mercoledì 26 gennaio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XII incontro La Liturgia "anima" della fede delle Chiese orientali


Dopo aver percorso la volta scorsa la storia e la realtà attuale delle Chiese cristiane ci vogliamo soffermare questa volta per entrare in modo più profondo nello spirito delle Chiese Orientali, e in modo particolare della Chiesa bizantina, cioè quella di lingua greca che si sviluppò attorno al suo centro principale che era Costantinopoli o Bisanzio, e che oggi si prolunga fino a comprendere tutte le Chiese Ortodosse slave ecc… nel mondo intero.


La tradizione orientale attribuisce una centralità particolare alla Liturgia che è definita Divina, è cioè un atto comune degli uomini e di Dio. In fondo basti pensare al fatto che per oltre 60 anni di persecuzione e impedimento di ogni attività pastorale in Unione Sovietica la fede si è mantenuta e tramandata esclusivamente attraverso la Liturgia, unica “attività” consentita alla Chiesa Ortodossa Russa. Le chiese (poche) in cui si è continuato a celebrare hanno trasmesso la fede cristiana tutta intera che poi con rapidità straordinaria è rifiorita e si è sviluppata appena la caduta del regime comunista ha consentito la vita ordinaria della Chiesa. Se non si fosse preservata la radice profonda della fede questa rinascita non sarebbe stata possibile, e l’unico modo in cui essa è rimasta profondamente infissa nel terreno della vita del popolo russo è stata appunto la celebrazione della divina Liturgia.


In essa possiamo dire che si riassume tutto l’essenziale della fede cristiana.


I due fondamenti su cui si basa la liturgia sono il mistero dell’incarnazione e la Resurrezione di cristo.


La Liturgia è infatti il contesto in cui avviene la redenzione della nostra realtà terrena: essa con le sue miserie e limiti è stata assunta e trasfigurata da Dio che nell’incarnazione di Cristo ha rivestito la nostra natura umana per renderci in grado di innalzarci noi fino a quella divina: si è fatto come noi perché noi divenissimo come lui.


La liturgia è il contesto più alto e pieno in cui si può realizzare per ciascuno una vera e propria “trasfigurazione” della natura umana che è portata a divenire simile a quella divina. Tutto nella liturgia è trasformato e assunto in una dimensione di bellezza che richiama la gloria divina del cielo: dal canto, al profumo dell’incenso, alla bellezza delle icone, l’oro degli arredi sacri, la bellezza sfolgorante degli abiti liturgici, ecc… . La liturgia è infatti un angolo di cielo che si realizza in terra, la gloria di Dio che diviene accessibile, come nel roveto ardente che purifica incenerendo il peccato e illumina e scalda. Chi partecipa alla divina Liturgia è pertanto innalzato fino all’altezza del cielo, pur mantenendo i piedi sulla terra: è il mistero dell’incarnazione di Cristo, vero uomo e vero Dio.


La chiesa è orientata verso Oriente, luogo del sorgere del sole, simbolo della resurrezione e della venuta di Cristo sulla terra. È l’orientamento della comunità che prega scrutando da dove è venuto e tornerà il Salvatore. È l’orientamento di tutta la vita, protesa verso la venuta di Cristo e in attesa del suo ritorno.

La chiesa è divisa in due dall’iconostasi che separa il santuario dalla navata. Dall’ingresso progressivamente l’ambiente diviene sempre più spirituale fino a raggiungere il massimo nel santuario, dimora di Dio. I santi che assistono al rito dalle icone sono il segno della partecipazione della Chiesa spirituale all’interno del rito, sono lo specchio nel quale il fedele può riflettere la propria immagine cercando di assumerne i tratti spirituali e lontani dalla carnalità pesante e volgare della vita di tutti i giorni. L’icona è detta infatti finestra verso l’invisibile, alla quale possiamo affacciarci, che ci mette in comunicazione con la realtà spirituale umano-divina. L’iconostasi non è dunque una separazione, quanto un punto di congiunzione fra la realtà terrena e quella divina, immagine di quello che siamo chiamati a divenire anche noi umani ma divinizzati dallo Spirito.

Il sacerdote e il diacono vestono gli abiti liturgici che, nel loro splendore, indicano la separazione che in quel momento li deve caratterizzare da ogni attività ordinaria, per immergersi invece nella straordinarietà dell’azione liturgica. La tunica bianca rappresenta l’abito degli angeli che celebrano la liturgia celeste davanti a Dio in cielo e la purezza d’animo con cui il celebrante deve rivestirsi. La stola del diacono rappresenta le ali degli angeli e viene usata per invitare il popolo e il celebrante ad intraprendere le azioni nei vari momenti della liturgia. La stola sulle spalle del sacerdote simboleggia il giogo soave del vangelo e l’unzione che discente su tutto il corpo, come ad Aronne nel Salmo 132, 2. Si stringe con la cintura che simboleggia la potenza di Dio di cui è rivestito.


L’atto della vestizione del diacono e del sacerdote sono già un primo passo verso la trasfigurazione della comunità intera: non sono più gli uomini di prima, ma strumenti dello Spirito per la realizzazione dell’atti liturgico. Non conta più l’indegnità e piccolezza personale, ma il ruolo che si riveste.


Rito della preparazione o proscodimìa
La prima parte della liturgia è la preparazione dei doni in vista della loro consacrazione. Il pane offerto dai fedeli (pròsfora) rappresenta il corpo di Cristo e con una lancia viene inciso, come Gesù sulla croce e sezionato nelle particole che verranno distribuite al popolo. Questa parte avviene segretamente e rappresenta la vita nascosta di Gesù. Viene stratta la parte centrale del pane, con le iniziali divine, per indicare la carne che è venuta dalla carne, cioè il corpo di Gesù nato dalla Vergine Maria.


Nel compiere questi Gesti il sacerdote ripete le parole del profeta Isaia circa la venuta dell’agnello sacrificale “come agnello condotto al macello” , “come pecora muta davanti al tosatore” , “con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo”, ecc…


Poi vengono preparate altre particole in memoria di Maria, del battista, gli apostoli e i santi: Cristo è così circondato da quelli che gli sono più vicini. Cristo si mostra vicino a quelli che si sono fatti più vicini e simili a lui. Poi seguono le particole che ricordano i vivi che si vogliono ricordare e infine i defunti. Cristo e la Chiesa (terrestre e celeste) sono uniti.


A questo punto il luogo in cui si prepara l’offerta diviene la grotta di Betlemme che racchiude Gesù che nasce e la stella è posta sul pane, il disco è la mangiatoia e i veli i panni che lo coprirono. Si incensa come i Magi che offrirono incenso, mirra e oro.


Si incensa tutto il popolo: segno di benvenuto che ricorda il lavaggio dei piedi agli ospiti del banchetto che Gesù stesso compì nell’ultima cena. Anche le icone sono incensate perché i santi sono ospiti e patecipano con noi al banchetto liturgico.


Liturgia dei catecumeni
Questa parte della liturgia simboleggi al’inizio della vita pubblica di Gesù. Tutte le azioni liturgiche sono poste sotto la luce della Trinità con l’invocazione “sia benedetto il regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, perché è l’incarnazione che ha manifestato pienamente Dio agli uomini. In questa luce il popolo si accinge a celebrale la divina Liturgia.

Litanie di pace
Il diacono invita il popolo alla preghiera con la stola alzata come l’ala di un angelo e il popolo si accinge alla risposta corale che fa propria la preghiera offerta dal diacono. In conclusione si ricorda l’inefficacia della preghiera di gente indegna come noi e la si affida a Maria e ai santi che lo fecero meglio di noi. Vengono quindi cantate le profezie della venuta del Salvatore, tratte dai Salmi e si conclude con l’amen di assenso di tutto il popolo.


Canto delle beatitudini
Segue il canto delle Beatitudini, intercalate con l’invocazione del buon ladrone “Ricordati di noi Signore quando entrerai nel tuo Regno”. Le parole del Vangelo ricordano all’assemblea chi sono quelli a cui è indirizzata la rivelazione della salvezza e ai quali è riservato il Regno concesso al ladrone: “i miti, i perseguitati, gli operatori di pace, i puri di cuore, ecc…”

Ingresso del Vangelo
A questo punto si aprono le porte del Regno (le porte dell’iconostasi) che è il luogo in cui il Signore si farà presente col suo corpo e sangue, e il Vangelo cioè Cristo stesso si fa presente e attraversa tutta l’assemblea. Esce dal buio del luogo della vita nascosta di Gesù e si manifesta a tutto il popolo che lo acclama con l’alleluja: è la predicazione del Vangelo.


Canto del Trisaghion
Dopo aver cantato i tropari che ricordano i santi e la festa del giorno, cioè coloro che hanno ascoltato e vissuta il Vangelo entrato nella nostra vita, si invoca la potenza della Trinità stessa: Dio Padre, la sua Forza, cioè il Figlio, l’Immortale, cioè lo Spirito che è il pensiero e la volontà sempre presente di Dio. Il canto è fatto tre volte per dire che Dio è stato, è e sarà sempre presente. L’invocazione alla Trinità coinvolge tutta l’assemblea perché sia rivestita dalla forza e la presenza di Dio nell’avviarsi a celebrare il sacramento della sua presenza fisica. Il celebrante col Vangelo sale verso il santuario e indica con questo atto l’Ascensione di Cristo nel seno paterno, invitando anche noi a seguirlo nell’elevarci verso Dio padre, depone il Vangelo sul trono che è l’altare e si pone in atteggiamento di ascolto, come i discepoli attorno a Gesù che predica.

Lettura dell’Epistola
È il primo gradino che si sale nella scala dell’elevazione verso Dio. Il diaconi prepara la chiesa e il popolo con l’incenso alla venuta del Signore Gesù nella sua Parola proclamata nel Vangelo. È il profumo dello Spirito che ci deve pervadere per ascoltare e comprendere la Parola divina e purificare perché essa rimanga in noi. La luce dei ceri simboleggia la luce della Parola che viene e il diacono invita all’attenzione e concentrazione piena all’ascolto della Parola.


Lettura del Vangelo
Il popolo ascolta il vangelo proclamato e poi rende Gloria a Dio per l’annuncio di salvezza ricevuto. Il diacono restituisce il Vangelo al sacerdote, come il Verbo uscito dal Padre a Lui ritorna. Si richiudono le porte del santuario-Regno celeste, per dire che non vi è altro modo di intravedere il Regno se non attraverso le Parole della Sacra Scrittura, che è l’unico ingresso: “Io sono la porta”.


Seconde litanie o ektenìa
Il diacono di nuovo invita il popolo a rivolgersi in preghiera a Dio con sempre maggior forza. SI ricordano i vivi e i defunti, per i catecumeni, ma anche per chi pur avendo ricevuto il battesimo si discosta dal cammino della fede. A questo punto i catecumeni sono fatti uscire dalla Liturgia. Anche coloro che restano sono però invitati ad essere cosciente della propria indegnità e a temere di essere scacciato dal santuario come fece Gesù dal tempio. Ciascuno è invitato a bandire dalla propria anima il “catecumeno” che vi è albergato e a scacciarlo dal tempio perché rinasca in sé il fedele degno di partecipare ai divini misteri.


Liturgia dei fedeli
Il celebrante apre sul tavolo l’antimension, cioè un telo con disegnata la deposizione di Cirsto sul quale saranno posti il pane e il vino. Esso simboleggia i tempi in cui la Chiesa non aveva un luogo stabile per l celebrazione, perché perseguitata, e nell’antimension sono conservate anche delle reliquie. Ricorda oggi che non è il mondo la patria definitiva della Chiesa. Il sacerdote e il popolo si preparano alla parte centrale della liturgia: la consacrazione.


Inno cherubicon e grande ingresso
Rappresenta l’inno degli angeli che accolgono l’imperatore, secondo il rito che prevedeva l’ingresso fra la folla dell’imperatore sollevato in alto dai soldati e acclamato. I doni vengono portati in mezzo all’assemblea con una processione che simboleggia l’ingresso a Gerusalemme subito prima della passione. I doni vengono deposti sull’altare che rappresenta la tomba e la porta è richiusa, come il sepolcro, e coperti col velo che rappresenta il sudario.

Grande litania e supplica, abbraccio di pace e credo
Il diacono d nuovo invita a pregare sulle offerte e a scambiarsi la pace, come ricorda il vangelo di Matteo 5, 24, per offrire il sacrificio con animo riconciliato con tutti: questo rende possibile la professione di fede avviene che è nello spirito della Trinità, cioè per un amore che viene da Dio e non dagli uomini. Lo si ricorda quando si scambia il bacio di pace dicendo: “Cristo è in mezzo a noi, lo è e lo sarà”. Si conferma quanto fatto professando la fede nel credo. Il velo è agitato sui doni, simboleggiando la discesa dello Spirito su di essi.


Offerta eucaristica
Il santuario diviene ora il cenacolo e l’altare è la mensa del banchetto eucaristico, si alzano i cuori a DIo, come fece Gesù alzando gli occhi al cielo. Tutti partecipano alzando il cuore a Dio, cioè concentrando l’attenzione e i sentimenti come alla sua presenza. Il canto del Santo richiama l’inno trionfale dei serafini che fu udito dai profeti durante le visioni divine. Tutti sono trasportati in alto e partecipano al coro degli angeli che circondano la gloria di Dio. A questo canto è stato accodato il grido degli ebrei all’ingresso di Gerusalemme, Osanna, proprio per significare che all’innalzamento dei fedeli corrisponde la discesa di Dio verso la terra


Il sacerdote recita la preghiera di consacrazione con la memoria delle parole di Gesù nell’ultima cena. La mensa diviene altare, luogo del sacrificio dell’Agnello che dona la vita per la nostra salvezza. È il Golgota. Il sacerdote come Abramo sale sul monte del sacrificio lasciandosi dietro ogni preoccupazione e cura mondana ed è tutto rivolto verso Dio, porta su di sé il peso del legno che è l’amarezza per i propri peccati e la confessione delle proprie colpe, da far ardere al fuoco della penitenza spirituale


Si invoca lo Spirito Santo che opera la trasformazione del pane e vino in corpo e sangue di Cristo. Il diacono indica prima il pane e poi il vino e il sacerdote benedicendolo lo consacra. Il sacrificio è avvenuto attraverso la parola pronunciata, più tagliente ed efficacie della spada, come il Verbo proferito al momento della creazione.


Il sacerdote convoca tutta la chiesa, sia quella presente sulla terra che quella del cielo, Maria, i profeti, i patriarchi, i martiri e i santi perché intercedano per il popolo e ciascuno si unisce alla preghiera con le proprie intenzioni personali davanti al Signore che si è fatto presente al nostro cospetto.


Litania di supplica
Segue la grande litania in cui si supplica perché la presenza del Signore non sia causa di giudizio e di condanna. SI invoca chiedendo salvezza e perdono, misericordia nel giudizio di Dio e sostegno della sua grazia fino al momento della morte. Non si chiede più il sostegno e l’intercessione dei santi, ma si invoca direttamente il Signore che è presente, e tutti dicono “A te Signore” e ripetono la preghiera che lui ha insegnato, il Padre nostro.


Il popolo ora non è più come servi timorosi, ma siamo tutti come bambini davanti al loro padre e lo invochiamo fiduciosi e certi della sua benevolenza. Si arriva dunque ora, dopo un lungo processo di progressivo innalzamento e purificazione a quel livello supremo di intimità con Dio che permette di rivolgersi direttamente a lui chiamandolo “Papà”. E’ la preghiera che chiede tutto quello di cui si può avere bisogno nelle sue domande semplici e concrete. Si diviene così pronti a comunicare con il Signore stesso.

L’altare è ancora nascosto ai fedeli, durante la comunione dei celebranti. Si canta ora il tropario dei santi, per dire che anche l’uomo può aspirare alla santità cioè essere degno di Lui. Infatti non è il merito dell’uomo che rende santi, ma è la presenza di Cristo in lui che santifica l’uomo, come Lui è Santo.


Le specie sono distribuite col cucchiaino che simboleggia le molle con cui il Serafino prese il tizzone dall’altare per toccare le labbra di Isaia.


Le porte si aprono e il sacerdote porta il calice verso il popolo. La comunione è distribuita vicino ai santi e chi si accosta ad essa è più simile a loro. Come il tizzone preso dal Serafino, la comunione brucia ogni nostra impurità e ci trasforma dal di dentro. Le porte restano aperte per simboleggiare che il Regno è ora accessibile agli uomini, finché il Signore è fra di loro.

La comunione viene riportata dentro, incensata e il canto sottolinea che il Signore resta per sempre nel luogo della sua gloria che si celebra col canto dell’alleluja.

La liturgia si conclude con le preghiere di ringraziamento e di nuovo per tutti gli uomini che si desidera ricordare alla presenza del Signore. Si termina col congedo che richiama le parole di Simeone e Anna. “Ora lascia Signore che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola…”.

lunedì 24 gennaio 2011

III domenica del tempo ordinario


Dal libro del profeta Isaia 8,23b - 9,3
In passato il Signore umiliò la terra di Zabulon e la terra di Neftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e il territorio dei Gentili.
Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda. Poiché tu, come al tempo di Madian, hai spezzato il giogo che l'opprimeva, la sbarra che gravava le sue spalle e il bastone del suo aguzzino.

Salmo 26 - Il Signore è mia luce e mia salvezza.
Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

Dalla prima lettera di Paolo Apostolo ai Corinzi 1,10-13. 17
Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti. Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!». Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo.

Alleluia, alleluia alleluia.
Gesù predicava il vangelo del Regno
e guariva ogni sorta di infermità nel popolo
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal Vangelo secondo Matteo 4, 12-23
Gesù, avendo saputo che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata". Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, rassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Commento


Cari fratelli e care sorelle, come già dicevamo la settimana scorsa, passato il tempo della festa del Natale riprende la vita ordinaria con i suoi ritmi e la normalità della fretta e degli impegni di ciascuno. Per questo ci possono apparire fuori luogo le parole della Scrittura che la Liturgia oggi ci propone: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.” Di quale luce si parla in questo tempo buio, e di che gioia si tratta in una vita tornata alla banalità e alle difficoltà ordinarie? Sono le domande che si fa l’uomo comune davanti alla crisi economica, alle notizie del telegiornale, ad un clima politico così degradato.
Ma, io mi chiedo, non è forse proprio a causa di questo clima e delle difficoltà in cui ci troviamo che l’annuncio di una grande luce e di una gioia moltiplicata dovrebbe attrarci e riempirci di stupore.
In verità noi spesso preferiamo coltivare un senso di tristezza e di insoddisfazione, perché ci pone al riparo dalla necessità di confrontarci con la novità del vangelo. Chi è felice e chi sta bene ha la possibilità di aiutare gli altri, di interessarsi di loro, ma chi invece sta male non è tenuto. Noi preferiamo coltivarci il malessere, il lamento, l’insoddisfazione perché mette gli altri nella situazione di doversi interessare di noi, almeno quanto basta per compatirci, e noi al riparo da ogni obbligo. Certo, non stiamo ogni momento a pensare a questo, perché col tempo diventa un’abitudine e un modo di essere spontaneo. Anche perché chi si mostra troppo felice o soddisfatto sembra un po’ sciocco e superficiale, chi non si lamenta almeno un po’ appare persona di poco conto. Ma c’è da chiedersi: vale la pena vivere così? Vale la pena rifiutare la proposta di vivere nella gioia e con una luce che rischiari il cammino, piuttosto che nel grigiore di penombra di una vita sempre insoddisfatta?
Ma da dove viene questa gioia? Il profeta Isaia parla di una gioia che viene dalla mietitura e dalla spartizione di un bottino di guerra: “Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda.” E’ cioè una felicità che viene dall’aver seminato, con pazienza e tenacia, dall’aver coltivato, dissodato la terra ed estirpato le erbacce e dal poter ora finalmente godere dei frutti del lavoro compiuto. E’ la gioia che viene dall’aver combattuto per una buona battaglia contro la forza del male che schiaccia i più deboli, contro la rassegnazione che condanna tutto a restare sempre uguale, contro la tentazione dell’egoismo e della chiusura e finalmente di poter condividere il bottino di una vita liberata dal male e resa più buona.
Ma coltivare costa fatica e combattere è rischioso e gioire è allora qualcosa di troppo impegnativo, meglio restare nel limbo della tristezza insoddisfatta, senza coltivare nulla e senza dover lottare.
Il seme, ci dice il Vangelo, è la parola di Dio, che a Natale si è fatta carne, cioè è divenuta qualcosa che può essere incontrata, ascoltata e vissuta da tutti. E’ stata seminata nel terreno, anche noi l’abbiamo vista nell’umiltà della mangiatoia offrirsi a noi come una buona notizia: prima Dio era lontano e inconoscibile, ora è alla nostra portata, vicino e disponibile. Così lo incontrarono gli apostoli sulle rive del lago di Galilea, come una parole rivolta a loro, diretta e esigente: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini.” Senza mezze misure né preamboli rassicuranti, Gesù parla e chiede di seguire lui, non restare più fermi a riva ma prendere il largo. Lì ci sono i pesci, lì si può fare la pesca abbondante che sfama tanti e dona gioia. E’ vero, a riva è più sicuro e meno faticoso, ma vale la pena passare la vita a rassettare reti a stare curvi sulle proprie piccole cose, ad aggiustare i propri affarucci, senza mai prendere il largo e buttarsi negli orizzonti larghi della vita oltre me stesso?
Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni si fidarono di quella parola e il vangelo ci racconta come la conservarono come un seme prezioso gettato nella loro vita. Dissodarono il loro terreno dai sassi della durezza e dell’orgoglio, lo irrigarono con l’acqua buona della misericordia e del perdono, fino a giungere al tempo della mietitura in cui poterono godere della gioia dei frutti buoni. La loro fu una vita faticosa, sempre in viaggio e disponibile a venire incontro al bisogno dei fratelli e delle sorelle, ma fu una vita piena e felice, non lamentosa né triste. Seppero combattere la buona battaglia contro l’istinto egoista e il carattere difficile di ciascuno e alla fine ottennero come bottino di guerra una vita benedetta da Dio.
Perché non fare nostra questa prospettiva? La lamentela e l’insoddisfazione sono come una prigione: ci chiudiamo dentro per sentirci più riparati e sicuri, ma poi diventa una gabbia che ci toglie la libertà di essere felici. Accogliamo con gioia la liberazione che il Signore Gesù è venuto a portarci: possiamo sfuggire al destino triste e coltivare giorno per giorno una vita nuova: germogli di pace, semi di generosità, piante che diventano alberi capaci di dare ristoro e riparo a tanti. Facciamo nostra l’esultanza di Isaia: “hai spezzato il giogo che l'opprimeva, la sbarra che gravava le sue spalle e il bastone del suo aguzzino.” Sì, Dio ci libera dal giogo e la sbarra, dai colpi del bastone se noi con disponibilità ci innamoriamo di lui e della sua parola, più che di noi stessi e della nostra tristezza.
Preghiere
O Signore Gesù vieni e visita la nostra vita. Fa’ che ascoltando il tuo invito ti seguiamo docilmente come discepoli e figli obbedienti.
Noi ti preghiamo

O Signore che ci vieni incontro e ci rivolgi la tua parola fa’ che l’accogliamo come liberazione dal giogo pesante del nostro egoismo e orgoglio. Rendici capaci di conservarla e meditarla nel cuore come fece Maria.
Noi ti preghiamo

O Dio del cielo, tu che hai seminato con pazienza il seme buono della Parola nel terreno accidentato della nostra vita, aiutaci a dissodarlo dai sentimenti di ostilità e durezza per poter godere della gioia di una mietitura abbondante.
Noi ti preghiamo

Fa’ o Dio che non fuggiamo la fatica paziente dell’agricoltore e l’audacia del combattente per restare fermi e indifferenti al tuo invito. Sostieni il nostro impegno perché la nostra gioia sia moltiplicata e l’allegria pervada ogni momento della nostra vita.
Noi ti preghiamo
Proteggi o Padre buono ogni uomo e ogni donna che è fragile e indifeso: i poveri, i malati, gli anziani, i bambini, chi è senza casa e senza protezione. Tu che li conosci uno ad uno, ascolta il loro grido e rispondi alla loro invocazione.
Noi ti preghiamo

Ti invochiamo o Dio della pace per tutti i popoli in guerra. Per le nazioni sconvolte dalla violenza: la Tunisia, l’Albania, l’Afghanistan, l’Irak, la Terra Santa. Dona a tutti pace e salvezza.
Noi ti preghiamo.
Guida o Signore Gesù i passi di chi ti cerca e fa’ loro incontrare i discepoli del Vangelo. Aiuta il mondo intero a confidare in te e ad invocare il tuo Nome.
Noi ti preghiamo

Perdona o Padre buono le nostre colpe e cancella il nostro peccato, perché anche per nostra colpa il regno tarda a realizzarsi sulla terra. Fa’ che con fiducia e umiltà lavoriamo perché la nostra vita sia un terreno fertile per la pianta del Vangelo.
Noi ti preghiamo

giovedì 20 gennaio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XI incontro: La preghiera per l'unità dei cristiani


La settimana che va dal 18 al 24 gennaio è dedicata dalle chiese cristiane alla preghiera per l’unità.


E’ questo un risultato di un movimento che ha sempre più preso piede nelle Chiese cristiane in questo ultimo secolo e che viene chiamato “movimento ecumenico” perché ha come scopo quello di favorire il processo di riconciliazione e di unione fra Le Chiese e le comunità cristiane che attualmente vivono separate.

Le religioni nel mondo: un po’ di dati
I cristiani nel mondo sono complessivamente circa 2,1 miliardi, cioè il 33 % degli abitanti del globo, e sono così divisi: cattolici 1 miliardo circa (17,5% della popolazione mondiale); protestanti, e riformati circa 900 milioni (il 15,6% del totale); ortodossi delle varie chiese circa 250 milioni (3,6%); 275 milioni (6%) fra anglicani, antiche chiese orientali, battisti e pentecostali.
La religione cristiana è la più diffusa nel mondo, seguita dall'Islam, tra 900 milioni ed 1,4 miliardi, e all'Induismo, tra 850 milioni e 1 miliardo.

La storia
Fin dai primissimi passi delle comunità cristiane apostoliche (per intenderci ai tempi di Paolo e di Pietro) si profilano delle divisioni fra i cristiani: negli Atti si parla di divergenze di visione fra Paolo e la comunità di Gerusalemme, ma poi anche all’interno delle singole comunità alcuni discepoli vogliono imporre una loro dottrina ecc… Attorno ai principali centri in cui si sviluppa il cristianesimo (i cosiddetti 5 patriarcati di fondazione apostolica: Roma, Costantinopoli attuale Istanbul, Gerusalemme, Antiochia, Alessandria) si cominciano a creare delle tradizioni locali con il loro modo di pregare (i riti liturgici), dei caratteri differenziati di pensiero teologico e spirituale, in una parola un modo di essere cristiani vissuto in modo diverso, pur mantenendo l’unicità della fede in Dio, in Gesù e della Scrittura.
I problemi principali cominciano a sorgere attorno al IV secolo, quando si creano delle divergenze significative sul dogma cristologico, cioè su chi è Gesù, il suo ruolo e, soprattutto sul rapporto fra divinità e umanità nella persona di Gesù. Sorgono visioni sempre più divergenti e si riuniscono alcuni Concili in cui i vescovi, in rappresentanza di tutte le Chiese del tempo, discutono animatamente e giungono a produrre delle formule alle quali i cristiani devono aderire (il cosiddetto “Credo” che recitiamo ancora oggi). Chi non lo fa viene considerato eretico, che significa “separato”, e pertanto non più considerato come facente parte della comunità dei credenti.
Il processo storico ella definizione dei dogmi è pieno di conflitti, anche per le implicazioni politiche: basti pensare che i primi concili erano convocati, presieduti e controllati dall’Imperatore che vi partecipava di persona o tramite suoi delegati.
Nel 431 si svolge un importante concilio a Efeso, il terzo, vi parteciparono approssimativamente 200 vescovi e si occupò principalmente del nestorianesimo. L'unità della Chiesa era minacciata da un aspro dibattito che riguardava la persona e la divinità di Gesù Cristo. Si confrontavano due scuole: quella antiochena, capeggiata da Nestorio (Patriarca di Costantinopoli) e quella alessandrina, che vedeva alla testa il principale oppositore delle tesi di Nestorio, Cirillo di Alessandria. Connessa alla disputa su Gesù Cristo, vi era quella legata all'appellativo Theotòkos relativo alla Madonna: i nestoriani affermavano infatti che Maria era solamente Christotòkos, Madre di Gesù-persona e non Madre di Dio.
Le vicende tumultuose del Concilio portarono alla condanna di Nestorio, che fu deposto e dichiarato eretico, e la vittoria della posizione di Cirillo, che venne dichiarata l’unica “ortodossa”, cioè valida.
Questo concilio portò alla prima grande divisione di un ramo della Chiesa che è giunta fino ad oggi con il nome di “Chiesa Assira, o Nestoriana” che conta circa 400.000 fedeli. Essa riconosce la validità solo dei primi due concili Ecumenici (Nicea 325, Costantinopoli 381).
Nel 451 si celebrò il Concilio di Calcedonia che si occupò del problema del monofisismo, cioè del rapporto fra le due nature (umana e divina) di Cristo. Nel Concilio prevalse la posizione appoggiata dal vescovo di Roma Leone Magno, contro quella del vescovo di Alessandria. Sostanzialmente vi fu una incomprensione di natura terminologica: entrambi sostenevano la realtà delle due nature umana e divina in una unica persona, Gesù, ma mentre il primo sottolineava la coesistenza delle due nature, il secondo l’unicità della persona di Gesù, e per questo fu condannato come monofisita, erroneamente.
Si provocò così la seconda grande divisione e una importante fetta del Cristianesimo si separò definitivamente: i Cristiani Copti (egiziani), Etiopici ed Eritrei (“figli” dell’evangelizzazione alessandrina), Armeni, Siri.
Poi nel 1054 avvenne la grande divisione fra Occidente (Roma, mondo latino) e Oriente (Costantinopoli, mondo greco) con la reciproca scomunica e la grande divisione fra Cattolici e Ortodossi. Per motivi storici erano due mondi ormai non comunicanti: differenze di cultura, lingua (basti pensare che il greco era ormai pressoché sconosciuto in Occidente), sensibilità e politica avevano portato alla divisione di fatto dell’universo cristiano in due diversi mondi che da ora seguono due strade separate di sviluppo.
Infine nel XVI secolo avvenne l’ultima grande separazione: i Protestanti nel mondo tedesco e gli Anglicani in Inghilterra.

Cosa vuol dire “separati”
Di fatto tutte queste Chiese hanno continuato a camminare su “strade parallele” per tutti questi secoli, ignorandosi a vicenda o, più spesso, combattendosi, anche in modo cruento. Pensiamo ad esempio alle Crociate, durante le quali i cristiani orientali-ortodossi sono stati sterminati dagli eserciti occidentali-cattolici come nemici della fede. Per esempio Costantinopoli, sede del più importante Patriarcato orientale ortodosso, fu assediata, conquistata e saccheggiata nel 1204 con stragi fra la popolazione, per gran parte cristiana.
Nell’ultimo secolo l’atteggiamento è via via cambiato. Per la Chiesa Cattolica bisogna aspettare il Concilio Vaticano II per vedere sancito in modo ufficiale e solenne un nuovo atteggiamento nei confronti delle altre Chiese cristiane. Esso è caratterizzato da rispetto e amore (i non cattolici non sono più gli eretici da combattere come nemici, ma fratelli) e dall’esigenza di creare legami sempre più stretti di conoscenza reciproca e collaborazione per avviare un processo di avvicinamento in vista dell’unità.
Per avere un’idea del cambiamento di atteggiamento basti pensare che fino a prima del Concilio il principio cattolico che ispirava i rapporti con gli altri cristiani era quello dell’ “unione”. Cioè i cristiani non cattolici dovevano “tornare a Roma”, riconoscendo il loro errore e sottomettendosi all’autorità del papa, rinunciando definitivamente e pienamente ad ogni loro tradizione. Questo era stato il processo che nel XV e XVI secolo aveva portato alcune frange delle Chiese Ortodosse a unirsi con Roma, con il fenomeno del cosiddetto “uniatismo”. Un atteggiamento di sostanziale disprezzo e rifiuto dell’identità delle altre Chiese.
Dopo il Concilio si afferma invece il principio della ricerca dell’ ”unità”, cioè lo sforzo comune di avvicinamento in vista di una unità futura che si realizzerà nei modi che Dio indicherà. In questa prospettiva cammina il movimento Ecumenico di cui anche la Chiesa Cattolica fa parte attivamente, come testimonia questa settimana di preghiera.


La divisione fra le Chiese ha come ricadute pratiche:
• non comunione (impossibilità di ricevere i sacramenti, tranne il battesimo, per i non appartenenti alla Chiesa che lo impartisce);
• alcune differenze teologiche (ad es. con gli ortodossi la questione del Filioque);
• il ruolo del papa come pastore supremo della Chiesa (le Chiese ortodosse sono autocefale, quelle protestanti hanno una gerarchia di tipo democratico, con elezioni a tempo, ecc..):
Ma soprattutto vi sono le diffidenze e i pregiudizi che secoli di lontananza e lotta reciproca hanno generato e che sono degli ostacoli psicologici a volte ancora più grandi di quelli concreti.
Ad esempio gli ortodossi giudicano la Chiesa cattolica troppo immischiata nelle questioni temporali e lontana dall’essere spirituale ma tutta impegnata in una sorta di imperialismo e i protestanti come rivoluzionari nemici della tradizione; i protestanti giudicano gli ortodossi come pezzi da museo e i cattolici come conservatori maschilisti (per l’ordinazione ammessa solo per gli uomini) e antidemocratici; i cattolici giudicano gli ortodossi come presuntuosi e arretrati e i protestanti come libertari immorali e schiacciati sulle posizioni dei movimenti politici sinistresi ; ecc…
La realtà è che bisogna accettale la sfida di una complessità e varietà delle espressioni della fede cristiana che, anche se alcune sono magari meno positive, sono comunque nelle sue espressioni più genuine frutto di un cammino storico diverso e tentativi, più o meno riusciti, di incarnare la fede in contesti e culture diverse.

Che bisogno c’è dell’ecumenismo?
Il bisogno di unità fra i cristiani viene innanzitutto dall’invito di Gesù contenuto nel cap. 17 del Vangelo di Giovanni: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. … Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” (vv. 11; 20-21)
L’esigenza di unità è quindi innanzitutto richiesta per l’efficacia della testimonianza cristiana e della credibilità del Vangelo che noi annunciamo.
Nella storia più volte la divisione dei cristiani ha causato un indebolimento nei confronti del male: pensiamo al regime Nazista che in Europa ha potuto prendere il potere in modo così repentino e virulento anche perché i cristiani non hanno saputo fare fronte comune, pur essendo coscienti della sua pericolosità. Strategie politiche e logiche di convenienza hanno fatto prevalere una prudenza dei cristiani che non hanno saputo porre argine al dilagare del male nazifascista.
Ma pensiamo anche alla persecuzione dei cristiani operata dal regime comunista in Unione Sovietica: nel 1949 il regime sovietico iniziò una persecuzione contro la chiesa greco-cattolica abolendola di fatto e costringendola ad una forzata unione nell'ambito della Chiesa ortodossa. Solo nel 1980 la Chiesa cattolica recuperò la sua libertà di culto. La divisione fra le due Chiese lasciò più libertà al regime di perseguitare i cattolici, che ebbero mano più libera approfittando delle rivalità esistenti.
Ancora oggi davanti alle grandi sfide che il mondo moderno pone davanti ai cristiani la loro divisione indebolisce la forza dell’annuncio della salvezza di Cristo. Pensiamo ad esempio alla confusione generata dal fatto che in alcuni paesi le diverse Chiese celebrano la Pasqua in date differenti, causando lo scherno dei non cristiani che chiedono se Gesù è morto più volte e risorto più volte. Ma poi quante forze sono sprecate a diffidare, difendersi e magari rinchiudersi invece di essere usate per annunciare il Vangelo.
Davanti ad un mondo frammentato e individualista la testimonianza di cristiani divisi e in conflitto fra loro è spettacolo veramente deleterio, il contrario di quello di cui ci sarebbe bisogno.

Come vivere uno spirito ecumenico
Per tutti questi motivi è necessario coltivare un sentimento di amicizia e vicinanza con i nostri fratelli e sorelle cristiani di altre Chiese. In questi ultimi tempi poi il fenomeno dell’immigrazione ci ha portato in contatto con molti non cattolici provenienti soprattutto dall’est Europa, Etiopia Eritrea, Paesi a forte maggioranza ortodossa. Come fare?
Innanzitutto bisogna imparare a conoscere e rispettare i cristiani non cattolici: vincere l’ignoranza e i giudizi grossolani o infondati. Crescere nella stima e nell’apprezzamento per le tradizioni e i tesori di spiritualità di cui sono portatrici le altre Chiese.
Accogliere e sostenere quelli in difficoltà: pensiamo all’episodio in cui siamo stati accanto ai romeni qualche anno fa, durante il periodo di forte razzismo nei loro confronti.
Ma l’opera principale che possiamo e dobbiamo compiere è pregare perché siano superate divisioni e ristabilita l’unione a cui Gesù ci invita.

sabato 15 gennaio 2011

II domenica del tempo ordinario - Anno A 16 gennaio 2011




Dal libro del profeta Isaia 49, 3. 5-6
Il Signore mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra».

Salmo 39 - Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.
Ho sperato, ho sperato nel Signore, +
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1, 1-3
Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Alleluia, alleluia, alleluia.
Il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 1, 29-34
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».


Commento


Con la domenica di oggi la liturgia riprende, dopo il Natale e la festa del battesimo di Gesù, il cammino del tempo ordinario che si apre al ritmo abituale della vita di tutti i giorni. Eppure questo tempo non è un tempo banale e abitudinario, perché dopo Natale niente è più come prima: con la nascita del Signore il mondo non è più lo stesso, e come il mondo ha cominciato a contare gli anni a partire da quel giorno di 2011 anni fa, proprio per sottolineare che un nuovo capitolo si è aperto nella storia dell’umanità, così anche nella vita personale di ognuno di noi questo tempo apre un capitolo nuovo segnato dalla novità della presenza di Dio che si è fatto uomo per essere assieme di noi e dentro la nostra vita.
A questo proposito la liturgia di oggi ci propone la lettura del vangelo di Giovanni che, a differenza degli altri tre vangeli sinottici, segue un corso piuttosto originale nel riportare gli eventi dell’esistenza di Gesù. Anche per il Natale Giovanni non riporta la cronaca dei fatti che si svolsero a Betlemme ma piuttosto preferisce raccontare la venuta di Gesù nel mondo attraverso l’esperienza di Giovanni il battista che lo ha incontrato, riconosciuto e accolto sulle rive del Giordano.
In qualche modo l’evangelista ci insegna che ciascuno deve “far nascere” Gesù nel mondo accogliendolo e riconoscendolo nella sua vita. Gesù infatti viene ancora, e lo fa attraverso le vite di quanti lo ricevono e ne mostrano la presenza che rinnova tutte le cose.
Ma come si fa a riconoscere la presenza di Dio che viene? Sul Giordano infatti in tanti erano venuti a farsi battezzare da Giovanni, ma solo lui avverte in quell’uomo che china il capo la presenza di Dio. E’ una domanda fondamentale che apre questo tempo dopo il Natale, interrogativo che dobbiamo porci proprio perché la sua nascita non sia un evento relegato solo ad un lontano passato.
In qualche modo l’evangelista Giovanni ci indica alcuni tratti del Battista che ne fanno un uomo grande, perché capace di riconoscere la vicinanza di Dio alla sua vita.
Innanzitutto Giovanni è un uomo che non vive solo per se stesso, ma per preparare la strada all’altro, per questo può riconoscere e far spazio a Gesù. Sì, conoscere Gesù non è scontato né ovvio, per il battista stesso è stata “una conquista”, il risultato di un impegno, poiché ammette sinceramente che “Io non lo conoscevo”, ma aggiunge “sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”. Il suo impegno a predicare e invitare tanti a intraprendere, come lui per primo ha fatto, un modo di vivere rinnovato, a partire dal segno del battesimo con l’acqua, simbolo di purificazione e rinascita interiore, lo ha messo in grado di riconoscere la presenza di Dio che è il principio stesso del rinnovamento di ciascuno.
In secondo luogo Giovanni è umile e non fa fatica ad ammettere che colui che gli è di fronte è venuto prima di lui e sta avanti a lui, perché è il Figlio stesso di Dio. Per questo vede la colomba e la riconosce come un segno della presenza dell’amore di Dio e del suo Spirito santo. Per incontrare il Signore c’è bisogno di essere abbastanza umili da saper riconoscere attorno a sé la presenza di un amore più grande del nostro, gratuito e generoso, non essendo egocentricamente attenti solo a se stessi.
Cari fratelli e care sorelle, la Scrittura oggi ci invita a seguire l’esempio del battista perché anche noi diveniamo capaci di riconoscere Dio che si fa presente nella nostra vita. Iniziamo con lui il rinnovamento di una vita “pulita” da tante cose inutili e ingombranti, accogliamo il battesimo di pentimento sincero per tutto quello che non va nel nostro modo di essere e di fare. Se così faremo, come Giovanni, ci troveremo davanti a Gesù stesso che viene per incontrarci e sommergerci in un battesimo di Spirito, a farci cioè inondare da un amore più forte che supera anche la prospettiva di onestà e pulizia per entrare nella dimensione del dono di tutto se stessi per voler bene agli altri.
Il temo ordinario che si apre oggi è il terreno su cui vivere questa sfida, quella cioè che niente sia come prima e che un nuovo capitolo della nostra storia personale si apre in compagnia di Gesù appena nato in noi.


Preghiere


O Signore Gesù ti preghiamo di rinascere ogni giorno nella nostra vita, perché la tua presenza sia fonte di rinnovamento e di salvezza per ciascuno di noi.
Noi ti preghiamo


O Padre del cielo, manda il tuo Spirito a rinnovarci. Fa’ che ci pentiamo del male compiuto e sappiamo tornare a te per ricevere il battesimo di un amore che non finisce mai.
Noi ti preghiamo.



Come Giovanni sul Giordano dona anche a noi o Padre il privilegio di incontrarti umile e mite per riconoscerti Signore e Maestro della nostra vita
Noi ti preghiamo.


Nella confusione del mondo fa’ o Dio che sappiamo ascoltare la tuo voce che con potenza ci indica Gesù come il Figlio tuo amato, la via per giungere a te e la garanzia di una vita senza fine.
Noi ti preghiamo.


Fa’ che seguiamo o Dio l’esempio di Giovanni battista e anche noi viviamo per servire gli altri e aprire loro la strada per andare verso di te. Aiutaci a non inorgoglirci ma ad essere umili fratelli e sorelle di tutti.
Noi ti preghiamo.


Ti preghiamo o Padre buono di accogliere tutti coloro che affidano a te la loro vita. In particolare ti ricordiamo coloro che hanno lasciato questa vita terrena: i nostri cari, gli amici e tutti quelli che nessuno ricorda.
Noi ti preghiamo.


Ti raccomandiamo o Signore Gesù tutti coloro che soffrono: i poveri, i malati, i prigionieri e gli afflitti. Dona loro guarigione e salvezza.
Noi ti preghiamo.


Guida sempre o Dio i passi di coloro che annunciano il tuo nome e predicano il Vangelo. Fa’ che la loro vita sia protetta dal tuo amore e porti in chi li incontra i frutti buoni della conversione.
Noi ti preghiamo.

martedì 11 gennaio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - Incontro X – 12 gennaio 2011


Scuola del Vangelo 2010/11 - Incontro X – 12 gennaio 2011
La tavola di Natale con i poveri



Alcuni dati sulla cena di Natale del 4 gennaio:
160 ospiti
46 persone che hanno aiutato nella preparazione e realizzazione
22 fra negozi e ristoranti che hanno offerto gratuitamente il cibo

Vita di Tommaso da Celano (cap. XXX)
84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro. A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.


85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.


86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.Vi si manifestano con abbondanza i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.

Il racconto di quel primo presepio che Francesco di Assisi volle realizzare a Greccio nel 1223 mi sembra esprima bene quello che anche noi abbiamo vissuto qui a Santa Croce solo pochi giorni fa durante la Cena di Natale con i poveri del 4 gennaio.
Dicevamo nel nostro ultimo incontro che questa festa con i poveri era per noi come quel “segno” di cui parlano gli angeli che annunciano la nascita di Gesù: qualcosa di concreto che irrompe nella nostra vita portandovi la novità del Vangelo.
Anche noi, come Francesco abbiamo voluto “vedere con gli occhi del corpo” Gesù nascere fra di noi.
Ed in effetti così è stato.
Abbiamo visto e gustato lo spettacolo bello che anche a noi, come ai contadini di Greccio, ci si è riempito il cuore di gioia: “In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero.”

La semplicità evangelica: accogliere e voler bene è semplice perché è la verità umana di ciascuno che non si corazzi dietro paure e pregiudizi ma accolga e viva il Vangelo.


Si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà: si realizza quel misterioso legame fra poveri e umili (i ricchi che si fanno servitori, come Giovanni che pur essendo nobile si china su Francesco e sui poveri) che si confondono in un unico abbraccio di cui parla il profeta Sofonia: “Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero. Confiderà nel nome del Signore” (Sof. 3,12). Sono superate differenze e divisioni

Greccio è divenuto come una nuova Betlemme: è il privilegio di vivere la contemporaneità col vangelo, in questo caso col Natale: è come stringere il bambino fra le braccia, come fecero i pastori a Betlemme.

Questa notte è chiara come pieno giorno: chiarore di una visione bella che riempie il cuore e libera dal velo della tristezza egocentrica e delle tenebre dell’egoismo.

La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero: La felicità è di tutti quelli che contemplano nell’immagine della tavola di Natale con i poveri un’icona del vero Natale. E’ un mistero sempre nuovo: l’amore che viene vissuto non è mai qualcosa di scontato o ripetitivo, ma sempre ha il volto nuovo del fratello e della sorella amati, e anche noi, misteriosamente trasfigurati, siamo persone nuove, come non sapevamo di poter e saper essere.

il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato : Sì a Natale molti mettono in secondo piano Gesù che nasce bambino, e la tavola con i poveri invece ce lo ha risvegliato nel cuore.

Sono tanti i segni della straordinarietà di ciò che abbiamo vissuto, e dobbiamo un po’ ridirceli per non dimenticare e sminuirne la portata.

Innanzitutto il numero delle persone che sono venute, così ampio. E’ vero, ne aspettavamo di più e abbiamo apparecchiato la tavola per oltre 250 ospiti, quanti erano quelli previsti. Poi, per cause diverse, ne sono venuti di meno, ma sempre tanti. All’inizio ci sembrava impossibile accogliere così tante persone: non c’era il posto e nemmeno le forze. Era esattamente il doppio del numero che avevamo accolto negli anni precedenti! Chi di noi non ha pensato che era impossibile? Eppure siamo riusciti a preparare un posto per tutti, come si fa per una festa di famiglia. Perché per noi i poveri non sono un numero, ma volti concreti, e per l’amico il posto si trova anche a costo di faticare il doppio e aguzzare l’ingegno e la fantasia. Con la preoccupazione e le attenzioni perché ciascuno avesse un regalo, ci fosse il cibo adatto per i musulmani, la tombola per i bambini (e non solo), La tavola apparecchiata con cura e la bellezza degli ambienti, ecc… Non abbiamo risparmiato gli sforzi, né ci siamo accontentati di quello che capitava.

Poi mi ha colpito che la grande maggioranza di quelli che sono venuti sono conosciuti da più di 4 o 5 anni e vengono regolarmente a festeggiare il Natale con noi. Mi sembra che questo stia a significare l’emergere di una domanda di famiglia che sale dai poveri. In questo, lo dicevamo già l’altra volta parlando di Mario, essi ci precedono nel desiderio di veder realizzata la promessa evangelica del dono di una nuova, vera e bella famiglia per coloro che vogliono realizzare la volontà del Padre (cfr. Mt 12,50).

Infine vorrei con voi soffermarmi sul fatto che la tavola con i poveri realizza diverse immagini bibliche ed evangeliche: il banchetto preparato da Abramo presso le querce di Mamre (Gen 18), il banchetto del Regno (Lc 14, 12-24; Mt 22, 2-14).

Mamre
L’accoglienza a tavola dello straniero, che nell’antico Israele era una categoria di persone fra le più povere perché precarie e senza protezione, alla mercé di chi incontravano, realizza la presenza di Dio in mezzo a noi, come fu per Abramo, che ricevendo i tre misteriosi forestieri accolse i messaggeri del Signore, ritrovò la fecondità della sua vita rimasta fino ad allora sterile e poté esercitare quella sua opera di intercessione in favore degli abitanti di Ninive anche per la quale Abramo è ricordato come il giusto.
Tutto ciò si è realizzato anche per noi.
Il banchetto del Regno
Nel Vangelo più volte Gesù è attorniato a tavola da gente la più diversa: pubblicani, come ad esempio Zaccheo (Lc 19 “Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia”) o Matteo (Mt 9, 10), donne discutibili, come in Mt 26, 6-ss e Lc 7, 37-ss, farisei, ecc… tanto che viene giudicato un mangione e un beone (Mt 11, 19).
Però quando Gesù vuole offrire un’immagine del Regno di Dio propone quella di un banchetto pieno di poveri.

Disse poi a colui che l'aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».” Lc 14, 12-14

Colpisce la felicità (“sarai beato”) di chi prepara un banchetto per i poveri e che un po’ descrive anche quello che abbiamo provato anche noi nel farlo.
Allo stesso tempo però la descrizione del banchetto del Regno racchiude un contrasto molto forte: gli invitati benestanti rifiutano l’invito; i poveri accettano volentieri l’invito; lo sdegno del padrone di casa e l’esclusione definitiva dei primi invitati dal Regno. Questo contrasto di comportamenti e le sue gravissime conseguenze ci fa capire bene tutta la terribile serietà dell’atteggiamento di fronte all’invito di Gesù.
Gesù rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena». Lc 14,16-24

Mi colpisce che il rifiuto dei primi invitati è dettato dal possesso di cose (acquisto dei buoi e del campo) o da un senso chiuso di famiglia (ho preso moglie). Il Vangelo ci dice che l’attaccamento alle cose o a un senso chiuso dei rapporti familiari è alla base del rifiuto dell’invito. Potremo dire che sono le espressioni di una mentalità materialistica di cui parlavamo tempo fa: valore attribuito esclusivamente alle cose materiali, disprezzo per ciò che non ha un prezzo e un mercato, il privilegiare il proprio corpo ed essere asserviti alla soddisfazione dei suoi bisogni, ecc…
E’ come se accanto alla forza di questa icona santa si insinuasse in noi purtroppo anche la forza “normalizzatrice” del mondo che inesorabilmente vuole ridurre a banale un fatto che è invece, ci tengo a sottolinearlo, “straordinario” e “storico”. E’ la forza di una mentalità materialista che prova fastidio per ciò che realizza il Vangelo sovvertendo l’ordine naturale delle cose. Vedo questa forza agire soprattutto in alcune tentazioni:

abitudine (ormai è il sesto anno, non ci fa più stupire, siamo esperti e smaliziati).

egocentrismo (idea che non vengo messo sufficientemente al centro, non sono valorizzato, non ho abbastanza ruolo).

sopraffazione del “fare” sull’ “essere” (efficientismo, frettolosità, a discapito della cura del rapporto umano). ecc…

Evidenzio questi problemi non perché voglio sminuire la bellezza dell’evento accaduto, anzi, al contrario, per combattere con voi la forza del male che vuole far prevalere la nostra ordinarietà naturale sulla straordinarietà del Vangelo vissuto.

Questo ci fa dire che la cena di Natale cui abbiamo partecipato in vari modi non è stato solo un evento fra i molti, o una occasione privata di fare un po’ di bene, ma costituisce qualcosa di “straordinario” e “storico” rilevante per l’intera città e per il mondo, perché è stata una radicale contestazione del modo di vivere materialista del mondo e una imitazione, anche se pallida e imperfetta, di quel Regno che attendiamo impazienti. E questo vuol dire imporre una spinta alla storia in una direzione. Noi però, come dicevo prima, siamo tentati di sminuire questo valore “storico” relegando la cena nel capitolo delle “iniziative” che riguardano me che le ho vissute, ma invece bisogna dargli la centralità che merita: è un segno visibile e concreto del Natale, ed esso non lascia mai il mondo come era prima, e poi è la pregustazione di un regno in cui la prigione della materialità è vinta dalla forza dello Spirito.

E questo è il modo con cui i cristiani cambiano la storia: non con la forza delle armi, né col potere della politica o dell’economia, ma con la forza debole del Vangelo vissuto e reso concreto in mezzo agli uomini.

Festa del Battesimo di Gesù




Dal libro del profeta Isaia 42, 1-4. 6-7
Così dice il Signore: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento. Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».

Salmo 28 - Il Signore benedirà il suo popolo con la pace.
Date al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo.

La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza.

Tuona il Dio della gloria,
nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre.

Dagli Atti degli Apostoli 10, 34-38
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».

Alleluia, alleluia alleluia.
Si aprirono i cieli e il Padre disse:
«Questi è il mio Figlio amato: ascoltatelo».
Alleluia alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 3, 13-17
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».


Commento


Cari fratelli e care sorelle, il vangelo di Matteo appena ascoltato ci parla dei primi passi della vita pubblica di Gesù. Lo abbiamo lasciato bambino, scampato alla persecuzione di Erode, profugo in Egitto, nato in un luogo sconosciuto e periferico. Niente di questa storia ha del portentoso o del grandioso. Tutto è piccolo, semplice e umile. Lo abbiamo visto a Natale: Dio sceglie di nascere in una mangiatoia di animali, eppure tutti quelli che lo visitano, dagli umili pastori ai sapienti Magi venuti dall’oriente, chinano il capo e si sottomettono a lui come al loro Signore. E oggi lo troviamo a chinare lui il capo davanti a Giovanni per ricevere il battesimo in questo suo primo atto, dopo anni di vita normale, in cui si rivela la sua identità e lo scopo della sua venuta.
Dice il vangelo che Gesù “dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui”. E’ Gesù che si muove verso Giovanni, intraprende un viaggio per raggiungere il luogo dove lui stava. E’ la storia del Natale: Dio si fa vicino di sua iniziativa, accorcia le distanze, si incammina dal cielo per giungere fino a noi. È questo il fatto straordinario che si cela dietro l’ordinarietà dei fatti di Betlemme. E’ un fatto inaudito e mai visto che avviene dentro la vita normale di gente comune. È quello che Dio vuole fare con ciascuno di noi. Il vangelo infatti non è storia di gente straordinaria, eroi dello spirito o grandi per nascita o virtù innate. La straordinarietà viene dalla presenza di Dio che si fa così piccolo proprio per entrare nelle nostre umili vite. I cristiani infatti non sono diversi dagli altri, se non per il fatto che accolgono Gesù che vuole nascere nella loro vita, cioè animarla di uno Spirito nuovo e portarla su strade diverse dall’ordinario. A noi chiede solo di sottometterci a lui e accoglierlo come Signore, come fecero i pastori e i Magi.
Giovanni davanti a Gesù che gli si presenta con umiltà per chiedere il battesimo ha una reazione istintiva: “Giovanni però voleva impedirglielo”. Sì è vero lo fa per umiltà, con buona intenzione, ma comunque sia vuole impedire a Gesù di compiere quella che è la sua volontà. A volte anche noi abbiamo una idea bassa di noi stessi, ci sentiamo troppo piccoli per le imprese straordinarie che il Signore ci prospetta. Ci sentiamo umili, indegni e inadeguati per l’ambizione di divenire luce e sale della terra, e anche noi vogliamo impedire a Gesù di compiere attraverso di noi la missione per cui è stato mandato. Gesù esorta Giovanni a “Lasciar fare”, perché si compia ciò per cui lui è venuto sulla terra. Sì, invece di essere cedevoli con il mondo che ci impone i modelli e i comportamenti che egli decide cediamo piuttosto a Gesù. Infatti assai spesso l’uomo dioggi si vanta di vivere all’insegna dell’indipendenza e dell’autonomia e rifiuta di chinare il capo a Gesù per non sottomettersi a nessuno se non a se stesso, ma poi si ritrova schiavo di mille paure e pronto a fare mille compromessi per salvaguardare il proprio benessere e tranquillità. Il mondo lo sa e ci propone di rinunciare alla nostra libertà in cambio della sicurezza di un angoletto tranquillo.
Davanti a questo Gesù ci invita a non lasciar decidere al mondo cosa dobbiamo essere, ma di “Lasciar fare” a lui. Ogni volta che abbiamo accettato questo invito abbiamo sperimentato la forza di un amore che vince ogni paura e libera dalla schiavitù della tristezza e della rassegnazione.
Giovanni lascia fare a Gesù e si sottomette alla sua volontà. Il risultato di questa docilità è che una volta che Gesù è uscito dalle acque i cieli si aprono. Come nel Natale il cielo si è aperto a Betlemme sopra i pastori facendo vedere le moltitudini degli angeli salire e scendere, cioè mettere in comunicazione il mondo degli uomini con quello di Dio, così, di nuovo, il cielo si apre sopra Giovanni e Gesù sulle rive del Giordano. Il cielo non è più impenetrabile e chiuso. Il futuro si apre alla speranza e una nuova prospettiva si profila all’orizzonte dell’umanità. Dio parla con gli uomini, il suo volere non è più nascosto dalle nubi, il mistero è svelato, il volto divino non dà più la morte a chi lo vede, come era nell’Antico testamento, ma ha i tratti miti e umili di Gesù.
Spesso siamo noi stessi a chiudere il cielo che Gesù ha aperto con la sua nascita e manifestazione gloriosa sulle rive del Giordano. Siamo noi a dire che il nostro futuro è segnato, bloccato dalle scelte già fatte, segnato in modo irreversibile da ciò che il mondo ha voluto fare di noi. Da adulto come posso cambiare? La mia vita ormai è fatta. Ma anche a diciotto, venti anni, i giovani vedono il loro futuro bloccato dalla crisi economica, e hanno paura dei rapporti umani importanti perché hanno visto che troppo spesso essi portano, come fosse un destino ineluttabile, alla delusione e al fallimento.
Il vangelo del battesimo di Gesù vene oggi a dirci che no, il futuro non è bloccato e il cielo è aperto sopra di noi. Persino a Nicodemo, che era anziano, Gesù dice che sì, si può rinascere, se si rimane aperti allo Spirito che viene mandato dal Padre. Ed infatti lo Spirito scese su Gesù e inondò il Giordano e tutti quelli che vi si trovavano. A Natale lo Spirito si è diffuso nel mondo. Lo abbiamo avvertito pochi giorni fa qui a Santa Croce quando circa 200 poveri si sono riuniti per festeggiare la nascita del Signore Gesù. Uno spirito che spazza le paure e le incertezze di chi si lascia inondare da lui. Apre una nuova prospettiva, suscita una gioia grande in chi non rimane prigioniero dell’io e delle logiche piccole del protagonismo individuale.
Dio infatti si compiace quando qualcuno si sottomette a Gesù che vuole visitare la sua vita, non resiste e lo lascia fare. Una voce forte scende dal cielo e sovrasta il chiacchiericcio confuso e banale, il vuoto di significato di troppe parole inutili ed esprime la soddisfazione di Dio che vede raggiunto lo scopo della sua lunga storia di compagnia all’umanità: riuscire a stare con l’uomo, essere accolto come suo compagno e Signore.
Dopo le feste che si sono appena concluse, forse con un po’ di frastuono e confusione eccessivi questa è la prospettiva che si apre per il tempo che viene: far spazio nella nostra vita a Dio che è venuto per stare con noi e aprire il cielo chiuso dell’incomunicabilità e della chiusura a lui. Se lo faremo nella quotidianità della vita gusteremo anche noi quel compiacimento di Dio, gioia autentica e non passeggera, felicità di una vita libera dalle paure e riempita dall’amore di Dio.

Preghiere


O Signore Gesù che ti sei manifestato sulle rive del Giordano come il Figlio amato di Dio aiutaci ad accoglierti come Signore della nostra vita, perché seguendo il tuo esempio diveniamo anche noi miti e umili di cuore.
Noi ti preghiamo


Fa’ o Signore che siano vinti il nostro orgoglio e le resistenze del nostro cuore, perché con docilità accogliamo la tua parola e la mettiamo in pratica.
Noi ti preghiamo


O Dio del cielo, fa’ che i cieli si aprano sul capo dei tanti popoli che soffrono per la guerra e la violenza e l’angelo della pace annunci presto la fine di ogni conflitto.
Noi ti preghiamo


O Gesù che sei venuto per incontrare ognuno di noi da vicino aiutaci a non fuggire le occasioni che tu ci dai di conoscerti amico e fratello. Fa’ che ti riconosciamo quando ci parli nel Vangelo e ci suggerisci il bene da compiere.
Noi ti preghiamo


Guida e proteggi o Signore ogni uomo che rinuncia a fare il proprio interesse per cercare il vantaggio degli altri. Ispiraci le azioni buone perché le possiamo compiere.
Noi ti preghiamo


Consola o Padre di eterna bontà tutti coloro che sono nel dolore: i malati, i sofferenti, chi è senza casa e famiglia, i prigionieri, gli afflitti dalla violenza e dalla guerra. Dona guarigione e salvezza al mondo intero.
Noi ti preghiamo.


Fa’ o Padre buono che ogni uomo sia raggiunto dalla notizia della tua nascita. Perché il Vangelo di Natale sia annunciato a tutti e susciti in ciascuno la gioia sincera dell’incontro col Salvatore della propria vita.
Noi ti preghiamo


Proteggi o Dio tutti i cristiani che ovunque nel mondo sono perseguitati e soffrono per la violenza: in Irak, Egitto, India, Indonesia, Pakistan. Fa’ che presto il tuo nome sia ovunque amato e rispettato.
Noi ti preghiamo

giovedì 6 gennaio 2011

Cena di Natale - 4 gennaio 2011









Giovedì 06 Gennaio 2011

di LUCILLA PICCIONI

I banchi della chiesa di Santa Croce, a Largo Mazzancolli, hanno fatto posto ai tavoli da pranzo. Tovaglie rosse e stoviglie natalizie per far festa insieme, per condividere davvero lo spirito del Natale.
A tavola si sono sedute 200 persone, quelle che ogni settimana vanno in parrocchia per ricevere il pacco con dentro il cibo grazie al quale riescono a tirare avanti. Non si tratta solo di persone che hanno perso il lavoro ci sono anche molti anziani, quasi una trentina, che vivono nel centro storico e che con la loro pensione minima devono mantenere i figli e qualche volta anche i nipoti.



È il caso della signora ultranovantenne che nonostante l’età non può permettersi di pensare solo a se stessa: ha ancora in casa due figli e nessuno dei due è riuscito a trovare un lavoro. «La conosciamo da anni è una persona splendida ma purtroppo vive tra mille difficoltà», spiega il parroco di Santa Croce don Roberto Cherubini. Quello dell’anziana signora non è un caso isolato perché con la crisi spesso la pensione è l’unica entrata in famiglia. Succede anche in un paesino del ternano dove il nonno sostiene un famiglia con sette figli in cui il padre è bracciante agricolo stagionale. A Santa Croce si rivolgono non solo i parrocchiani ma anche persone che vivono nei paesi del ternano. «Si è sparsa la voce e la gente arriva a frotte», dicono i volontari. A cena l’altra sera c’erano anche due famiglie musulmane. Per loro menù a parte ma stesso calore e condivisione. Alla porta della parrocchia di Santa Croce bussano anche parecchie badanti. «Lavorano a Terni per sostenere le famiglie che si trovano nei loro paesi di origine quello che riescono a risparmiare lo mandano a casa. Spesso hanno storie terribili ed anche se in realtà hanno un tetto e cibo assicurato vengono sostenute ugualmente.
Il pacco della parrocchia, che si ritira il mercoledì pomeriggio, è l’unico sostentamento anche per una decina di ragazzi nessuno dei quali supera i venti anni che vivono sotto i ponti ternani. «Non ce ne accorgiamo della loro presenza anche se ci passiamo sopra. Loro stanno li, sotto ponte Allende, ponte Carrara», spiega Don Roberto. Le volontarie che collaborano in parrocchia sono attente a preparare per questi ragazzi pacchi particolari che non contengano cibi che vanno cucinati. «Solo cose pronte, scatolette, succhi di frutta, niente pasta o riso», spiegano.
La festa di Natale è stata possibile grazie alla solidarietà di tanti: i ternani che ogni mese riempiono senza lesinare i carrelli delle collette alimentari che vengono organizzate nei supermercati, i ristoratori delle vie che circondano santa Croce che hanno preparato le varie portate della cena ed offerto il vino, la Carit e la cassa di Risparmio dell’Aquila.
«Devo dire che non abbiamo dovuto penare per raccogliere cibo e solidarietà. La gente ormai ci conosce, si fida e se può aiuta. Anche questo per noi è importante creare sinergia e solidarietà vera», dice don Roberto.






II domenica del tempo di Natale




Dal libro del Siràcide 24,1-4.8-12
La sapienza fa il proprio elogio, in Dio trova il proprio vanto, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell'assemblea dell'Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria, in mezzo al suo popolo viene esaltata, nella santa assemblea viene ammirata, nella moltitudine degli eletti trova la sua lode e tra i benedetti è benedetta, mentre dice: «Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: "Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti" . Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l'eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità, nell'assemblea dei santi ho preso dimora».

Salmo 147 Il Verbo si è fatto carne e abita in mezzo a noi.
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun'altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini. 1, 3-6. 15-18
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. Perciò anch'io Paolo, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Gloria a te, o Cristo, annunziato a tutte le genti;
gloria a te, o Cristo, creduto nel mondo.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 1,1-18
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, torna a risuonare l’annuncio del Natale, come anche dicevamo ieri, e ci viene ripetuto a breve distanza dalla notte in cui il Signore Gesù è nato per la nostra salvezza. Non è inutile questa insistenza della Liturgia perché è facile che noi lo consideriamo un evento scontato e banale e lo accantoniamo con la stessa facilità con cui passiamo da un programma all’altro della televisione.
Il prologo di Giovanni che abbiamo ascoltato sottolinea fin dal suo esordio come all’inizio di tutto ci sia una Parola. Sì, la vita del mondo, di tutte le cose, nasce dal desiderio di Dio di comunicare, di non restare chiuso in se stesso, ma di aprirsi alla conoscenza. Conoscere e farsi conoscere dagli altri è presentata da Giovanni come l’essenza di Dio, il tratto caratteristico dominante di tutto il suo essere. E in fondo tutta la storia dell’umanità può essere letta come un progressivo e continuo farsi conoscere di Dio agli uomini, attraverso la storia, gli eventi, le parole, i fatti. Dio non sta nascosto, non si avvolge di mistero per rimanere sconosciuto, ma è la nostra miopia, la piccolezza della nostra prospettiva che ce lo rendono a volte lontano e inarrivabile. E il Natale in questo progressivo avvicinamento rappresenta una tappa decisiva: non solo Dio partecipa della vita degli uomini, ne ha compassione e si fa influenzare profondamente dalle sue vicende, ma ora diventa così vicino da farsi vedere, toccare, ascoltare.
Non sempre però le vicinanza di qualcuno alla nostra vita è un fatto accettato con gioia. Anzi i rapporti sempre più tendono ad escludere l’altro, accettato solo nel ruolo di comparsa sbiadita o di destinatario dei nostri sfoghi ed esibizioni di sé. Si fugge l’incontro con chi pretende di essere significativo, di avere un ruolo decisivo nel rapporto con me, di chi non si fa schiacciare nel ruolo di un oggetto da usare e gettare alla prima occasione. Ma Dio scende dal cielo e si fa uomo non certo per essere un oggetto di consumo, per confermarci nel pretendere di essere sempre al centro dell’attenzione e delle situazioni. Per questo Gesù il più delle volte è rifiutato. “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
Eppure c’è qualcuno che lo ha ascoltato riconoscendo in lui ciò che poteva dare luce e senso alla propria vita. L’apostolo Giovanni parla del battista come colui che: “venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.” Giovanni il battista seppe riconoscere di non essere lui la luce di se stesso, ma di dover indicare anche agli altri da dove aveva ricevuto la luce capace di orientare la sua vita, di darle un senso e una rilevanza non solo più per se stesso e basta, ma per folle di persone. Quella luce è Gesù, la Parola che si è fatta carne della nostra carne per essere più credibile e accettabile da tutti.
E a chi accoglie Dio nel suo sforzo di comunicare con noi, di parlarci e di significare qualcosa di importante per noi, dice l’evangelista Giovanni, riceve il potere di diventare figlio di Dio.
Ma come, ci chiediamo, non sono tutti gli uomini figli di Dio. Lo si dice come qualcosa di ovvio: “siamo tutti figli di Dio.” Il Vangelo però smentisce questa idea scontata e sottolinea come si diventa figli per scelta. Innanzitutto per scelta di Dio che si china su di noi, come un adulto fa per parlare con un bambino piccolo, annullando distanze abissali e differenze incolmabili, adottandoci come suoi figli. Ma poi anche per la scelta di chi accetta di farsi adottare e si sottomette alla paternità di un Dio buono ed esigente desideroso non di coccolarci come bambini viziati che vogliono essere sempre messi al centro dell’attenzione, ma come figli che devono crescere mettendo al centro lui e i fratelli.
E’ questo la dignità più grande a cui possiamo aspirare: essere figli di Dio, per sua scelta e per mia scelta, per un comune andarsi incontro che realizza oggi quell’incontro che all’inizio della storia, con la creazione, Dio ha desiderato e cercato.
Cari fratelli e care sorelle a Natale nasce il Signore Gesù, ma nasciamo anche noi, di nuovo, per divenire suoi figli. Non è naturale né scontato, ma è sempre il frutto di una scelta. La scelta di non essere figli di sangue né di carne, cioè di come siamo “naturalmente” figli della cultura e della situazione in cui nasciamo, ma figli della scelta che Dio ha fatto su di noi di amarci e farsi amare.

Maria Madre di Dio - 1 gennaio 2011



Dal libro dei Numeri 6,22-27
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

Salmo 66 - Dio abbia pietà di noi e ci benedica.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino, +
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati 4,4-7
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Dio ha parlato ai padri per mezzo dei profeti;
oggi parla a noi per mezzo del Figlio.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 2,16-21
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere". I pastori andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.


Commento


Cari fratelli e care sorelle, diverse volte in questi giorni abbiamo sentito risuonare l’annuncio della nascita del Signore. La notte di natale e poi il giorno successivo, e la domenica seguente. Ogni anno è così, questo annuncio si ripete, sempre uguale. Alle nostre orecchie rischia di diventare un ritornello ormai vuoto, una banalità che per avere rilevanza deve essere riempita di consumismo ed euforia per darci un po’ di gioia.
E’ la sorte alla quale spesso ai nostri giorni vanno incontro le parole.
Svuotate del loro significato profondo diventano vuote, dei simulacri inutili che non hanno più sostanza al loro interno. Pensiamo alle parole consumate dall’abuso che se ne fa in televisione, o nella pubblicità, le parole che sono prese dalla politica e stravolte.
Le parole sembrano sempre meno utili a comunicare, si è diffidenti delle parole, le si usano per ingannare o per mascherare il vuoto, ecc…
Troppo spesso le parole sono usate oggi più per allontanare gli altri che per avvicinarli a noi. Ed ecco che allora anche l’annuncio di Natale diventa una parola vuota che ci richiama immagini e concetti che non hanno nulla a che vedere con la nascita di Gesù e neppure con il contesto in cui essa avvenne.
Eppure i pastori nella notte di Betlemme diedero fiducia alla parola degli angeli e andarono a vedere cosa era accaduto. Nel buio del disorientamento e della paura, nelle tenebre che separano l’uno dall’altro come ombre che non hanno consistenza né personalità, è una parola, la Parola di Dio, che viene a illuminare la vita. E’ quello che sperimentiamo anche noi ogni volta che apriamo la Bibbia e ascoltiamo Dio che ci parla. Le sue parole non ingannano né nascondono la realtà, anzi la illuminano e portano uno squarcio di chiarezza nella confusione e nel disorientamento. Sono parole vere che parlano di noi e della vita senza finzioni. Chiama le cose col loro vero nome: il peccato è peccato e non uno sbaglio involontario; la gioia è gioia e non una soddisfazione passeggera; la vita è vita eterna, vita vera, vita senza fine e non vissuta alla meno peggio. Quante volte lo abbiamo sentito, abbiamo avvertito che quelle parole parlavano proprio di me, perfino conoscendomi meglio di me. Ma soprattutto sono parole che, come nella notte di Betlemme, che indicano una strada e aprono una prospettiva di una nuova vita che nasce. Questo significa Natale, parola troppo preziosa perché la lasciamo contaminare e svilire: una nuova vita nasce in chi si fida dell’annuncio dell’angelo.
Oggi anche noi, assieme ai pastori, siamo portati a fidarci, come bambini, delle parole dell’angelo che Dio vuole far giungere a noi. E andando ci accorgiamo che veramente quelle cose dette sono realtà: “I pastori andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.”
Sì, chi si fida della parola di Dio non cade in inganno e trova realizzato quello che essa annuncia, basta fidarsi e farsi guidare da lei. Ma noi preferiamo diffidare, abbiamo paura di una parola che illumina con una luce così forte che non lascia zone d’ombra nelle quali nascondersi e non permette di trafficare al buio ingannando se stessi e gli altri.
Quello che Dio dice è parola efficace: se viene accolta diventa vita vera. Pensiamo alle beatitudini o ai paradossi delle parabole di Gesù: sembrano assurdità, ma se solo proviamo a fidarci un po’ scopriamo tutta la forza vera che hanno quelle intuizioni ingenue da bambino.
E i pastori dopo aver incontrato la Parola che si è fatta carne sentono la necessità di riferire a loro volta le parole che hanno sentito e visto. Diventano cioè annunciatori del Vangelo di Natale: è una gioia troppo grande per potersela tenere solo per sé: qualcuno è nato, qualcosa di nuovo nasce nella vita di ognuno.
Fratelli e sorelle, chiediamoci oggi davanti alle Parole di Natale che abbiamo ascoltato oggi di nuovo, quale gioia io comunico agli altri? C’è un messaggio di bene, di felicità, di novità che sento così forte dentro me tanto da volerlo comunicare a mia volta?
Se questo non è vuol dire che il Natale è passato invano, è una data del calendario che si ripete senza significato.
Dobbiamo fare come Maria. Il vangelo dice che “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.” Sì, la madre di Gesù, il figlio di Dio, vede quelle cose straordinarie che accadono, ascolta le parole degli angeli e le acclamazioni di gioia dei pastori. Osserverà l’umile sottomissione dei Magi venuti da lontano. Ma tutte queste cose non sono vissute da lei e poi subito dimenticate. C’è bisogno che facciamo scendere nel cuore l’annuncio del Natale, perché vi rimanga. Ma spesso il nostro cuore è troppo pieno di altro e non ha spazio per il Natale, per l’annuncio degli angeli che la Parola di Dio ci fa ascoltare ogni domenica, per le visioni di bene che ci suggeriscono. I nostri occhi, le nostre orecchie, il nostro cuore sono troppo pieni di rumore, di immagini confuse, di pensieri e preoccupazioni inutili, tanto da non lasciare spazio alla gioia di qualcosa di nuovo che nasce. Per questo poi, davanti alle difficoltà della vita, non sappiamo dove trovare le parole e le risposte alle domande difficili, perché il nostro cuore è pieno di ciarpame, cose inutili che lo ingombrano.
C’è bisogno di fare un po’ di silenzio nel frastuono, di vedere con chiarezza le immagini del natale, di tenere vive la parole dell’angelo: “Ecco, è nato per voi un Salvatore” e la gioia e la pace del Natale non passerà con le feste del calendario ma resterà dentro e attorno a noi.


Preghiere


O Signore Gesù che ti mostri a noi bambino piccolo e indifeso, aiutaci a non avere paura della nostra debolezza e fragilità ma a confidare nel tuo aiuto per essere forti nell’amore e invincibili nella carità.
Noi ti preghiamo



O Dio Padre del cielo che ci hai mandato l’angelo della tua Parola ad annunciare la nascita del Salvatore, fa’ che ascoltiamo la sua voce e come bambini ci fidiamo di essa.
Noi ti preghiamo



Ti ringraziamo o Dio perché non ci fai mancare mai la tua Parola che in questa casa risuona forte e ci illumina e scalda il cuore. Aiutaci a tenerla viva dentro di noi come un tesoro a cui attingere ogni giorno.
Noi ti preghiamo



Come Maria, o Signore, fa’ che sappiamo vincere il rumore che riempie i nostri cuori e la confusione che li disorienta, per far spazio all’annuncio del Natale e alla gioia di una vita nuova che nasce dentro di noi.
Noi ti preghiamo



In questo primo giorno dell’anno ti preghiamo o Dio, dona la pace al mondo intero, riempi ogni terra dell’annuncio gioioso della fine della violenza, fa’ regnare la riconciliazione nella vita dei popoli e delle nazioni.
Noi ti preghiamo



Ti preghiamo o Padre misericordioso di benedire le nostre vite, quelle dei nostri cari, amici e parenti, quelle dei poveri, quelle di chi sta accanto a loro, perché questo anno che viene sia per loro colmo dei doni della tua misericordia e del tuo perdono.
Noi ti preghiamo.



Proteggi o Padre tutti i tuoi figli ovunque dispersi, specialmente coloro che soffrono per la persecuzione e la violenza: in Nigeria, in India, in Pakistan, in Terra Santa, in Indonesia e ovunque il tuo nome è ferito dalla mancanza di libertà e pace.
Noi ti preghiamo



Proteggi sempre o Padre misericordioso coloro che vivono e annunciano il Vangelo di Natale: fa’ che la nascita del bambino di Betlemme riempia le loro parole e le loro azioni della forza del suo amore.
Noi ti preghiamo