venerdì 22 aprile 2011

Pasqua di Resurrezione




Dagli Atti degli Apostoli 10, 34a. 37-43
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

Salmo 117 - Alleluia, alleluia, alleluia.
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».

La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési 3, 1-4
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

Alleluja, alleluja, alleluja
Cristo è risorto dai morti e non muore più
Egli ci attende in Galilea
Alleuja, alleluja, alleluja

Dal vangelo secondo Matteo 28,1-10
Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».



Commento


Cari fratelli e care sorelle, nei giorni scorsi abbiamo accompagnato il Signore nell’ultimo tratto del cammino della sua vita. Abbiamo vissuto in mezzo ad una folla concitata ed urlante, abbiamo visto la violenza di tanti, l’indifferenza degli altri, il calcolo opportunista, la paura di perdere il potere, ecc… I discepoli in mezzo a tutta questa agitazione sono stati come piccole barche sbattute dalla tempesta, sommerse da onde alte hanno cercato riparo nascondendosi. Il sabato, cioè oggi, abbiamo ascoltato dal Vangelo, ormai tutto si è compiuto: Gesù è stato ucciso e sepolto, non c’è più niente da fare.


Eppure due donne, solo loro, si ricordano di lui, vanno a cercare il suo corpo per un estremo saluto, per un gesto di affetto. Solo loro due se ne occupano, perché tutti gli altri forse lo ritengono un gesto inutile, una preoccupazione senza senso. Ma in fondo, fratelli e sorelle, l’amore non è sempre un gesto inutile e una preoccupazione senza senso? Lo hanno visto i discepoli di Gesù: ha passato una vita a compiere gesti di amore e cosa ne ha ricavato? L’ostinazione a voler bene fino alla fine, a non porre un limite al suo voler salvare gli altri lo ha rovinato. Se si fosse fermato in tempo, se si fosse preoccupato almeno un po’ della sua incolumità, se si fosse difeso con più forza ora non sarebbe finito così, nella tomba.


I discepoli non vogliono fare lo stesso sbaglio di Gesù: si sono nascosti, non corrono rischi facendosi scoprire con gesti inutili, come andare alla tomba: ci sono le guardie, potrebbero vederli e perseguitare anche loro come seguaci di Gesù.


Quelle due donne invece vanno a cercarlo, ingenue, imprudenti, sentimentali.


Quel loro gesto si rivela decisivo: diventano le prime testimoni di un evento che cambia la storia dell’umanità. Incontrano un angelo che annuncia loro la resurrezione di Cristo.


Un semplice gesto di umanità, la tenerezza ingenua, quella che appare un’attenzione inutile ed eccessiva è la loro salvezza, cambia la loro storia.


È quello che Gesù aveva cercato di far capire ai discepoli nell’ultima cena col gesto assurdo di lavare loro i piedi. Ora quelle donne applicano il suo comandamento: “Come ho fatto io, anche voi dovere farlo l’un l’altro”. Le donne si vogliono prendere cura del corpo di Gesù ferito e oltraggiato e lo ritrovano vivo e pieno di forza.


È quello che possiamo vivere anche noi: non giudichiamo inutile anche un piccolo gesto di amore, non crediamo che non valga la pena compierlo. Torniamo là dove sembra ormai essere stata detta l’ultima parola, dove tutto sembra inutile e anche un piccolo gesto sprecato. Proprio lì possiamo incontrare la vita vera, che non finisce, che si comunica e dà forza, quella del risorto.

Ma come si fa a non scoraggiarsi, davanti a certe situazioni? Come non ritenere superfluo, sprecato l’amore con certe persone, come si può non pensare che è meglio lasciar perdere e rinunciare? Come si può vincere la paura di essere giudicati e di rimetterci?


Sono le paure che bloccano i discepoli e li tengono lontani da Gesù. Lo dice l’angelo alle donne: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso.” È il loro tornare da Gesù, il cercarlo che le rende capaci di vincere ogni paura. Sì, se torniamo da Gesù, se non ci stanchiamo di ascoltare la sua parola, se non la riteniamo ormai scontata e vecchia, potremo vincere ogni paura e scoraggiamento. Troppo spesso noi riteniamo inutile tornare ad ascoltarlo, secondario cercarlo, una perdita di tempo chiedersi dove sia.


L’angelo ci guida: a quelle donne fa vedere la tomba vuota, Gesù non è dove si aspettavano di trovarlo, e indica invece loro dove andare per incontrarlo vivo, e mentre vanno, tutte felici e già col cuore pieno di speranza lo vedono e lo abbracciano.


Come i discepoli anche noi abbiamo bisogno che due donne deboli e ingenue ci annuncino che la morte non è l’ultima parola e non ha vinto su tutto, che Gesù è vivo e ci aspetta, là dove non ci aspetteremmo di trovarlo. Quelle due donne sono la carità e la speranza. La carità che è l’amicizia piena di affetto per chi è debole, e la speranza, che è la fiducia che si possa realizzare anche ciò che sembra impossibile. Sono due atteggiamenti di debolezza, femminili, non da capi né da gente riuscita e forte. Eppure sono loro che ogni domenica ci parlano dal Vangelo, ci indicano che sì, lo hanno visto vivo, che la vita ha vinto sulla morte, che si può vivere quello che Gesù ha insegnato e testimoniato con le sue azioni, che non lo hanno messo a tacere per sempre, che non è stato sconfitto.


Gli undici, lo vedremo meglio le prossime domeniche, ascoltano quelle donne, sulla loro debole parola superano la paura che li tiene vinti in schiavitù e anche loro vanno verso la tomba vuota per fare esperienza della forza della resurrezione.


Fratelli e sorelle, seguiamo anche noi le indicazioni che ogni domenica la carità e la speranza ci danno da questo luogo dove zampilla la loro fonte. La loro è acqua viva che disseta e dà forza, non riteniamole fantasie infantili e poco adatte alla realtà. La vita del risorto è più vera di quella dello schiavo della paura, perché è piena di forza e non finisce, realizza il sogno di Dio di rendere ogni uomo libero e felice.


È l’annuncio che riceviamo oggi e ogni domenica, è l’esperienza che facciamo ogni volta che ci fidiamo ingenuamente della Parola di Dio e la viviamo in pratica, è il segreto che questa notte viene confidato nel buio perché l’alba di un giorno nuovo e di una storia nuova si apra sul nostro orizzonte e su quello del mondo intero.


Preghiere


O Signore nostro Gesù Cristo, ti ringraziamo perché torni da noi con la forza della Resurrezione e ci doni la speranza che la vita vince sulla morte e non finisce. Aiutaci ad avere sempre fiducia in te e a non abbandonarti mai,
Noi ti preghiamo

Riempi o Signore della forza della Resurrezione i nostri cuori, spesso sfiduciati e avari di amore. Manda il tuo angelo santo ad indicarci la via per incontrarti vivo e vittorioso,
Noi ti preghiamo



O Dio del cielo, troppo spesso noi siamo stati spaventati e delusi ed abbiamo smesso di credere che il tuo amore possa vincere ogni nemico e superare ogni ostacolo. Ti preghiamo, perché rafforzati dall’annuncio della Resurrezione impariamo da te la tenacia e la perseveranza del voler bene al di là di ogni ragionevolezza,
Noi ti preghiamo

Donaci di incontrare ogni domenica, o Dio del cielo, la carità e la speranza alla fonte inesauribile del Vangelo. Fa’ che siano nostre compagne nel cammino di ogni giorno,
Noi ti preghiamo

Aiutaci o Padre misericordioso ad obbedire al tuo comando di lavare i piedi a chi ci è vicino, per curarne le ferite e alleggerirne il peso. Fa’ che possiamo adempiere alla promessa che non si perda nessuno di quelli che tu ci hai affidato,
Noi ti preghiamo

Cura col tuo affetto infinito, o Dio, le piaghe di chi è nel bisogno e soffre per la malattia e la violenza. Proteggi chi è in pericolo, guida chi è disperso, dona pace a chi è in guerra. Risana tutta l’umanità sofferente,
Noi ti preghiamo.

Ti preghiamo o Dio del cielo per il nostro papa Benedetto e tutti quelli che con lui annunciano il Vangelo della resurrezione ai popoli della terra. Fa’ che la loro esistenza sia una predicazione del tuo amore che vince la morte e dona la vita che non finisce,
Noi ti preghiamo


Guida e proteggi o Padre clementissimo tutti i tuoi figli ovunque nel mondo e radùnali in questo giorno di Pasqua attorno alla tuo sepolcro vuoto. Fa’ che la gioia della resurrezione li renda forti nell’amore e invincibili nella gioia,
Noi ti preghiamo


Venerdì santo - Celebrazione della Passione e adorazione della S. Croce



Dal libro del profeta Isaia 52, 13 - 53, 12
Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli.

Salmo 30 - Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso;
difendimi per la tua giustizia.
Alle tue mani affido il mio spirito;
tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele.

Sono il rifiuto dei miei nemici
e persino dei miei vicini,
il terrore dei miei conoscenti;
chi mi vede per strada mi sfugge.
Sono come un morto, lontano dal cuore;
sono come un coccio da gettare.

Ma io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio,
i miei giorni sono nelle tue mani».
Liberami dalla mano dei miei nemici
e dai miei persecutori.

Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia.
Siate forti, rendete saldo il vostro cuore,
voi tutti che sperate nel Signore.

Dalla lettera agli Ebrei4, 14-16; 5, 7-9
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno. Cristo, infatti, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Lode a te o Signore, re di eterna Gloria
Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.
Lode a te o Signore, re di eterna Gloria


Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni
Vangelo Gv 18,1-19,42

C In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: X «Chi cercate?». C Gli risposero: F «Gesù, il Nazareno». C Disse loro Gesù: X «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. C Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: X «Chi cercate?». C Risposero: F «Gesù, il Nazareno». C Gesù replicò: X «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», C perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: X «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

Lo condussero prima da Anna
C Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: A «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». C Egli rispose: D «Non lo sono». C Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: X «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». C Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: « A Così rispondi al sommo sacerdote?». C Gli rispose Gesù: X «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». C Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: A «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». C Egli lo negò e disse: D «Non lo sono». C Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: A «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». C Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: A «Che accusa portate contro quest’uomo?». C Gli risposero: F «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». C Allora Pilato disse loro: A «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». C Gli risposero i Giudei: F «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». C Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: A «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: X «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». C Pilato disse: A «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». C Rispose Gesù: X «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». C Allora Pilato gli disse: A «Dunque tu sei re?». C Rispose Gesù: X «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». C Gli dice Pilato: A «Che cos’è la verità?».

C E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: A «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». C Allora essi gridarono di nuovo: F «Non costui, ma Barabba!». C Barabba era un brigante.

Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: F «Salve, re dei Giudei!». C E gli davano schiaffi.

Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: A «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». C Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: A «Ecco l’uomo!».

C Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: F «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». C Disse loro Pilato: A «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». C Gli risposero i Giudei: F «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

C All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: A «Di dove sei tu?». C Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: A «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». C Gli rispose Gesù: X «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

Via! Via! Crocifiggilo!
C Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: F «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». C Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: A «Ecco il vostro re!». C Ma quelli gridarono: F «Via! Via! Crocifiggilo!». C Disse loro Pilato: A «Metterò in croce il vostro re?». C Risposero i capi dei sacerdoti: F «Non abbiamo altro re che Cesare». C Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: F «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». C Rispose Pilato: A «Quel che ho scritto, ho scritto».

Si sono divisi tra loro le mie vesti
C I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: X «Donna, ecco tuo figlio!». C Poi disse al discepolo: X «Ecco tua madre!». C E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: X «Ho sete». C Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: X «È compiuto!». C E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.




Commento

Una luce livida illumina questo pomeriggio. È la luce delle lanterne che i soldati portano con sé mentre vanno ad arrestare Gesù. Il buio avvolge Gerusalemme, e isola Gesù e i dodici nella solitudine più nera. Poco prima, durante l’ultima cena mangiata in loro compagnia, aveva provato ad illuminare quei suoi discepoli spaventati e disorientati indicando loro una strada, quella del servizio affettuoso per i fratelli offrendo tutto se stesso, corpo e sangue, per incoraggiarli e guidarli, e lavando loro i piedi per dare il suo esempio da imitare.


Ma ora di nuovo sono al buio.


Ciascuno è con i suoi pensieri: Giuda si sta preparando per portare a compimento il suo piano di tradimento; Pietro stringe fra le mani la spada nascosta con cui si prepara a difendersi; ognuno rimugina fra sé recriminando, forse pensano al momento in cui hanno seguito Gesù: chi avrebbe immaginato che si sarebbero trovati in questa situazione di così grande pericolo?


Per Gesù invece l’ora del buio è l’ora della preghiera. Non recrimina, non stringe nella mano una spada, ma cerca nel Padre il conforto e la forza per essere all’altezza del momento difficile. Le sue parole nell’orto degli ulivi, che conosciamo dal vangelo di Matteo, rivelano tutto il suo rifiuto della morte imminente “Padre mio, se possibile, passi via da me questo calice!”. Gesù, come anche i discepoli, è spaventato e angosciato “La mia anima è triste fino alla morte” aveva detto loro, ma il Signore non rimane da solo con i suoi pensieri, cerca la compagnia dei discepoli “restate qui e vegliate con me”, e si affida al Padre “se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà” (Mt 26).


In fondo gli undici e Gesù, tutti loro, andavano incontro allo stesso pericolo di morte. Tutti sapevano di rischiare la vita. I primi però cercano la loro salvezza nella forza delle armi da usare contro gli altri o nella recriminazione e nell’autocommiserazione. Gesù invece si affida a Dio da cui sa che può venire la forza e il senso alla sua sofferenza. Ma in fondo, ci chiediamo oggi davanti alla Passione del Signore, la condizione di quei dodici uomini avvolti dal buio nell’orto degli ulivi, non è la condizione di ogni uomo e donna avvolti nel buio dell’incertezza e dell’ignoto? Non abbiamo anche noi una sola certezza, quella di andare incontro alla morte che attende ogni essere umano alla fine della sua esistenza? Sì, noi possiamo fare finta di niente, rimandare, allontanare il pensiero della morte come qualcosa di indefinito e lontano, ma oggi il Vangelo della Passione ce lo pone di fronte con forza: anche tu sei come i discepoli e Gesù, in cammino verso la morte.


Il Vangelo getta luce su questa realtà della nostra vita, non solo perché ce la ricorda, ma anche perché ci indica come affrontarla: gli undici, come dicevo, lo fanno affidandosi alla propria forza (le armi, la recriminazione, ecc..) oppure affidandosi al sonno (cioè facendo finta di niente), Gesù invece cerca in Dio Padre il senso del suo andare incontro a quel destino che non ha cercato, ma che sa essere al fondo della sua strada. Trova il senso di quelle ore che lo attendono nel desiderio non di salvare se stesso, ma di salvare gli altri che Dio gli aveva affidato come missione della sua vita. Lo vediamo subito dopo, quando arrivano le guardie ad arrestarlo, guidate da Giuda. Non arretra né fugge, ma va incontro al suo destino perché sa che solo così si compie il disegno di salvezza del Padre: “Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. … «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato».” Davanti ai soldati che lo stanno arrestando Gesù si preoccupa che si salvino quelli che sono con lui. Il desiderio estremo del Signore è che si compia la Scrittura: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato”.


Possiamo dire altrettanto di noi? Possiamo dire che questo è il nostro desiderio e il senso del nostro vivere, cioè preoccuparci che non si perda nessuno di quelli che Dio ci affida, facendoceli incontrare nel cammino della nostra vita? Il Signore va incontro alle guardie e al suo destino non perché è sprezzante del pericolo, ma perché vuole salvare quelli che Dio gli ha dato. È quello che mostra durante tutto il racconto della Passione: non ritratta i suoi insegnamenti davanti ai capi dei giudei che lo accusano ingiustamente, non fa compromessi con Pilato che gli dice: “Sai che io ti posso salvare?” perché non vuole salvare se stesso ma gli altri, perdona a quelli che lo crocifiggono “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, affida Maria e Giovanni l’uno all’altro perché si aiutino e si sostengano nell’ora della difficoltà.


Fratelli e sorelle, Dio a chi nell’ora del buio gli si rivolge con fiducia dona la forza e la capacità di divenire realizzatori del suo disegno di salvezza per non far “perdere nessuno di quelli che ci ha affidato.” I discepoli forti della propria forza non glielo hanno chiesto nell’orto degli ulivi, sicuri di farcela da soli dormivano, ma poi sono tutti scappati e hanno abbandonato Gesù.
Questa sera anche noi siamo invitati a fermarci col Signore nel giardino degli ulivi che è questa casa. Ci chiede di vegliare con lui e di chiedere a Dio aiuto, perché “lo spirito è pronto ma la carne è debole” (Mt 26,41).


Anche noi poveri uomini e povere donne, deboli nella carne e incamminati verso una vita che finisce chiediamo a Dio con fede e insistenza che ci doni la forza di compiere la missione che ci è affidata: difendere la vita di chi incontriamo, proteggere l’indifeso, sostenere il debole, salvare non noi stessi ma gli altri. È l’unica via che il Signore ci mostra per vivere non schiavi della paura aggressiva e violenta ma felici nella certezza di vedere anche la nostra vita, come quella di Gesù, risorgere e non finire più.

mercoledì 20 aprile 2011

Giovedì santo Messa in Coena Domini e Lavanda dei piedi




Dal libro dell’Èsodo 12, 1-8. 11-14
«Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne”».

Salmo 115 - Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.
Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.

Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.

A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo.

Dalla prima lettera di S. Paolo apostolo ai Corinzi 11, 23-26
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

Lode a te o Signore, re di eterna gloria!
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Lode a te o Signore, re di eterna gloria!

Dal vangelo secondo Giovanni 13, 1-15
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».



Commento



Cari fratelli e care sorelle, oggi ci siamo radunati nella casa del Signore per ricevere ancora una volta l’annuncio del Vangelo della passione di Gesù. Lo facciamo nel cuore di questa giornata che apre la celebrazione solenne del Triduo pasquale, cuore della nostra fede. Sì, la salvezza degli uomini, la mia salvezza personale, la salvezza del mondo intero si gioca in questi giorni in cui siamo chiamati a rivivere le ultime giornate di Gesù prima della sua gloriosa resurrezione. Non sono giorni banali, anche se fuori tutto vuole dirci il contrario. Il mondo prova fastidio per ciò che è decisivo e che pone davanti alla necessità di scegliere e decidere. La vita ordinaria vuole trascinarci nella banalità di giornate tutte uguali e grigie, ma le Liturgie del Triduo pasquale ci strappano da questa schiavitù della normalità scontata per richiamarci alla decisività dei fatti accaduti in queste giornate.


Questo ultimo tratto di strada di Gesù verso la croce e il sepolcro vuoto della Resurrezione si apre con una affermazione forte: “Gesù … avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.” È il punto di partenza di tutto, è ciò che viene prima di tutto. Dio ci vuol bene, Dio compie il primo passo verso di noi, Dio non attende da lontano, ma si fa vicino e ci cerca. Lo abbiamo visto a Natale, quando i cieli si sono squarciati e il Figlio di Dio si è fatto uomo per stare con noi e attirarci a lui.


Non basta dire questo?


C’è un senso di scontatezza che consuma le parole e le idee. Sì, Dio ci ama, lo sappiamo, che bisogno c’è di ripeterlo? Il consumismo materialista della nostra cultura non solo ci spinge a ritenere vero solo l’amore che si tocca e si vede, e questo è ancora accettabile, ma esige che ci siano continue conferme, perché quella del giorno prima già si è esaurita. Come bambini insicuri e psicologicamente fragili esigiamo con prepotenza che ogni momento Dio ci segua, ci ascolti, ci esaudisca, si preoccupi di noi, più e meglio di quanto già faccia e ha fatto in passato. Bambini capricciosi, pronti a fare il broncio se le cose non vanno come ci aspettiamo, a sentirci offesi se le nostre esigenze non sono prese in considerazione come pretendiamo.


Con questo spirito, come quei discepoli, ci siamo riuniti in questa casa. Preoccupati, scontenti, spaventati, chi non ha motivo per esserlo? È questo quel germe di tradimento di cui parla il Vangelo: “Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo,…” la preoccupazione per sé, la scontentezza lamentosa, la paura degli altri e del futuro, sono quel germe di tradimento latente in fondo al cuore che, anche se non sfocia in gesti eclatanti o dichiarazioni di principio, come d’altronde anche in Giuda, pone con forza i motivi di diffidenza e di distanza fra me e Gesù.


Il Signore lo sa, ci conosce, conosce i suoi discepoli e Giuda. Li vede tutti presi da se stessi, difensivi, litigiosi, già con la spada nascosta sotto il vestito, pronti a tirarla fuori al momento del suo arresto. Li vede scontenti perché si sono affidati a lui e ora quel Maestro si sta rivelando per quello che è veramente: un imprudente e imprevidente, nel migliore dei casi un illuso, di certo uno sconfitto e un perdente. Avevano fatto tanto per lui e ora come li ripaga di tanti sforzi e sacrifici? Tutti si preoccupano di sé, recriminano, rimpiangono, litigano, nessuno si preoccupa di Gesù, l’unico che in quelle ore meriterebbe la pietà e la compagnia dei dodici.

Questa è anche la nostra realtà che, come dicevamo domenica scorsa, il Vangelo della Passione di Nostro Signore mette a nudo in ognuno di noi. Anche noi siamo preoccupati per noi e pronti a difenderci aggredendo, delusi e spaventati.


Chi si preoccupa di Gesù che sta per morire?


Il Signore lo sa. Per questo inizia proprio da ciò che è il fondamento del suo essere insieme ai dodici, del suo stare insieme a noi: il fatto di volergli bene. Lo dimostra con un gesto straordinario e inatteso: gli lava i piedi.


Un gesto strano, un gesto estremo, eccessivo. Forse, ma è il tentativo disperato di un moribondo di farsi capire dai suoi. Pietro è seccato, e bruscamente scosta Gesù da sé: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!” Non capisce quel gesto, non capisce l’ostinazione di Gesù a voler bene mentre è l’ora di farsi duri e mostrare, finalmente, un volto accigliato e violento.


La differenza è che quei discepoli sono schiavi della preoccupazione per sé, per questo nemmeno accettano di essere voluti bene, mentre Gesù è tutto preoccupato per loro.


È quello che accade a noi: preoccupati per noi stessi rifiutiamo i gesti e le parole di amore di Gesù: che me ne faccio, con tutto quello a cui devo far fronte, ben altro mi ci vuole! Questo pensiamo scostando bruscamente da noi le parole, i gesti, i sentimenti di Gesù dalle nostre giornate.


Ma l’insistenza dolce del Signore vince anche l’ostinazione di Pietro. Gesù capisce che tanta durezza, antipatia, arroganza e aggressività è proprio il frutto di questo suo essere preoccupato solo per sé. È come una prigione che lo rende scontento e lo agita. E Pietro, come uno con le mani legate dietro la schiena scalcia per liberarsi e colpisce proprio chi gli si fa più vicino. È quello che facciamo anche noi con Gesù: scontenti e spaventati scostiamo bruscamente proprio l’unico che ci si fa vicino con amore.


Per questo, dopo aver dato l’esempio, Gesù libera i suoi dal legame che li imprigiona dentro una condizione di impotenza e rabbia. Gli dice: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”.


La vera salvezza, dice il Signore, l’unica via di fuga dalla schiavitù che li incatena alla paura aggressiva non sono le spade che nascondono, non è coltivare sentimenti di delusione e lamento, ma è intraprendere con decisione la via della preoccupazione sollecita per l’altro, fino a chinarsi ai suoi piedi per lavarglieli.


Fratelli e sorelle in questo prima tappa del Triduo pasquale Gesù ci vuole liberare dalla nostra fissazione su noi stessi, per indicarci l’amore e l’amicizia per gli altri come via di salvezza. È il suo gesto di amore più grande. È la salvezza che ci vuole donare.


Non rifiutiamolo, come fece Pietro, con un gesto brusco: “sono tutte sciocchezze, so io come ci si comporta”. Non rifiutiamolo nemmeno come qualcosa di scontato, parole vuote, ripetute per una pia abitudine. Gettiamo via le spade nascoste sotto gli abiti della normalità abitudinaria e chiniamoci invece umilmente sui piedi di chi incontriamo. Li troveremo sgradevoli, sporchi e antipatici, ma se ci preoccuperemo di lavarli con il nostro affetto amico troveremo la gioia a cui il Signore ci chiama e la vita vera che egli ci dona.




Preghiere


O Signore che ti chini a lavarci i piedi, non sdegnarti per la pesantezza dei nostri passi, resi lenti dall’amore per sé, ma aiutaci a liberarli per andare incontro al fratello,
Noi ti preghiamo

O Signore Gesù che ci lasci l’eredità preziosa della lavanda dei piedi, fa’ che seguendo il tuo esempio diveniamo servitori umili e solleciti del prossimo,
Noi ti preghiamo

Perdona o Padre del cielo l’insensibilità dei nostri cuori, ripiegati su noi stessi e incapaci di guardare il volto di Gesù nella Passione. Aiutaci a farci suoi compagni fino a scoprirne la tomba vuota,
Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Signore per il dono del tuo corpo e sangue che ci lasci per sempre come nutrimento del corpo e dello spirito. Fa’ che lo accogliamo con gratitudine e venerazione,
Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Dio del cielo per tutti coloro che qui sulla terra condividono la via dolorosa del tuo Figlio Gesù. Per i poveri, i malati, i migranti, chi è senza casa e famiglia. Tu che hai preso su di te il peso del loro dolore aiutaci a farcene anche noi carico con pietosa misericordia,
Noi ti preghiamo

Perdona o Signore Gesù tutti coloro che con cinismo e indifferenza chiudono la porta al fratello nel bisogno. Fa’ che il Vangelo della Passione possa intenerire i cuori induriti e scaldare gli animi freddi,
Noi ti preghiamo.


Guida e proteggi o Dio Padre Onnipotente coloro che nel mondo si raccolgono attorno alla tua mensa eucaristica, perché come tuoi figli fedeli sappiano essere fratelli e sorelle di tutti,
Noi ti preghiamo


Ispira o Signore le parole e i gesti del nostro papa Benedetto perché tocchi i cuori con la Parola della tua salvezza,
Noi ti preghiamo


domenica 17 aprile 2011

Domenica delle palme



Dal libro del profeta Isaia 50,4-7

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.


Salmo 21 - Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?

Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,

storcono le labbra, scuotono il capo:

«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,

lo porti in salvo, se davvero lo ama!».


Un branco di cani mi circonda,

mi accerchia una banda di malfattori;

hanno scavato le mie mani e i miei piedi.

Posso contare tutte le mie ossa.


Si dividono le mie vesti,

Sulla mia tunica gettano la sorte.

Ma tu, Signore, non stare lontano,

mia forza, vieni presto in mio aiuto.


Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, +

ti loderò in mezzo all’assemblea.

Lodate il Signore, voi suoi fedeli,

gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,

lo tema tutta la discendenza d’Israele.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 2,6-11

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.


Lode a te o Signore, re di eterna gloria!

Per noi Cristo si è fatto obbediente

fino alla morte di croce.

Lode a te o Signore, re di eterna gloria!


Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo

Mt 26,14 – 27,66


Commento

Cari fratelli e care sorelle, con questa domenica si apre la settimana santa di passione morte e resurrezione del Signore Gesù. E’ un tempo santo perché siamo chiamati a rivivere in prima persona i momenti più importanti della vita del Signore. Le liturgie di questi giorni infatti ci danno un grande privilegio: essere contemporanei di Gesù e stare in sua compagnia in queste ore difficili. Per questo è necessario in questa settimana non farsi vincere da un senso scontato e banale, dall’abitudine o, peggio, dall’affanno per le cose da fare. Solo una cosa c’è da fare e ha la priorità assoluto: stare assieme a Gesù nell’ora del dolore e dell’abbandono. Oggi abbiamo cominciato questo cammino accompagnando Gesù mentre entra in Gerusalemme fra due ali di folla festosa. Tutti lo esaltano e vogliono farlo re! La folla prende dei rami e li agita per esprimere la loro gioia. Anche noi abbiamo ripetuto quel gesto, e nelle nostre mani abbiamo un ramo di ulivo a significare che anche noi lo abbiamo visto entrare trionfalmente. Siamo stati presenti nel momento del successo e della festa. Anche noi abbiamo gioito. Ma tante volte la nostra felicità assomiglia ad una ubriacatura: è facile entusiasmarsi, come è altrettanto facile intristirsi, restare delusi, divenire aggressivi. Sì la nostra vita spesso è preda degli umori, delle infatuazioni passeggere, delle passioni del momento, poiché tutto ruota attorno a se stessi ed al piccolo mondo fatto delle abitudini e degli scenari limitati entro i quali si svolge la nostra vita. La Settimana Santa viene ad aprire un grande squarcio nell’orizzonte stretto in cui si giocano abitualmente i nostri drammi e passioni e vi fa entrare la vita e la storia di una grande folla. Sì, una grande folle accompagna le vicende delle ultime ore di Gesù: i discepoli, le guardie, Pilato, le folle, i sacerdoti e il sinedrio, Simone di Cirene, i due ladroni,ecc… Gesù muore solo, ma attorniato da una grande folla. E non è una folla anonima e omogenea, come quella delle piazze. Il vangelo che abbiamo udito getta un fascio di luce potente su ciascuno di loro. Le loro azioni, le parole, il modo di comportarsi, persino i sentimenti più intimi e gli stati d’animo, rivelano la verità profonda di ciascuno per quello che egli è: Giuda era uno dei dodici, ha vissuto mescolato fra loro e come loro, ma in questa ora estrema si rivela un traditore; Pilato era un funzionario come tanti, timoroso di sbagliare e attento alla carriera, ma ora la sua paura si rivela complice dell’omicidio efferato di un innocente; i capi dei giudei erano persone oneste e irreprensibili di fronte alla legge, attenti a mantenersi entro le norme, ma davanti a Gesù accusato in modo palesemente ingiusto, la loro legge si rivela solo convenienza e opportunismo. E così via: il Vangelo della passione del Signore rivela con la sua potente luce la verità di ciascuno, anche di noi. Nella vita quotidiana ci barcameniamo, troviamo il nostro equilibrio, ci mascheriamo e ci difendiamo, ma oggi davanti al vangelo non possiamo più. Il nostro modo di vivere è posto come sotto un riflettore potente che ne rivela la verità più profonda, al di là di quello che sembra o che mostriamo. Sì, ogni volta che accettiamo di porci con sincerità e cuore aperto davanti all’umanità umiliata, schiacciata, abbandonata da tutti, schernita, offesa, giudicata ingiustamente, colpita e ferita, incatenata e condannata a morte dei tanti che come Gesù percorrono oggi accanto a noi la loro via dolorosa, essa rivela a noi stessi e agli altri la nostra vera umanità: paurosa, traditrice, spaventata e opportunista, violenta, indifferente. Chi siamo veramente noi? Ci chiediamo oggi dopo aver ascoltato il vangelo della passione di Gesù. I discepoli avevano camminato con Gesù per tanto tempo, come noi, eppure nel momento dell’arresto tirano fuori le spade che avevano con sé nascoste. Si sentono in diritto di difendersi aggredendo e rispondendo con violenza alla violenza. Gesù no: si lascia prendere, tradire e arrestare. I discepoli si sentono forti della forza della violenza che difende attaccando. Gesù ha una sola arma, che è la sua parola, che non viene meno, nonostante la terribile violenza a cui è sottoposto. È una parola che non viene usata per difendere se stesso, infatti davanti a Pilato e al sommo sacerdote tace, non è per cercare di avere il favore di chi contava e poteva essergli utile. È una parola che non è usata contro qualcuno, come una spada, anche se è tagliente e affilata più di una lama, e penetra dentro le viscere: A Giuda che viene con un drappello di soldati armati dice: “Amico!” una parola che taglia più di una spada e cerca fino all’ultimo di tirar fuori dall’anima accecata dall’odio il debole lucignolo di umanità. A chi lo stava crocifiggendo Gesù dice: “Padre perdona loro”, parole dirompenti contro il male che stavano compiendo. A noi spaventati che ci armiamo con le spade affilate dell’aggressività contro gli altri per difenderci, il Gesù della Passione insegna a fidare nella forza delle parole buone e di perdono: parole che riescono a scalfire persino la durezza dei soldati romani che, davanti ad esse riconoscono in quel moribondo Dio, e dicono: “Davvero costui era figlio di Dio”. Fratelli e sorelle, facciamoci inondare dalla luce che il Signore della passione getta sulla nostra vita, perché ne riveli gli aspetti che non ammettiamo con noi stessi. Facciamolo oggi dopo aver ascoltato il Vangelo, ma anche ogni giorno, quando incontriamo il Gesù della passione nei poveri e negli abbandonati. Essi rivelano chi siamo veramente, mettono a nudo la nostra umanità spaventata e per questo aggressiva e violenta. Il ramoscello di ulivo che portiamo nelle nostre case sia allora la memoria della forza delle parole miti, buone e di perdono con le quali Gesù sconfisse dalla corce il male. Gettiamo le spade che portiamo nascoste in noi e assumiamo la forza dell’amore, corazza contro il male e lama affilata contro la minaccia di perdere la nostra vita.

Preghiere

O Signore Gesù, ti abbiamo accolto festosi come il re della nostra vita agitando i rami di ulivo che abbiamo fra le mani. Aiutaci a non restare indifferenti al tuo amore misericordioso e pieno di parole buone, perché sappiamo restarti vicino anche nei momenti difficili. Noi ti preghiamo


O Padre che hai mandato il tuo figlio unigenito per salvare l’umanità intera, fa’ che in questi giorni sappiamo accogliere la sua richiesta di vegliare con lui e non lo abbandoniamo presi dal sonno di una vita banale e abitudinaria. Noi ti preghiamo

O Cristo che sei vero re e Signore di tutti i tempi, ti siamo grati perché hai accettato di umiliarti e sottometterti alla forza del male senza fuggire dal dolore e dalla morte. Ti sei fatto compagno di tutti quelli che ancora oggi soffrono per il male e patiscono l’ingiustizia del mondo. Accoglili nel tuo amore e consolali con la tua misericordia senza fine. Noi ti preghiamo P


roteggi e consola o Padre del cielo tutti coloro che in questi giorni bussano alla porta del nostro Paese per cercare la salvezza dalla guerra e dalla miseria. Per i migranti, per coloro che sono in pericolo in mezzo al mare, per chi è malato e ferito. Noi ti preghiamo


O Dio che dal cielo hai partecipato al dolore del tuo Figlio unigenito, sii compagno di tutti coloro che soffrono per la malattia, la miseria, la violenza. Accogli il loro grido e dona loro la salvezza. Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Signore per tutti coloro che in questi giorni nel mondo intero ti seguono sulla via dolorosa, ascoltando la tua parola e celebrando la memoria della tua passione. Fa’ che sappiano essere testimoni del tuo amore che non arresta nemmeno davanti alla sofferenza della croce. Noi ti preghiamo.

O Signore Gesù che dalla croce hai perdonato coloro che ti stavano mettendo a morte, non guardare al nostro peccato, ma cancellalo con la grazia della tua misericordia infinita. Noi ti preghiamo

Aiutaci o Signore Gesù a non difenderci dagli altri con l’aggressività delle spade, ma a conquistare la loro umanità con la bontà delle parole e la dolcezza del perdono. Noi ti preghiamo

lunedì 11 aprile 2011

Scuola del Vangelo 201/11 - Preghiera in memoria e suffragio dei nostri fratelli naufragati nel tentativo di giungere in Italia




RITI INIZIALI

Canto di Ingresso

Il Signore sia con voi
E con il tuo spirito

Cari fratelli e care sorelle, ci siamo riuniti questo pomeriggio per pregare il Signore Dio misericordioso per il nostro fratello Tsegzeab e per tutti coloro che con lui si sono addormentati in Cristo. Rivolgiamo a Lui i nostri cuori perché con animo puro invochiamo dal Re della pace la salvezza e la vita che non finisce.

Preghiamo.

Dio, Padre misericordioso,
tu ci doni la certezza che nei nostri fratelli defunti
si compie il mistero del tuo Figlio morto e risorto:
per questa fede che noi professiamo
concedi al nostro fratello Tsegzeab e a tutti quelli che con lui
si sono addormentati in Cristo,
di risvegliarsi con lui nella gioia della risurrezione.
Per Cristo nostro Signore.

R. Amen.

LITURGIA DELLA PAROLA

Salmo 129 – Dal profondo a te grido, o Signore.

Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti


alla voce della mia preghiera.



Se consideri le colpe, Signore,

Signore, chi potrà sussistere?

Ma presso di te è il perdono:

e avremo il tuo timore.



Io spero nel Signore,

l'anima mia spera nella sua parola.

L'anima mia attende il Signore

più che le sentinelle l'aurora.



Israele attenda il Signore, +

perché presso il Signore è la misericordia

e grande presso di lui la redenzione.

Egli redimerà Israele

da tutte le sue colpe.




Lode a te o Signore, re di eterna gloria

Chi mi riconoscerà davanti agli uomini

Il Signore lo riconoscerà davanti a Dio

Lode a te o Signore, re di eterna gloria


Dal Vangelo secondo Luca, 12, 4-21 In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui. Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri. Inoltre vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.



Parola del Signore

R. Lode a te o Cristo



Lode a te o Signore, re di eterna gloria


OMELIA


Cari fratelli e care sorelle, “Dal profondo a te grido, o Signore; ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera.” Facciamo nostre oggi pomeriggio le parole del salmo con il quale preghiamo il Signore Dio Padre per … e per tutti quelli che assieme a lui sono morti pochi giorni fa in mare. Lo facciamo insieme a Biniam, suo cugino e nostro amico carissimo, ed ad altri fratelli della comunità eritrea ed etiopica che vivono nella nostra città ed hanno dovuto affrontare un viaggio simile a quello di … Gli siamo vicini in questo momento di lutto, come anche nella vita di tutti i giorni. Sì, la nostra voce si alza dal profondo, perché è nel profondo della nostra coscienza che sentiamo lo strappo lacerante di una ingiustizia troppo grande che ha tolto il futuro al nostro fratello … , e gli ha strappato con violenza una vita ancora così giovane. Infatti … aveva 20 anni ed era fuggito come tanti altri suoi conterranei eritrei da un paese dove un regime disumano nega al suo popolo la libertà e costringe i giovani a un lungo e penoso servizio militare in condizioni proibitive e senza che si sappia se e quando poter costruire un futuro per sé e la propria famiglia. Dopo un lungo viaggio nel deserto è arrivato in Libia, dove, dopo tanti pericoli, lo ha colto lo scoppio della guerra, a rendere ancora più penosa e difficile la sua condizione. I suoi familiari lo aspettavano in Svizzera, dove erano emigrati da tempo, ed avevano già provveduto ai suoi documenti per il viaggio. La gioia di vedere orami imminente il coronamento del suo sogno ha spinto … ad affrontare quell’ultimo tratto del suo viaggio affidandosi al mare, dove purtroppo ha trovato la morte. Assieme a lui sono morte altre trecento persone che condividevano il suo stesso desiderio di futuro e speranza di pace. Il nostro dolore per la loro scomparsa trova oggi nella Parola di Dio il conforto che questi nostri fratelli e sorelle a cui la vita e l’indifferenza degli uomini avevano negato per tanto tempo la possibilità di una vita dignitosa, hanno trovato nell’abbraccio misericordioso di Dio quella pace e quel ristoro così desiderati. Tanta fatica e sofferenza non è stata vana: dopo la tempesta del mondo con le alte onde che li travolgeva, hanno trovato un approdo sicuro, come ci assicura Gesù: “nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.” Le loro speranze, i loro sogni sono stati conosciuti e amati da Dio che li riconosce come suoi figli, perché hanno gli stessi tratti di quell’“uomo dei dolori che ben conosce il patire” che presto incontreremo a Gerusalemme caricato della croce e coronato di spine. Sì il Padre del cielo riconosce quelli che hanno condiviso la via dolorosa che suo Figlio, il Signore Gesù, fu costretto a percorrere sulla terra: insultato e schernito, percosso e condannato a morte, colpevole solo di desiderare un futuro di giustizia e di pace per il mondo intero. Sono divenuti simili a lui, per questo sono riconosciuti ed accolti da Dio nel suo Regno: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio”. La loro vicenda oggi ci interroga personalmente. Alla loro morte infatti non è estraneo il sistema ingiusto che divide la terra in un Nord ricco che difende il suo benessere e un Sud colpito da guerre e miseria che bussa inutilmente alla sua porta. Ci chiediamo allora: perché ad essi è stato dato da bere un calice così amaro mentre noi ne siamo stati risparmiati? Perché a noi è offerta la pace, la serenità, la libertà, la sicurezza che a tanti sono negate? Perché a … ed a quelli morti con lui sono stati rubati tanti anni di vita? È una domanda che gli uomini di oggi, frettolosi e superficiali evitano di porsi. Con naturalezza scontata godiamo del privilegio che ci è dato di una vita piena di doni, e ce ne appropriamo come un diritto di cui non dover rendere conto a nessuno. Noi possiamo decidere cosa fare del dono della vita, della lunghezza degli anni che abbiamo a disposizione. Ma vivere distratti e senza rendersi conto del debito che abbiamo nei confronti di Dio e dei tanti che muoiono per l’ingiustizia del mondo vuol dire perderla: “Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui.” Sì, dobbiamo temere il maligno che ci mangia l’anima rendendoci sordi al grido del povero e ciechi alla domanda di futuro e di vita di chi è oppresso. Dobbiamo aver paura di morire nel cuore e nell’animo, ancora prima che nel corpo, a causa dell’intorpidimento della pietà e della dimenticanza dell’unica famiglia a cui tutti noi apparteniamo. Ricordiamo fratelli che Gesù dice: “chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.” Non rinneghiamo chi, come Gesù, compie la sua via dolorosa, attraversando il deserto e poi il mare alla ricerca di un futuro di pace. Non respingiamo i tanti che bussano alla porta dei nostri paesi ricchi, sicuri e pacifici. Non rifiutiamo di riconoscerli nostri fratelli e sorelle, sangue del nostro sangue e carne della nostra carne. Solo così non ci condanneremo ad essere rifiutati da Dio. Egli infatti non riconosce come suoi figli chi ha il volto sfigurato dall’odio e dall’egoismo che sembra in questi giorni, purtroppo, devastare gli animi di tanti uomini e donne italiani. Che la pietà per le loro povere vite e lo Spirito di misericordia di Dio ci doni di poter riconoscere in essi il fratello e la sorella che gli angeli di Dio ci fanno incontrare qui sulla terra perché possiamo entrare assieme nel Regno di pace e giustizia, dove essi, ne siamo certi, ci hanno preceduto e ci attendono.




PREGHIERE DEI FEDELI



Rivolgiamo con fiducia a Dio la nostra preghiera comune perché egli l’accolga e la esaudisca, e diciamo insieme:



Kyrie Eleison, kyrie eleison, kyrie eleison



Per Tsegzeab e per tutti i nostri fratelli e sorelle che con lui sono morti nel naufragio di pochi giorni fa. Accoglili o Signore nel tuo Regno di pace e di giustizia e dona loro l’approdo sicuro alla vita che non finisce.

Noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, kyrie eleison, kyrie eleison



Ti invochiamo o Padre misericordioso per tutti i figli dell’Africa, apri il loro orizzonte ad un futuro di pace e di giustizia, benedici la loro terra con il dono della prosperità e dell’abbondanza, proteggili dal male e da ogni pericolo.

Noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, kyrie eleison, kyrie eleison



Perdona o Padre la durezza dei cuori di chi rifiuta di accogliere e consolare il fratello e la sorella nel bisogno. Perché tutti i popoli della terra sappiano costruire assieme un futuro migliore senza divisioni né inimicizie,

Noi ti preghiamo



Kyrie Eleison, kyrie eleison, kyrie eleison



Proteggi dal pericolo, o Signore Gesù, tutti coloro che sono in viaggio verso un futuro di libertà. Per chi è nel deserto, per chi sta attraversando il mare, per chi è malato e ferito. Dona ad essi protezione e salvezza,

Noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, kyrie eleison, kyrie eleison



Perché i discepoli del Vangelo sappiano essere ovunque testimoni di un amore che supera ogni differenza di lingua, di popolo e di razza e riconosce in ogni uomo e ogni donna il fratello e la sorella per il quale il Signore Gesù ha dato la salvezza offrendo la sua vita sulla croce,

Noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, kyrie eleison, kyrie eleison



(Ad ogni preghiera viene accesa una candela davanti all’icona della Resurrezione)




O Dio, nostro creatore e redentore,

concedi ai nostri fratelli defunti

il perdono di tutti i peccati,

perché ottengano la misericordia e la pace che hanno sempre sperato.

per Cristo nostro Signore.

R. Amen.



Signore, insegnaci a pregare!


Padre nostro, che sei nei cieli, ...


ULTIMA RACCOMANDAZIONE E COMMIATO



Ancora fratelli e sorelle supplichiamo con fede Dio nostro Padre:

in lui e per lui tutto vive. Noi affidiamo alla sua misericordia il nostro fratello Tsegzeab

e tutti quelli che con lui si sono addormentati in Cristo.

Nell'attesa della sua risurrezione accolga il Signore la sua anima

nella comunione gloriosa dei santi; apra egli le braccia della sua misericordia,

perché questi nostri fratelli e sorelle, redenti dalla morte, assolti da ogni colpa,

riconciliati con il Padre, e recati sulle spalle dal buon Pastore,

partecipino alla gloria eterna nel regno dei cieli.


Tutti pregano per un po' di tempo in silenzio.


Questa nostra preghiera fiduciosa esprima il nostro amore,

la certezza che tu o Padre del cielo accogli chi si affida alla tua misericordia,

consoli il nostro pianto, rafforzi la nostra speranza.

Un giorno ci ritroveremo nella casa del Padre, dove l'amore di Cristo,

che tutto vince, trasformerà la morte in aurora di vita eterna.

Per Cristo nostro Signore

R. Amen.



Tutti pregano:



Venite, santi di Dio,

accorrete, angeli del Signore.


† Accogliete la loro anima

e presentatela al trono dell' Altissimo.


V. Vi accolga Cristo, che vi ha chiamato, e gli angeli vi conducano con Abramo in paradiso.



† Accogliete la loro anima e presentatela al trono dell' Altissimo.



V. L'eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.



† Accogliete la loro anima e presentatela al trono dell' Altissimo.



V. Accogli, Signore, le anime dei tuoi fedeli, tu che hai sparso per loro il sangue sulla croce.



† Accogliete la loro anima e presentatela al trono dell' Altissimo.



V. Lazzaro era morto: tu l'hai risuscitato; ora anche noi piangiamo; coloro che amavamo, sono morti.



† Accogliete la loro anima e presentatela al trono dell' Altissimo.



V. Apri loro il cielo, o Padre misericordioso e inondali di luce.



† Accogliete la loro anima e presentatela al trono dell' Altissimo.



V. Sia lieto e luminoso i1 loro giorno eterno e sempre abbiano in te riposo e pace.



† Tu sei il Cristo, il nostro Redentore.



R. Amen.



Preghiamo

Nelle tue mani, Padre clementissimo, consegniamo l'anima del nostro fratello N.

e di tutti quelli che con lui si sono addormentati in Cristo,

con la sicura speranza che risorgeranno nell'ultimo giorno insieme a tutti i morti in Cristo.

Ti rendiamo grazie, o Signore, per tutti i benefici che hai dato loro in questa vita,

come segno della tua bontà e della comunione dei santi in Cristo.

Nella tua misericordia senza limiti, apri loro le porte del paradiso;

e a noi che restiamo quaggiù dona la tua consolazione con le parole della fede,

fino al giorno in cui, tutti riuniti in Cristo, potremo vivere sempre con te nella gioia eterna.

Per Cristo nostro Signore.


R. Amen.




La pace che il signore dona a chi lo invoca,noi ce la scambiamo.



CANTO CONCLUSIVO




domenica 10 aprile 2011

V domenica del tempo di Quaresima – 10 aprile 2011



Dal libro del profeta Ezechiele 37, 12-14

Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.


Salmo 129 - Il Signore è bontà e misericordia.

Dal profondo a te grido, o Signore;

Signore, ascolta la mia voce.

Siano i tuoi orecchi attenti

alla voce della mia supplica.


Se consideri le colpe, Signore,

Signore, chi ti può resistere?

Ma con te è il perdono:

così avremo il tuo timore.


Io spero, Signore, +

Spera l’anima mia,

attendo la sua parola.


L’anima mia è rivolta al Signore

più che le sentinelle all’aurora.


Più che le sentinelle l’aurora, +

Israele attenda il Signore,

perché con il Signore è la misericordia

grande è con lui la redenzione.

Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 8-11

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Lode a te o Signore, re di eterna gloria Io sono la risurrezione e la vita, dice il Signore, chi crede in me non morirà in eterno. Lode a te o Signore, re di eterna gloria


Dal vangelo secondo Giovanni 11, 1-45

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, mentre i nostri passi si avvicinano sempre più a Gerusalemme, in questo nostro cammino di Quaresima assieme a Gesù, ci giunge la notizia della malattia mortale dell’amico Lazzaro, il fratello di Marta e Maria. In questi giorni ci giungono tante notizie di malattia e di morte: dalla vicina Libia dove infuria le guerra, dal Mare Mediterraneo, trasformatosi ancora una volta in un cimitero di disperati che fuggono dalla guerra e dalla miseria, dal Giappone che dopo il terribile tsunami subisce in queste ore il disastro nucleare di cui si ignora ancora la portata e le conseguenze. Tante notizie di morte che si rincorrono e si accavallano, tanto che facciamo fatica a mantenerne vivo il ricordo e aperto il cuore. È facile infatti dimenticare e pensare che in fondo è normale che sia così, meglio non pensarci e non darsene troppa pena. È quello che dicono anche gli apostoli: “Lascia perdere, tanto passerà!” Eppure anche loro, con Gesù, tante volte erano stati assieme a Betania, ma ora, davanti al dolore di Marta e Maria, e alla malattia e morte di Lazzaro, fanno con cinismo il calcolo di cosa conviene loro: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?” perché rischiare, affrontare sacrifici e pericoli? Perché rimetterci? La mentalità calcolatrice che cerca il proprio tornaconto suggerisce, con prudenza, di relativizzare l’accaduto per non doverne tenere conto. In fondo è lo stesso ragionamento che facciamo noi: troppi drammi, troppe disgrazie. Poi si sa. Il dolore si contagia, rende tristi, fa soffrire, ci si rimette, meglio non immischiarsi. Spontaneamente noi ci ritraiamo davanti al dolore di un fratello e di una sorella per evitare di restarne troppo coinvolti, e poi cosa possiamo farci?

Gesù invece reagisce diversamente, e appena saputo decide di andare da loro: “Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!».” Gesù vuole stare ‘con loro’, non li lascia soli. Non evita la sofferenza ma anzi vuole superarla con la sua presenza piena di amore. Infatti, a differenza di noi, Gesù davanti alle manifestazioni del male, allora come ancora oggi, riesce a vedere non solo il muro che blocca ogni via di uscita, come la pietra pesante che sigilla la tomba di Lazzaro, ma intravede il futuro diverso che può dischiudersi: “All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato».” Dietro infatti ogni notizia di dolore c’è una domanda di salvezza che Dio non lascia inascoltata. Dietro il dramma delle migliaia di persone che rischiano la morte in mare c’è una fame di futuro, una speranza di vita, ma chi l’ascolta? Chi se ne fa portavoce? Chi la fa sua? Non i governi attenti alle logiche del consenso elettorale, non la società annoiata delle immagini drammatiche e solleticata molto di più dalle cronache rosa circa le serate del nostro Premier.

Dio vorrebbe che quella domanda trovasse la risposta generosa e solidale di un mondo ricco ma paralizzato dalla paura. Dio vorrebbe che dalla bocca dei poveri potessero giungere la lode perché il loro desiderio disperato è stato accolto. Ma niente: il silenzio di morte della tomba sembra l’unica reazione che sappiamo avere, condanna e delusione per ogni speranza.

Davanti alla tomba dell’amico Gesù piange. Il dolore non lo lascia indifferente, anche quando non è il suo, anche quando ormai sembra inutile ogni sforzo. Tutti dicono: sono quattro giorni che è morto! È una constatazione realistica, non dicono il falso, sono ragionevoli e pratici. La rassegnazione davanti al male e la paura che fa ritrarre davanti al dolore altrui si riveste sempre degli abiti paludati del realismo e della ragionevolezza. Davanti agli immigrati dai mondi della disperazione diciamo: non c’è posto per tutti, sono troppi, sono pericolosi! Gesù non fugge, non veste gli abiti del realismo, ma piange, si fa interprete del dolore di Marta, Maria e Lazzaro e grida il suo nome: “gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!».” Nel nome gridato c’è tutta la partecipazione di Gesù al dolore dell’amico ed esprime la preghiera fiduciosa al Padre. Nemmeno di questo siamo capaci noi: avari non solo del nostro, ma anche incapaci di chiedere a Dio che doni lui del suo amore.

Il grido di chi piange per il dolore altrui giunge diritto a Dio. Supera le nubi e tocca direttamente il cuore del Padre. C’è una forza straordinaria nelle lacrime di chi piange non su di sé ma sul fratello malato o morto. Il grido e il pianto di Gesù cambiano la storia e buttano giù il muro dell’impossibile. Eppure davanti alla croce non si è trovato chi piangesse per lui, tutti gli amici sono fuggiti. Sul Golgota nessuno grida con tenerezza e amore il suo nome, nemmeno Lazzaro per il quale lui aveva invocato il Padre: buio e silenzio avvolgono quella croce.

Fratelli e sorelle, tutti quelli che nel dolore invocano Dio sono da lui ascoltati, anche se non trovano chi alzi la sua voce per loro e li ricordi per nome. La loro invocazione inascoltata suona però alle orecchie di Dio come la condanna per chi, pur potendo, non ha fatto nulla. Il mondo ricco e paralizzato dalla paura di rimetterci, affannato all’inseguimento del proprio tornaconto non ha tempo per ascoltarle, perché corre con fretta precipitosa verso la propria condanna definitiva. Finché siamo in tempo fermiamoci, finché possiamo volgiamo l’orecchio alla voce dei disperati, piangiamo con loro e gridiamo il loro nome dimenticato da tutti, e anche noi saremo salvati.

Preghiere


O Signore nostro abbi pietà della malattia e della morte di tanti nostri fratelli! Ti preghiamo abbatti il muro che li chiude nel loro dolore e dona salvezza e pace al mondo intero. Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o padre per i paesi in guerra: per la Libia, La Costa d’Avorio, l’Afganistan e tutti i luoghi in cui la violenza uccide e semina dolore. Fa’ che presto torni la pace. Noi ti preghiamo

Dona anche a noi o Signore Gesù la pietà di fermarci davanti al dolore del fratello. Con il tuo aiuto rendici capaci di essere portavoci del grido di aiuto dei poveri e dei sofferenti perché tu li ascolti e li esaudisca. Noi ti preghiamo

Fa’ che il mondo del Nord ricco non chiuda le porte e i cuori a chi bussa. Ti preghiamo per tutti coloro che cercano, fuggendo dal loro paese, salvezza dalla guerra e dalla miseria. Noi ti preghiamo

Accogli nel tuo Regno o Dio Padre buono tutti coloro che sono morti in questi giorni nella fuga disperata in mare. Per i bambini, le donne, tutti gli innocenti disperati che speravano di approdare ad un futuro migliore e hanno trovato una tragica morte. Noi ti preghiamo

Perdona o Padre la durezza di cuore e l’egoismo di quanti, pur potendo fare qualcosa, rifiutano l’aiuto a chi è nel bisogno. Scalda i loro cuori e apri loro gli occhi perché imparino la generosità che salva. Noi ti preghiamo.

Ti preghiamo o Dio del cielo per tutti i tuoi discepoli che ovunque nel mondo ti invocano e lodano il tuo nome. Dona a tutti di essere testimoni audaci e credibili del Vangelo. Noi ti preghiamo

O Padre che in questo nostro tempo hai suscitato testimoni della fede capaci di amare te e i fratelli fino a dare la vita, donaci la forza e il coraggio di essere tuoi discepoli fedeli, anche quando è difficile e pericoloso. Noi ti preghiamo

mercoledì 6 aprile 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XX incontro (V di Quaresima) . Preghiera in memoria dei martiri del XX secolo

Preghiera in memoria dei martiri

e dei testimoni della fede

del XX e XXI secolo


Canto di Quaresima


Preghiera introduttiva


O Dio, origine e fonte di ogni paternità, che hai reso fedeli alla croce del tuo Figlio fino all'effusione del sangue i santi martiri e i testimoni della fede, per la loro intercessione fa' che diventiamo missionari e testimoni del tuo amore fra gli uomini, per chiamarci ad essere tuoi figli. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio e vive e regna nei secoli dei secoli Amen


Prima Lettura Atti 6,8-10; 7,54-60

In quei giorni, Stefano pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilìcia e dell'Asia, a disputare con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. All'udirlo, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.


Salmo 22 - Dio mio, perché mi hai abbandonato?


Vangelo Mt 10,17-22 In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato».



COMMEMORAZIONE DEI TESTIMONI DELLA FEDE


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’EUROPA

Franz Jägerstätter nasce il 20 maggio 1907 in un paesino dell’ Austria a pochi chilometri dal confine con la Germania. E’ un semplice contadino, non ha studiato molto, mantiene con il suo umile lavoro la moglie e due bambine piccole. Allo scoppio della II guerra mondiale viene chiamato alle armi, ma lui si rifiuta di partire come soldato del regime nazista che giudica anticristiano e per una guerra sanguinosa ed ingiusta. La famiglia lo sostiene in questa estrema e coraggiosa scelta morale e lo lascia libero di decidere secondo la sua coscienza cristiana. Franz viene ghigliottinato a Brandeburgo (Berlino, nello stesso carcere si trovava anche Bonhoffer) il 9 agosto 1943 perché non vuole imbracciare le armi per servire il nazismo. Ha lasciato scritto nel suo testamento: “Scrivo con le mani legate, ma preferisco questa condizione al sapere incatenata la mia volontà. Non sono il carcere, le catene e nemmeno una condanna che possono far perdere la fede a qualcuno o privarlo della libertà […]. Perché Dio avrebbe dato a ciascuno di noi la ragione ed il libero arbitrio se bastava soltanto ubbidire ciecamente? O, ancora, se ciò che dicono alcuni è vero, e cioè che non tocca a Pietro e Paolo affermare se questa guerra scatenata dalla Germania è giusta o ingiusta, che importa saper distinguere tra il bene ed il male? ”.


Preghiamo:


Ti preghiamo o Signore per tutti i cristiani che hanno sofferto per la loro fede, aiutaci a vivere come loro un amore più forte della morte, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Per le vittime dei totalitarismi e delle dittature, perché la testimonianza dei martiri ci rafforzi nell’impegno a costruire un futuro di pace in Europa, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Perché la testimonianza di unione dei cristiani nel dolore della persecuzione affretti il cammino verso l’unità di tutte le Chiese e le comunità cristiane, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’AFRICA

All’alba del 30 aprile 1997, verso le ore 5.00 del mattino una banda armata attaccò il seminario di Buta, nel Burundi, uccidendo i 44 seminaristi che vi si trovavano. Avevano fra i 15 e i 20 anni, erano di etnia mista e, grazie allo sforzo degli educatori, erano rimasti tutti insieme vincendo ogni divisione etnica o tribale. Quando gli assassini li sorpresero ancora a letto ordinarono loro di separarsi in base alle diverse etnie, tutsi da una parte e hutu dall’altra, ma i giovani rifiutarono di separarsi, restando uniti fino alla morte. Alla fine della guerra la cappella del seminario di Buta è divenuto un santuario e un luogo di pellegrinaggio nel quale i burundesi vengono a pregare per la riconciliazione e la pace nel loro paese. Jolique Rusimbamigera fu l’unico giovane a sopravvivere e ha lasciato questa testimonianza: “Erano più di cento, sono entrati nel dormitorio dove si trovavano le tre classi del ciclo superiore e hanno cominciato a sparare in aria quattro volte per svegliarci. Subito hanno cominciato a minacciarci e sono passati tra i letti, ci ordinavano di dividerci … ma noi restavamo uniti. Allora il loro capo si è spazientito e ha dato l’ordine: Sparate su questi imbecilli che non vogliono dividersi. Mentre giacevamo nel nostro sangue pregavamo e imploravamo il perdono per quelli che ci uccidevano. Sentivo le voci dei miei compagni che dicevano: ‘Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno’ “


Preghiamo:


O Signore Nostro Gesù Cristo che dall’altro della croce rivolgi agli uomini parole di perdono, fa che sappiamo restarti vicino, ai piedi delle tante croci piantate ancora oggi ovunque nel mondo, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ti preghiamo o Signore, dona al Continente Africano, bagnato dal sangue di tanti testimoni della fede, una pace duratura e la salvezza dalla povertà. , noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


O Signore della pace, sostieni quanti annunciano il Vangelo in situazioni di pericolo e persecuzione. Sostienili col tuo amore, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’OCEANIA

To Rot, nacque a Rukunai, (Nuova Guinea)e nell’anno 1916. Egli fu scelto dal suo parroco per diventare catechista. Nel 1934 iniziò a lavorare nel suo villaggio come catechista e maestro. Nel 1942, i Giapponesi fecero arrivo alla Nuova Bretagna. I missionari stranieri, vennero tutti mandati in un campo di prigionia. To Rot, prese l’incarico a Rakunai di mantenere la comunità cattolica unita. Portò i bambini a scuola e insegnava loro il catechismo come aveva sempre fatto, cominciò anche a presiedere la preghiera della Domenica. Battezzò anche alcuni bambini, in assenza del sacerdote, e visitò i malati. In più visitava segretamente i missionari nei campi dei Giapponesi. Un giorno To Rot venne chiamato a Rabaul, dove la polizia giapponese gli fece molte domande sul suo lavoro nel villaggio. To Rot disse ai Giapponesi: “voi avete portato via i nostri preti, però voi non potete proibirci di essere cattolici e di vivere come cattolici.” Per questo motivo egli fu arrestato, imprigionato, dichiarato e trovato colpevole di aver infranto la legge perché aveva continuato a radunare le persone per pregare. Per questo gli fu inflitta la condanna a morte. Il giorno della sua esecuzione To Rot si lavò, si mise i vestiti puliti, piegò le sue coperte, dopo andò fuori aspettando e pregando per cosa lui sapeva sarebbe stata la sua ultima ora. Il catechista morto è stato sepolto ai piedi di una croce la quale era piazzata al centro del suo villaggio. “Io sono qui per questi... che non volevano la sviluppo del regno di Dio”.


Preghiamo:


O Padre misericordioso, guarda benigno il nostro mondo, ancora troppo insanguinato per i conflitti e la violenza. Fa che il buon seme del martirio produca frutti di pace e la conversione dei nostri cuori, noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Dona a tutti i popoli dell’Oceania di udire presto l’annuncio del Vangelo che ha dato a tanti testimoni della fede la forza di non vivere per sé stessi, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Proteggi o Signore i religiosi, i sacerdoti, i laici che nel tuo nome continuano a diffondere il Vangelo della carità e del perdono, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’ASIA

Shahbaz Bhatti, ministro per l minoranze religiose del Packistan è stato ucciso il 2 marzo 2011 a Islamabad. Aveva scritto nel suo testamento spirituale: “Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: "No, io voglio servire Gesù da uomo comune". Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora - in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan - Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. I passi che più amo della Bibbia recitano: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi". Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro. Per cui cerco sempre d'essere d'aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati".

Preghiamo:


O Padre di eterna bontà, ti preghiamo per tutti coloro che soffrono nel mondo a causa della violenza fratricida. Soccorri chi è ferito nel corpo e nello spirito, perché ogni piaga sia guarita con l’unguento della tua misericordia infinita. Noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Dona o Signore al continente asiatico di vivere nella pace e nell’amore, perché il sangue dei tanti che hanno offerto il loro sangue per tuo amore sia seme di un futuro nuovo, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Abbi misericordia o Dio di tutti coloro che cedono alla tentazione del male: per i peccatori, i persecutori, coloro che insultano il tuo nome, coloro che profanano la santità della vita umana, dono loro perdono e salvezza, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Ascoltiamo la voce dei martiri e testimoni della fede dell’AMERICA

Mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, il 24 marzo 1980 è stato assassinato mentre celebrava l’eucarestia. Il suo sangue si è mescolato con le ostie ed il vino che stava consacrando. Otto giorni prima del suo assassinio aveva detto: “Finché i contadini, e gli operai e i loro dirigenti non hanno sicurezza; finché il popolo viene sistematicamente assassinato dalle forze di repressione della giunta, io, che sono un semplice servitore del popolo, non ho nessun diritto di cercare misure di sicurezza. Vi prego di non fraintendermi: non voglio morire, perché so che il popolo non lo vuole, ma non posso tutelare la mia vita come se fosse più importante della loro vita. La più importante è quella dei contadini, degli operai, delle organizzazioni popolari, dei militanti e dei dirigenti, ed essi muoiono tutti i giorni; ogni giorno ne trucidano venti, trenta, quaranta o più ancora. Come potrei adottare delle misure di sicurezza personale? Sì, possono uccidermi; anzi, mi uccideranno, benché alcuni pensino che sarebbe un grave errore politico; ma lo faranno ugualmente, perché pensano che il popolo sia insorto dietro le pressioni di un vescovo. Ma non è vero: il popolo è pienamente consapevole di chi sono i suoi nemici; e altrettanto conosce bene i propri bisogni e le alternative che si presentano. Se uccidono me, resterà sempre il popolo ,il mio popolo. Un popolo non lo si può ammazzare. “


Preghiamo:


O Signore ti ringraziamo perché anche dove il male è sembrato vincere è sempre risuonato forte l’annuncio gioioso della tua Resurrezione, noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


O Padre, ti preghiamo per tutti i popoli in guerra, per i poveri oppressi dalla miseria, per i prigionieri, per i condannati a morte, fa che l’amore testimoniato dai martiri ci renda capaci di vincere il male con il bene. Noi ti preghiamo.


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison


Per tutti i pastori che con coraggio indicano al popolo dei discepoli di Cristo la via dell’amore e della pace come l’unica che conduce al regno dei cieli, noi ti preghiamo


Kyrie Eleison, Kyrie Eleison, Kyrie Eleison

Padre nostro

Preghiera conclusiva


Padre che durante tutto il Novecento hai accolto nel tuo regno una schiera cosi grande di martiri e testimoni della fede, accogli oggi la nostra preghiera, perché sappiamo raccogliere la loro eredità preziosa d’amore, divenendo testimoni e annunciatori audaci del Vangelo ovunque nel mondo, Per Cristo nostro Signore.


Abbraccio di pace


Canto di S. Francesco



Il papa Giovanni Paolo II e i martiri del XX e XXI secolo (tratto dal libro A. Riccardi, Il secolo del martirio, Mondadori, Milano 2009)


Era la Domenica delle Palme del 2000 e salii all’appartamento di Giovanni Paolo 11 in Vaticano, per il pranzo. Il papa, già malato, mi aspettava seduto a tavola per un incontro fuori dell’ordinario. Non avevo capito il motivo di quell’invito, anche perché ero stato da lui meno di una settimana prima. Il papa aveva sul tavolo da pranzo le bozze di questo libro (che uscì, nella prima edizione, pochi giorni dopo). Fu molto affettuoso come il solito e, dopo avermi fatto accomodare, mi svelò il motivo dell’incontro: bisognava parlare della celebrazione del 7 maggio 2000 al Colosseo per i nuovi martiri. Giovanni Paolo II non era tanto soddisfatto di come andavano avanti i preparativi e voleva pensare al suo discorso per un evento a cui dava grande importanza. Fui molto toccato da questo vecchio dolente che, malgrado la sua infermità, non era ripiegato sul suo soffrire. Non era succube della malattia che pure lo stava imprigionando. Era sempre affettuoso, capace di sostenere gli altri e di interessarsi a loro. Aveva un grande interesse per il tema del martirio: era una vicenda non remota, una parte palpitante della sua vita e di quella della Chiesa e del suo popolo. A Giovanni Paolo II si deve l’intuizione dell’attualità del martirio, riproposta in modo originale, non come una rivendicazione dei torti subiti, ma come un’interpretazione profonda della vicenda del cristianesimo del Novecento. Si sentiva un testimone di tanto soffrire da parte dei cristiani del XX secolo. Il Novecento è stato il secolo del martirio. Forse lo è stato in una misura così intensa come non accadeva dai primi secoli della storia del cristianesimo. Allora, parlando del mio libro (che ebbi l’impressione fosse stato letto dal papa, anche da come scorreva le pagine e trovava i diversi passaggi), Giovanni Paolo Il insistette sul fatto che bisognava narrare la storia del martire, ma guardare anche al persecutore, perché — in un certo senso — martire e persecutore costituiscono una «coppia». Si doveva guardare in faccia con chiarezza il persecutore, non demonizzarlo, comprendere la sua carica anticristiana e antiumana con un atteggiamento intelligente e capace di perdono. Questo interesse per il persecutore mi colpì molto, quasi il papa volesse ricordare interamente la storia e non solo la parte colpita. Non c’era in lui soltanto l’indulgere alle vittime o il rivendicare il ruolo di perseguitati per la Chiesa e i cristiani. La storia del martirio, per Giovanni Paolo II, era quella di una lotta tremenda e tragica, che andava scritta, capita e soprattutto non dimenticata. Era ben più di una rivendicazione: «Se ci vantiamo di questa eredità» disse durante la celebrazione al Colosseo, il 7 maggio 2000 «non è per spirito di parte e tanto meno per desiderio di rivalsa nei confronti dei persecutori, ma perché sia resa manifesta la straordinaria potenza di Dio...». Il tema del martirio passava dentro la vita di Giovanni Paolo II. Parlò della Chiesa russa come di una Chiesa di martiri. E insistette sul fatto che bisognava citare nella memoria dei martiri anche i cristiani polacchi caduti durante la seconda guerra mondiale. Nel suo discorso al Colosseo si ritrova l’eco di questa coscienza: «La generazione a cui appartengo ha conosciuto l’orrore della guerra, i campi di concentramento, la persecuzione. Nella mia patria, durante la seconda guerra mondiale, sacerdoti e cristiani furono deportati nei campi di sterminio». Il suo amico Jerzy Zachuta, compagno di seminario, era stato prelevato dalla Gestapo (la polizia segreta nazista) nell’arcivescovado, dove viveva con il giovane Karol, e fucilato. La morte era passata accanto al papa. C’è qui la particolare vicenda della Polonia, di cui Wojtyla era stato partecipe. Più di sei milioni di polacchi morirono a causa della violenza nazista: il 22% della popolazione. Un tema dell’epica polacca è proprio quello della nazione martire, il «Cristo delle nazioni» di Mickiewicz. I santi archetipi della nazione polacca (riconosciuti come tali da Giovanni Paolo II) sono sant’Adalberto e san Stanislao, entrambi martiri. Per papa Wojtyla, che conosceva Nikolaj Berdjaev e aveva avidamente letto le pagine di Mickiewicz, la storia aveva una profonda dimensione spirituale, che poteva essere colta da alcuni segni. Tra i principali c’era il martirio: «Se, tuttavia» scrive in Dono e mistero «guardiamo con occhio più penetrante la storia dei popoli e delle nazioni che hanno attraversato la prova dei sistemi totalitari e delle persecuzioni a causa della fede, scopriremo che proprio lì si è rivelata con chiarezza la presenza vittoriosa della croce di Cristo». Per il papa, parlare di comunismo e di nazismo era ripercorrere la storia di due tragedie che avevano sconvolto il suo paese e l’Europa. Ne dava una lettura storica e allo stesso tempo spirituale. Erano rivelazioni apocalittiche del male. Il loro carattere anticristiano (e non dubitava che una vittoria nazista avrebbe cancellato il cristianesimo dall’Europa) era una conseguenza dell’essere radicalmente espressione del male. Come i cristiani avevano resistito al male? Questo era il suo interrogativo, mentre raccontava la fragilità di tanti martiri e notava in loro, però, la «straordinaria potenza di Diò». Il 7 maggio 2000, di fronte al Colosseo, nella celebrazione dei nuovi martiri, il papa prese la parola solennemente. La giornata volgeva al tramonto e lo scenario dell’antico monumento romano era bello e grave. Le parole di Giovanni Paolo II si fecero solenni e forti nella preghiera: «Ricordati, Dio delle tenebre del Venerdì Santo, Dio del silenzio del Sabato Santo, ma anche Dio dell’alba gioiosa della Resurrezione, ricordati di tutti i cristiani vittime del nazismo: cattolici, protestanti, ortodossi e anche fratelli e sorelle della prima alleanza e di altre religioni; essi hanno sofferto la fatica dei lavori forzati, l’umiliazione della loro dignità umana, la fame e la sete, l’annientamento della memoria fino alla loro distruzione nelle camere a gas e nei forni crematori...». Poco prima aveva ricordato i martiri del comunismo, perseguitati «per la causa del Vangelo e per la loro fedeltà alla tradizione cristiana, pregando per i loro persecutori». Poco dopo si sarebbe volto all’Asia e all’Oceania, alla Spagna e al Messico, all’Africa dei martiri («irrigata con il loro sangue»), infine all’America. Qui, tra i pastori caduti, Giovannì Paolo II ricordò «l’indimenticabile arcivescovo Oscar Romero, ucciso all’altare durante la celebrazione del sacrificio eucaristico». C’era allora una polemica su Romero: se fosse da considerare un caduto per motivi politici o un simbolo della teologia della liberazione. L’allora segretario di Stato era intervenuto in questo senso: così almeno disse il papa. Giovanni Paolo II, malgrado non avesse avuto un rapporto di piena intesa con Romero, si era inchinato di fronte al suo martirio. Proprio in un incontro precedente con me il papa aveva ricordato la sua visita in Centro America nel 1983 e il confronto con il regime sandinista in Nicaragua: «Con la fine dell’URSS sono cambiate molte cose in Centro America» concluse. Ero, per parte mia, convinto che l’arcivescovo di San Salvador, ucciso sull’altare, fosse un martire del suo amore pastorale. Poco dopo questo mio incontro con Giovanni Paolo II, il card. Cassidy, responsabile dell’ecumenismo, era stato ricevuto dal papa a cui aveva parlato di Romero da giovane, conosciuto da lui personalmente in Salvador molti anni prima, come di un ottimo prete. Così, alla fine, il nome dell’arcivescovo salvadoregno ucciso mentre celebrava la Messa, era stato inserito nella preghiera al Colosseo per una scelta personale del papa. La vicenda dei martiri era un punto decisivo della lettura della storia di Giovanni Paolo Il. Papa Wojtyla aveva una sensibilità geopolitica, un’interpretazione della storia dei popoli e della Chiesa legata a segni e a eventi rivelatori (si potrebbe dire, con espressione conciliare, i «segni dei tempi»). Per lui le terre e i popoli non erano tutti uguali. C’era una storia di Dio con le nazioni, nei loro dolori, nelle ore di follia, in quelle di liberazione e di fede. Non si trattava di un atlante storico sistematico, ma di una visione organica, affascinante, in cui egli mescolava la sua cultura storico-geografica, la memoria dei suoi incontri e dei suoi viaggi, le sue interpretazioni spirituali e le sue intuizioni geopolitiche. Il martirio illuminava la vita di un popolo, di una Chiesa: sicuramente gettava luce sulla storia della Chiesa del Novecento, di cui Wojtyla si sentiva figlio. «I martiri» disse il papa al Colosseo, «questi nostri fratelli e sorelle nella fede, a cui oggi facciamo riferimento con gratitudine e venerazione, costituiscono un grande affresco dell’umanità cristiana del XX secolo. Un affresco del Vangelo delle beatitudini, vissuto fino allo spargimento del sangue.» E Wojtyla, in quel tramonto romano presso il Colosseo, un luogo carico di memorie dell’antico martirio dei cristiani, affermò con decisione, malgrado la sua voce fosse segnata dalla malattia: «Sono testimone io stesso, negli armi della mia giovinezza, di tanto dolore e di tante prove». L’autorità del papa e quella del testimone si fondevano insieme in un invito che era quasi una supplica: non dimenticare! La sfida che lanciava alla Chiesa, ma anche alla storia, era non dimenticare questa parte sommersa del cristianesimo del XX secolo. Infatti, per lui, il cristianesimo dei martiri era una fonte di autenticità e di rinnovata forza per la Chiesa nel nuovo secolo in cui essa stava entrando. La memoria gli sembrava una lotta contro la forza banalizzatrice dell’oblio e la congiura del silenzio. Gli pareva anche una lotta contro una Chiesa che si normalizzava come una grande e mediocre istituzione del mondo contemporaneo. «E sono tanti!» riuscì a gridare quella sera, parlando dei martiri. E aggiunse: «La loro memoria non deve andare perduta, anzi va recuperata in maniera documentata. I nomi di molti non sono conosciuti; i nomi di alcuni sono stati infangati dai persecutori, che hanno cercato di aggiungere al martirio l’ignominia; i nomi di altri sono stati occultati dai carnefici. I cristiani, però, serbano il ricordo di una gran parte di loro». Era una sfida alla vita dei cristiani. Ma lo era pure per la storia. Infatti la storia dei nuovi martiri non è finita. Non è finita con la crisi dei regimi comunisti dell’Est europeo o con la scomparsa dell’Unione Sovietica. Non è finita con il Duemila. Il nuovo secolo si presenta anch’esso come difficile e insidioso per i cristiani. Antiche forme di violenza si intrecciano con nuove e più raffinate. In questo differente quadro, ricordo la lezione di Giovanni Paolo II: guardare in faccia il persecutore e non generalizzare, provare a scrutare la forza dell’odio nel cuore, nella mente e nel mondo di chi uccide il cristiano. La storia del martirio non è tutta uguale, riducibile a una formula o a una ideologia. Vale la pena ed è doveroso seguirne lo sviluppo drammatico. La storia del martirio non finisce nella constatazione che i cristiani sono le vittime dell’ora presente, quasi per invocare una riscossa cristiana. Si tratta di una riscossa che, in questi nostri tempi, non si risolve in nulla se non nell’accrescere un po’ di più l’ostilità verso l’altro. I martiri non sono stati tali perché potessimo avere qualche motivo in più per disprezzare gli altri o diffidare di loro. In ben altra logica, che quella della riscossa o della vendetta, si colloca il martirio cristiano. Per Giovanni Paolo 11, la memoria del martirio era legata a quell’espressione tipica del suo pensiero: «Perdoniamo e chiediamo perdono». Sì, la Chiesa dei martiri doveva perdonare quanti avevano colpito violentemente i suoi figli. Non era una Chiesa senza forza, anche se la sua era una forza mite. Questa Chiesa, con papa Wojtyla, perdonava i suoi persecutori e chiedeva perdono per i suoi errori. Poco prima della celebrazione al Colosseo, Giovanni Paolo II aveva proclamato: «Perdoniamo e chiediamo perdono!». La storia del martirio era per lui la vittoria della forza particolare dei cristiani: «Laddove l’odio sembrava inquinare tutta la vita senza possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come “l’amore sia più forte della morte”. All’interno di terribili sistemi oppressivi, che sfigurano l’uomo, nei luoghi di dolore, tra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto». Affermava il papa: «Nella loro fragilità è rifulsa la forza della fede e della grazia del Signore». Il martirio è stato, proprio nel complesso Novecento, la rivelazione del volto vero del cristianesimo: la forza nella debolezza. Per questo la sua memoria non doveva andare perduta. Anzi, nel discorso al Colosseo, Giovanni Paolo II parlò del martirio come di un’eredità. Innanzitutto «indica la via dell’unità ai cristiani del XXI secolo». Ma è anche una sorgente di vita rinnovata, di coraggio, di chiarezza interiore, per il cristianesimo che comincia a vivere nel XXI secolo.