giovedì 23 dicembre 2010

Giorno del Natale del Signore



Dal libro del profeta Isaia 52,7-10
Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Salmo 97 - Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Dalla lettera agli Ebrei 1,1-6
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Alleluia, alleluia, alleluia.
Un giorno santo è spuntato per noi:
venite tutti ad adorare il Signore;
oggi una splendida luce è discesa sulla terra.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 1,1-18
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.


Commento


Cari fratelli e care sorelle, questa notte il buio del mondo è stato squarciato da un fascio di luce che ha radunato i pastori che vegliavano le loro greggi. Nel cielo senza stelle gli angeli hanno indicato da dove veniva quella luce che indicava una prospettiva e una speranza a quegli uomini oppressi dall’oscurità. I pastori, ci dice il Vangelo, alla vista di quel chiarore e dell’angelo furono presi da timore, perché al buio si fa facilmente l’abitudine e si finisce per amarlo. Anche noi troppo spesso ci siamo abituati ad un modo di vivere al buio, dove il volto dell’altro è irriconoscibili e rende ciascuno un’ombra da cui difendersi e diffidare. È la condizione normale del mondo di oggi, dove ciascuno è lontano dal fratello e dalla sorella, diviso da montagne di ostilità e vallate di paure.


D’altronde anche nel buio ciascuno di noi trova il modo per farsi un po’ di luce: qualche soddisfazione passeggera, l’esaltazione di un momento di successo, la prospettiva di un po’ di benessere. Ma, ci dice Giovanni, quella notte “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.” Sì, abbiamo bisogno non di un lampo passeggero che illumina e poi svanisce, ma della luce vera, che non passa e non si spegne. E’ il Signore Gesù che nasce, e la sua Parola resta fra di noi e nasce ogni volta che viene proclamata e annunciata e porta la luce e il calore che dissipa il buio e scalda i cuori in modo duraturo.


Ma, come dicevo, spesso noi siamo abituati al buio e ci sembra di starci più comodi. Ci siamo adattati ad esso e una luce troppo forte abbaglia gli occhi miopi di gente che vuol vedere solo vicino. E’ il rifiuto della novità, di guardare con luce nuova il volto di chi ci sta accanto, di gettare lo sguardo sull’orizzonte largo di un mondo che preferiamo ignorare.


Nel buio, si sa, i confini delle cose sono meno definiti, i contrasti si attutiscono e ciascuno può costruirsi la realtà, poco visibile, un po’ come gli fa più comodo.


I rapporti, le domande, le decisioni sono un po’ tutte modellate sulle nostre esigenze, tanto nessuno può avere da ridire. Il Vangelo invece getta un fascio di luce e rende i contorni della realtà nitidi: le persone sono persone e non sagome indefinite, i loro bisogni emergono nella loro concretezza e non sono solo generici stati d’animo, le nostre azioni risaltano nella loro cruda realtà, senza ombre a nasconderne i tratti meno nobili. Per questo la luce non ci piace. Il vangelo infatti nella sua concretezza e verità mette a nudo la nostra umanità con i suoi aspetti meno piacevoli, le durezze e i compromessi.


Il Vangelo allora ci pone davanti alla necessità di scegliere: o accettarlo e farci mettere in discussione da lui, o rifiutarlo e restare nel buio di una vita giocata tutta fra sé e sé. Giovanni infatti dice: “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.” Non è scontato accettare che a Natale anche per me nasce una domanda, una parola nuova che mi chiede di guadare con occhi nuovi al mondo e di lavorare perché sia migliore. Abbiamo mille modi per giustificare il nostro rifiuto: a Natale si è molto occupati da tanti impegni, si è occupati dai regali e concentrati sulle tradizioni da rispettare, e guai a spostare l’attenzione su qualcosa di nuovo che chiede di nascere anche in te.


E finito il Natale, come una ubriacatura passeggera, torniamo a brancolare nel buio della vita ordinaria, a procedere a tastoni, a urtarci e farci male l’un l’altro, a non riconoscere il volto del vicino, anzi ad averne paura.


Ma oggi, Natale del Signore, sì, la luce ci rischiara lo sguardo e chiediamoci davanti al chiarore della nascita di Gesù: vale la pena vivere così, con la stanca ripetitività di riti vuoti di conservazione del buio? O non vale la pena, piuttosto, una buona volta, di farsi inondare dalla luce del Vangelo e accettare di guardare sé e il mondo illuminati da Parole che non solo ce li mostrano come veramente sono, ma ci fanno intravedere dietro di essi come potrebbero essere, migliori, più umani? E’ la prospettiva di accogliere quel bambino e divenirne figli: “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.” Sì paradossalmente possiamo divenire figli di quel bimbo, della sua ingenuità fanciullesca che è fiducia in un futuro da costruire con gli altri, migliore e più umano. Figli di una vulnerabilità bambina che si fa toccare dal dolore dei poveri e dal grido dei disperati e si fa loro compagna. Scopriremo che è bello vivere nella luce del Vangelo perché essa scalda e illumina i cuori, fa riconoscere nel volto dell’altro il fratello e la sorella, dona il coraggio e la fiducia per non rassegnarci al buio dell’oggi. Cogliamo l’occasione del Natale, non trascuriamolo, divenendo figli ci scopriremo più forti e più felici.


Preghiere



O Signore Gesù che sei nato nel buio della notte per portare la luce del tuo amore all’umanità, illumina anche noi, perché sappiamo seguire il tuo esempio e mettere in pratica il Vangelo.
Noi ti preghiamo



Scalda il nostro cuore o Dio perché sappiamo accogliere il tuo figlio unigenito e accettiamo di farci figli di un bambino, divenendo ingenui nell’amore e vulnerabili nella compassione per chi è povero.
Noi ti preghiamo


O Signore Gesù ti preghiamo per questo nostro mondo immerso nelle tenebre della violenza e dell’odio e oscurato da dense nubi di indifferenza e ostilità. Fa’ che la tua venuta dissipi il buio e faccia risplendere in ogni luogo la luce del Vangelo di pace e di amore.
Noi ti preghiamo


Non guardare o Dio alla nostra tiepidezza e al poco amore, ma vieni e visita la nostra vita perché diveniamo tuoi figli e discepoli del Vangelo.
Noi ti preghiamo


Proteggi con amore o Signore Gesù tutti quelli che come te soffrono per il freddo della notte: guarda con amore a chi non ha casa e famiglia, a chi è solo e senza speranza, a chi è nel dolore per la malattia e la miseria.
Noi ti preghiamo


Libera o Padre onnipotente chi è prigioniero della violenza e schiavo dell’odio, perché la mano non si alzi più contro il fratello e la sorella, ma impari ad aprirsi in gesti di generosità.
Noi ti preghiamo.

Liturgia della notte di Natale

Dal libro del profeta Isaia 9,1-6
Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Màdian. Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre. Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

Salmo 95 - Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore un canto nuovo, +
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza. +
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta.

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli.

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito 2,11-14
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Vi annunzio una grande gioia:
oggi vi è nato un Salvatore: Cristo Signore.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 2,1-14
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Commento

Cari fratelli e care sorelle, siamo venuti nel cuore di questa notte uscendo dal caldo delle nostre case per radunarci in questa che è un po’ la nostra seconda casa. Sì, sentiamo questo luogo familiare e non solo perché qui molti di noi vengono da molto tempo, addirittura alcuni fin dalla loro infanzia, ma soprattutto perché è un luogo in cui siamo accolti, ricordati, amati da qualcuno il cui amore fedele ci accompagna da sempre.
Ma allo stesso tempo è un luogo diverso da tutti perché solo qui possiamo ascoltare una parola che non è figlia di questo mondo e ci invita ad alzare lo sguardo da noi stessi verso una visione che ci spiazza e, come tutte le novità, ci turba.
E’ quello che accadde ai pastori che vegliavano all’aperto, come al solito, vicino alle loro greggi. Anche loro, come noi in questa notte, erano avvolti dal buio, quell’oscurità che era il loro normale ambiente di lavoro. Anche noi spesso ci accorgiamo che c’è un buio che avvolge noi e il mondo intero. Buio che disorienta, buio che non fa vedere né capire cosa ci circonda, ma a cui siamo abituati, come i pastori. Per questo ad essi la luce che gli angeli fecero esplodere dal cielo fece una grande paura. Sì, paradossalmente, non è il buio della notte a spaventarli, ma la luce che si accende con l’annuncio dell’angelo.
In fondo lo stesso avviene anche a noi: siamo così abituati al buio del mondo e all’oscurità del suo modo di vivere, all’assenza di luce che in esso ci sentiamo a nostro agio. Abbiamo preso le nostre misure, ci siamo accomodati in un angolo tranquillo, abbiamo imparato a non vedere oltre il nostro piccolo ristretto orizzonte.
Ma in questa notte il Vangelo, come l’angelo ai pastori, ci annuncia che una luce è venuta a rischiarare il buio. Sì il Signore si fa presente nella nostra vita, scende nel mondo scuro e disorientato. Viene a portare una luce che illumini il nostro volto, troppo spesso rabbuiato da un senso pessimista e triste; ci illumina il volto del fratello, che siamo così disabituati a guardare con amore e interesse; porta una fiammata di calore della solidarietà per scaldare il gelo della notte, una scintilla che infiammi i cuori e si propaghi, una visione luminosa per un futuro che ridia speranza.
Ma a noi troppa luce disturba, l’abitudine al buio ce lo fa amare, e la luce del Vangelo ci suscita timore e diffidenza.
Ma l’angelo anche questa notte ci ripete: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.”
Non temere a mostrare il tuo volto illuminato da una umanità aperta. Non aver paura a guardare il fratello e la sorella come un amico e una sorella. Non temere a sollevare lo sguardo da te stesso per contemplare l’orizzonte grande su cui si disegna l’amore di Dio. La luce, come la stella ai magi, ci indica una strada che porta ad un bambino. Sì, seguendo l’annuncio dell’angelo nella notte vediamo come la luce viene da un bambino. Ma che può fare di importante per noi qualcuno che non è nemmeno in grado di bastare a se stesso, come un lattante?
Noi confidiamo nella forza e nel potere, crediamo che le soluzioni possano arrivare dalla nostra sapienza maturata dall’esperienza, siamo sicuri che chi è aggressivo e arrogante si fa strada: che affidamento possiamo fare in un bambino per uscire dal buio?
E’ il mistero del Natale: Dio per manifestarsi agli uomini ha scelto la veste fragile e indifesa del bambino, ma anche dopo, una volta cresciuto, si è sempre mostrato col volto umile, mite del piccolo e del servo, mai arrogante e violento, ingenuamente pronto a fidarsi del fratello e ad aiutare chi ha bisogno. Quel bambino, dice l’evangelista Luca riprendendo la profezia di Isaia, è un “segno” per noi, cioè qualcosa di concreto e rilevante. Sì il Signore vuole nascere non come un sentimento labile e passeggero, che oggi ci commuove, ma poi svanisce; né come una convinzione, un ideale o un valore, qualcosa di astratto che si impara con l’intelligenza; piuttosto vuole essere un segno concreto e tangibile, un seme che si pianta nel nostro cuore e cresce, come un albero, porta frutti e allarga i rami per accogliere tutti quelli che non hanno dove riposare.
In questa casa noi vogliamo che la nascita del Signore lasci un segno concreto, ci doni un’immagine reale della visione di pace e di bene di cui gli angeli parlarono quella notte. È la cena che raccoglie quanti sono soli e hanno bisogno di una casa e una famiglia per i quali vogliamo noi essere casa e famiglia. Il 4 ci raccoglieremo qui in questa chiesa e ance negli altri ambienti della parrocchia per festeggiare la nascita del Signore che porta luce e calore dove c’è ancora troppo buio e freddo.
Vogliamo allora cogliere questo evento come un segno che porti luce nel mondo, perché dove si fa strada la preoccupazione per gli altri e l’accoglienza a chi ha bisogno il Signore è presente e il buio e il freddo sconfitto.
Preghiere
O Signore Gesù che nasci povero e piccolo non sdegnarti di nascere anche nell’umile mangiatoia della nostra vita, ma vieni e illuminaci con l’ingenuità del tuo amore senza fine.
Noi ti preghiamo

O bambino Gesù illumina e scalda la nostra vita perché troppo buio è questo mondo e oscuro il futuro. Dona a tutti il coraggio di farsi amare da te e di seguirti sulla via di una vita buona e piena di mitezza.
Noi ti preghiamo
Ti ringraziamo o Padre del cielo, perché hai mandato il tuo Figlio unigenito per ricondurre a te tutta l’umanità. Fa’ che inteneriamo il nostro cuore davanti alla debolezza di bambino con cui in questa notte ti presenti a noi.
Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Dio per tutti coloro che sono soli e nel bisogno e che ci prepariamo ad accogliere in questa casa per festeggiare la tua nascita. Fa’ che con generosità e calore sappiamo essere per loro amici e fratelli nel tuo nome.
Noi ti preghiamo

Benedici o Padre misericordioso tutti i tuoi figli che nel mondo si radunano in questa santa notte attorno alla tua mensa e ascolano l’annuncio del Natale. Fa’ che in ogni luogo il Vangelo della natività porti pace e salvezza, specialmente dove c’è odio e violenza.
Noi ti preghiamo

Dalla culla o Signore, guida e proteggi la famiglia che hai radunato nel mondo intero. Suscita annunciatori del Vangelo che, come gli angeli nella notte, facciano coraggio e indichino dove incontrarti a tutti quelli che ancora non ti conoscono.
Noi ti preghiamo.

Incontro IX (III di Avvento) - 22 dicembre 2010




La liturgia di domenica scorsa insisteva sul fatto che Dio vuole darci un segno, quasi contro la nostra stessa volontà (vedi esempio di Acaz).

Is 7, 10-14
In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

Lc 2, 8-13
C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l'angelo disse loro: "Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia".

Cosa vuol dire un segno ? Perché Dio ci tiene così tanto ?
Perché la sua presenza non può essere evanescente: un sentimento, un pensiero, una sensazione passeggera e fugace, un ideale o dei valori.

Dio si incarna a Natale, è un segno reale e concreto, un bambino, e poi un uomo concreto. Ma per noi ?

Rischio di vivere il Natale senza un segno.
Nella nostra cultura si è restii ad accettare che la realtà esterna lasci un segno su di me, o sia un segno che mi dica qualcosa di significativo. Altrettanto è fuori dalla realtà pensare che ci possa essere un segno comune a tanti.
Il cristianesimo però è esattamente questo: una fede che crede in dei segni comuni, non ideali o valori.

Diceva un mistico del XVI secolo: “Nascesse Cristo mille volte in Betlemme, se non nasce in te sei perduto in eterno.” (Angelo Silesius) mi sembra che vuole esprimere proprio quello che dicevamo: se non nasce qualcosa di concreto (un segno) nella mia vita la nascita di Cristo per me è inutile, come se non fosse mai avvenuta.

Il segno con la sua concretezza però fa paura. Lo abbiamo visto in questo tempo di avvento: ha paura Maria, Giuseppe, Zaccaria e poi anche i pastori.

Ma quale può essere per noi questo segno?

Partendo da quello che ci siamo detti in questi nostri incontri, cioè che l’uomo di oggi si caratterizza per essere un individuo chiuso agli altri, io credo che il segno comune che possiamo adottare in questo Natale è far entrare concretamente i poveri nella nostra vita attraverso il lavoro di preparazione e di accoglienza alla cena del 4 gennaio.

E’ un modo concreto per far nascere una preoccupazione nuova, o rafforzarla in noi. Anche perché quest’anno aspettiamo 250 persone!

Maria dopo il timore iniziale fu presa da stupore e infine con gioia accettò che quel segno promesso nascesse in lei.

Proviamo anche noi a percorrere lo stesso itinerario: dalla paura iniziale, lo stupore per qualcosa di eccezionale, di nuovo e inconsueto che non abbiamo mai fatto, e infine la gioia di accogliere questo segno che ci apre ad una prospettiva nuova, un bambino che nasce.
Passiamo ora all'organizzazione della cena ...

domenica 19 dicembre 2010

IV domenica del tempo di Avvento – 19 dicembre2010




Dal libro del profeta Isaia 7, 10-14
In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

Salmo 23 - Viene il Signore, re della gloria.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 1, 1-7
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

Alleluia, alleluia alleluia.
La vergine darà alla luce un figlio:
sarà chiamato: «Dio con noi ».
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 1, 18-24
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Commento


Cari fratelli e care sorelle, siamo alle porte del Natale. In queste settimane ci siamo preparati a questo evento cercando di scrutare nella nostra vita i segni di una certa resistenza a desiderare che nasca qualcosa di nuovo e a cogliere nel tempo che viviamo, attorno a noi e anche dentro di noi i tanti motivi per cui invece bisogna, con ansia e con fretta, attendere la realizzazione delle visioni che alcuni uomini spirituali e dal cuore largo coltivano per il bene del mondo.
E’ quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura. Acaz era re d’Israele e gli eserciti nemici minacciavano Gerusalemme. Dice Isaia: “Allora il suo cuore e il cuore del suo popolo si agitarono, come si agitano gli alberi della foresta per il vento.” Sì, Il timore agita i cuori perché cresce attorno a noi un clima di ostilità e aggressività diffusa: la violenza esplode in modo incontrollato, e la settimana scorsa i fatti di Roma ce ne hanno dato un esempio purtroppo eloquente, ma anche i rapporti umani sembrano sempre più sfilacciarsi in un clima di sorda ostilità e antipatia: il Nord contro il Sud, gli italiani contro gli immigrati, chi è precario contro chi si è sistemato, e così via. Basta a volte veramente poco, futili motivi, ad accendere la miccia che scatena correnti di odio. Viviamo in un mondo agitato, come foglie per il vento.
Di fronte a questa situazione il profeta Isaia invita Acaz a chiedere a Dio un segno che indichi la strada per uscire da questa situazione di paura: il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, …». Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò». Il timore infatti consiglia di fidarci solo di noi stessi, di far conto sulle proprie forze, di chiuderci a riccio per difendersi meglio. “Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».”
Nonostante la sfiducia Dio manda un segno che è un segno di contraddizione, cioè esattamente il contrario di quello che ci aspetteremmo. Cosa può fare un bambino davanti all’esercito nemico? A cosa serve la debolezza per vincere le correnti di odio, l’ingenuità e la fragilità per fronteggiare l’arroganza violenta?
Anche Giuseppe visse la stessa situazione. Trovandosi in un momento difficile, dopo la gravidanza anomala di Maria, cercava fra se e se la soluzione a questo suo dramma familiare. Quella con meno conseguenze, la più semplice per passare inosservati e non dovere subire le critiche o, peggio, la condanna sociale. Ma in fondo la scelta di Giuseppe, pur onesta e pacata, senza scandali e clamore, era quella, di nuovo, come per Acaz, di lasciar fuori Dio, di escluderlo dall’orizzonte della propria vita. E non è questa la tentazione che viviamo costantemente anche noi? Davanti alle difficoltà, ai pericoli, o semplicemente alle scelte importanti della vita, l’atteggiamento più normale e che ci viene istintivo, anche agendo onestamente, non è forse quello di mettere da parte Dio e cercare di prendere le nostre decisioni escludendo lui e i segni che può indicarci circa la via giusta da intraprendere?
Chiediamoci onestamente: quante volte ci è capitato di decidere qualcosa di importante fidando di ciò che Dio ci suggerisce?
Ma l’angelo torna e parla. È la Parola di Dio che viene anche da noi e ci suggerisce di non “non temere”, lo stesso incoraggiamento che aveva rivolto a Maria l’angelo Gabriele al momento dell’annuncio della sua gravidanza straordinaria: “Non temere” ed è lo stesso invito che gli angeli rivolgono ai pastori stupiti del coro notturno di angeli che li invitava ad andare verso la grotta di Betlemme: “Non abbiate timore!” Sì, il coraggio non ci viene se ci induriamo e ci facciamo forti contro le durezze della vita. L’agitazione del timore non lo vinciamo mettendoci al riparo dietro le corazze resistenti. La paura è dentro di noi, non la vinciamo difendendoci dall’esterno. Il coraggio viene dall’ascolto dell’angelo che ci dice: “Non temere!” non aver paura degli altri, come fossero pericolosi. Non aver paura dei poveri, degli immigrati, dei poveracci, come fossero una minaccia. Non aver paura di scoprirti con sentimenti di tenerezza, misericordia, pietà, come fosse una debolezza rischiosa. Il segno che l’angelo invita Giuseppe ad accogliere è infatti qualcosa di piccolo e delicato: “Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. E’ lo stesso segno inviato ad Acaz, impaurito dagli eserciti nemici, è lo stesso segno mandato a noi, spaventati e agitati da mille preoccupazioni. Facciamo spazio in noi al bambino che lo Spirito santo suscita. E’ il bambino della tenerezza per chi sta male, è il bambino che ha fiducia nel Padre buono che ci guida, è il bambino che è felice di stare con gli altri e non è diffidente e scontroso. Sì, lo Spirito vuole scendere su di noi e in questa ultima domenica di Avvento ci invita ad attendere il Natale tornando bambini, a rinascere dall’alto, come Gesù esorta Nicodemo a fare, a non far vincere un senso da adulto che la sa lunga e per questo è pessimista e disilluso e che crede impossibile ogni cambiamento e bolla le grandi visioni di pace e giustizia sul mondo come delle pericolose utopie da sfatare. Se faremo così incontreremo accanto a noi l’Emanuele, cioè che Dio sta con noi, è dalla nostra parte, ci guida e ci protegge. E questa è l’unica forza che ci mette al riparo da ogni paura e ci comunica il coraggio della fiducia in un futuro pieno di bene.




Preghiere


O Signore che vieni a visitare la nostra vita, ti preghiamo oggi di sconfiggere ogni nostra paura e di vincere la chiusura dei cuori. Fa’ che come bambini sappiamo stupirci di quanto amore ci dimostri nascendo in mezzo a noi.
Noi ti preghiamo

O Dio Padre onnipotente, guarda con amore al nostro mondo, ancora così diviso dagli odi e segnato dalla violenza. Fa’ che la nascita del tuo Figlio unigenito porti in ogni luogo pace fra gli uomini e gloria al tuo nome.
Noi ti preghiamo

Come Giuseppe o Signore, anche noi siamo presi tante volte dal dubbio e dal timore che ci fa’ allontanare da te. Ti preghiamo, manda l’angelo della tua Parola a suggerirci la via giusta per prenderti con noi e restare sempre con te.
Noi ti preghiamo

Proteggi o Dio del cielo, tutte le vite che nascono deboli e indifese, liberale da ogni minaccia e fa’ che crescano con qualcuno accanto che si prende cura di loro con amore.
Noi ti preghiamo

Guarda con amore o Dio questa famiglia riunita nel tuo nome, perché sappiamo sempre accogliere con gioia l’invito a radunarci attorno alla tua mensa ad ascoltarti e nutrirci del tuo corpo e sangue.
Noi ti preghiamo

Benedici e libera da ogni male i nostri fratelli che oggi fanno memoria davanti a te del loro 60° anniversario di matrimonio. Per i loro cari e tutti noi che ci stringiamo attorno accogli la preghiera di ogni bene e dona pace e serenità.
Noi ti preghiamo


Consola o Dio tutti coloro che sono nel dolore e in modo particolare proteggi la vita di chi non ha casa e soffre in questi giorni per la durezza del clima. Fa’ che trovino il calore della vicinanza dei fratelli e delle sorelle.
Noi ti preghiamo

Guida e proteggi o Signore i tuoi figli ovunque dispersi, specialmente coloro che vivono nella persecuzione e nella violenza. Fa’ che la forza del Vangelo prevalga su ogni male e susciti nei cuori sentimenti di benevolenza e pace.
Noi ti preghiamo

mercoledì 15 dicembre 2010

Incontro VIII (II di Avvento) – 14 dicembre 2010




Incontro VIII (II di Avvento) – 14 dicembre 2010
I poveri fratelli del Signore e nostri familiari


La volta scorsa abbiamo cominciato a parlare del rapporto di Gesù con i poveri. Dicevamo come il primo elemento caratteristico è che per Gesù essi sono fratelli, così come i suoi discepoli più vicini, gli apostoli.

Oggi vorrei provare con voi a trarre delle conseguenze da questa considerazione.

La condizione normale dell’uomo oggi, lo dicevamo diverse volte nei nostri incontri, è quella dell’individuo isolato. Abbiamo già parlato della difficoltà a riconoscere negli altri qualcuno di importante e significativo per me, un valore per la mia vita di cui non posso fare a meno e con cui desidero condividere esperienze, tempo, ecc... L’insistenza di Gesù su questo tema dei fratelli è pertanto significativa, perché ci fa capire come egli sia venuto per radunare una famiglia attorno a sé, non basata sui vincoli di sangue, ma saldata dall’amore per lui e fra di essi. I poveri, dicevamo, sono i primi membri di questa famiglia perché attorno ad essi si concentra la cura di Gesù che guarisce, consola, pedona, libera, ecc… tutte le azioni che le profezie antiche nella Scrittura avevano indicato come caratterizzanti la figura del Messia.

Vorrei partire allora proprio da questa domanda: cosa significa dire di qualcuno che è mio fratello?

Innanzi tutto è un rapporto stabile e non occasionale, richiede un lavoro di memoria (dei nostri fratelli ricordiamo il nome, il compleanno, gli eventi salienti della vita, e la consuetudine fa sviluppare col tempo un patrimonio di memorie in comune da preservare e rievocare), suscita interesse e preoccupazione (se non lo incontriamo per un po’ di tempo ci chiediamo che fine ha fatto, come sta), sentiamo la nostra responsabilità nei suoi confronti per le cose che lo riguardano, i problemi, i bisogni, ecc… Ma poi, e questo non è affatto scontato, la crescita di questo rapporto di tipo parentale ci spinge a esigere la reciprocità di un tale rapporto, perché anche noi abbiamo bisogno di essere ricordati, amati stabilmente, suscitare interesse, ecc… Per dirla in modo sintetico non è una relazione istituzionale, basata su criteri di correttezza, ma un rapporto personale, quindi con una forte rilevanza esistenziale, di amore. In base a questo, di quale povero posso dire che è mio fratello?

Il rapporto abituale con i poveri è (nel migliore dei casi): di sopportazione (perché sono molesti), di clientela (sono utenti dei nostri servizi), un rapporto occasionale e superficiale con un portatore di bisogni, ecc…

Un esempio rivelatore di che tipo è il nostro rapporto: quando facciamo qualcosa per un povero (elemosina, un favore, diamo ascolto, ecc…), lo facciamo perché così se ne va e non ci disturba più, o per legarcelo ancora più stretto, così non ci lascia e torna?

C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti".
(Lc 16, 19-31)
Nella parabola del povero e del ricco vediamo innanzitutto come solo del primo è ricordato il nome, Lazzaro, a differenza del ricco, e questo lo caratterizza subito come qualcuno particolarmente intimo, uno di famiglia per Gesù che racconta la storia. Il ricco invece è anonimo: non è un fratello per Gesù, è un estraneo. Vediamo come il rapporto fra loro due si caratterizza per il persistere di unna distanza incolmabile che li separa: durante la vita per la porta chiusa. Ma anche dopo la morte i due sono separati da un abisso (lo dice Abramo al ricco: “tra noi e voi è stato fissato un grande abisso”) che si vede bene anche nel fatto che il ricco continua a trattare Lazzaro come un suo sottoposto, qualcuno da cui ottenere servizi. Non traspare dispiacere o pentimento nel ricco: per lui Lazzaro continua a non contare niente e non rivolge a lui nemmeno la parola, ma chiede ad Abramo di mandarlo a fare ciò che lui chiede. Lazzaro non è sconosciuto al ricco, che lo riconosce dopo morto: quante volte lo avrà visto quando entrava e usciva di casa! Però non lo ha fatto mai entrare, non è uno di casa sua.

Questa è la differenza fra l’estraneità e l’essere di famiglia: far entrare nella tua vita uno che non ha niente a che vedere con te per storia, cultura, età, condizione, ecc… come fosse un parente, e cioè con la dignità di uno che ci sta non per caso o per sbaglio, come un ospite occasionale o di passaggio, ma per diritto, perché è uno di casa.
E’ uno di quei casi in cui il peccato del ricco non si esprime per qualcosa di male che ha fatto (potrebbe giustificarsi, come facciamo spesso anche noi: “ma che male ho fatto, che male c’è a fare così?”), ma nel bene che non ha voluto. La parabola del povero e del ricco ci dice come per Dio non mettere a frutto le occasioni che ci si presentano di fare il bene che è alla nostra portata (nel nostro caso Lazzaro non ambiva nemmeno ad essere invitato alla tavola col ricco, ma almeno a poter mangiare gli avanzi che cadevano da essa) equivale a compiere il male.

Una volta Giovanni Paolo II definì la Chiesa come “la famiglia dei senza-famiglia”. Questa definizione mi sembra molto bella, perché ci coinvolge direttamente.

Quanto questo sia vero l’ho capito meglio in questo ultimo tempo proprio a partire dalla storia di Mario e della casa che lo ha ospitato negli ultimi tre anni della sua vita. Tutti lo abbiamo conosciuto in questi anni che ha vissuto con noi a Santa Croce. Lui l’ha sempre chiamata casa sua, e veramente la considerava tale. Basti pensare al suo senso di ospitalità, alla gelosia con cui custodiva le chiavi e non le lasciava mai a nessuno. In tutto questo tempo non ha mai visto la sua famiglia naturale, ma ha accettato volentieri che lo fossimo noi. Riflettevo che così facendo Mario ha messo in pratica le parole di Gesù: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? … Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre". (Mt 12, 48-50)

Mario ha capito che dietro l’accoglienza in questa nuova casa c’èra il desiderio di compiere ciò che Dio vuole, e cioè che chi è solo e senza nessuno trovi una casa e una famiglia. Poche ore prima di morire avevamo parlato all’ospedale e mi aveva raccomandato di portargli alcune cose che gli sarebbero servite, come si fa con un parente. E la mattina dopo la notizia della sua morte ci è giunta dall’ospedale proprio mentre con Giuseppe stavamo organizzandoci per non lasciar Mario da solo e non fargli mancare tutto l’aiuto concreto di cui una persona malata ha bisogno.
Anche gli altri che hanno vissuto a stretto contatto con Mario hanno preso sul serio questa sua scelta di adottarli come la sua famiglia. Giuseppe, Ghebre, Slava, Franca, Ondrej, Luigi assieme a me e Patrizia, Lino, ecc… si sono presi cura di lui come fanno i familiari: lo hanno vegliato, si sono curati della preparazione, del funerale, fino alla sepoltura. Mario non è mai stato solo. Ed ora, ancora, è uno dei nostri morti, accanto a quelli che ricordiamo con più affetto.

Allora voglio dire che se è vero che la Chiesa è stata per Mario-senza-famiglia una vera famiglia, lo stesso possiamo dire di noi. Infatti anche noi davanti al Signore siamo dei senza-famiglia, perché tante volte rifiutiamo di essere i suoi fratelli-discepoli che fanno la volontà del Padre e prendiamo le distanze, rivendicando la nostra autonomia. Oggi ci rendiamo conto meglio che siamo stati trascinati da Mario a far parte assieme a lui della famiglia radunata dal Signore, ci ha considerati fratelli e ha preteso che lo fossimo, quasi nostro malgrado, vincendo freddezze, resistenze, paure. E’ stato un miracolo di cui abbiamo beneficato noi assieme a lui.

Per quanto riguarda le nostre resistenze, pensiamo ad esempio alla volta scorsa: abbiamo avuto difficoltà a fare nostro questo discorso, ci veniva spontaneo parlare di quello che avrebbero dovuto fare gli altri, piuttosto che noi. Questo un po’ è normale, pensiamo a quello che dice Gesù ai discepoli di Giovanni battista: “… ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!”. (Lc 7, 23) Anche noi ci siamo scandalizzati e abbiamo preso le distanze da Gesù che tratta i poveri come suoi famigliari.

Anche noi come Zaccaria davanti a questa prospettiva “scandalosa”, nel senso di sconvolgente e fuori del normale, restiamo senza parole, perché facciamo fatica a credere in quello che l’angelo, cioè la Parola di Dio, ci annuncia (Lc 1, 5-ss.). Però l’angelo dice a Zaccaria muto, e a noi senza parole: “non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo.” (Lc 1, 20) Oggi abbiamo visto queste parole realizzarsi nella vita di Mario e le vedremo realizzarsi di nuovo e con altrettanta forza il 4 gennaio, quando i poveri saranno riuniti in questa casa proprio come una famiglia che si riunisce per festeggiare il Natale. Contemplare questi miracoli ci ridona la parola: “All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.” (Lc 1, 64) e oggi allora credo che veramente sentiamo il desiderio di ringraziare Dio perché ci invita a far parte assieme ai poveri della sua famiglia, ed essi in un certo modo ci forzano ad accogliere l’invito e ad uscire dal nostro isolamento di freddezza.

sabato 11 dicembre 2010

Anno A - III domenica di Avvento


Dal libro del profeta Isaia 35,1-6a. 8a.10
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Salmo 145 - Vieni, Signore, a salvarci.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.


Dalla lettera di Giacomo 5,7-10
Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Alleluia, alleluia alleluia.
Lo Spirito del Signore è sopra di me,
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annunzio.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 11,2-11
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».


Commento


Care sorelle e cari fratelli, dopo il tempo in cui le folle cercavano Giovanni sulla riva del Giordano per ascoltarlo e ricevere il battesimo, il Vangelo di oggi ce lo fa vedere prigioniero in carcere. Quell’uomo aveva ricevuto e vissuto la Parola di Dio, vestito semplicemente come un pastore nomade, senza ricercatezza ad ammorbidirne i tratti, proprio come è la Scrittura che ascoltiamo oggi. Lì nell’ambiente difficile nel deserto della Galilea aveva predicato la venuta imminente del Regno di Dio, ma ora, in carcere, sembrava che tutto ormai fosse finito, che il suo grido fosse stato messo a tacere per sempre e che quel del Regno di giustizia, di pace e di amore che aveva annunciato era stato definitivamente risucchiato dal buio del carcere. Giovanni infatti fu imprigionato per la cattiveria di una donna stanca di sentire la parola severa di Giovanni che metteva sotto accusa il suo modo di vivere dissoluto, e di lì a poco sarebbe morto per il capriccio di una ragazzina. Si trovava in una situazione lontana dalla giustizia, dalla pace e dall’amore che pure lui stesso aveva detto che stavano per realizzarsi.
Non è quello che anche noi tante volte proviamo? Davanti a questo mondo, agli abissi di violenza e di crudeltà umana, o di fronte alle montagne di indifferenza per cui migliaia di innocenti, per lo più bambini, muoiono ogni giorno per la fame, le malattie, la povertà in tanti paesi del mondo, ma anche davanti al dolore che tante volte si abbatte sulle nostre spalle improvviso e pesante come si fa a credere che un regno di pace, di giustizia e di amore si sta per realizzare? Il buio ci acceca e risucchia tante volte anche lo spiraglio di speranza che la Parola di Dio ci fa intravedere. Cosa pensare?
Eppure nell’oscurità della prigionia Giovanni non si fa vincere dalla rassegnazione per la propria situazione personale. La sua vita è condannata e chiunque direbbe che ormai non ha senso per lui aspettarsi nulla di buono, il suo futuro è bloccato, eppure proprio dal carcere sente parlare delle opere compiute da Gesù e questo fa rinascere in lui la speranza. Quella notizia, anche se non lo riguarda personalmente, né risolve la difficoltà di quel momento duro del suo presente, lo riporta alla fiducia e riapre la porta del suo futuro. Al contrario noi in genere facciamo fatica a considerare una buona notizia che non riguarda noi stessi qualcosa in grado di farci uscire dalle nostre angustie del presente. Una volta Gesù espresse tutta la sua amarezza per il fatto che nonostante i numerosi miracoli da lui compiuti città intere erano rimaste indifferenti, chiuse nelle mura di un pessimismo che ancora oggi tante volte vediamo circondare e opprimere come una cappa pesante il futuro delle nostre società: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, avvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra.” (Mt 11) Le sue parole sono state di condanna per quelle città perché il loro pessimismo indifferente al bene che vi si era realizzato aveva come suggellato la condanna alla morte dei loro cuori. Paradossalmente, al contrario, la vita di Giovanni condannato a morte è come fatta rinascere dalla notizia dei miracoli compiuti da Gesù! E’ questa la grandezza di Giovanni cui accenna Gesù, ed anche la forza del cristiano: saper leggere con fiducia e speranza i segni di bene dell’oggi per riuscire attraverso di essi ad avere la visione di un futuro nuovo che si apre alla speranza. E’ questo lo spirito che siamo chiamati a vivere in Avvento: accogliere il vangelo che ci è annunciato come un filo che ci lega ad un futuro che ancora non vediamo chiaramente, magari lo intuiamo solo, ma che “attendiamo con perseveranza”, come dice Paolo ai Romani (Rm 8,25). L’attesa di un tempo nuovo, della visita di Dio alla nostra vita, del suo volto amico che si accosta a noi. L’attesa della fine delle guerre nel mondo, l’attesa di una buona notizia che porta luce negli angoli bui del mondo e della nostra vita.
Ma noi speriamo ancora in un futuro diverso? Non vince forse piuttosto la convinzione che ormai sappiamo come vanno le cose e niente di nuovo potrà mai realizzarsi?
Giovanni non ragiona così: nel buio del carcere sente parlare di Gesù e subito nasce in lui la speranza che il Signore sia la realizzazione dell’attesa: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» Domanda angosciata, di un uomo a un passo dalla morte, ma piena di speranza perché è la domanda di un uomo che attende, che lega ancora la sua vita di condannato a morte, che tutti direbbero senza più valore, alla promessa di un futuro migliore, grande e bello. E’ un illuso, diremmo noi, uno che ancora non ha capito niente della vita. Eppure il Signore dice di lui che “tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista”. Proprio questa sua speranza incrollabile che lo fa attendere un futuro nuovo contro ogni realismo, contro ogni razionalità, lo rende l’esempio più alto di discepolo, anzi di uomo, come dice Gesù. Ma siamo capaci noi di seguirne l’esempio? Il nostro filo di speranza è allentato, perché non attendiamo più niente di nuovo, sappiamo già tutto come va e come andrà, e per questo non siamo più nemmeno in grado di accorgerci di quello che avviene attorno a noi: di chi sta male, di chi è triste, di chi ha bisogno, come anche di chi ritrova la felicità nell’incontro col Signore.
Cari fratelli e care sorelle, giovedì scorso abbiamo celebrato in questa chiesa il funerale di Mario, che molti di noi conoscevano. Egli aveva vissuto tanti anni per strada, ma poi tre anni fa aveva incontrato proprio qui a Santa Croce una casa e una famiglia che lo ha amato. Si è realizzato un miracolo: l’affetto ha fatto rinascere calore e speranza proprio là dove sembrava avesse ormai vinto definitivamente l’abbandono e la tristezza. E con lui tanti altri hanno trovato qui accoglienza e calore, il porto sicuro nel quale riprendere fiducia e ricominciare a costruire un futuro migliore. Eppure questo non basta a vincere il nostro pessimismo, e la rassegnazione. Conta di più il nostro malessere, lo scontento, l’insoddisfazione, piuttosto che l’avverarsi miracoloso di un angolo di regno di Dio proprio qui accanto a noi, a nostra portata di mano.
Fratelli e sorelle questa è la vera condanna che noi stessi ci comminiamo. Significa infatti uccidere lo spirito d’Avvento, non essere più capaci di aspettare il bene se non per me stesso, non saper gioire della vittoria sul male che avviene sotto i nostri occhi.
Il Signore si sdegna di questa freddezza e pronuncia la condanna dura a cui facevo cenno, ma perché allora non smuovere i macigni dai nostri cuori e accogliere con fiducia e gioia l’invito di Isaia: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, … Egli viene a salvarvi”, perché non rallegrarsi con Giacomo che assicura alla sua giovane e timorosa comunità: “Siate pazienti, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina… Il giudice è alle porte”. Gesù infatti non vuole deprimere le nostre fiacche energie, non è venuto per condannare e schiacciare la nostra debolezza. Egli sa bene come siamo fatti, ha sperimentato nella sua stessa carne la debolezza e la fatica a mantenere viva la speranza e a lavorare concretamente per un futuro migliore. Per questo risponde ai discepoli di Giovanni: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella”. E’ quello che anche noi possiamo vedere realizzato sotto i nostri occhi.
Ecco in poche, semplici parole cosa significa essere discepoli del Signore, cioè uomini e donne capaci di attendere la realizzazione della felicità promessa. Solo se sapremo gioire come quei ciechi, storpi, lebbrosi, sordi, poveri, di cui parla il Signore, cioè solo riconoscendo la nostra debolezza e bisogno di aiuto, sapremo trovare la guarigione che Gesù assicura a chi lo invoca. Infatti dice: “Ai poveri è annunciata la buona notizia” ma non perché Dio non parli ai ricchi, ma perché loro credono di saperla già la buona notizia, non gliene importa niente, perché non ne hanno bisogno. Loro di buone notizie credono di poterne fare a meno, perché hanno già tutto. Chi è povero no, le buone notizie le desidera e le aspetta, tendendo la sua speranza legata alla Parola di Dio che non delude mai chi vi si affida con fiducia.



Preghiere


O Signore Gesù ti preghiamo: compi ogni giorno i miracoli di amore per i quali i poveri e i piccoli ti invocano. Aiutaci a rendercene conto perché sappiamo gioirne e alimentare con essi la nostra speranza nel regno futuro di pace e di giustizia.
Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Signore per il dono del nostro fratello e amico Mario che ha incontrato qui a Santa Croce una casa e una famiglia. Fa’ che guidàti dal suo esempio sappiamo anche noi gioire della benedizione del tuo amore che non dimentica nessuno e dona guarigione e salvezza a chi lo invoca.
Noi ti preghiamo

O Dio Padre onnipotente proteggi ogni uomo e ogni donna che vive per strada. Da’ un tetto a chi è indifeso e fratelli a chi non ha nessuno. Fa’ che il freddo del clima e dei cuori sia riscaldato dalla fiamma del tuo santo Spirito di carità.
Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Signore perché con la tua nascita fra di noi vuoi colmare la distanza delle nostre vite da te e dal tuo amore. Fa’ che sappiamo aspettarti liberi dall’impaccio del nostro egoismo e distratti dalla fissazione su noi stessi. Aiutaci ad attendere con impazienza che la tua venuta realizzi un tempo di pace e di salvezza per il mondo intero.
Noi ti preghiamo

Accogli e consola, o Dio nostro Padre, la vita di tutti coloro che soffrono nella solitudine. Ti preghiamo per i malati e per gli anziani, per le vittime della guerra e delle ingiustizie, per gli immigrati e gli i zingari, per chi assieme a loro attende un tempo nuovo e lavora per la giustizia. Benedici le loro vite e proteggili.
Noi ti preghiamo

Sostieni o Signore Gesù la mano di chi opera per il bene altrui e guida i piedi di chi cerca la pace. Fa’ che ogni tuo discepolo si leghi al giogo soave del Vangelo e sappia indicare Te come la fonte di ogni gioia e la tua Parola come benedizione e salvezza della vita di ciascuno.
Noi ti preghiamo.

In questo tempo di Avvento o Padre misericordioso, aiutaci a coltivare l’attesa impaziente per la tua venuta, perché pronti ad uscire dalle nostre case sappiamo incontrarti nel freddo delle vie del mondo, piccolo e indifeso come un bambino.
Noi ti preghiamo

Fa’ che i tuoi discepoli ovunque dispersi sappiano scrutare il cielo e riconoscervi i segni di speranza da seguire per incontrarti, come i Magi che seguendo la stella giunsero a Betlemme.
Noi ti preghiamo

Liturgia di commiato col nostro amico e fratello Mario - 10 novembre 2010



Dal libro del profeta Isaia 61, 1-3
Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell'abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto. Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore per manifestare la sua gloria.

Salmo 22 - Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.

Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, +
non temerei alcun male, perché tu sei con me.

Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.


Alleluja, alleluia, alleluia
Il Signore è risorto dai morti
Egli ci attende in Galilea.
Alleluja, alleluia, alleluia

Dal Vangelo secondo Matteo 11, 20-30
In quel tempo Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, avvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. E tu, Cafarnao,
sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi essa ancora esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!». Gesù, proseguendo, disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».


Commento


Cari fratelli e care sorelle, domenica scorsa abbiamo sentito risuonare nella Liturgia la domanda rivolta da Dio ad Adamo ed Eva: “Dove sei?” Il Signore Dio sapeva bene dov’erano, e sapeva bene anche cosa avevano appena fatto, cioè disobbedito al suo invito a non cibarsi dell’albero proibito, eppure li cerca, non si dimentica di loro e la sua domanda è un po’ come un grido di dispiacere “Dove te ne vai? Perché mi abbandonate per prendere un’altra strada?” Questo grido di Dio ci rivela il suo cuore fin dal primo momento della storia dell’umanità. In questo tempo di Avvento siamo chiamati a soffermarci sulla grandezza di questo amore di un Dio che non ha mai smesso di cercare noi uomini, tanto da farsi anche lui uomo, a Natale, pur di starci vicino e di farsi conoscere da noi come un fratello e un amico. Forse per questo Gesù passò la maggior parte della sua vita non nelle case, (“il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”), ma per la strada. E’ lì, per strada, che il Signore incontra tanta gente: le folle confuse, i passanti distratti, come appaiono anche le strade di Terni in questi giorni pre-natalizi, ma anche tanti che lo cercavano, come i malati e i poveri, gente che lì per la strada viveva e non aveva altro posto dove stare. E lì Gesù si ferma, perde tempo con loro. Guarisce chi sta male, consola chi è nel dolore, perdona chi ha peccato, moltiplica per loro il cibo e l’affetto con cui circondarli e proteggerli. Sono i tanti miracoli per i quali abbiamo sentito nel Vangelo Gesù rimproverare le città della Palestina perché nonostante i tanti segni del suo amore gli abitanti di quelle città hanno indurito il loro cuore.
Anche Mario ha incontrato Gesù per la strada. Nella sua vita un po’ turbolenta e vagabonda quanto tempo ha passato per strada! Alla stazione, al bar della Pace, al Bar Vittoria, a Spoleto, Ancona, Falconara … Anche noi lo abbiamo conosciuto lì e ce lo ricordiamo sempre in cammino, con il suo passo incerto.
E Mario a questa sua conoscenza personale ci teneva. Raccontava come ogni giorno uscendo di casa si raccomandava a Dio con parole semplici: “Papà, pensaci tu” e rivolto alla Madonna: “Mamma, pensaci tu”. Riconosceva Gesù nel volto di Francesco di Assisi, un altro uomo che non stava nelle case ma visse per le strade dell’Umbria, per il quale aveva un affetto particolare. Da lui aveva imparato che Gesù vuole che, come diceva, ci sia amore fra tutti gli uomini e gli erano particolarmente care le parole del Cantico delle Creature: “Fratello Sole e Sorella luna” che lo facevano commuovere. Ma Mario soprattutto viveva la sapienza antica, imbevuta di Vangelo, di prendere sul serio ogni rapporto personale. Per lui nessuno non contava abbastanza per non stare con lui o non valeva la pena di frequentare. Ricordava i nomi, le date, le situazioni, anche a grande distanza, e aveva tessuto una rete di amicizie fra Umbria e Marche che lo legava alla vita di tanti. E non a caso siamo qui così numerosi a pregare per lui. E con ciascuno era una storia diversa: protettivo con le donne, e Franca potrebbe raccontare di quando si fermava con lei fino a tardi per proteggerla, galante come un vero gentiluomo d’altri tempi. Aveva il senso che ai più giovani bisogna comunicare qualcosa di buono, diceva “bisogna insegnargli la vita”, attento alle buone maniere, mai aggressivo e agitato, cortese. Aveva una vera e propria cultura del rapporto umano, grato del bene ricevuto, che non dimenticava mai, e pronto a sposare la causa di qualcuno che stava peggio di lui. Mi raccontava una volta, raccomandandomi di fare qualcosa per una ragazza che aveva conosciuto per strada, che lui era felice di potersi occupare dei problemi degli altri, perché così si dimenticava dei propri ed era più felice. Ci ricordiamo poi di quella volta che andò a stare per strada, una notte, per cedere la sua stanza ad una famiglia di zingari che erano venuti a chiedere aiuto, con due bambini piccoli, perché stavano per strada d’inverno.
Proprio questo suo desiderio di costruire e mantenere rapporti saldi e duraturi gli hanno fatto incontrare una casa e una famiglia quando ormai quella di origine era lontana. Una vera casa, qui a Santa Croce, di cui Mario con orgoglio conservava gelosamente le chiavi, che teneva con un ordine tutto suo, quando stava bene, con le foto delle persone care, l’immagine del Cristo di Cefalù, la televisione sempre accesa. E una vera famiglia a cui Mario portava il calore della festa, la compagnia allegra, con quella sua aria un po’ patriarcale, anche in Ospedale riusciva a farsi perdonare, con la sua dignità e simpatia, le sue scappatelle segrete, perché al chiuso non resisteva a lungo.
Sì, Mario, e noi assieme a lui, abbiamo vissuto uno di quei miracoli di cui parla Gesù, il compimento della profezia di Isaia che il Signore a Nazaret dice realizzata con la sua venuta: “mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, … per consolare tutti gli afflitti.” Questo ha fatto Gesù per Mario, qui a Santa Croce, e per tutti noi che oggi siamo qui, e noi ne siamo grati a Dio e orgogliosi del privilegio che ci è stato concesso di gustare la dolcezza del suo amore.
Mario lo ha vissuto e ne ha gioito, godeva della benedizione di quel Gesù venuto a portargli la buona notizia di una nuova famiglia di cui era entrato a far parte. Ma anche noi ne abbiamo gioito, godendo della benedizione di un fratello e un amico che ci è stato donato e che quotidianamente ci ha ricordato che Dio non dimentica il povero e il piccolo. Sì, perché furono loro i primi ad incontrare Gesù a Betlemme e condivisero con lui, allora come ancora oggi, il freddo della strada e l’umiliazione di non avere un posto dove andare. Allo stesso tempo però hanno conosciuto il miracolo di quella nuova famiglia che Dio, come a Betlemme, raduna attorno alla vita debole e minacciata: gente semplice, umile, che si scalda con la tenerezza sincera per un bambino. E quanti, allora come oggi, vivevano chiusi nelle case, lì dove Gesù non entrava volentieri, credendo di difendersi così dal freddo della strada ma in realtà alimentando quello del loro cuore, protetti dalle porte chiuse, questi non hanno incontrato Gesù e non lo riconoscono nemmeno oggi. Ma a Mario e ai piccoli come lui è stata rivelata la sapienza del cuore e il valore della protezione di Dio che solo i poveri sanno apprezzare fino in fondo, perché senza non vivono. Anche per lui Gesù oggi, mentre lo accoglie in cielo con sé prorompe nel grido di gioia: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Cari fratelli e care sorelle, Mario ha assunto con gioia il giogo soave di una vita non spesa solo a fare spazio a sé stesso ma si è fatto portare dalla mano sapiente del Signore a vivere la pietà per chi stava male. Per questo ha saputo vivere la generosità del non tenere tutto per sé. Preghiamo allora perché anche noi sappiamo attaccarci allo stesso giogo cui la sua amicizia tenace ci ha attratti in vita e a cui oggi il Vangelo ci chiama. La sua memoria affettuosa e calda ci rivela con più chiarezza oggi il privilegio, in questi giorni di Avvento, di poter attendere la venuta del Signore insieme a tanti che, come Mario, hanno conosciuto le durezze della vita, perché si realizzi presto la profezia di un mondo più accogliente e buono. Affrettiamone la venuta vivendo quell’amore che Gesù dona ai piccoli e che, per sua misericordia, ricade anche su chi sta loro accanto con amicizia.

martedì 7 dicembre 2010

Festa dell'Immacolata Concezione


Dal libro della Gènesi 3,9-15.20
[Dopo che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

Salmo 97 - Cantate al Signore un canto nuovo
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1,3-6.11-12
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Rallègrati, piena di grazia,
il Signore è con te.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Commento

La Festa dell’Immacolata Concezione che celebriamo oggi ci coglie nel cuore del nostro cammino di Avvento. E’ una sosta opportuna, nella quale sentiamo risuonare rivolta da Dio la domanda: “Dove sei?” L’abbiamo udita pronunciare da Dio verso Adamo, non a caso poco dopo che egli ha deciso di disobbedire al Padre che lo aveva appena stabilito signore della creazione. Dio sa dove si trovano Adamo ed Eva, e il motivo di quella domanda è perché vede che essi hanno cominciato ad allontanarsi e a nascondersi da lui.
Il peccato è, in fondo, sempre la scelta di allontanarsi da Dio, di lasciarlo da parte, di dimenticarselo e dargli poca importanza, perché già sappiamo da noi cosa è il male e cosa il bene, e non abbiamo bisogno di qualcuno che ce lo insegni. Adamo ed Eva si sentono adulti, hanno imparato molto, e possono decidere da se la strada da prendere. E la strada dell’uomo adulto autonomo e forte è sempre una strada che si allontana da Dio. Sì, ogni volta che ci sentiamo così, capaci di decidere e scegliere da noi stessi prendiamo una strada che ci porta ad allontanarci da Dio, perché non sentiamo più il bisogno della sua compagnia. Anzi, come succede anche a quei due, ne abbiamo paura e lo sfuggiamo, perché la domanda di Dio mette a nudo l’infondatezza della nostra sicurezza, ci scopre davanti alla vita delle sicurezze artificiose con cui avevamo pensato di difenderci.
Ma Dio, nonostante tutto, cerca Adamo ed Eva, e non certo perché ne ha bisogno, ma perché sa che da soli non sanno dove andare e cosa fare della vita che ha loro donato. E ancora oggi torna a cercare l’uomo, nascendo, a Natale, facendosi uomo perché tutti noi lo possiamo incontrare, se non ci nascondiamo spaventati dietro le mille corazze e maschere di quello che già sappiamo, facciamo e con cui abbiamo consuetudine.
Dove sei?” dice Dio oggi anche a noi. Su che strada cammini? Quella tortuosa e avvitata attorno a te stesso, che non porta a niente se non alla fissazione egocentrica su se stesso, o su quella diritta che conduce ad uscire da sé per incontrare Dio e i fratelli e le sorelle?
In quale terreno accidentato ti sei cacciato, dove rischi di sprofondare negli avvallamenti delle illusioni di un successo e soddisfazioni facili, ma ai quali corrispondono le montagne che ci isolano da tutti e incombono pesanti e minacciose, come ostacoli insormontabili nella nostra strada?
Dove sei?” ci chiede Dio oggi, perché sa che è facile che anche noi, come Adamo ed Eva ci perdiamo su strade che non portano a niente.
Fratelli e sorelle, a questa domanda rispondiamo con franchezza, senza nasconderci per paura e fuggire con mille scuse. Adamo ed Eva infatti davanti a Dio che li interroga non sanno nemmeno prendersi la responsabilità della loro scelta di nutrirsi dell’albero vietato e cominciano a giustificarsi e a darsi la colpa l’un l’altro. Che scena penosa: loro che si erano sentiti grandi e autonomi, cresciuti abbastanza da poter fare la loro strada, eccoli a scaricarsi la colpa e litigare come bambini. Quei due non riescono ad uscire dal pantano di peccato in cui si sono immersi, perché non accettano di ammettere ciascuno la propria colpa. Sì, per potersi liberare dal peccato bisogna ammettere di averlo commesso e pentirsi, chiedendo perdono.
E’ l’opportunità che la liturgia ci offre oggi: Rispondiamo alla domanda di Dio confessando la nostra distanza da lui: la paura che ci fa allontanare, l’arroganza del nostro sentirci grandi e capaci di badare a noi stessi, l’orgoglio del voler fare la strada che decidiamo da noi sulla base delle nostre esperienze o di quello che insegna il mondo. Confessiamo la forza delle abitudini che ci fanno sentire questo tempo di Avvento come qualcosa di scontato e inutile.
Ammettiamo la nostra distanza e il Signore la colmerà a Natale, venendo lui stesso, di sua iniziativa, verso di noi.
Fare ciò non è impossibile: Maria l’ha fatto prima di noi. Lei non si è tirata indietro, non ha cambiato strada e non si è giustificata con la sua giovane età o fragilità femminile. Ha accolto con forza che fosse Dio attraverso l’angelo a descriverle il suo futuro: “concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine … Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio.” Maria accetta il futuro che Dio vuole per lei e risponde alla domanda di Dio dicendo: “Sono qui, pronta a vivere il futuro che mi hai preparato.”
Facciamo nostre queste parole, in questo tempo d’Avvento di preparazione e di attesa della realizzazione del futuro che anche per noi Dio ha preparato. E oggi vogliamo farlo in compagnia di Maria. Immaginiamocela in questi giorni vicini al parto, assieme a Giuseppe. Non fu facile per loro perché, come sappiamo, la vita li pose di fronte a difficoltà enormi, eppure erano sicuri che il futuro di Dio per loro si sarebbe realizzato ed egli stesso in persona si sarebbe fatto presente nella loro vita.
Con questa fiducia di Maria anche noi incamminiamoci verso il Natale confessando oggi a Dio la nostra distanza e chiedendo a Lui la misericordia di colmarla perché noi e il mondo intero ne abbiamo un grande bisogno.
Preghiere
Ti ringraziamo o Dio del cielo perché hai mandato il tuo Spirito su Maria, rendendola degna di divenire madre del tuo Figlio. Aiuta anche noi a preservare la nostra vita dal peccato e dal male.
Noi ti preghiamo
O Dio che stai per venire nel mondo, fa’ che confessiamo umilmente il nostro peccato e il bisogno che abbiamo d’incontrarti povero e piccolo accanto a Maria, nella mangiatoia di Betlemme.
Noi ti preghiamo
Ti supplichiamo Signore Gesù di preservarci dall’orgoglio e dall’autosufficienza ma, sull’esempio di Maria, fa’ che sappiamo accogliere la tua volontà per compierla.
Noi ti preghiamo
Proteggi e accompagna o Padre misericordioso tutti quelli che nel mondo sono in pericolo a causa della loro fede in te. Fa’ che coloro che oggi nutrono sentimenti di odio e avversione possano scoprire la vera natura del Vangelo che è annuncio di pace e salvezza per tutti.
Noi ti preghiamo
Custodisci o Signore Dio questo nostro Paese, così disorientato e attraversato da correnti di violenza. Fa’ che i tuoi discepoli sappiano mostrare con la loro vita che l’unico fondamento certo di ogni società è l’amore e la solidarietà che nascono dal Vangelo.
Noi ti preghiamo
Guida la tua Chiesa, o Pastore buono, su pascoli erbosi, perché nutriti dalla tua Parola sappiamo annunciare a tutti la salvezza del Natale.
Noi ti preghiamo.
Dona guarigione e salvezza, o Dio, a tutti i poveri, specialmente quelli che in questa stagione soffrono a causa del freddo del clima e dei cuori. Dona a ciascuno di essere accolto e amato come un fratello.
Noi ti preghiamo
O Medico buono delle anime e dei corpi, ti imploriamo di dare la guarigione a tutti coloro che sono malati e nel dolore. Addolcisci i cuori di chi è loro accanto e ungi con olio di misericordia la vita di chi li cura.
Noi ti preghiamo

domenica 5 dicembre 2010

Anno A - II domenica di Avvento



Dal libro del profeta Isaia 11,1-10
In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.

Salmo 71 - Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 15,4-9
Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome».

Alleluia, alleluia, alleluia.
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 3,1-12
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Commento

Cari fratelli e care sorelle, già domenica scorsa la Scrittura ci parlava della necessità di aspettare la venuta del Signore. “Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore verrà”, ci ammoniva il Vangelo di Matteo, ma che cosa dobbiamo attendere? Nell’incertezza del tempo odierno le novità ci spaventano, perché sono fonte di inquietudine e di incertezza. E poi cosa possiamo attenderci dagli altri? La nostra esperienza ci insegna che ciò che di buono posso sperare dal mio futuro posso solo ottenerlo con la mia fatica, a costo di sacrifici e di rinunce, facendomi strada da me stesso. Nessuno oggi regala niente.
Questi ed altri analoghi pensieri ci portano a sentire come fuori luogo ed inattuale questo tempo di Avvento. Il mondo di oggi è imbevuto di una cultura che propone di vivere la soddisfazione del presente, senza farsi troppe illusioni sul futuro; di dare valore solo a ciò che vedo e tocco, il resto è un lusso a cui la crisi e l’insicurezza che si vivono non permettono di dare importanza.
Eppure anche quest’anno la Scrittura ci propone di uscire dalla cultura del nostro tempo e di vivere l’attesa della realizzazione di un mondo nuovo. Sì, ogni anno l’Avvento contraddice la chiusura dei cieli e la miopia dello sguardo per invitarci ancora una volta a sollevare lo sguardo sull’orizzonte largo del sogno di un mondo nuovo che deve realizzarsi.
Il profeta Isaia ci descrive la visione di questo mondo nuovo: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte.” E’ il sogno ad occhi aperti del profeta, ma è anche il sogno di tutti coloro che non accettano come normale che il forte prevalga e il debole soccomba, che la legge apparentemente normale della forza si imponga su tutti, che l’uno sia contro l’altro. E’ il sogno dei popoli che sono schiacciati dalla guerra, dei poveri oppressi, delle vittime dell’ingiustizia. Ma è anche il sogno di quanti si fanno partecipi della loro invocazione e sposano quel sogno, aspettandone con ansia la realizzazione promessa dal profeta. Quando tutto ciò si avvererà?
Eppure quanto è difficile fare nostro quel sogno. Ci sembra così lontano dalla realtà, perché illudersi? E poi è pericoloso un mondo così diverso da quello di sempre, meglio accontentarsi di stare un po’ meglio, senza grandi cambiamenti.
Ma in questo Avvento risuona un grido forte: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” Giovanni nel deserto di speranze per il futuro e di visioni di un mondo nuovo alza la voce e invita a cambiare mentalità e a fare nostra la visione profetica, perché la realizzazione finalmente appare a portata di mano. Egli viene per far entrare nella vita degli uomini colui che può realizzare quel sogno, il Signore Gesù. Sì, Giovanni sa che le vie degli uomini sono tortuose, come i suoi pensieri; che si avvitano su se stessi, girando solo attorno alle proprie insoddisfazioni e paure, senza mai uscire da sé. Per questo invita a raddrizzare le proprie vie per incamminarci verso gli altri e verso Dio.
La gente è attratta da Giovanni e viene da lui sul Giordano perché le sue parole sono piene di futuro e aprono alla speranza. Sì, in questo mondo in cui siamo abituati a non sperare più un futuro diverso, accontentandoci di un po’ di soddisfazioni effimere, lasciamoci attrarre anche noi dal sogno di Isaia e dalla visione di Giovanni. La loro grandezza sta proprio in questo saper alzare lo sguardo e non restare disorientati e soffocati nella nebbia inquinata che copre il mondo giù in basso. C’è un orizzonte alto possibile, c’è una prospettiva diversa di giustizia e di gioia che possiamo veder realizzata, se sappiamo, come Giovanni e Isaia, innalzarci all’altezza dello Spirito e lavorare fattivamente per la sua realizzazione. Non basta infatti chinare il capo e vivere con scontatezza questo tempo di Avvento, così come i sadducei e i farisei si sottomettono al battesimo di Giovanni, ma senza vivere la conversione dal loro modo di essere. Il Battista smaschera la falsità di un atteggiamento fintamente religioso, ma che rifiuta la novità del vangelo e l’altezza della sua visione: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Quei pii ebrei si recano da Giovanni, ma con sufficienza e scontatezza, perché già sanno cosa aspettarsi e come comportarsi. Giovanni a questo loro atteggiamento contrappone l’esigenza di portare frutti di conversione, cioè di dimostrare con le proprie opere e vita l’intenzione di trovare una strada nuova, di indirizzarsi verso un nuovo destino. Lo stesso atteggiamento si ripete stancamente in ogni epoca. Anche noi e tanti nella nostra città accolgono il Natale, ma lo svuotano del suo significato vero rendendolo nient’altro che un coacervo di tradizioni da tramandare e ripetere senza cambiamenti, dalle ricette di cucina, agli addobbi, alle abitudini festaiole. Ma questo è uccidere la forza di novità del Natale e rendere inutile ogni attesa, perché tutto si ripete sempre uguale.
Fratelli e sorelle, accogliamo con docilità l’invito che ci proviene da questa seconda tappa di Avvento, perché ci prepariamo in questo tempo alla venuta del Signore. Usciamo dalle vie contorte e dallo sguardo basso chino su di sé, per imparare ad attendere il mondo nuovo di giustizia e di pace che il Signore è venuto per realizzare. Solo così anche noi ne entreremo a far parte.

Preghiere
O Signore Gesù fa’ che ascoltiamo il grido di Giovanni e raddrizziamo le strade tortuose della nostra vita per incamminarci speditamente verso di te e i nostri fratelli.
Noi ti preghiamo
Senza indugio, O Dio del cielo, ispira i nostri cuori a sentimenti di amore e di misericordia, perché facciamo nostro il sogno di un mondo nuovo che la tua venuta potrà finalmente realizzare.
Noi ti preghiamo
Perdonaci o Dio perché ci accontentiamo del nostro presente e non attendiamo che si realizzi il tempo di pace e di giustizia che i profeti hanno annunciato. Donaci un cuore di carne e occhi nuovi per accogliere con gioia le visioni e i sogni che tu ci ispirerai.
Noi ti preghiamo
Sostieni o Padre misericordioso tutti coloro che nel mondo lottano per affrettare la realizzazione del tuo regno. Per gli operatori di pace e di giustizia, per gli annunciatori del vangelo, per gli amici dei poveri. Proteggili e sostieni il loro operato
Noi ti preghiamo
Ti preghiamo o Padre del cielo per tutti quei cristiani che soffrono nel mondo a causa della violenza e della persecuzione. Proteggi le comunità dei tuoi discepoli in Irak, in India, in Pakistan e ovunque le loro vite sono minacciate.
Noi ti preghiamo

Consola o Signore le vittime della guerra e della violenza. Dona pace e salvezza a tutti coloro che oggi sono oppressi dall’ingiustizia.
Noi ti preghiamo.
Ti preghiamo o Signore, per tutti coloro che bussano alle porte della nostra vita e invocano consolazione e aiuto. Fa’ che aprendo loro il nostro cuore diveniamo capaci di riconoscerti povero e indifeso nella mangiatoia di Betlemme.
Noi ti preghiamo
O Cristo Gesù, fa’ che con la tua venuta nel mondo si aprano gli occhi di quanti ancora non ti conoscono e che la tua parola tocchi i loro cuori. Fa’ che sappiamo accompagnarli verso di te che ti fai uomo per farti trovare da chi ti cerca.
Noi ti preghiamo