in salvo dalle acque l’umanità e tutti gli esseri viventi. Ma l’arca non era una barchetta monoposto in cui chi rema con più forza si salva. Era una nave larga, talmente capiente da poter accogliere due rappresentanti di ogni specie animale. Sì, la salvezza che il Signore viene a portarci non è la mia salvezza individuale, non si misura sull’orizzonte angusto dell’io, ma accoglie un popolo grande e vario, di ogni genere e razza. L’arca fin dall’antichità è stata interpretata come il simbolo della Chiesa, e in essa ognuno trovò il suo posto. Nessuno è escluso, e la salvezza di ciascuno è legata indissolubilmente a quella degli altri. Nessuno si salva da solo, e tanto meno a discapito dell’altro.
Ecco allora a cosa ci invita questo tempo di avvento: imparare a sentirci parte di un popolo vasto che cerca la salvezza e trovare il proprio posto al suo interno, nell’armonia con tutti. Nell’arca di salvezza c’è posto per chi ha successo e per chi ha fallito, per chi emerge e per chi soccombe, per il ricco e per il povero. Ma la cultura del nostro tempo afferma il contrario e crea sempre più alte barriere fra il mondo di chi conta e chi no, fra chi ce la può fare e chi è perduto. Ma questa è la rovina perché chi non cerca di entrare nell’arca resta sommerso dalle acque, continuando magari a illudersi fino all’ultimo di poter condurre una vita normale, come nulla fosse: “nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti”. Non corriamo anche noi questo rischio: non crediamo di potercela fare in un tempo difficile come il nostro emergendo con il proprio sforzo individuale, ma salviamoci invece entrando in questo popolo radunato da Dio per salvarlo dalla tempesta.
Questo tempo di avvento è allora un’occasione benedetta per entrare a fra parte di questo popolo vario e multiforme, per abbattere le frontiere di divisione dagli altri, per vincere un senso di ambizione individuale che ci separa, per smussare gli spigoli di aggressività e insofferenza. Assieme ci salveremo perché assieme incontreremo il Signore che viene a visitare questo mondo. Guai se lasciamo correre invano questo tempo: ci troveremmo affogati nei nostri affanni, sbattuti nelle tempeste delle nostre vite individuali e incapaci a fronteggiare la forza del male che ci sommerge. Il vangelo ci invita ad entrare nell’arca del popolo dei fratelli e delle sorelle che accolgono di legarsi al gioco soave di una fraternità larga. Accogliamo docili l’invito e prepariamoci ad essere radunati da lui sul monte, come sogna Isaia nella prima lettura di oggi. Assieme a tutti popoli che hanno accolto l’invito a non cercare la propria salvezza individuale ma a preparare la salvezza di tutti impareremo a guardare al mondo così difficile con occhi sereni e pieni della pace che solo Dio ci può donare.


Preghiere n. 1


O Signore che vieni e visiti le nostre vite, ti preghiamo perché sappiamo accogliere con gioia questo tempo in cui prepararci all’incontro con te. Fa’ che non crediamo di poterci salvare da soli ma accettiamo di far parte del popolo largo dei tuoi figli.
Noi ti preghiamo

Con pazienza e fedeltà, o Signore, ci guidi in questo tempo di crisi e disorientamento. Aiutaci a trovare la via che conduce all’arca di salvezza che accoglie tutti coloro che ti cercano.
Noi ti preghiamo

In questo tempo di Avvento o Signore fa’ che non viviamo presi dall’affanno per noi stessi e distratti dalle abitudini banali. Aiutaci a prepararci perché possiamo riconoscerti re e salvatore delle nostre vite.
Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Dio del cielo per questo nostro mondo, attraversato da correnti di odio e di violenza. Dona la tua pace a tutti coloro che ora sono sottoposti alla durezza della guerra, guarisci i cuori induriti dall’inimicizia e aprili al tuo amore.
Noi ti preghiamo


Salva o Dio questo tuo popolo. Fa’ che le nostre invocazioni siano ascoltate e che il tuo aiuto non ci venga mai meno. Confermaci nel bene che cerchiamo di compiere e impedisci che i nostri piedi percorrano le vie del male.
Noi ti preghiamo

Consola o Padre misericordioso chi è nel dolore: i poveri, i disperati, i senza casa e senza famiglia, i prigionieri, i malati. Guida i nostri passi sulla via della misericordia per chi è debole e dell’aiuto fraterno a chi ne ha bisogno.
Noi ti preghiamo.


Benedici o Padre di misericordia chi nel mondo annuncia il Vangelo e testimonia la tua pace. Proteggi ovunque i tuoi discepoli, specialmente dove la loro vita è minacciata. Incoraggia chi è timido nel proclamare che la salvezza viene dal tuo Nome.
Noi ti preghiamo


Perdona o Dio clemente il male che compiamo e ispiraci sentimenti di bontà e pace. Fa’ che in questo tempo di attesa ci prepariamo ad incontrarti povero e piccolo.
Noi ti preghiamo

mercoledì 24 novembre 2010

Cena di solidarietà del 27 novembre 2010



















domenica 21 novembre 2010

XXXIV domenica del tempo ordinario - Cristo re dell'universo




2 Sam 5, 1-3
In quei giorni, vennero tutte le tribù d'Israele da Davide in Ebron e gli dissero: «Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne. Gia prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele». Vennero dunque tutti gli anziani d'Israele dal re in Ebron e il re Davide fece alleanza con loro in Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re sopra Israele.

Salmo 121 - Andremo con gioia alla casa del Signore.

Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d'Israele,
per lodare il nome del Signore.

Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.

Col 1, 12-20
Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Alleluia, alleluia, alleluia.

Lc 23, 35-43
Intanto il popolo stava a vedere, i capi invece schernivano Gesù dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
Commento
Cari fratelli e care sorelle, con questa domenica concludiamo un anno liturgico. È una scansione del tempo che non corrisponde ai normali ritmi lavorativi o scolastici o sociali: il tempo dei cristiani infatti si misura non sulle scadenze ordinarie ma sul tempo della liturgia. È il luogo santo dell’incontro con il Signore infatti che segna le nostre settimane; da qui, il monte della manifestazione di Dio, guardiamo alla nostra settimana che viene. Dalla liturgia scaturisce la nostra quotidianità come da una fonte a cui possiamo attingere la forza e la grazia, la pace e l’amore che ci accompagna nel tempo e disseta la sete nostra e di quelli che incontriamo. È importante dunque anche per noi assumere il ritmo della domenica, non farne solo un appuntamento fra i tanti, e spesso nemmeno il più importante.
Oggi dunque si conclude un anno con la liturgia. È una soglia davanti alla quale ci troviamo e che ci apre un altro anno con il Signore. Sì, la nostra vita non scorre lungo un binario isolato fino ad una meta ignota, ma è parte di un disegno ampio di cui il Signore è il tessitore paziente e benevolo. Noi, come un filo, ci pieghiamo docili alle mani del tessitore che ci permette di trovare il nostro posto giusto nella trama, per non perderci e non lasciar cadere giù la nostra vita come un filo inutile perché isolato.
L’Apostolo Paolo a questo proposito nel brano della lettera ai Colossesi che abbiamo ascoltato ci propone l’immagine del Signore come inizio e compimento di tutto ciò che esiste. Egli è il primo di tutte le cose, il capo, il principio e il primogenito il Signore assoluto dell’universo.
Ma come si esprime questa signoria? Sappiamo che Gesù fuggì da coloro che volevano proclamarlo re e l’unica volta che accettò il titolo regale fu quando era in catene, prigioniero, deriso e tradito, davanti a Pilato: “Dunque tu sei re?” “Tu lo dici io sono re”. Che senso ha questa regalità di un uomo che non aveva nessun potere e non poteva più disporre nemmeno di se stesso?
Una volta alcuni discepoli furono tentati di esercitare anch’essi il potere all’interno della cerchia dei dodici, e Gesù spiegò bene loro cosa significa per lui essere “Signore”: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.”
La signoria del Signore non è come quella di questo mondo. In esso il potere coincide con il possesso delle persone e delle cose, per Dio invece il potere più grande è essere servi. E’ attraverso il servizio dell’amore che Gesù ha preso possesso del mondo, attraverso l’amore si è incoronato e assiso al trono del potere più forte di tutti e che non ha mai fine che è la croce. Sì, i re e i dominatori si sono succeduti nella storia, a fasi alterne, ma solo la croce è rimasta per sempre come segno supremo dell’amore di Dio per gli uomini.
Abbiamo ascoltato come davanti alla croce la gente grida a Gesù di salvare se stesso: non sopporta di sottomettersi ad un amore così grande da dare la vita per gli altri. Quel subire del Signore il male degli uomini pur di non tradire la fiducia dei suoi e non abbandonarli fa vedere la forza straordinaria del suo amore. Quelli insistono: “Pensa a te stesso! Non vedi che ti hanno abbandonato tutti, almeno salva te stesso!” Gesù però non rinuncia ad esercitare la signoria del servizio dell’amore: egli non aspira ad essere un piccolo padrone di sé e degli altri ma il signore del mondo, perché ama il mondo.
Sul Golgota vediamo i due briganti crocefissi con Gesù comportarsi in modo diametralmente opposto. Uno maledice Gesù perché non esercita il potere di salvare se stesso e loro due, il secondo invece si sottomette alla signoria di Gesù che vuol dire lasciarsi amare da lui, e per questo incontra la salvezza vera: “Oggi sarai con me in paradiso
Fratelli e sorelle, sottomettiamoci anche noi alla signoria di Gesù come il buon ladrone, non inseguiamo il potere di questo mondo che ci allontana dagli altri e da Dio, incontreremo anche noi la nostra salvezza che è imparare ad esercitare quello stesso potere più forte di tutti: amare. Diverremo anche noi, come Gesù, re della nostra vita e signori del mondo, cioè capaci di allargare il confine angusto del nostro io per comprendere nell’orizzonte della nostra esistenza gli altri che incontriamo, i poveri, i popoli del mondo, le realtà lontane, poiché quello che amiamo è nostro, e niente potrai mai strapparcelo, quelli a cui vogliamo bene sono nostri, anche se non sono legati da un vincolo familiare naturale; le vite che curiamo e accompagniamo con amore sono nostre, e nessuno ce le potrà allontanare, ed è questa la più grande libertà: non dominare ma essere servi.

Preghiere
Ti ringraziamo Signore perché vieni e visiti la nostra vita e ci riempi col tuo amore. Fa’ che ci sottomettiamo alla tua signoria accogliendo con riconoscenza la tua compagnia.
Noi ti preghiamo
Fa’ o Padre buono che invochiamo sempre la protezione della tua vicinanza. Perché anche noi con il buon ladrone diciamo: ricordati di noi nel tuo regno.
Noi ti preghiamo
Ti preghiamo o Signore per tutti coloro che rivendicano l’indipendenza e l’autonomia del proprio cammino. Perché incontrandoti come un padre buono si sottomettano alla tua guida e ti seguano fino al regno di pace e di giustizia che prepari per ciascuno.
Noi ti preghiamo
Proteggi o Signore del cielo e della terra tutti coloro che sono nel dolore. Fa’ che chi oggi è povero e nel bisogno possa presto godere della consolazione di una vita benedetta dall’amore dei fratelli.
Noi ti preghiamo
Ti invochiamo o Signore della pace, fa’ cessare ogni conflitto nel mondo, perché un tempo nuovo di riconciliazione e comprensione reciproca riunisca i popoli oggi divisi dall’odio e dalla violenza.
Noi ti preghiamo
Consola o Padre del cielo tutti coloro che sono stati colpiti dalla durezza delle catastrofi naturali. Accogli chi si affida al tuo aiuto per superare i pericoli e le difficoltà del giorno presente.
Noi ti preghiamo.
Guida e conferma i tuoi discepoli perché ovunque nel mondo siano testimoni veraci del Vangelo. Fa’ che la tua parola accolta e vissuta renda anche noi annunciatori coraggiosi del tuo regno.
Noi ti preghiamo
Proteggi o Padre coloro che nel mondo sono perseguitati a causa della fede. In modo particolare per i cristiani in Irak, in India, in Pakistan, dona loro pace e salvezza.
Noi ti preghiamo

domenica 14 novembre 2010

XXXIII Domenica del tempo ordinario - 14 novembre 2010




Dal libro del profeta Malachia 3, 19-20
Ecco: sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.

Salmo 97 - Il Signore giudicherà il mondo con giustizia.
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Risuoni il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani, +
esultino insieme le montagne
davanti al Signore che viene a giudicare la terra.

Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 3, 7-12
Fratelli, sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Risollevatevi e alzate il capo,
perché la vostra liberazione è vicina.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 21, 5-19
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Commento


Cari fratelli e care sorelle, Gesù si trovava con i discepoli nel tempio a parlare alla gente. Molti si fermano ad ascoltarlo perché sono colpiti e attratti dal suo modo di proporre la buona notizia straordinaria che esiste un modo migliore di vivere e la speranza di non perdersi dietro ciò che non vale. Questa notizia ha il sapore di una grande novità, come sempre accade quando ascoltiamo il Vangelo con cuore aperto e ci lasciamo stupire dalla straordinarietà del suo annuncio di salvezza. Ad ascoltarlo ci sono anche alcuni “specialisti della fede”, gente che crede di conoscere tutto della religione e per questo si sentono sicuri di possedere già la salvezza. Si sentono in una situazione di superiorità su tutto e su tutti, e ,cosa che è ancora più grave, senza bisogno di imparare da Gesù. Per questo sono infastiditi: di quale novità pretende di parlare questo provinciale di Galilea, oltretutto proprio nel tempio della Capitale, Gerusalemme ?
E’ l’atteggiamento di tutti coloro che si sentono già sufficientemente esperti, perché hanno frequentato fin da piccoli la religione, tanto da sentirsene ora padroni. Per questo si mettono a polemizzare con Gesù dando sfoggio della loro conoscenza della Legge, come abbiamo ascoltato domenica scorsa sul tema della resurrezione della carne. Si difendono dalla novità, hanno paura, e il tempio, così come per noi cristiani di oggi la chiesa, invece di essere il luogo per vivere con gioia l’incontro con Dio che porta la novità nella nostra vita, diventa il rifugio in cui sentirsi nel giusto, protetti dalle domande di Dio e degli uomini dalle solide mura del proprio orgoglio.
Oppure c’è chi si sente protetto dalle mura della sapienza maturata con le proprie esperienze che hanno insegnato a vivere, a diffidare, a non illudersi. C’è chi invece privilegia un atteggiamento razionalista e si sente protetto dal calcolare tutto, dalla possibilità di prevedere e prevenire gli eventi, in modo da non trovarsi mai spiazzati o senza la risposta giusta. Sono tante e varie le mura delle abitudini e dei meccanismi psicologici con cui svuotiamo del senso di novità la parola di Dio e teniamo lontani gli altri e Dio, per paura di essere messi in discussione.
A queste mura, come quelle del tempio di Gerusalemme, fra le quali i farisei si sentivano a casa propria, piuttosto che ospiti della casa di Dio, si riferisce Gesù quando dice: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Sì, quel tempio della sapienza del mondo con la quale ci difendiamo e che ci dà tanta sicurezza è destinato a cadere sotto le spinte dei problemi e delle domande della vita.
Gesù elenca alcune delle realtà drammatiche che fin da allora, così come ancora oggi, sconvolgono profondamente il mondo: “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.” Sono eventi tragici che fanno tremare le fondamenta non solo dei popoli della terra, ma anche delle nostre vite personali: quanti terremoti, quante guerre, quanta violenza e arroganza sperimentiamo anche nella nostra vita!
Davanti a questi drammi “globali” e alle traversie che a volte sconvolgono la vita personale di ciascuno le difese delle mura in cui abbiamo confidato hanno ben poca efficacia. Crollano al primo colpo e non restano che macerie.
Gesù propone una via diversa. Non fuggire i problemi e i drammi, che fanno parte della vita di ciascuno, ma farne occasione per “dare testimonianza” come dice Gesù, cioè per affermare con forza la necessità di non barricarsi dietro la sapienza impotente di questo mondo, solo apparentemente solida, ma fragile davanti agli assalti del male, ma fondare la propria esistenza sulla roccia solida del Vangelo.
Ma cosa vuol dire edificare sulla roccia?
Lo facciamo ogni qual volta ascoltando la Parola la lasciamo entrare nel nostro intimo, libera d’interrogarci e porci in discussione. Ce ne accorgiamo quando essa ci tocca col suo senso di novità, ci suscita stupore e felicità, perché non la mettiamo subito a tacere con un senso di scontatezza e di superiorità.
Cari fratelli e care sorelle, l’orgoglio delle nostre sicurezze ci sembrano una difesa solida, ma, come dice Malachia, “tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà”. Il giorno della prova viene per tutti e svelerà con cosa abbiamo costruito l’edifico della nostra vita interiore: con la paglia della sapienza del mondo o con la sapienza del vangelo. Per questo fin da ora, senza aspettare quando è troppo tardi, lasciamoci istruire dalla novità di una sapienza rivoluzionaria e liberatrice come quella del Vangelo, e per noi “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”, il sole che non brucia ma scalda i cuori e alimenta la vita che non finisce.




Preghiere n. 1

Ti ringraziamo o Signore perché ci doni il fondamento solido del Vangelo su cui edificare la nostra vita. Fa’ che non venga mai meno a ciascuno di noi il materiale buono che tu ci metti a disposizione per divenire una casa ospitale e un tempio santo.
Noi ti preghiamo

Perdonaci o Signore quando per orgoglio e arroganza rifiutiamo la novità del vangelo e la compagnia del tuo amore. Fa’ che sappiamo ravvederci e divenire ascoltatori attenti della tua Parola.
Noi ti preghiamo

Guida o Signore i passi di tutti coloro che sono dispersi su sentieri che non portano a niente: chi segue se stesso e si perde nel vuoto del proprio orgoglio. Conducili verso il bene preparato da te per ciascun uomo.
Noi ti preghiamo

Scalda o Signore la freddezza dei cuori, e ammorbidisci la durezza con cui giudichiamo i fratelli e le sorelle. Fa’ che l’esperienza della tua misericordia ci porti a guardare con tenerezza e benevolenza chi ha bisogno di comprensione e sostegno.
Noi ti preghiamo


Dona o Padre pace ai popoli in guerra. Fa’ che dove oggi regna l’odio e la violenza sorga presto il desiderio di riconciliarsi col nemico e costruire assieme un futuro migliore.
Noi ti preghiamo


Senza la tua benevola compagnia, o Signore, il mondo non ha futuro. Fa’ che nel nostro Occidente ricco si rafforzi la gratitudine verso di te che non ci fai mancare nulla, assieme al senso di debito nei confronti di chi, invece, è nel bisogno di tutto.
Noi ti preghiamo.


Proteggi e consola chi è nel dolore, o Signore. Guarisci i malati, accompagna chi è solo, da’ riparo a chi è senza tetto, suscita in tutti noi il desiderio di farci prossimi dei poveri.
Noi ti preghiamo


La forza distruttiva della natura ci sgomenta o Signore. Fa’ che chi è stato colpito dai disastri sia consolato e il suo futuro ricostruito, accogli le vittime, rendici tutti attenti e partecipi al loro dolore.
Noi ti preghiamo

mercoledì 10 novembre 2010

Scuola del Vangelo 2010-11 - V e VI incontro

I discepoli

I Vangeli ci mostrano fin dall’inizio della vita pubblica di Gesù il suo desiderio di vivere non da solo ma con un gruppo di amici, quelli che comunemente sono chiamati “i discepoli”. Come dicevamo, in questo modo Gesù realizza con pienezza la natura buona dell’uomo che il Creatore enuncia al momento della sua creazione con la frase: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18).

Perché i discepoli
Innanzitutto è significativo che Gesù non scelga come compagni stabili della sua vita quelli che lo sarebbero stati naturalmente e che ordinariamente accompagnano la vita delle persone, come ad esempio i familiari, gli affini, i compaesani ecc… (1) (il numero rimanda alle note delle Conclusioni) Egli cerca i suoi compagni, non prende chi capita o chi ha accanto in modo scontato e non per scelta, propria e dell’interessato.
Il quarto capitolo del Vangelo di Matteo fa vedere i primi passi della vita pubblica di Gesù: prima aveva chiesto il battesimo a Giovanni sul Giordano, poi si era ritirato nel deserto dove il diavolo lo aveva tentato, e poi, subito dopo, inizia a chiamare i discepoli:

“Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.” (Mt 4,17-23)

La chiamata dei primi discepoli è racchiusa fra due frasi (una tecnica compositiva che si chiama “inclusione”) che parlano dell’inizio della predicazione itinerante per città e villaggi del Signore, per indicare lo stretto legame fra il suo compito di annunciare la salvezza e operare la guarigione e la compagnia dei suoi. Come vedremo meglio in seguito, i discepoli sono chiamati proprio per collaborare col Signore alla sua missione salvifica: il Messia non è una figura isolata che viene a imporre l’instaurazione del Regno con le armi del potere umano o di quello soprannaturale, ma a seminarlo e coltivarlo nella vita degli uomini con la pazienza del contadino.

Infatti i discepoli non sono chiamati solo alla prima ora: Matteo, ad esempio, si unisce al gruppo solo in un secondo momento:

“Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.” (Mt 9,9).

Cioè Gesù non vuole arruolare uno staff, istruirlo e poi partire alla conquista del mondo col suo piccolo esercito ben addestrato. I discepoli infatti non sono solo la cerchia ristretta dei dodici più famosi, ma un gruppo ampio che comprende anche donne, simpatizzanti, ecc… che stanno con Gesù fino alla fine della sua vicenda terrena, tranne quelli che lo abbandonarono prima.

Per esempio vediamo nel Vangelo di Giovanni come l’incontro casuale con una samaritana provoca in quella donna un cambiamento interiore e della vita tale da farla diventare una vera discepola che annuncia il Vangelo ricevuto da Gesù (Gv 4):

“Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere».
Inizia così un dialogo lungo e complesso fra Gesù e la samaritana che si conclude con la donna che diviene annunciatrice del Vangelo del Signore:
“La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». … Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».”
Vediamo dunque come Gesù raduna il gruppo dei discepoli.

Come sono scelti
In ogni caso è Gesù che sceglie i discepoli, ma non tutti nello stesso modo. In alcuni casi è una chiamata per nome, il Signore prende l’iniziativa di invitare esplicitamente qualcuno a stare con lui. Allo stesso tempo però “scegliere” per Gesù non significa selezionare le persone teoricamente più adatte (non avrebbe mai chiamato una donna, per di più samaritana, o un uomo sposato con famiglia a carico come Pietro), ma la scelta è di farsi lui per primo compagno di tutti quelli che incontra (2): “lungo il mare di Galilea” o lungo le strade o addirittura al pozzo. Se poi chi incontra Gesù diviene suo discepolo dipende dal fatto se quella persona, attratta dalla proposta che è l’umanità piena di Gesù, decide di ricambiare la compagnia di lui facendosi a sua volta suo compagno, poiché intuisce in essa la propria salvezza.
Ad esempio il cieco Bartimeo stava lungo la strada a mendicare e invocò l’aiuto di Gesù che passava di lì, e:

“Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.” (Lc 18,42-43).
Bartimeo comincia a seguire Gesù e il suo esempio suscita la lode a Dio in chi lo vede. In altri casi però Gesù non accetta chi vorrebbe seguirlo, ma lo fa restare nel suo ambiente, perché seguire Gesù non si esprime solo sul piano fisico dell’andare con lui, ma significa innanzitutto “stare dalla sua parte” e cooperare con lo scopo della sua vita, portare l’annuncio del Vangelo a tutti:

“Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va' nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati” (Mc 5,18-20)

(3) Gesù spiega bene che essere discepoli non significa solo essere fisicamente con lui, ma, più in generale, operare perché il Vangelo raggiunga gli altri e li salvi:

“Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci». Ma Gesù gli rispose: «Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi»” (Lc 9, 49-50).

Per ricapitolare possiamo dire che per Gesù l’incontro con ognuno è occasione per stringere un rapporto serio e profondo, questa è una sua scelta, cioè quella che con termine tecnico si dice “chiamata” o “vocazione”, la scelta di stare, lui per primo, con te. Gesù incontra tanti per proporre a ognuno la salvezza dal male: che sia la guarigione dalla malattia, la liberazione dal demonio, ma anche, come nel caso dei dodici, dalla banalità futile di una vita “normale”, cioè spesa solo per se stessi:

“Gesù disse loro: «Seguitemi, e io farò di voi dei pescatori di uomini». (Mc 1,17)

Proprio per questo l’incontro con Gesù contiene sempre una domanda di seguirlo, cioè di collaborare con lui per allargare la cerchia delle persone raggiunte dall’annuncio del Vangelo.
Di tutti quelli che Gesù incontra poi alcuni accolgono questa domanda e la fanno propria, divenendo discepoli, altri invece, come il giovane ricco, “se ne vanno tristi” (Mt 19), oppure hanno altro a cui pensare, come nove dei dieci lebbrosi che non tornano nemmeno a ringraziare Gesù (Lc 17), ecc…
Sono i tanti fallimenti affettivi di Gesù…

Com’è il rapporto di Gesù con i discepoli
Innanzitutto Gesù crede che i rapporti siano fatti per durare, perché Gesù ha bisogno di quelle persone. (4) La buona notizia di salvezza che è venuto a portare non si diffonde infatti per magia ma ha bisogno della collaborazione di qualcuno che creda, viva e annunci il Vangelo ad altri. Gesù non si mostra mai superiore o sprezzante, non nasconde il proprio bisogno degli altri, fosse il più piccolo e apparentemente inutile. Lo si capisce ad esempio dalla domanda sconsolata che rivolge ai suoi nel momento in cui tanti lo abbandonano:

“Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici.” (Gv 6,66-70).

Ma nonostante la delusione e il tradimento facciano costantemente parte dell’esperienza di Gesù, come di quella di ciascuno, esse non sono motivo per smettere di avere fiducia e cercare altri alleati nel suo cammino. Dopo quei fatti Gesù continua a incontrare gente e a suscitare discepoli:

“Detto questo (Gesù) sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. …
Allora (i farisei) dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». …
Rispose loro: «Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!”
(Gv 9)

Il cieco nato guarito diventa discepolo e invita col suo entusiasmo altri a divenirlo.
Potremmo dire che Gesù vede in tutti quelli che incontra dei potenziali discepoli, cioè gente che accetti di essere mandata a comunicare la salvezza del Vangelo a sempre più persone:

“Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo” (Gv 17,18)
“Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi” (Gv 20,21).

(5) Gesù con ognuno ha un rapporto diverso. Direi che con ognuno usa una strategia di conquista, ha preferenze, è esigente, non è “giusto”, nel senso che non si comporta nello stesso modo con tutti:

“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.” (Mt 17,1)
“E detto questo aggiunse: «Seguimi». Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, ... Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi».” (Gv 19,22)

(6) Il suo è un rapporto esigente, che non si accontenta. Con i discepoli Gesù perde tempo, insiste, ha tenerezza, si adira, cioè ha una gamma di sentimenti e di comportamenti molto vari perché la sua priorità è conquistare l’altro alla sua causa, cioè all’amore, e non imporre se stesso, per quanto perfetto e nel giusto fosse. Lo vediamo ad esempio nell’episodio di Mt 20, 20-28:

“Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete;
(Gesù è indulgente con la pretesa dei due, quasi intenerito dalla loro foga entusiasta)
però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio». Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli;
(Gesù ora deve sopportare lo sdegno degli altri che scambiano quella generosità per arrivismo: pazientemente spiega senza scandalizzarsi)
ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».”

(7) Gesù non lascia che i suoi siano schiacciati dal peso del loro peccato, ma usa una pedagogia dell’amore che non tollera il peccato ma si fa compagno nel sostenerne il peso. Gesù riesce a vedere nell’amico dietro il volto brutto, sfigurato dal male quello bello, trasfigurato dalla forza del perdono:

“Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».” (Lc 22,31-34)

Conclusioni
Ho evidenziato alcune caratteristiche del rapporto di Gesù con i discepoli. Questo ci serve per provare a confrontare il nostro modo di rapportarci agli altri con quello di Gesù. Infatti molto spesso l’atteggiamento più comune e spontaneo è diametralmente opposto a quello del Signore con i suoi amici.

1) Gesù sceglie gli altri. Non è comune decidere di farsi compagni e amici di qualcuno. In genere si ha l’idea che il rapporto con l’altro non possa essere frutto di una scelta, ma la casualità di un incontro, lo scoccare di una scintilla, il verificarsi di certe condizioni di compatibilità di carattere, di comunanza di interessi, di gusti simili, ecc… Non con tutti posso diventare amico, si devono verificare delle condizioni che lo rendano possibile.

2) Scelta di Gesù è farsi compagno per primo lui per coinvolgere gli altri nell’amicizia. In genere si sta molto attenti a chi fa il primo passo, a chi merita la nostra amicizia ecc…

3) Per Gesù il cuore dell’amicizia è lo sforzo di collaborare per il bene degli altri. In genere l’amicizia è finalizzata al proprio bene, al massimo a quello reciproco, figuriamoci a quello di altri,

4) Gesù crede nel rapporto come qualcosa di definitivo, perché ne ha bisogno. In genere si pensa che se il rapporto con qualcuno finisce a rimetterci sia l’altro, perché perde il vero valore che sono io, esattamente il contrario di Gesù, per il quale la perdita è di entrambi perché il vero valore è il rapporto stesso. Il rapporto ha motivo di esistere finché è soddisfa certe mie esigenze, affettive, sociali, economiche, ecc… Venuto meno questo ruolo e le esigenze il rapporto non serve e può essere lasciato cadere.

5) Al contrario delle strategie affettive di Gesù che per ognuno cerca la strada giusta per raggiungere il cuore, per noi difficilmente chi è l’altro influenza il mio atteggiamento, il modo di parlare, i contenuti che esprimo: io mi esprimo così come sono e come mi viene, sta all’altro apprezzarmi per quello che valgo, se non lo fa peggio per lui. Non si sente il bisogno di una strategia affettiva, perché non si ha bisogno dell’altro, casomai è vero il contrario.

6) In continuità col punto precedente spesso il rapporto di Gesù è esigente, mentre il nostro modo si limita a vedere il volto attuale del fratello come fosse quello definitivo. In genere il volto di tutti noi non è molto bello, così come è sfigurato dal peccato, ma noi a differenza di Gesù non cerchiamo dietro di esso il volto bello dell’uomo perdonato e amato da Dio. C’è bisogno di non accontentarci ed essere ambiziosi per il fratello e la sorella e lottare per conquistarli alla causa del Signore, che il bene vinca sul male ovunque esso si manifesti.

7) Farsi carico del peccato del fratello, non nel senso di tollerarlo, ma di vincerlo con le armi del bene, con una strategia affettiva che porti alla richiesta di perdono a Dio. Il male infatti non può essere dimenticato, va perdonato, sennò resta sempre.

Scuola del Vangelo 2010-11 - IV incontro - 10 novembre 2010

Gesù e gli altri

Gesù nei Vangeli dice di sé di essere principalmente un “uomo per gli altri”. Lo scopo della sua vita infatti non si trova “in” se stesso, ma negli altri. Questo tratto dell’umanità di Gesù ne fa un modello particolarmente significativo per ognuno di noi, anche perché la cultura del nostro tempo è orientata in direzione diametralmente opposta, esaltando l’individuo autosufficiente che ha come scopo la “realizzazione di sé”, nel senso di trovare in sé i motivi, gli obiettivi e anche i modi per esprimere le proprie potenzialità..

Gesù ha una coscienza lucida di essere un “uomo per gli altri”. Lo si vede bene nei suoi detti in cui accenna ai motivi della sua venuta sulla terra:

“Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!” (Mc 1,38).

parallelo: “Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato” (Lc 4,43).

“io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi” (Mc 2,17; parallelo: Lc 5,32).

“Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi”

… Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato"
(Lc 4,18-21).

“Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.” (Lc 22,27).

“io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza“ (Gv 10,10).
“Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17).

“E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno” (Gv 6,39).

“Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. … non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12,46-47).

“Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37).

In tutti i casi presi in esame vediamo come Gesù duca di essere venuto “per gli altri”, in modo particolare “per la loro salvezza”. Questa affermazione del Signore contraddice molte idee comuni sul senso della vita umana che, il più delle volte, indicano all’interno dell’uomo stesso lo scopo della sua esistenza.

Per esempio:

Idea della crescita come sviluppo della propria personalità.
Idea della libertà come possibilità di esprimere il proprio modo di essere.
Idea del valore dell’indipendenza e dell’autonomia (economica, psicologica, affettiva, ecc…) come modo per riaffermare la “non necessità” dell’altro nella mia vita personale.
L’altro è accettato e tollerato come spettatore, al massimo una comparsa nel film della nostra vita, è il nostro ascoltatore, colui che cerco se e quando mi serve.
Paradossalmente una conoscenza di lunga data dell’altro è spesso motivo per aumentarne il fastidio e l’ingombro: le figure che accettiamo più facilmente sono quelle evanescenti, passive, poco protagoniste, che non si impongono nella nostra vita e non vi lasciano una traccia troppo forte.
Fenomeno conseguente e sempre più diffuso è la paura di un rapporto che “costringa”, con la conseguente scelta per legami “leggeri”, non definitivi né impegnativi: bisogna sempre lasciarsi aperta una via di fuga nel caso che si cambi idea. Esempio evidente sono i rapporti amicali o familiari sempre più spesso in crisi.

Il fatto che Gesù sia un “uomo per gli altri” fa sì che nei Vangeli lo vediamo sempre “con altri”, come già sottolineavamo l’incontro scorso.
Proveremo nei prossimi incontri ad interrogarci alla luce dei Vangeli su quale era il rapporto di Gesù con gli altri, per imparare da lui a vivere con chi incontriamo nel cammino della nostra vita.

Gli altri con cui Gesù entra in rapporto sono principalmente:
I discepoli (per noi gli amici e tutti quelli con cui abbiamo rapporti)
I poveri (per noi i poveri)
Le folle (per noi le società, la folla anonima, i popoli, ecc…)
La gente che conta (per noi i potenti, i ricchi, i politici, …)
La famiglia (per noi la famiglia)
Il Padre (per noi Dio)

sabato 6 novembre 2010

XXXII domenica del tempo ordinario – 7 novembre 2010

Dal secondo libro dei Maccabei 7, 1-2. 9-14
In quei giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri». E il secondo, giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».

Salmo 16 - Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.

Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole.

Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési 2, 16 - 3, 5
Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene. Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno. Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.

Alleluia, alleluia. alleluia.
Gesù Cristo è il primogenito dei morti:
a lui gloria nei secoli dei secoli.
Alleluia, alleluia. alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 20, 27-38
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Commento


Cari fratelli e care sorelle, le letture di questa domenica ci propongono di riflettere su una realtà che spesso trascuriamo. Già la scorsa settimana durante le liturgie nella festa di tutti i Santi e della commemorazione dei defunti ci siamo soffermati sulla realtà della vita dell’uomo dopo la morte. Quella soglia turba l’uomo perché, come dicevamo, ci apre ad una realtà futura misteriosa. Infatti non ne sappiamo molto, e l’unico atteggiamento possibile per noi discepoli di Cristo è di affidarci a lui, senza molte certezze razionali. Sì, solo la fede ci rende capaci di affrontare con una certa serenità la realtà della vita dopo la morte.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto del martirio di sette giovani ebrei operato con crudele violenza dal re Antioco. La loro storia ci ricorda le vicende di tanti cristiani che hanno resistito fino al sangue per non rinnegare la propria fede. E uno dei motivi che spinge quei giovani a non cedere alla tortura e la morte è proprio quello della fede incrollabile nella resurrezione dopo la morte: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» dice uno dei sette. Anche Gesù nel vangelo ascoltato ribadisce la realtà della resurrezione, e lo fa in risposta alle obiezioni dei sadducei che negavano questa possibilità. Essi incarnano il dubbio da cui in ogni epoca gli uomini sono stati attraversati. In fondo sembra così assurdo pensare che i nostri corpi alla fine dei tempi torneranno ad esistere nella loro concretezza fisica. Per noi infatti è più facile credere ad una vita futura solo spirituale, immateriale. Assieme all’incarnazione, la resurrezione dei corpi ci mostra che per Dio la realtà naturale e fisica non è da disprezzare, come un peso inutile di cui dobbiamo sbarazzarci. Spesso la Scrittura ci mostra come la vita terrena, con le sue implicazioni concrete, conferiscono a ciascun uomo un carattere definitivo che lo accompagna per tutta la sua esistenza anche dopo la morte: pensiamo al giudizio universale descritto in Matteo 25 in cui sono proprio le azioni concrete, e non solo i sentimenti che evidentemente esse manifestano, a determinare la salvezza o la perdizione eterna degli uomini dopo la loro morte. Questo brano ci dice che anche i sentimenti più nobili ed alti se non sono incarnati in gesti concreti non sono duraturi e si perdono.
Per comprendere questo abbiamo bisogno di un atteggiamento di fede, che non è un puro atto irrazionale di puntare su una carta qualunque fiduciosi che sia quella vincente. Noi infatti possiamo maturare la nostra fede proprio a partire dalla considerazione di come Dio ci vuol bene. Paolo dice infatti che “La fede non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.” Cioè mentre l’uomo può avere fede o meno, ma io direi anche, l’uomo in alcun momenti ha fede e in altri no, il Signore è sempre fedele. La sua fiducia nell’uomo si esprime principalmente nel ritenere che valga la pena comunque di continuare a indicargli la strada per una vita “beata” (cioè confermare) per porlo al scuro dal rischio di rovinarla (cioè custodire dal Maligno), nonostante le nostre resistenze e rifiuti. E’ Dio il primo ad aver fede in noi, anche quando non ci sono motivi per conservarla. Ha fiducia nella nostra capacità di convertirci e che il bene alla fine prevarrà anche in noi. Questa fede incrollabile di Dio nell’uomo viene prima ed è fondamento della nostra povera e malferma fede in lui. In questo senso possiamo ben dire che la fede è un dono di Dio: è il frutto della sua fiducia in noi che viene prima della nostra risposta fiduciosa in lui.
Se noi ci affidiamo e cediamo a questa fiducia di Dio sperimenteremo che nulla della nostra vita va perduto o dimenticato, che niente è disprezzato da Dio, ma anzi è valorizzato e preservato dalla nostra stessa tendenza a consumare e distruggere tutto.
Cari fratelli e care sorelle, è rispondere all’amore di Dio che ci rende capaci di amare, così come rispondere alla sua fiducia in noi ci rende capaci di aver fede il Lui.
Questa fede ci permette di affrontare senza fuggire la realtà della morte e attenderci una vita futura in cui continueremo ad essere “beati”, proprio perché Dio è fedele. Viviamo con questa fiducia la vita quotidiana, senza sprecare le occasioni di fare il bene e disprezzando come superflue le azioni che contribuiscono all’affermazione di esso e all’indebolimento del potere del male. Viviamo, come fece Gesù, come uomini e donne concreti amando la fisicità del voler bene, questa dimensione infatti non andrà perduta per sempre dopo la morte: Dio l’ha creata, assunta e amata e ce la restituirà alla fine dei tempi.


Preghiere


Conserva, o Dio del cielo, la nostra vita pura dal disprezzo per il tuo amore e aperta alla fiducia che il bene vinca su tutto.
Noi ti preghiamo

Insegnaci o Signore a confidare in te, perché l’orgoglio della nostra sapienza e l’abitudine non ci portino ad aver fiducia solo nelle nostre forze e capacità.
Noi ti preghiamo

Accresci o Signore la nostra povera fede. Tu che non hai smesso di operare per la salvezza persino di quelli che ti stavano uccidendo, fa’ che crediamo nella forza del bene che può superare ogni ostacolo.
Noi ti preghiamo

Aiutaci o Dio del cielo a far prevalere in ogni situazione le ragioni del voler bene. Perché non cediamo alla tentazione di prevaricare il fratello e imporre il nostro io sugli altri.
Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Signore per tutte le vittime della violenza: per i cristiani uccisi a Baghdad, le vittime di ogni guerra, gli umiliati dall’ingiustizia e dall’oppressione. Dona al mondo intero pace e salvezza.
Noi ti preghiamo

Guarisci o Signore chi è malato, cura le piaghe del cuore e del corpo perché la vita che ci hai donato possa divenire un inno di lode al tuo nome.
Noi ti preghiamo.

Ti preghiamo per tutti i tuoi discepoli, o Signore: non guardare alla debolezza della loro fede, ma guidali e proteggili finché giungano nel luogo che tu hai preparato per loro fin dall’inizio dei tempi.
Noi ti preghiamo

Accogli o Padre nel tuo abbraccio tutti i defunti che hanno confidato in te. Fa’ che la certezza della tua fedeltà prevalga su ogni dubbio e accompagni ognuno nel tuo Regno.
Noi ti preghiamo

giovedì 4 novembre 2010

Scuola del vangelo 2010-2011 - III incontro 3 novembre 2010

Un codice del Libro della Sapienza

Scuola del vangelo 2010-2011 - III incontro 3 novembre 2010

Le scorse settimane, a partire dal un fatto concreto della ricorrenza della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma, ci siamo interrogati sul perché la nostra vita è stata preservata dal male in confronto a tanti ai quali invece essa è stata tolta in modo violento o tragico, come nel caso degli ebrei nell’ultimo conflitto mondiale.

E’ una domanda di fondo: cosa ne faccio della vita che è un dono e una opportunità offertami?
Ma, aggiungerei questa volta è una domanda non filosofica e astratta, ma è, direi, il risultato di un modo di porsi davanti alla realtà “sapienziale” o “spirituale”, che è poi il modo con cui la Scrittura ci mostra che Dio si pone davanti alle vicende del mondo e degli uomini. Cioè è il lasciarsi interrogare dalle cose che viviamo o che vediamo.

L’atteggiamento più comune infatti e quello di banalizzare la realtà attraverso uno schema di casualità (le cose succedono così come capita, senza senso): non vale la pena soffermarcisi più di tanto ma tutto si consuma nell’umore del momento, nello stato d’animo, nel gioco soddisfazione - insoddisfazione.

Altrettanto banalizzante però è, se volgiamo, l’atteggiamento meccanicista-strumentale diametralmente opposto, cioè come se tutto fosse determinato da Dio, il quale sarebbe una specie di orologiaio che crea meccanismi perfetti che scandiscono il tempo con precisione: ogni ingranaggio e ogni vitarella ha un senso perché se non ci fosse il meccanismo si incepperebbe. E’ l’idea che Dio causa gli eventi per ottenere la reazione desiderata, per mandare messaggi e per “educare” gli uomini.

Questi due atteggiamenti opposti davanti agli eventi della vita hanno un comune denominatore: quello che conta sono solo io e ciò che di utile o positivo posso trarre dalla vita per mio vantaggio. Dio, l’altro rimane sullo sfondo, come una comparsa o come un puro strumento.

Avere nei confronti della realtà un atteggiamento sapienziale spirituale significa invece leggerla con le lenti della sapienza di Dio che la Scrittura ci comunica. Imparare cioè a soffermarsi sui fatti e le persone non come fossero pure casualità passeggere destinate a svanire, né come messaggi inviati da Dio, ma l’occasione per leggere la verità profonda che soggiace dietro i fatti e le persone.

Per fare ciò è indispensabili mettere in relazione la realtà con la Scrittura. Per questo è indispensabile conoscerla, avere in mente le sue parole, i fatti e le situazioni della vita di Gesù. La Scrittura illumina quello che viviamo, ma anche molto spesso, la vita illumina e ci fa capire meglio la Scrittura. L’una infatti non ha senso senza l’altra. La Scrittura è infatti muta se non la facciamo parlare con la carne e il sangue dei fatti che dà voce a Dio che parla.

E’ l’atteggiamento descritto nel Salmo 1:

Beato l’uomo che … nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte.”

Non è l’invito a vivere come perennemente con la testa per aria, ma a leggere sempre, ogni momento la vita con la Scrittura nella mente.

Guardare al mondo con questa attitudine non viene spontaneo, ma si impara come ad una scuola: la Scuola del Vangelo, ed è ciò che vorremmo fare in questi nostri incontri.
Questo atteggiamento “sapienziale” è uno dei modi con cui noi riusciamo a mantenere aperta la domanda di fondo sul senso della vita che, come dicevamo la volta scorsa, caratterizza la vita del discepolo di Cristo, il cristiano, senza cadere in quell’addormentamento nelle abitudini che caratterizza la vita di tanti adulti.

Esistono però delle scorciatoie che ci danno l’impressione di vivere come discepoli, ma senza passare attraverso la fatica di leggere la Scrittura e di usarla come la lente per leggere la vita.

Una scorciatoia è l’ideologia. Cioè parlare a slogan, per frasi fatte e definizioni. E’ come credere che essere cristiani è dire: “Dio esiste”, e più lo grido forte e più sono convinto ed è vero. E’ come se noi volessimo far diventare vino una bottiglia d’acqua con l’incollargli sopra l’etichetta del chianti. E’ il parlare prima di ascoltare, il sapere prima di aver cercato di capire. Cosa c’è nella bottiglia lo capiamo solo se ne guardiamo il colore ne sentiamo l’odore ed eventualmente se ne assaggiamo un goccio. E’ fatica, pazienza e lavoro. Allora sapremo se è acqua o vino e di che qualità.

Una seconda scorciatoia è voler dimostrare di avere sempre già capito, di avere la risposta subito pronta per ogni situazione. La realtà non può essere tagliata con l’accetta, classificata come un erbario. E’ fatica mantenere una domanda aperta, essere in ricerca, domandarsi senza dover subito chiudere con la risposta che si avvicina di più al caso.

La terza è dare più importanza al fare che all’essere. Non cogliere la realtà come una provocazione ad essere più evangelici, ma caso mai a fare qualcosa di più, anche se poi sappiamo che non ce la faremo.

Tutti questi atteggiamenti, come già dicevo, sono tutti modi per chiudere la porta all’altro, perché fonte di domande, problemi, per restarsene ben chiusi nel rassicurante mondo dell’io.

Nei prossimi incontro vorrei provare a leggere con voi la nostra vita attraverso la lente del rapporto di Gesù con gli altri.

Infatti nei Vangeli Gesù è presentato quasi sempre insieme ad altri: le folle, i discepoli, i malati e i poveri, gli uomini che lo interpellano (farisei, giovane ricco, samaritana, …), ecc…
Non è un caso che Gesù è presentato come “Colui che sta con gli altri”. Gli unici momenti in cui Gesù si isola (il deserto, il Getsemani, vicino al lago di Tiberiade, sul monte Tabor) è per stare con il Padre. Eppure lo stare di Gesù con tanti non è mai casuale: non sempre è cercato da Gesù ma è comunque l’occasione per un incontro personale significativo, che va in profondità, che legge la verità di una situazione e di una storia.
Gesù è “l’uomo con gli altri” che corrisponde in modo pieno all’affermazione del Padre: “non è buono che l’uomo sia da solo”. In qualche modo realizza la pienezza di quella “bontà di vita” che Dio vuole per l’uomo.

Il salmo riprende questa realtà e afferma: “come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal 1331,1) con una esclamazione che contraddice il senso comune che vede nello stare assieme di più persone solo la fonte di grattacapi e polemiche. E il salmo continua dicendo che la vita insieme dei fratelli e delle sorelle è come un olio profumato che rende bello il volto di Aronne, cioè è la bellezza che si spande attorno a sé di un volto felice, e poi che è come la rugiada che scende sul monte e irriga l’aridità di quelle zone desertiche rendendole feconde e capaci di vita, come ci fa diventare “l’essere con l’altro”, fecondi di vita buona.

Cristiani cattolici e romeni ortodossi uniti nella preghiera

chiesa di Sant'Alò - Terni

Cristiani cattolici e romeni ortodossi uniti nella preghiera


Era l’inizio del Novembre 2007 e, in seguito ad un triste caso di cronaca accaduto a Roma, l’Italia era stata attraversata da una campagna stampa ostile al popolo romeno. Anche a Terni, purtroppo, tanti segni di inimicizia avevano colpito i cittadini romeni che, ovviamente, nulla avevano a che fare con i fatti di Roma. Discorsi, scritte sui muri, un clima di diffidenza e timore sembravano aver innalzato un muro fra le due comunità che avevano sempre convissuto in pace e fraternità.
La nostra comunità parrocchiale cattolica di Santa Croce si trova nello stesso quartiere della chiesa di Sant'Alò nella quale si riunisce a pregare la comunità ortodossa romena. Ci siamo sentiti interrogati da questo clima odioso, anche perché con molti romeni da tanto tempo avevamo solidi rapporti di amicizia: alcuni di loro erano ospiti della nostra casa di accoglienza per persone in difficoltà, altri erano stabilmente aiutati dalla parrocchia che distribuisce alimenti e vestiti a chi ne ha bisogno. E soprattutto con padre Vasile, parroco romeno ortodosso, e con tanti cristiani romeni, la domenica ci salutiamo sulla strada mentre ognuno si reca nella propria chiesa a celebrare la Divina Liturgia, a pochi passi di distanza gli uni dagli altri.
Ci siamo detti che non potevamo accettare che il male creasse una divisione così ingiusta e odiosa fra discepoli dell’unico Cristo e concittadini della stessa città, uniti nello sforzo comune di costruire un futuro migliore per sé e le proprie famiglie.
Abbiamo deciso allora di compiere un gesto che mostrasse alla città che nessun muro può dividere i fratelli dai fratelli e le sorelle dalle sorelle, ma che l’unico Corpo e Sangue di Cristo consacrato e venerato nelle nostre due Chiese sorelle ci riunisce nell’unico corpo mistico dei figli di Dio.
In accordo col P. Vasile abbiamo celebrato la Divina Liturgia ciascuno nella propria chiesa e poi la comunità parrocchiale cattolica di Santa Croce si è spostata in processione nella chiesa di Sant'Alò per concludere assieme ai fratelli ortodossi la celebrazione con la benedizione impartita assieme dai parroci delle due comunità.
Con parole semplici e, soprattutto, con la nostra presenza piena di amore abbiamo voluto così testimoniare che niente può dividere i discepoli di Cristo e nessuna campagna di odio e razzismo può scalfire la stima e l’affetto fra cittadini onesti della nostra città di Terni.
La piccola processione preceduta dalla croce e dai bambini del catechismo ha così costruito un ponte solido di amore e di preghiera che ha definitivamente abbattuto ogni muro di divisione e ha unito le comunità di Santa Croce e di S. Alò nell’unico popolo dei figli di Dio.

don Roberto Cherubini
Parroco di Santa Croce



Puntea inimilor

de Pr. don Roberto Cherubini,
Pr. Vasile Andreca

Era începutul lunii noiembrie 2007 şi, în urma unui trist eveniment ce a avut loc la Roma şi despre care presa a vorbit îndelung, Italia fusese străbătută de o campanie de presă ostilă poporului român. Din păcate şi la Terni cetăţenii români au fost martorii unor atitudini ostile, cetăţeni care nu aveau nimic de a face cu faptele întâmplate la Roma.
e aceeasi tema
Discursuri, scrieri pe pereţi, un climat de neîncredere şi de teamă păreau că au ridicat un zid între cele două comunităţi care trăiseră mereu în pace şi frăţie.
Comunitatea noastră catolică, Sfânta Cruce, se află în acelaşi cartier cu biserica Sfântul Alò, în care se întâlneşte la rugăciune comunitatea ortodoxă românească. Acea crimă odioasă ne-a pus pe gânduri mai ales datorită faptului că întreţineam, de multă vreme, relaţii solide de prietenie cu mulţi români: unii dintre aceştia fuseseră găzduiţi în casa noastră de oaspeţi pentru persoanele aflate în situaţii dificile, alţii erau ajutaţi în mod constant de parohie, care distribuie alimente şi îmbrăcăminte celor aflaţi în nevoi. Iar duminica ne salutam mereu cu părintele Vasile, parohul ortodox român şi cu mulţi creştini români, atunci când fiecare ne îndreptam spre propria biserică pentru săvârşirea Dumnezeieştii Liturghii, biserici aflate la câţiva paşi una de cealaltă.
Nu puteam fi de acord ca răul să creeze o ruptură atât de nedreaptă şi de detestabilă între ucenicii aceluiaşi Hristos şi locuitorii aceluiaşi oraş, uniţi în încercarea comună de a construi un viitor mai bun pentru sine şi propriile familii.
Atunci am hotărât să facem un gest care să arate întregului oraş că niciun zid nu poate să-i despartă pe fraţi de fraţi, căci Trupul şi Sângele lui Hristos, sfinţit şi cinstit în bisericile noastre surori ne uneşte în unicul trup mistic al fiilor lui Dumnezeu.
În acord cu părintele Vasile am săvârşit Dumnezeiasca Liturghie fiecare în propria biserică, iar apoi comunitatea catolică din parohia Sfânta Cruce a mers în procesiune către biserica Sfântul Alò, pentru a încheia împreună slujba cu fraţii ortodocşi prin binecuvântarea dată împreună de preoţii parohi ai celor două comunităţi.
În cuvinte simple dar mai ales prin prezenţa noastră plină de dragoste, am vrut să mărturisim că nimic nu poate să-i despartă pe ucenicii lui Hristos, precum şi că nicio campanie de ură şi rasism nu poate şterge stima şi afecţiunea pe care şi-o poartă cetăţenii cinstiţi ai oraşului nostru, Terni.
Mica procesiune precedată de Sfânta Cruce şi de copiii de la cateheză a fost o punte solidă de iubire şi rugăciune care a surpat orice zid de despărţire între comunităţile Sfânta Cruce şi Sfântul Alò, căci toţi suntem poporul lui Dumnezeu.


don Roberto Cherubini
Paroh al parohiei Sfânta Cruce
www.santacroceterni.blogspot.com

Spre sfârşitul lui 2007, după crima unui cetăţean român de etnie romă care a ucis o femeie italiancă la Roma („celebrul” caz Mailat), toată Italia părea să fie împotriva românilor.
Duminică, 12 noiembrie, Don Roberto, însoţit de un alt preot catolic şi de toţi credincioşii din parohia lor, îmbrăcaţi în veşminte, cu Sfânta Evanghelie şi prapori, la sfârşitul propriei Liturghii, au venit în biserica noastră - care se află la aproximativ 500 de metri de a lor - ca să ne încurajeze şi să ne susţină în situaţia dificilă şi ruşinoasă în care noi fuseserăm aduşi din cauza incidentului menţionat. Credincioşii italieni s-au îmbrăţişat cu ai noştri, iar Don Roberto a ţinut un cuvânt de încurajare pentru noi toţi, spunând ca au venit la noi ca să ne asigure că ei nu ne consideră pe toţi delicvenţi sau oameni de mâna a doua, cum o parte a presei italiene susţinea ci că, pentru ei, noi suntem fraţi întru Hristos, cei care avem grijă de copiii şi bătrânii lor şi că suntem o bogăţie pentru oraşul care ne-a primit.
Ca semn al acestei consideraţii ne-au oferit, cu acea ocazie, un medalion cu mai multe sfinte moaşte de Sfinţi Martiri: Sfântul Ştefan, Sfântul Lavrentie, Sfântul Longhin, Sfântul Marcel şi Sfântul Mansuet. Acum aceste sfinte moaşte se găsesc în biserică, sub un baldachin sculptat în stejar, alături de altele aduse din România: Sfântul Ierarh Nicolae, Sfântul Ierarh Vasile cel Mare, Sfântul Mihail Mărturisitorul, Sfântul Mucenic Mina, Sfinţii Mucenici din Sinai şi Rait şi Sfântul Ioan Iacob Hozevitul.


Pr. Vasile Andreca, Terni

martedì 2 novembre 2010

Commemorazione dei Defunti


Dal libro del profeta Isaia 25,6a.7-9
In quel giorno, su questo monte, il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli un banchetto di grasse vivande. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza».

Salmo 24 - Chi spera in te, Signore, non resta deluso.
Ricordati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricordati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

Allarga il mio cuore angosciato,
liberami dagli affanni.
Vedi la mia povertà e la mia fatica
e perdona tutti i miei peccati.

Proteggimi, portami in salvo; +
che io non resti deluso,
perché in te mi sono rifugiato.
Mi proteggano integrità e rettitudine,
perché in te ho sperato.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8,14-23
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Venite benedetti del Padre mio,
ereditate il regno preparato per voi
Alleluia, alleluia, alleluia.
Dal vangelo secondo Matteo 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Commento
Cari fratelli e care sorelle, oggi commemoriamo, cioè facciamo memoria insieme, tutti i defunti che hanno lasciato questa vita e questo mondo per raggiungere la vita che non finisce con Dio. E’ questa infatti la nostra convinzione, la certezza che ci consente di guardare la realtà della morte in faccia, con fiducia e speranza, senza fuggire spaventati. Davanti ad essa infatti gli uomini si sono interrogati, fin dall’inizio della storia dell’umanità, come davanti alla grande soglia attraverso la quale ciascuno di noi passerà. Diversi, lo sappiamo, sono stati gli esiti di questa riflessione: c’è chi ha pensato che dopo la morte ci fosse il nulla, poiché l’unica realtà è quella fisica e tangibile della materia; c’è chi ha pensato a cammini tortuosi, come la reincarnazione in sempre nuove esistenze; chi cerca spiegazioni razionali, fa previsioni, calcoli sui modi e i tempi. Tante spiegazioni che in qualche modo mi sembra abbiano come unico denominatore comune il desiderio di poter dire: so cosa mi aspetta. Davanti al timore dell’ignoto si cerca la certezza del conosciuto.
In realtà, fratelli e sorelle, tutte queste risposte si fondano solo sul desiderio di credervi: non v’è certezza né prova alcuna sulla veridicità di ciascuna teoria.
Questo vale anche per noi cristiani: la Scrittura fonda la certezza di una vita che continua dopo la morte fisica, e la resurrezione del Signore ne è come la garanzia, ma non spiega come, né cosa concretamente ci attende. Nemmeno Gesù spiega, non fornisce dettagli, non dà indicazioni.
Ma forse è proprio questo il senso cristiano della morte: alla fine di un cammino più o meno lungo sulla terra ci è chiesto un ultimo definitivo atto di fiducia, in Dio e nel suo amore per noi. Che fiducia sarebbe se già sapessimo il dove, il come e il perché? E in fondo tutti gli sforzi per comprendere, vani ma intensi, non sono anche lo sforzo di non dovere avere fiducia in qualcun’altro, Dio, ma accontentarsi di fidare solo nella propria capacità di comprensione razionale?
Il Card. Martini in un recente incontro a cui ho partecipato così descriveva il mistero della morte che lui, malato in modo serio, attende come imminente. La paragonava ad una di quelle cascate di montagna, dove l’acqua dall’alto di una roccia si getta giù. L’acqua, diceva Martini, non si trattiene e non ristagna in cima alla montana. Se così facesse imputridirebbe in una pozzanghera fangosa, ma si getta giù, senza sapere dove cadrà, ma con un atto di fiducia che gli permette di continuare a scorrere limpida e viva. Così è dell’uomo: di fronte alla morte ci è chiesto un atto di affidamento all’amore di Dio che ci fa continuare a correre verso la meta definitiva e non permette alla vita di imputridire nel trattenersi, spaventato e avaro, nella conservazione di sé e nella fiducia solo in se stesso.
Mi sembra un’immagine molto bella, anche perché ci da’ una prospettiva non misera e limitata, ma alta e dall’orizzonte vasto.
E poi, come ci invita a considerare la Scrittura, in vita abbiamo numerose opportunità per maturare questa fiducia che risulta preziosa risorsa di speranza di fronte alla morte nostra e dei nostri cari.
Infatti ci ricorda il profeta Isaia: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza.» Sì la nostra vita è stata salvata dal Signore, benedetta dalla sua misericordia, protetta dal suo amore, rinnovata dal suo perdono: la speranza non è solo uno sforzo di buona volontà.
L’Apostolo Paolo poi afferma: “avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».” Con Gesù la nostra vita non solo è stata benedetta ma fatta propria da Dio stesso che in questo modo ci ha resi suoi figli, eredi della sua vita che non finisce, fratelli e coeredi di Gesù stesso.
Infine il Signore parlando del tempo dopo la morte, il giudizio, ci dà la certezza che quello che facciamo non è vano, non va perduto, ma il bene voluto, l’amore vissuto concretamente imprime al nostro essere un carattere indelebile, quello di “benedetti del Padre mio”, assieme all’invito: “ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”.
Questi e mille altri motivi ci permetono di guardare con fiducia e speranza al passo definitivo della morte, quel passo che tanti nostri cari hanno compiuto, con trepidazione e dolore per il distacco, certamente, ma, ci auguriamo, anche con quella serena fiducia che ha chi ha sperimentato in vita l’amore di Dio.
Oggi la nostra preghiera per loro e assieme a loro ha anche il significato di riaffermare che la loro esistenza continua ad essere legata alla nostra, non solo nel vincolo del ricordo affettuoso, ma anche nello sforzo comune di sconfiggere il male e affrettare la vittoria del bene, in tutte le sue forme terrene e ultraterrene, nella lotta cosmica che ci vede alleati del Signore Gesù per la realizzazione definitiva del suo Regno.
Ricordando i nostri defunti nella compagnia di Dio noi oggi sicuramente consoliamo il nostro dolore e ci confermiamo nella fiducia nella forza del suo amore che non finisce con la vita, ma rinsaldiamo i legami con il popolo largo di cui parla Isaia “In quel giorno, su questo monte, il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli un banchetto di grasse vivande. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre.”
In attesa della realizzazione definitiva di questa profezia accettiamo il limite doloroso della morte come motivo in più di vivere con abbandono e senza riserve il nostro affidarci fiducioso a Dio che ci ama.

Preghiere

O Padre nostro misericordioso accogli nel tuo Regno tutti i tuoi figli che si sono affidati a te nel momento del distacco doloroso della morte. Perdona ogni loro colpa e cancella la macchia della loro debolezza umana.
Noi ti preghiamo

Riempi di fiducia in te o Signore Gesù i nostri cuori, perché sappiamo affidarci alla tua misericordia e pieni di speranza attendere l’avvento del tuo regno di pace.
Noi ti preghiamo
O Dio ti affidiamo tutti coloro che sono morti in questi anni per la mano violenta dell’uomo. Accogli le vittime delle guerre e del terrorismo, in modo particolare i cristiani dell’Iraq che domenica hanno perso la vita durante la celebrazione della liturgia.
Noi ti preghiamo
O Signore, ai tuoi occhi è preziosa la vita dei deboli e dei dimenticati: ti preghiamo per tutti i defunti che oggi nessuno ricorda: quelli che sono morti da soli, per strada, nell’abbandono. Accoglili come un Padre affettuoso che abbraccia i suoi figli.
Noi ti preghiamo

Dona a Signore la consolazione della fede a chi ha perso qualcuno. Fa’ che il buio del loro dolore sia rischiarato dalla certezza che nessuna vita è dimenticata e ciascuno è conosciuto e amato come un figlio.
Noi ti preghiamo
Aiuta o Signore i nostri sforzi perché vinca il bene e il male sia sconfitto. Fa’ che il Regno di pace e di giustizia si affermi presto fra gli uomini e ogni lacrima sia asciugata e ogni lamento consolato.
Noi ti preghiamo.