venerdì 17 giugno 2011

Festa del Corpo e Sangue di Cristo

don Ragheeb Ganni mentre celebra a Baghdad (Iraq)



Dal libro del Deuteronomio 8, 2-3. 14b-16
Mosè parlò al popolo dicendo: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

Salmo 147 - Loda il Signore, Gerusalemme.
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 10, 16-17
Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

Alleluia, alleluia alleluia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
chi ne mangia vivrà in eterno.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 6, 51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».





Commento




Cari fratelli e care sorelle, in modo opportuno questa festa del Corpo e Sangue del Signore ci fa soffermare oggi su una realtà che già nella Festa dell’Ascensione e a Pentecoste, accennavamo, e cioè sul fatto che il Signore Gesù è una presenza fedele e ravvicinata alla nostra vita. Oggi ne riconosciamo la prossimità in modo particolare come corpo e sangue che ci nutre al banchetto dell’Eucarestia. La sua presenza nel mondo infatti non è solo spirituale o sentimentale, ma concreta, tangibile, come appunto lo è un corpo fisico.
Il corpo con cui Gesù ha scelto di restare si presenta con i segni della sua passione: è sangue versato e corpo spezzato. Ed infatti Gesù ce lo consegna proprio alla vigilia del suo arresto in quella tragica ultima cena, durante la quale si rivela il tradimento di cui è stato fatto oggetto. Il corpo con cui Gesù rimane con noi, e d’altronde il corpo con cui Gesù è asceso al cielo, è quello di un ferito dalla vita, di un umiliato, di un offeso, ma, paradossalmente, è quello dell’unico che ha vinto la morte risorgendo. La resurrezione di Gesù infatti non cancella i segni della passione, che esibisce agli apostoli nelle prime apparizioni dopo la Pasqua, perché il male non è eliminato, ma vinto, non scompare, ma è umiliato davanti alla vittoria del bene.
La festa di oggi allora ci viene a ricordare proprio questa realtà che è come riassunta nel Corpo e Sangue Eucaristico di Gesù: la vittoria del bene portato da Gesù agli uomini, la loro salvezza non è qualcosa che è al di fuori dell’esperienza ordinaria dell’uomo, così segnata dalla presenza del male. Essa ci ricorda che c’è bisogno che si combatta la lotta fra bene e male perché il bene trionfi, c’è bisogno di affrontare le sfide del dolore e della morte che minacciano il mondo, perché ci sia la vittoria su di esse, perché la resurrezione di Cristo si realizzi anche nella nostra vita e in quella del mondo di oggi.
Il brano del Deuteronomio che abbiamo ascoltato nella prima lettura sembra proprio presentarci un ritratto della vita dell’uomo: “Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua.” Sì, il mondo assomiglia ad un deserto, arido e pieno di insidie pericolose di cui siamo come schiavi, servi in Egitto. Chi di noi non ne ha sperimentato la durezza, ma ancor di più, quanti segni ne vediamo nelle vicende che sconvolgono tanti angoli più disgraziati della terra! Eppure attraverso di essi ci guida Dio per condurci verso la liberazione, così dice il brano citato. È quella dimensione di lotta fra bene e male che ci ricordano le vicende dei tanti martiri della fede che hanno accompagnato lo svolgersi del secolo scorso e continuano a farlo ancora oggi.
Nel 2003 un giovane prete dell’Iraq faceva questa testimonianza a Bari durante il Congresso Eucaristico: “Il 26 giugno dell’anno scorso un gruppo di ragazze stava pulendo la chiesa preparandola per la domenica. Fra loro vi era mia sorella Raghad, che ha 19 anni. … due uomini in auto lanciarono una granata, che esplosde proprio a due passi da lei. Seppure profondamente ferita Raghad è sopravvissuta per miracolo. La domenica abbiamo celebrato lo stesso l’Eucarestia. … Lo scorso agosto, nella chiesa di san Paolo, subito dopo la messa delle sei di sera, è scoppiata un’autobomba. L’esplosione ha ucciso due cristiani e ferito molti altri. ... I terroristi pensano di ucciderci fisicamente o almeno spiritualmente, facendoci annegare nella paura. Eppure le chiese alla domenica sono sempre piene. I terroristi cercano di toglierci la vita, ma l’Eucarestia ce la ridona. ... Proprio fra le difficoltà stiamo comprendendo il valore della domenica, giorno dell’incontro con Gesù il Risorto, giorno dell’unità e dell’amore fra di noi, del sostegno e dell’aiuto. Qualche volta io stesso mi sento fragile e pieno di paura. Quando, con in mano l’eucarestia, dico le parole “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”, sento in me la Sua forza: io tengo in mano l’ostia, ma in realtà è Lui che tiene me e tutti noi, che sfida i terroristi e ci tiene uniti nel suo amore senza fine. In tempi tranquilli, si dà tutto per scontato e si dimentica il grande dono che ci è fatto. L’ironia è proprio questa: attraverso la violenza del terrorismo, noi abbiamo scoperto in profondità che l’eucarestia, il Cristo morto e risorto, ci dà la vita. E questo ci permette di resistere e sperare.” Quel giovane prete di 31 anni, don Ragheed Ganni, è morto un anno dopo circa in un attentato a Baghdad. Non è fuggito dall’Iraq, pur sapendo i rischi, perché sostenuto nella lotta del bene contro il male dal corpo ferito, spezzato del Signore. La sua morte non è stata una sconfitta, ma ancora una volta, come tante altre, la vittoria dell’amore e della fede in Dio sulla morte che voleva far tacere, spaventare, eliminare quella voce di bene che invece è rimasta fino all’ultimo forte a donare a tanti fedeli quel Corpo e quel Sangue nella Santa Liturgia.
A noi non è chiesta la vita né questa è minacciata così gravemente dalla violenza, eppure nel deserto pieno di scorpioni e serpenti che da noi si chiamano indifferenza, egoismo, materialismo, odi e antipatie, continua a darci la forza, a nutrirci, a sostenerci, proprio come fa nei paesi in cui i cristiani sono perseguitati. Anche noi, ogni domenica assistiamo al miracolo: “[Il Signore] ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri” forse nemmeno ce ne accorgiamo più, assuefatti dal benessere e da un’abitudine scontata. C’è bisogno che riapriamo gli occhi sulla realtà di schiavitù e di deserto che la nostra vita racchiude. Il nostro sguardo ne ha fatto un angoletto in cui ci troviamo bene, ci accontentiamo di una felicità esteriore spenta e provvisoria, abbiamo rinunciato alla libertà preferendo la tranquillità umiliata dello schiavo. Facciamoci aprire gli occhi dalla scrittura e guardiamo con sguardo limpido al mondo: quanto bisogno c’è di alleati per la lotta del bene contro il male, di quante forze c’è bisogno perché la resurrezione di Gesù vinca le tante battaglie in cui gli uomini sono sopraffatti dal dolore e schiacciati dalla violenza, come in Iraq, ma anche vicino a noi. Scopriremo così che la vera forza nella lotta ci viene dal nutrirci della forza con cui Gesù stesso ha lottato: non gloria e sopraffazione, ma mitezza, umiltà, perdono, dono di sé, benevolenza. È quello che Gesù ci dona col suo corpo e sangue: “Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.” Restiamo in lui e la forza della resurrezione si sprigionerà in noi attraverso quel corpo umile e fragile, con impressi i segni del dolore, ma ripieno dell’amore che vince ogni male e la morte stessa.




Preghiere




O Signore Gesù che hai scelto di restare sempre con noi con il tuo Corpo e Sangue fa’ che ti accogliamo sempre con fede e amore, facendone nutrimento della vita e bevanda di salvezza,
Noi ti preghiamo




Ti ringraziamo o Gesù per il dono inestima-bile dell’Eucarestia che ogni domenica ci nutre e ci sostiene. Aiutaci ad accoglierlo come la cosa più preziosa che possiamo ricevere,
Noi ti preghiamo




O Dio Padre del cielo, aiutaci a tenere gli occhi e il cuore aperto per riconoscere il deserto di vita e di amore che c’è in questo mondo. Fa’ che diveniamo tuoi alleati nel combattere il male e liberatori dalla schiavitù,
Noi ti preghiamo




È facile o Signore, accontentarsi di poco e rinunciare a lottare perché il deserto divenga un giardino irrigato dall’acqua del Vangelo. Aiutaci a farci audaci combattenti, non con le armi del mondo, ma con la forza mite dell’amore,
Noi ti preghiamo




Sostieni con il tuo Corpo e Sangue o Signore Gesù tutti i cristiani perseguitati e in difficoltà. Fa’ che al più presto cessi la violenza e regni un tempo di pace e sicurezza per tutti,
Noi ti preghiamo




Accogli nell’amore o Dio tutti i poveri che invocano aiuto. Ti ricordiamo coloro che cercano riparo e futuro nel nord ricco fuggendo la guerra e la miseria dell’Africa. Dona loro protezione e salvezza,
Noi ti preghiamo.




Guida con la forza del tuo Spirito santo la Chiesa dei discepoli diffusa in tutto il mondo. Illumina i cuori e rafforza la loro testimonianza, perché sempre più persone entrino nella famiglia dei figli di Dio,
Noi ti preghiamo




Proteggici o Padre buono dalla tentazione e dal peccato. Fa’ che sappiamo resistere al male e operare sempre il bene che tu ci proponi,
Noi ti preghiamo


venerdì 10 giugno 2011

Pentecoste - 12 giugno 2011

Dagli atti degli apostoli 2, 1-11
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Salmo 103 - Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Benedici il Signore, anima mia! +
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

Dalla prima lettera ai Corinzi 12, 3b-7. 12-13
Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Commento
Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato domenica scorsa l’invito rivolto da Gesù agli apostoli a non uscire fuori dalla città perché sarebbe giunto a loro il suo Spirito difensore e consolatore. Oggi, a Pentecoste, questa promessa si è avverata e festeggiamo assieme a tutti i cristiani del mondo la discesa dello Spirito che si rinnova da quel giorno in cui sui discepoli riuniti comparvero lingue di fuoco che diedero loro il potere di parlare tutte le lingue del mondo.
Non uscire dalla città: anche a noi è stato rivolto questo invito, cioè a non farci estranei alla vita delle persone che ci sono accanto, a non essere indifferenti, a non ignorare quello che non ci riguarda direttamente e non ci fa piacere sapere e vedere. Sì, la nostra città, Terni, ma anche le città e i paesi del mondo globalizzato, da cui ci giungono quotidianamente notizie e immagini, non possono restarci estranee, come un film muto che scorre sullo sfondo, ma devono essere la realtà in cui si svolge la nostra vita, da cui ci giungono domande, che ci fa sorgere dubbi, che suscita maggiore generosità e scelte di cambiamento personale. È questo il sogno di Dio per l’umanità: un mondo unito in cui ciascuno è membro di un unico corpo, e soffre e gioisce non solo delle proprie sofferenze e gioie ma di quelle di ogni membro del corpo. È quello che afferma S. Paolo: “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo.” Ma come vivere questa unità, noi che siamo dispersi? Infatti in un mondo in cui i viaggi e le comunicazioni sono sempre più facili e in cui anche le scelte politiche degli Stati vanno verso una tendenziale unificazione, pensiamo all’Europa, l’umanità oggi si frammenta in un pulviscolo di individualità conflittuali, divise le une dalle altre da rivalità e antipatie, da odi e competizioni. È quello che vediamo tutti i giorni: cresce la litigiosità, la piccola violenza quotidiana, il rifiuto della solidarietà e della coesione sociale, la chiusura a chi è estraneo o straniero. Come vincere la forza della divisione che il Diavolo, che significa letteralmente il “Separatore”, semina nei cuori di tutti noi?
La Pentecoste giunge a dare una risposta a questo interrogativo. Infatti la vera unità viene solo dal riconoscerci tutti membri di un’unica famiglia, fratelli e figli di uno stesso Padre del cielo, uniti in un unico destino comune. Questa consapevolezza è un dono dello Spirito, ed infatti gli apostoli appena lo hanno ricevuto hanno sentito il bisogno di rendere concreta questa coscienza di essere un’unica famiglia di fratelli e sorelle con tutti, stranieri di tutte le razze, come elencano gli Atti, gente di cultura e lingua diversa, religioni e fedi molteplici. A tutti gli apostoli parlano in modo appassionato e a cuore aperto del loro incontro con Dio.
Questo è l’invito che giunge anche a noi a Pentecoste. Dio ci manda il suo Spirito che avvicina i cuori, annoda le vite disperse l’una all’altra in un’unica catena di solidarietà e amore. Ogni anello che ancora manca è una debolezza di tutta la catena, c’è bisogno di annodare chi è disperso, di radunare chi se ne sta per conto proprio o è ostile e nemico. Ma come si può fare? La gente non ci capisce, parla altre lingue: la lingua del profitto, per cui ciò che conta è solo quello che mi conviene, la lingua dell’egoismo, la lingua del materialismo. È vero, troppa gente ha perso la grammatica che unisce tutto il mondo in un’unica lingua comune, che è la lingua dell’amore. È l’unica lingua che tutti possono capire, ma c’è bisogno di insegnarla di nuovo, si è persa, è stata sopraffatta dal rumore del consumismo e del mercato. C’è bisogno di farsi riempire di Spirito cioè dell’amore di Dio, per diventare, come gli apostoli a Pentecoste, capaci di parlare e di insegnare la grammatica dell’amore a tanti: “tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. … A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio.”
Sì, c’è un grande bisogno che si senta forte nelle strade di Terni, dell’Italia e del Mondo intero parlare la lingua di Dio, la lingua del voler bene che supera ogni barriera linguistica e culturale. L’orgoglio ci divide in una incomunicabilità e incomprensibilità dell’altro, come accadde a Babele. L’amicizia e l’amore ci unisce in un unico corpo e ci rende capaci di dire parole nuove, perché lo stesso sangue ci nutre, lo stesso sistema nervoso ci fa sentire il dolore delle membra lontane, lo stesso nutrimento buono, che è la Parola di Dio e l’Eucarestia, ci sostiene e fortifica. Dice S. Paolo: “Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.”
Il battesimo dello Spirito, lo dicevamo domenica scorsa, è immergersi nella corrente di benevolenza e amicizia che scorre nel mondo suscitata da Lui. Non restiamo a riva, paurosi di bagnarci. Non preferiamo la prudenza egoista. Tuffiamoci nel voler bene di Dio e il miracolo si realizza. Da uomini muti e silenziosi diverremo capaci di dire a tutti, a parole e con i fatti, che c’è un bene che vince sul male, che uniti e solidali siamo forti dell’amore di Dio, che da soli, ciascuno a pensare per sé, si finisce di affogare nelle onde della tristezza e della paura. Oggi uscendo da questa chiesa porteremo un fiore rosso. Colore dell’amore e della passione, ci ricorderà che abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio, quando incontreremo un fratello o una sorella, sapremo cosa dirgli, senza restare estranei o ostili. Quando vedremo un povero sapremo come aiutarlo, senza scansarlo o ignorarlo. Quando vedremo i drammi che sconvolgono il mondo troveremo le parole dalla preghiera per portarceli nel cuore, senza dimenticarli cambiando canale. E se il fiore col tempo appassirà e seccherà, la nostra passione interiore resterà sempre fresca e bella, se la alimenteremo costantemente dell’ascolto della Parola di Dio e se nutrendoci al banchetto dell’Eucarestia ci uniremo ai nostri fratelli e sorelle nella grande famiglia dei figli di Dio che non il sangue né la convenienza, ma lo Spirito del suo amore, donato per primo e fino in fondo dal Signore, raccoglie e rafforza.
Preghiere

Ti invochiamo o Signore Gesù, manda lo Spirito consolatore a difenderci dal male dell’egoismo e dell’inimicizia. Insegnaci tu a voler bene e a considerarci parte dell’unica grande famiglia di Dio che è l’umanità.
Noi ti preghiamo

Scendi Spirito di Dio e inonda il mondo intero della tua pace. Raggiungi i luoghi dove oggi infuria la guerra ed esplodono gli odi e le ingiustizie, infondi nei cuori il desiderio di pace.
Noi ti preghiamo

Come a Pentecoste ti aspettiamo o Spirito di amore, perché tu discenda a scaldare i cuori e a donarci una lingua nuova per parlare a tutti. Fa’ che la grammatica del voler bene e le parole dell’amicizia diventino l’unica lingua con cui gli uomini si parlano e si ascoltano in tutto il mondo.
Noi ti preghiamo

Fa’ o Signore che restiamo uniti nella tua famiglia, perché attendiamo insieme la discesa dello Spirito e la manifestazione del tuo amore, ricevendo la fiamma della passione per il bene di tutti.
Noi ti preghiamo

Consola o Spirito tutti coloro che sono nel dolore: i poveri, i malati, gli anziani i sofferenti. Fa’ che sia vinta la durezza di cuore di chi non compie il bene che tu ci suggerisci.
Noi ti preghiamo

Unisci o Spirito di Dio le tue Chiese ovunque diffuse in un’unica e unanime invocazione per l’unità. Fa’ che raccolti nell’unica famiglia dei tuoi discepoli ci amiamo come fratelli e sorelle.
Noi ti preghiamo.

O Spirito di sapienza e di fortezza, suscita nei cuori dei discepoli di Cristo il desiderio di annunciarti e testimoniarti al mondo intero. Fa’ che ovunque risuoni con forza la lode per le meraviglie che compi per il bene dell’uomo.
Noi ti preghiamo

Sostieni o Spirito di Dio tutti coloro che sono perseguitati e ostacolati a ragione della loro fede. Fa’ che la manifestazione della potenza del tuo amore suggerisca sentimenti di tolleranza e rispetto in chi oggi odia e perseguita.
Noi ti preghiamo

mercoledì 8 giugno 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XXV incontro (IV del tempo di Pasqua) : Gesù e i suoi familiari


Riprendiamo oggi il discorso sul rapporto di Gesù con i suoi familiari, sulla base di quello che abbiamo detto l’altra volta sull’idea di “mondo” che emerge dai Vangeli e da come Gesù vi si rapporta. Esso è infatti, dicevamo, una realtà complessa e multiforme, che abbraccia tutte le espressioni della vita umana e gli ambiti in cui essa si svolge, una di esse è, appunto, la famiglia. Non si può pertanto assumere un atteggiamento di esaltazione o condanna assoluta, come vorrebbe una certa tendenza, anche cristiana, fondamentalista e semplificata, ma il “mondo” va capito, amato e trasformato alla luce degl’insegnamenti evangelici.



La famiglia: fra natura e cultura
La famiglia è dunque innanzitutto una realtà naturale, cioè l’ambito di coloro che sono legati da un vincolo di sangue: padri, madri, figli, nipoti, fratelli, ecc… In questo significato “neutro” la famiglia è priva di accezioni negative o positive: è il portato del fatto naturale della creazione dell’uomo maschio e femmina e della generazione dei figli.
Ma sopra questa base naturale l’uomo ha costruito tutta una serie di convinzioni che, nel corso dei secoli, hanno risentito dei diversi contesti storici e geografici in cui si sono sviluppate, portando ad esiti differenti, a volte opposti. Ad esempio in mondi diversi si sono sviluppati il modello patriarcale o quello matriarcale; la monogamia o la poligamia, presente anche nel popolo d’Israele dell’Antico Testamento; tutto un sistema di leggi e valori, tradizioni e norme. Pensiamo alle leggi della vendetta trasversale (ancora in vigore in alcune regioni non sviluppate del Mediterraneo, come il Sud Italia o i monti dell’Albania) che prevedono che in seguito al ferimento o all’uccisione di una persona, scatti automaticamente da parte del parente più stretto della vittima il diritto-dovere di colpire con la stessa pena il parente più stretto del responsabile del fatto di sangue, anche se questi non ha nulla a che vedere con i motivi o la realizzazione dell’offesa. L’appartenenza ad un gruppo familiare rende automaticamente responsabili e potenziale oggetto legittimo della vendetta. L’idea di famiglia si è pertanto sviluppata assumendo dei significati che non gli sono propri: pensiamo ad esempio al fatto che le cosche mafiose si chiamano “famiglie”, anche se non sono composte solamente da membri di un nucleo familiare, ma anche di “affiliati”, esprimendo una certa idea di famiglia, come cioè società chiusa e omertosamente solidale all’interno, in contrapposizione ostile al mondo esterno. E così via.
Per arrivare al nostro tempo e al nostro contesto, la famiglia negli ultimi decenni ha conosciuto il processo disgregativo di cui abbiamo parlato altre volte, legato all’imporsi nelle società occidentali di un modello culturale individualista, caratterizzato da legami umani deboli, con una esagerata centralità dell’”io”, e conseguente utilitarismo nei rapporti, come anche il papa Benedetto XVI ha ricordato domenica scorsa 5 giugno a Zagabria. In seguito all’affermarsi di questa cultura si è verificato un processo contraddittorio: da un lato si è meno disposti a sottrarre risorse (tempo, fatica, denaro, preoccupazioni, ecc…) alla cura di se stesso per dedicarle all’altro (amici, colleghi, ma anche figli, genitori, parenti) e, di conseguenza, ci si ritrova più soli e infelici. Ma questa solitudine, paradossalmente, spinge l’uomo moderno a riversare proprio sulla famiglia un’aspettativa affettiva assai superiore all’investimento che si è disposti a fare in essa, causando squilibri e conflitti, sfocianti spesso nel fallimento e in un senso di delusione.
Infatti la famiglia è considerata l’ambito “naturale” dell’affettività, dove siamo “in diritto” di essere amati e dove è più facile volersi bene, perché ritenuto fatto spontaneo e quasi istintivo (si parla ad esempio di istinto materno come una forma di amore). Conseguenza di questa idea è che la famiglia, in quanto ambito circoscritto di coloro che hanno vincoli di sangue, goda di una sorta di priorità naturale nelle preoccupazioni dell’uomo e concentri in sé tutte le persone nei confronti delle quali ciascun individuo è tenuto a osservare certi obblighi di solidarietà e amore. Quest’ultima idea, già smentita dalla realtà, se pensiamo agli anziani e a tutti i membri problematici della famiglia che, inspiegabilmente, sono esclusi da questa sorta di garanzia naturale e vengono espulsi come se non fossero a pieno titolo membri della stessa, viene anche pesantemente messa in discussione, come vedremo in seguito, dall’insegnamento e dalla prassi di Gesù.
A questo si accompagna poi una convinzione fortemente radicata nel nostro contesto di cultura egocentrica, e cioè che per essere felici bisogna essere amati. La famiglia diventa pertanto il luogo naturale da cui ci si aspetta che provenga la propria realizzazione, cioè in cui si possa essere certi di ricevere amore, attenzioni, avere cioè un ruolo protagonista. In realtà è vero il contrario: la gioia vera è avere qualcuno che si ama. Chi non ama (e non chi non è amato) è triste e infelice. Gesù è il prototipo dell’uomo felice, incarnazione delle beatitudini evangeliche: lui fu poco amato, ma ha amato molto. Da tutto questo consegue che in genere si pensa alla famiglia come l’ambito in cui “naturalmente” si riceve il massimo dell’amore, e di conseguenza in cui si può essere felici.
Quando dico “scarso investimento affettivo”, si badi bene, non intendo poco tempo speso o poco affanno riversato, ma significa che il nostro intervento è indirizzato a ottenere la massima soddisfazione per sé con il minimo impegno per il bene dell’altro. L’amore vero infatti non è spontaneo o istintivo, ma è frutto di attenta ricerca, riflessione, fatica, tentativi e correzioni, richiede innanzitutto il cambiamento di sé. Ad esempio, voler creare e mantenere, a volte fino all’assurdo, la dipendenza dell’altro da me, così sarà sempre costretto a dimostrarmi affetto, oppure sviluppando un senso quasi ossessivo di protezione per quelli dai quali posso aspettarmi qualcosa in futuro (i bambini) e invece abbandonando a se stessi quelli che non mi potranno ormai dare più molto (gli anziani).
Questi atteggiamenti “culturali” ci vengono trasmessi dalla società, dai mass media, dal sapere comune, ecc…, ma spesso si rivelano delle vere e proprie trappole che imprigionano l’uomo in destini perversi di infelicità. Pensiamo, ad esempio, le crisi per i figli che crescono e “pretendono” di avere una loro autonomia decisionale, fatto naturale e anzi da favorire, ma che spesso è avvertita dal genitore come un fallimento e dimostrazione d’ingratitudine da parte del figlio. Oppure l’incapacità ad assumersi la responsabilità di un ruolo paterno o materno, con tutto quello che ne consegue anche in possibilità di errore e fallimento, preferendo un rapporto “alla pari” in cui è il figlio che decide, o sceglie per il proprio bene, cosa che sembra porre il genitore al riparo dalla possibilità di errore o dalla necessità di imporre qualcosa di non gradito al figlio. È il caso, ad esempio, del dilagante fenomeno dei genitori che non battezzano i propri figli alla nascita, lasciando ad essi la possibilità che da grandi scelgano se farlo o meno. È evidente che i primi a non essere in grado di fare una scelta e di assumersene la responsabilità in questo caso sono i genitori stessi, per una cosa di cui evidentemente non avvertono l’importanza. Anche perché se così fosse dovrebbero lasciare ai propri figli anche la libertà di andare a scuola o meno, di assumere farmaci in caso di malattia o meno, di imparare a parlare o di esprimersi a grugniti, di andare al bagno o di fare i propri bisogni dove gli capita, ecc…
Insomma la famiglia è oggi un ambito nel quale si rivela in modo evidente la crisi dell’uomo e della donna moderni. La scelta sempre più frequente di preferire legami di tipo debole, come la convivenza, o basati sull’esasperazione di alcuni aspetti della vita di coppia, quali il sesso o la passione istintiva, come nelle unioni omosessuali e non solo, rivela l’immaturità affettiva di chi la compie e l’indisponibilità a costruire legami solidi che si fondino non solo ed esclusivamente sulla ricerca della propria soddisfazione immediata e dunque transitoria.
Come uscire da questo stallo? Innanzitutto c’è bisogno sempre più di distinguere bene fra ciò che vi è di naturale e di culturale. Spesso infatti si contrabbandano abitudini o idee che provengono dalla cultura dominante nel mondo come qualcosa di ìnsito nella natura e (altra idea falsa) per questo di per sé buona. In realtà ciò che di buono può esserci viene solo se lo costruiamo attraverso un paziente lavoro basato sull’ascolto del vangelo.
Si sente fare a volte un richiamo nostalgico ai tempi antichi. Di sicuro la situazione era molto diversa, ma siamo sicuri che fosse migliore di oggi? Pensiamo alla condizione della donna nella famiglia, schiava e sottomessa, ai matrimoni d’interesse e combinati, al costume della dote necessaria ad un matrimonio dignitoso, l’onta dell’essere figli illegittimi, o “di N.N”, ecc… Non mi sembra insomma di poter dire che un ritorno al passato sarebbe un reale miglioramento della situazione attuale della famiglia.
La soluzione migliore è interrogare il Vangelo per capire come Gesù pensa e vuole la famiglia e come vivere, di conseguenza, il rapporto con i propri familiari.





Fra natura e cultura, la terza possibilità: conversione al regno di Dio
Gesù non fa una trattazione sistematica di questo tema, come d’altronde per molti altri, ma getta delle basi su cui noi possiamo costruire le nostre esperienze confidando su un fondamento solido. Ne vorrei evidenziare tre principali.
Il primo concetto base che emerge dalla lettura del Vangelo è che accanto alla famiglia di sangue, cioè naturale, esiste anche un’altra famiglia, quella dei figli di Dio:
“A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.” (Gv 1,12-13).
Esiste una famiglia di coloro che accolgono il Signore e così facendo diventano fratelli e sorelle fra loro, perché tutti figli di Dio. Questa parentela non deriva dal vincolo di sangue, ma è frutto della benevolenza di Dio che la concede. S. Paolo chiama questa possibilità di divenire figli di Dio una vera e propria “adozione”, cioè un’iniziativa di un padre che assume come figli quelli che per natura non lo sarebbero. Da parte dell’adottato è chiesto di riconoscere il proprio nuovo Padre, facendone la volontà e assumendone il modo di fare, diverso da quello del mondo degli idoli:
“Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.” (Gal 4, 4-7)
La seconda idea è che nella famiglia di Dio figli si diventa e non si nasce. Questa è una grande differenza dalla famiglia di sangue. La famiglia di Dio è frutto della scelta di chi ne vuole fare parte, è infatti aperta a tutti quelli che dimostrano la disponibilità a cambiare vita secondo l’insegnamento del Vangelo. Non ha confini di tipo genetico, etnico o geografico, è proposta a tutti indistintamente: “Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.” (Gal 3,26-29). Per questo è una famiglia da costruire, vivendo come vuole Dio, operando la conversione del mio cuore verso di lui e verso i fratelli che ci ritroviamo donati. Infatti l’amore che lega i familiari secondo Dio non è un legame naturale o istintivo, etnico o di affinità sociale e culturale, ma qualcosa di nuovo che va appreso dal Vangelo e costruito pazientemente.
Il terzo concetto è che la famiglia di Dio resta per sempre, quella dell’uomo passa, e per questo la prima ha un’importanza e un valore di gran lunga superiore. La transitorietà della seconda non solo è dovuta alla natura mortale dell’uomo, ma perché il suo fondamento non è duraturo: è la natura e la cultura, tutte e due cose che passano. È quello che ci insegnano i brani del Vangelo che ci sconcertano, proprio perché negano un’idea “naturale” della famiglia e dei rapporti al loro interno, per restituircene invece una nuova, basata su un fondamento totalmente diverso:
“Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.” (Lc 2,48-49)
Sulla famiglia di sangue e sui doveri che ci legano ad essa prevale il dovere di “occuparsi delle cose del Padre”. Se c’è conflitto, la priorità è fuori discussione, va a Dio. È qualcosa d’innaturale, apparentemente, tanto che con la logica del mondo non la si capisce.
“«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».” (Mc 3,33-35)
Gesù afferma non solo che i veri familiari sono coloro che diventano figli di Dio compiendo la sua volontà, ma anche che hanno la prevalenza sui membri della famiglia di carne. Vediamo la situazione in cui si collocano queste parole di Gesù, così sconvolgenti a prima vista (Gesù rifiuta addirittura di vedere sua madre e i suoi fratelli ! ): il vangelo ci dice che i parenti arrivano da fuori e lo chiamano. Essi pertanto non si erano fatti ascoltatori e discepoli di Gesù, se ne stavano per i fatti loro a fare la loro vita, ma poi, ad un certo punto, arrivano da lui e pretendono di esercitare il loro “diritto parentale” e di incontrare Gesù quando serve a loro. A questa mancanza di discepolanza e pretesa superiorità egli contrappone il vincolo parentale che si sostanzia nel “fare la volontà di Dio”. In quella situazione fare la volontà di Dio consisteva nello state accanto a lui ad ascoltarlo, lo dice Gesù indicando la gente che lo circonda, cosa che i parenti di sangue si guardavano bene dal fare! I parenti di sangue non sono esclusi dalla famiglia di Dio, sono loro che con il loro atteggiamento di estraneità e superiorità se ne allontanano. Potremmo parafrasare le parole di Gesù con le seguenti espressioni: “Se vorreste essere veramente i miei fratelli e genitori stareste qui ad ascoltarmi, invece ritenete che siano sufficienti i vincoli di sangue ad assicurarvi il diritto di dirvi tali.”
Per analogia possiamo ricordare le parole di Gesù circa l’essere discendenza di Abramo secondo la carne, come rivendicano con orgoglio i giudei, o piuttosto secondo lo spirito, cioè facendosene discepoli. È chiarissimo che per Gesù la vera figliolanza in Abramo risiede non nel vincolo di sangue o etnico (esclusivismo), ma nell’adesione alla fede di Abramo in Dio (universalismo):
“Gli risposero: "Il padre nostro è Abramo". Disse loro Gesù: "Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo.” (Gv 8,39, vedi tutto il capitolo)
Questa duplice possibilità di ruolo familiare lo si evince anche dal brano delle nozze di Cana. Anche qui troviamo una risposta piuttosto seccata di Gesù alla madre:
“E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».” (Gv 2,4)
In questo caso si evidenziano due fatti: il primo è che i tempi di Dio prevalgono sui tempi della famiglia e dei suoi doveri sociali. Secondo, che desiderare il bene degli altri (gli sposi e gli invitati di Cana) pone Maria al di là del suo ruolo di madre di sangue, per farne un membro della famiglia di Dio, e pertanto la sua insistente richiesta, dopo un primo diniego, è ascoltata da Gesù. Non per una presunta “tenerezza filiale” (vincolo di sangue), ma per il bene di quella comunità (gratuità dell’amore).
Gesù non solo parla della famiglia di Dio, ma vive lui stesso in una nuova famiglia fondata non sul sangue ma sul volere di Dio: il gruppo dei discepoli. Questi se ne sono accorti, ma allo stesso tempo restano ancorati a vecchie concezioni:
“Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito». Ed egli rispose: «In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».” (Lc 18,28-30)
A questo punto è necessario sottolineare che Gesù non rifiuta la famiglia tradizionale per imporre un altro modello più “moderno”, ma vuole affermare la priorità di Dio su tutte le istituzioni sociali e culturali umane: davanti all’alternativa, la famiglia va indubbiamente lasciata in secondo piano rispetto al Regno di Dio. La famiglia non di sangue infatti è quel “molto di più” che si ottiene vivendo la dimensione sovvertita del Regno, come dicevamo l’altra volta, è qualcosa che riguarda l’eternità e ci immette in essa, attesta Luca.
Da questi pochi, semplici, ma solidi elementi tratti dal Vangelo, risulta chiaro come la famiglia sia un ambito dei tanti in cui viviamo (un pezzo di mondo) e in cui siamo chiamati dal Signore ad operare la trasformazione della nostra vita e di quella degli altri, vivendo secondo il volere di Dio, la sua legge e le sue logiche, trasformandola in uno squarcio di Regno.
Per tornare allora al concetto espresso prima, la famiglia non è il luogo in cui si è naturalmente amati e in cui si è spontaneamente portati ad amare, ma è uno dei tanti ambiti nei quali siamo chiamati a imparare a voler bene agli altri come Gesù insegna e a farli diventare nostri familiari, cioè veri fratelli, e non solo fratelli di sangue, vere sorelle, e non solo sorelle di sangue, veri padri, vere madri, veri figli, e questo avviene fondando la nostra vita nel fare la volontà di Dio e nel proporre loro di fare altrettanto.





La libertà di farsi adottare
Già in un incontro precedente dicevamo che Gesù usa il termine “fratello” solo per due categorie di uomini e donne: i discepoli, cioè quelli che fanno la volontà del Padre, come abbiamo visto nel brano di prima, e i poveri:
“In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.” (Mt 25,40)
Entrare a far parte e costruire la famiglia di Dio allora ci dà una libertà enorme, poiché ci libera dalla grande paura del fallimento familiare. Nonostante i nostri sforzi e tutta la buona volontà che ci mettiamo, infatti, questo resta comunque un possibile esito. Pensiamo, per fare un esempio, l’evoluzione del rapporto di S. Francesco con la sua famiglia man mano che la sua conversione di evolve verso una scelta di adesione radicale al Vangelo. La convivenza coi genitori diventa via via sempre più impossibile e conflittuale. È un tipico fallimento familiare a cui fa seguito l’abbandono reciproco. Ma, nonostante questo rischio, non siamo condannati all’infelicità qualora le cose non vadano bene e i nostri familiari non accettino una prospettiva evangelica. Non c’è fallimento o delusione familiare, per quanto dolorosi essi possano umanamente essere, che ci condanni ad essere infelici, perché abbiamo una schiera infinita di persone a cui possiamo voler bene: innanzitutto i poveri, e i fratelli e le sorelle a cui proporre di diventare assieme famiglia di Dio, vivendo, secondo la sua volontà, un vincolo parentale ancora più stretto (e gratificante) di quello di sangue. Come già abbiamo detto negli incontri in cui abbiamo analizzato il rapporto di Gesù con i poveri, questi infatti sono una grande schiera di persone che non aspettano altro che adottarci come padri, madri, fratelli e figli, ce lo dimostrano con la loro insistenza, la domanda affettiva di prenderci cura di loro che rivolgono a volte in modo spudorato e immediato. Essere adottato da un povero come figlio (pensiamo agli anziani in istituto che non aspettano altro che un figlio da aspettare e da cui farsi accudire) o come padre (pensiamo ai tanti bambini o ragazzi trascurati) o come fratello (pensiamo a chi vive per strada) è facilissimo, basta che diciamo di sì alla loro domanda. In qualche modo possiamo dire che i poveri ci aiutano a diventare familiari di Dio facendosi ministri, intermediari, di quell’adozione di Dio che ci fa diventare loro parenti perché suoi figli ed eredi.
In conclusione possiamo dire che la missione di Gesù risulta essere proprio quella di fondare e ampliare al massimo questa famiglia dei figli di Dio, che è la Chiesa, perché abbracci l’umanità intera, ovviamente anche i familiari di sangue, come tutti gli altri, a patto che accettino la “nuova legge”. È quello che afferma il Vangelo di Giovanni, sottolineando l’inconciliabilità fra la nuova famiglia di Dio e la concezione di famiglia tradizionale, di cui il sommo sacerdote si fa portavoce:
“«Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.” (Gv 11,49-53)

lunedì 6 giugno 2011

Festa dell'Ascensione




Dagli atti degli apostoli 1,1-11
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

Salmo 46 - Ascende il Signore tra canti di gioia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 1, 17-23
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione
e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose:
essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

Alleluia, alleluia alleluia.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 28, 16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».



Commento




Cari fratelli e care sorelle, il brano degli Atti degli apostoli che abbiamo appena ascoltato ci riporta le ultime parole rivolte da Gesù ai suoi prima di lasciarli definitivamente per ascendere al cielo col suo corpo. La sua ultima raccomandazione è quella di non perdere l’occasione che sarà loro offerta di “ricevere il battesimo nello Spirito”. Gesù si riferisce evidentemente alla discesa dello Spirito a Pentecoste, quando come lingue di fuoco Egli si materializzò sul capo di ciascuno di loro.
Che cosa è questo battesimo di cui Gesù parla, che viene dopo il battesimo di pentimento e conversione che Giovanni aveva impartito a Gesù stesso e a tanti giudei sulle rive del Giordano? Quest’ultimo era una preparazione, come Giovanni dice di sé: “voce di uno che grida nella strada: preparate la strada al Signore!” Il battesimo di Giovanni era cioè la presa di coscienza che da soli non bastiamo a salvarci, che siamo fragili, peccatori e incapaci di trovare con le sole nostre forze il bene che Dio ha preparato per noi. Questo è il battesimo “con acqua” di cui parla Gesù ai discepoli. È un battesimo indispensabile, perché senza una coscienza umile di sé, senza la convinzione del proprio bisogno profondo di essere salvati dal Signore non sappiamo dove andare e cosa cercare.
Ma da solo questo battesimo non basta. Una volta preparata la strada al Signore, infatti, c’è bisogno di incamminarsi verso di lui e d’incontrarlo. È questo incontro il battesimo “in Spirito santo” di cui Gesù parla. È attraverso lo Spirito infatti che Gesù continua a restare presente in mezzo a noi, non più col suo corpo, come al tempo degli apostoli, ma con la sua forza trasformatrice e benevola, con la parola che scalda il cuore e apre squarci di comprensione della nostra vita, con l’esempio di chi ha fede il lui, con le vicende a volte straordinarie della storia dell’umanità, insomma con le infinite e multiformi manifestazioni del suo Spirito.
Oggi la Chiesa festeggia con solennità l’Ascensione di Gesù. Perché festeggiare una separazione? Perché dopo che il Signore ha compiuto la volontà del Padre vivendo fra gli uomini, morendo per loro e risorgendo il terzo giorno, per incontrarlo non c’è più bisogno di trovarsi per le strade della Palestina ma in ogni angolo del mondo possiamo averlo accanto vivo e vicino nel suo Spirito santo. Quella che era stata l’esperienza straordinaria di un pugno di uomini in un angolo di mondo infatti diviene con l’Ascensione una possibilità per tutti, nei luoghi più sperduti e nelle situazioni meno adatte, dove tutto sembra negare la presenza di Dio lo Spirito entra e rende Dio presente e operante nella misericordia e nell’amore.
Ma tutto ciò non avviene per magia. È quello che credono gli apostoli alle parole di Gesù: “Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?».” Gli undici cioè pensano: da ora in poi Dio farà tutto lui, il suo Regno si stabilirà e tutto andrà a posto. Non è questo però il piano di Dio: non scavalca l’uomo, non lo rende un inutile spettatore, ma il protagonista della storia della salvezza: “Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».” Cioè il Signore afferma che nulla avverrà senza che loro stessi se ne facciano i promotori in prima persona. Dio manda lo Spirito, cioè suscita una nuova vita dentro il cuore di chi lo accoglie, gli dona i sentimenti e le parole giuste, ma poi sarà lui a rendere concreta la sua presenza lì dove ancora non c’è, nelle vite di chi ancora non lo ha incontrato.
Anche noi ci chiediamo allora oggi: abbiamo accolto il battesimo di Giovanni, siamo cioè coscienti fino in fondo del nostro bisogno di incontrare Gesù per salvarci? Ma poi, una volta ricevuto l’invito del Battista, ci siamo incamminati verso il Signore per incontrarlo e riceverne lo Spirito?
La risposta è relativamente facile: la si vede se lo Spirito, che è l’amore di Dio, è, a nostra volta, da noi trasmesso ad altri, se ci facciamo cioè testimoni e annunciatori di quella salvezza che Gesù ci ha fatto conoscere, dell’amore che ci ha fatto sperimentare. Egli infatti prima di partire ha lasciato un mandato chiaro ed esplicito, valido per tutti: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”Lui è con noi fino alla fine del mondo, ma noi stiamo con lui, la nostra vita è Parola di Dio vissuta, chi ci vede intuisce la forza di uno Spirito che il mono non ha e non conosce, come dice il Vangelo di Giovanni?
Sono le domande che la festa dell’Ascensione ci pone. Sono le domande che l’avvicinarsi della Pentecoste fanno sorgere al nostro cuore. Preghiamo allora perché non restiamo con gli occhi sospesi a guardare il vuoto, come gli apostoli dopo che Gesù salì al cielo, ma, obbedendo alla parola dell’angelo, anche noi ci guardiamo attorno scoprendo lì, fra la gente che ci circonda e nelle realtà in cui viviamo il luogo in cui continuare a cercare Gesù, ad incontrarlo vivo e a testimoniarne a tanti la forza d’amore e di perdono.



Preghiere n. 1



O Signore Gesù che ascendi al cielo dopo aver insegnato l’amore e annunciato la vittoria della Resurrezione, dona anche a noi il tuo Spirito, perché diveniamo annunciatori del Vangelo e operatori di pace vera.
Noi ti preghiamo



Suscita in noi, o Padre del cielo, il desiderio di renderti vicino a tutti quelli che ancora non ti conoscono. Dona alle nostre parole e alle nostre azioni la forza del tuo Spirito che scalda i cuori e apre le menti.
Noi ti preghiamo



Senza di te, o Signore Gesù, le nostre vite sono prive della guida e dell’amico. Manda ancora il tuo Spirito a difenderci dal male e a suscitare in noi una vita nuova.
Noi ti preghiamo



Proteggi il soffio del tuo Spirito, o Dio onnipotente, dai venti impetuosi della vita, perché gli affanni e le preoccupazioni non soffochino il suo dilagare nel mondo, oggi e per sempre,
Noi ti preghiamo



Accompagna con lo Spirito consolatore, o Padre del cielo, tutti coloro che ti invocano: i poveri, i sofferenti, i malati e i disperati. Suscita in noi compagni fedeli e amici capaci di sostenere chi è nel bisogno.
Noi ti preghiamo



Con forza o Padre ti invochiamo perché l’annuncio del vangelo raggiunga tutti coloro che ancora non ti conoscono. Per gli annunciatori della Parola e i predicatori del perdono e della riconciliazione: fa che la forza del tuo Spirito li sostenga e ispiri,
Noi ti preghiamo.



Dona ad ogni tuo discepolo, o Signore Gesù, la forza di cercare con umiltà il battesimo di Giovanni, perché coscienti della nostra fragilità e bisogno di salvezza apriamo il cuore al battesimo nello Spirito e ti invochiamo difensore e consolatore,
Noi ti preghiamo



Riempi o Dio onnipotente la tua chiesa dei doni dello Spirito, perché rafforzata nell’amore e confermata nella fede, sia porto sicuro e arca di salvezza per tutti i popoli della terra.
Noi ti preghiamo

giovedì 2 giugno 2011

VI domenica del tempo di Pasqua – 29 maggio 2011


navigazione sul Gange



Dagli Atti degli Apostoli 8, 5-8. 14-17
In quei giorni, Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città. Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

Salmo 65 - Acclamate Dio, voi tutti della terra
Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!

A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio, +
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 3, 15-18
Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. Se questa infatti è la volontà di Dio, è meglio soffrire operando il bene che facendo il male, perché anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito.

Alleluia, alleluia alleluia.
Se uno mi ama, osserva la mia parola,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 14, 15-21
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».



Commento




Cari fratelli e care sorelle, il vangelo di oggi ci parla di un tema molto importante, e cioè del rapporto duraturo e tenace che lega l’uomo con Dio. Gesù infatti in questo discorso riportato da Giovanni ripete con insistenza che Dio non è lontano e indifferente, ma anzi si manifesta, ci accompagna sta con noi. Dice infatti: “io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità” e poi “Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi” e ancora prosegue: “voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.” Insomma Gesù insiste a lungo per convincere i discepoli che non sono soli ad affrontare la vita, ma hanno accanto, insieme a loro Dio stesso, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. E questo si realizza in diversi modi. Sappiamo infatti che Dio Padre ci parla attraverso la Bibbia che è, appunto, Parola di Dio; il Signore Gesù si fa poi presente attraverso il suo corpo e sangue che incontriamo a messa per nutrircene. Ma oggi Gesù ci parla anche della vicinanza di Dio in un modo meno visibile, ma altrettanto concreto, cioè attraverso lo Spirito, chiamato con parola greca “Paraclito” che significa “il difensore”. Queste affermazioni di Gesù ci colgono oggi che siamo in prossimità della festa di Pentecoste, quando celebreremo la discesa dello Spirito Paraclito sui discepoli riuniti, ma anche nel giorno dopo che sette fratelli e sorelle più giovani della nostra comunità hanno ricevuto il sacramento della Cresima dalle mani del Vescovo.
Con questo sacramento che tutti noi, tranne pochi, abbiamo ricevuto alcuni anni fa, si realizza la promessa di Gesù e lo Spirito si è fatto vicino in modo particolare a questi ragazzi, fermandosi nella loro vita.
Ma cosa significa che Dio vuole restare con noi ed è presente al nostro fianco col suo Spirito?
Per usare una metafora potremmo dire che non solo Dio ci ha dato la barca con la quale attraversare il mare della vita e arrivare alla spiaggia della nostra felicità, e questa barca è la vita che ci è donata. Non solo Dio ci ha fornito i remi che sono le doti che ciascuno ha per indirizzarsi verso la meta tanto desiderata: la salute, le energie, le risorse che non ci sono fatte mancare per andare avanti. Ancora di più: Dio stesso è nella barca con noi, e lo è proprio come Spirito Paraclito, cioè difensore. La sua presenza buona nella nostra barca ci è di guida e di consiglio: ci indica la direzione giusta per giungere sicuri alla meta, come evitare gli scogli e le secche, come tenersi alla larga delle tempeste improvvise e inaspettate, come evitare i mari infestati dai pescecani e altre pericolose minacce. Insomma Dio è un timoniere affidabile e non abbiamo nulla da temere finché ci lasciamo guidare da lui. È quello che Gesù dice nel vangelo ascoltato oggi: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama.” Sì, amare Dio è soprattutto farci guidare dalle sue indicazioni preziose, che ci giungono nei tanti modi che lui conosce: l’esempio di alcuni, le situazioni che ci fa vivere, la voce della coscienza, le parole della Scrittura, ecc…
Ma, e questa è un’esperienza comune, noi non sopportiamo facilmente che ci sia qualcun’altro al timone della nostra vita. In fondo quante volte, ubriachi di un senso orgoglioso di autosufficienza o semplicemente desiderosi di metterci alla prova per dimostrare quanto valiamo veramente, abbiamo più o meno gentilmente fatto scendere Dio dalla nostra barca, preferendo decidere da noi stessi la nostra strada. Niente di più facile: non c’è bisogno di compiere gesti eclatanti o di fare scelte particolarmente malvagie. Basta pensare di farcela da soli, di essere capaci ed esperti a sufficienza, pur mantenendo magari una religiosità di facciata. Ma quali sono i risultati di questa decisione? Quante vite vediamo impazzire alla rincorsa di sé stessi, ruotare vorticosamente attorno a sé, alle proprie fissazioni o paure, ferme sempre nello stesso fazzoletto di mare. Oppure zigzagare, alla ricerca di sempre nuove esperienze, per stancarsene subito e gettarsi alla rincorsa di un’ultima novità, una passione nuova, un’esperienza più forte della precedente, ma senza sapere qual è la meta verso cui remare, alla rinfusa. Oppure, più banalmente, la vita è talmente affollata di preoccupazioni per se stessi da dimenticare letteralmente gli altri, senza più remare, ma andando alla deriva. Pensiamo ai tragici casi, recentemente accaduti, in cui un padre ha dimenticato nella macchina sotto il sole il proprio figlio piccolo, causandone la morte. Non sono dei mostri, non volevano uccidere i propri figli, ma la loro testa era tutta presa da se stessi e le proprie cose da fare. Così facendo gli altri, persino i propri figli, sono diventati sempre più evanescenti, fino a scomparire completamente dalle loro preoccupazioni e, purtroppo, dalla vita stessa. Ma non è forse la stessa cosa che facciamo anche noi, pur senza arrivare allo stesso tragico epilogo?
In fin dei conti per l’allontanamento di Dio dalla nostra barca chi ci rimette di più? Un gesto apparentemente eroico e da superuomini si rivela un’imprudenza pericolosissima.
Fortunatamente, se ce ne accorgiamo in tempo, possiamo tornare indietro, riaccogliere Dio nella nostra barca, andarlo a cercare lì dove lo avevamo abbandonato, e lui si fa trovare, se lo invitiamo torna ad accompagnarci nel viaggio della vita.
C’è bisogno però di rifare il cammino a ritroso, con umiltà e senso di pentimento, ma per farlo bisogna tornare con la mente e col cuore a quando lo Spirito era il nostro Paraclito, protettore buono e guida sicura. La cresima è nella vita di chi l’ha ricevuta, tanto tempo fa o solo ieri, questo momento di lucidità affettiva, come un lampo che ci ha fatto vedere e capire con chiarezza l’importanza della compagnia di Dio nella barca della nostra vita.
Allora oggi siamo grati ai nostri amici neo-cresimati, perché sono occasione per noi più grandi di chiederci cosa ne abbiamo fatto della nostra cresima, per ricordarci che da soli non sappiamo dove andare e non possiamo evitare il naufragio e ci autocondanniamo ad andare alla deriva verso destinazioni sconosciute.
Invochiamo anche noi oggi lo Spirito perché torni ad accompagnarci come difensore buono dai pericoli, guida sicura, compagno fedele. Ci vuole l’umiltà di riconoscercene bisognosi, ma il ricordo della fiducia, forse un po’ ingenua, con cui lo abbiamo ricevuto nella nostra Cresima ci aiuterà a farlo, ed egli non si negherà e tornerà da noi.






Preghiere






O Spirito di Dio scendi oggi su di noi perché assieme ai giovani cresimati ieri sappiamo accoglierti nella nostra vita come guida sicura e difensore dai pericoli.
Noi ti preghiamo



O Dio Padre misericordioso, non ti sdegnare per il nostro rifiuto a farci guidare da te, ma suscita in noi il pentimento e il desiderio di averti sempre vicino.
Noi ti preghiamo



O Signore Gesù che con insistenza rassicuri i tuoi discepoli che tu non li abbandonerai mai, fa’ che non siamo noi a lasciarti per seguire con orgoglio noi stessi. Aiutaci ad ascoltarti sempre con fiducia e gratitudine.
Noi ti preghiamo



Ti ringraziamo o Dio del cielo per il dono della vita. Fa’ che non la riteniamo un nostro possesso esclusivo, ma con semplicità e gratitudine la spendiamo per il bene nostro e degli altri.
Noi ti preghiamo



Ti preghiamo o Padre misericordioso, vieni nelle vite di tutti come pastore e guida sicura. In modo particolare ti preghiamo oggi per coloro che si sono sperduti per strade che non portano a niente, fa’ che tornito a te.
Noi ti preghiamo



Accompagna con amore, o Signore, specialmente quelli che hanno più bisogno del tuo sostegno: i poveri, i malati, i prigionieri, i profughi, chi è solo e senza casa. Guidali alla meta di una vita serena e senza dolore.
Noi ti preghiamo.



Guida con sicurezza o Dio la grande nave che è la tua chiesa, perché sappia accogliere tutti e condurli da te. Benedici chi si affatica per essa e testimonia con impegno il Vangelo di salvezza.
Noi ti preghiamo



Proteggi o Padre buono tutti i tuoi discepoli che sono minacciati e nel pericolo. Salva la loro vita e fa’ che possano essere sempre operatori di pace e riconciliazione.
Noi ti preghiamo

mercoledì 1 giugno 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XXIV incontro (III del tempo di Pasqua) : Gesù e i suoi familiari






Per parlare del tema del rapporto di Gesù con i suoi familiari vorrei prima di tutto inquadrare questo tema nell’ambito più generale del significato che nel Vangelo viene dato alla categoria del “mondo” e che tipo di rapporto ha Gesù con esso.
Per affrontare questo tema partiamo dal prologo di Giovanni in cui il “mondo” è così presentato:



10 Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
11 Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l'hanno accolto.
12 A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13 i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
(Gv 1,10-13)



Il mondo è inteso da Giovanni come l’ambito nel quale Gesù è venuto a vivere con la sua incarnazione, quello in cui viviamo tutti noi (“Egli era nel mondo”). Ha un significato quindi molto ampio: è la natura fisica (il mondo materiale), ma anche la cultura, le leggi, la società. Infatti non è la natura fisica a non aver accolto Gesù, anzi, Gesù l’ha creata e poi assunta in sé tutta quanta senza problemi, ma è l’umanità e tutte le sue espressioni (culturali, politiche, religiose, tradizionali, ecc…) che hanno rifiutato il Signore (“eppure il mondo non lo riconobbe”). Giovanni dice “eppure” per sottolineare lo stupore per il fatto che il mondo pur essendo stato fatto da Gesù (“il mondo fu fatto per mezzo di lui”), per cui diremmo “predisposto, adatto” a riconoscerlo e accoglierlo, non lo ha ricevuto come Salvatore, come invece ci si poteva aspettare. È la dimostrazione della libertà dell’uomo. Infatti, pur essendo stato fatto da Dio, il mondo e l’uomo aveva bisogno di essere redento, perché liberamente aveva deciso di darsi da sé le proprie leggi e non seguire quelle di Dio, fin dai suoi primi passi, disobbedendo con Adamo ed Eva.
Dunque Gesù, fin dalla nascita, si pone in rapporto di “alterità” rispetto al “mondo” inteso in questo senso: è qualcosa di diverso, per giungere, a volte, ad essere qualcosa di opposto e inconciliabile, come ci testimoniano altri passi evangelici:




sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto.” (Mc 4,19)




Fin dall’inizio della sua esistenza nel mondo Egli non trova spazio in esso, è come un corpo estraneo: nasce fuori della città, il luogo massimo della vita sociale e culturale e religiosa, perché non c’è posto per lui (“Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.”).
Questa realtà di alterità però non è l’unica possibilità: si può realizzare che il mondo accolga Gesù, a patto però che accetti di trasformare se stesso: “A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio.”
Il mondo quindi per il prologo di Giovanni ha una valenza neutra: non è né malvagio né buono, di per sé stesso. Il suo valore positivo o negativo dipende dal fatto se esso vive secondo le regole che si è dato da se stesso, rifiutando quelle di Dio e divenendo quindi qualcosa di inconciliabile con lui, oppure si sottomette al volere di Dio, si conforma a lui, e quindi lo accoglie come qualcuno di casa e familiare, e allora il mondo è trasformato e diviene come un luogo in cui pregustare il Regno che Gesù è venuto a inaugurare e che si compirà pienamente solo alla fine dei tempi.
Questa è infatti proprio la missione di Gesù: trasformare angoli di “mondo” in squarci di “Regno di Dio”, per farlo intravedere, pregustare agli uomini e invitarli a farsi anche loro operatori di questa trasformazione perché il regno si allarghi fino a comprendere tutto il mondo.
Ciò si realizza ad esempio nei miracoli, quando cioè si sovverte la legge “naturale” del mondo e si impone la legge di misericordia e salvezza di Dio. I miracoli che sono ad esempio le guarigioni e le resurrezioni, ma anche quando il perdono vince sulla condanna (es: l’adultera) o quando prevale l’amore per Gesù su quello per sé stessi (chiamata dei dodici che lasciano tutto); ecc…
Per fare un esempio banale, pensiamo ad un martello. Esso di per sé è uno strumento di una certa utilità (per inchiodare il legno), anche se è stato usato in modo malvagio per inchiodare Gesù alla croce. Dipende dalla volontà di chi lo usa. Non possiamo dire che il martello è malvagio in sé, perché è stato strumento dell’uccisione di Gesù, né che è sempre buono, perché è utile al falegname: può infatti essere tanto un utile strumento che una pericolosissima arma.
Questa diversità di valutazione delle realtà mondane secondo con quali occhi le si guarda emerge anche da 1Cor 1,27:”Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti”

Un altro brano in cui Gesù parla molto del “mondo” è nel Vangelo di Giovanni 17:
1 Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. 2 Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3 Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4 Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. 5 E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.
6 Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. 7 Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8 perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. 9 Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. 10 Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11 Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.
12 Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. 13 Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14 Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
15 Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. 16 Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17 Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18 Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; 19 per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità.

25 Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. 26 E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».



Vediamo alcuni elementi che emergono da questo lungo brano:
Gesù inizia parlando della sua missione: far conoscere Dio agli uomini che sono nel mondo: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo”. Gli uomini sono “dal mondo”, cioè sono parte di esso, lo è il loro modo di vivere e le situazioni in cui si trovano a vivere, la loro cultura, ecc… Conoscere Dio fa uscire gli uomini da questa realtà mondana, estranea a Dio e li fa entrare in rapporto stretto con lui, attraverso Gesù fatto uomo. In questo modo si salvano, perché entrano in una prospettiva nuova di vita che è lo squarcio di Regno inaugurato: “non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.” (Gv 12,47).
Gesù prega per i suoi perché essi resteranno nel mondo, cioè dentro la vita, mentre lui se ne sta per andare via, e pertanto hanno bisogno di continuare a restare legati a lui per distinguersi da esso anche dopo della sua partenza e per non farsi risucchiare tornando ad essere “come il mondo”, o “del mondo” : “Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. … Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato…”
L’opera di Gesù con i discepoli è stata esattamente quella di tirarli fuori dal mondo, cioè dalle sue leggi, le sue logiche, le sue mentalità, tradizioni, ecc… per radicarli in una dimensione diversa, quella del Regno, tanto che ora può dire che, anche se vivono “nel mondo”, non sono “del mondo”, e proprio per questo motivo il mondo li sente come un corpo estraneo, così come è accaduto per Gesù stesso: “Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.” Dice S. Paolo a questo proposito: “Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato.” (1Cor 2,12) oppure: “un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli.” (Ef 2,2), ecc…
Il mondo di per sé non “riconosce” Dio perché segue le proprie leggi, Ma Gesù conosce il Padre e lo ha fatto conoscere ai suoi, attraverso la sua manifestazione più chiara, l’amore: “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro.”
Questa è in estrema sintesi l’idea del mondo che emerge dal vangelo.
Cosa significa questo discorso per noi?
Il mondo è la realtà “naturale”, istintiva, spontanea che viviamo ordinariamente, così come ci viene proposta: è la cultura in cui viviamo in senso ampio, il “come si vive”, e quindi i contesti o ambiti in cui viviamo, come ad esempio il lavoro, lo studio, la politica o anche la famiglia.
Pensiamo alla famosa frase di Gesù: “Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio” (Lc 20,25)
Per se stesse tutte queste porzioni di mondo non sono né buone né cattive, come il martello di cui parlavamo, lo diventano a seconda di come le viviamo: secondo le loro leggi interne che il mondo si è elaborato da sé, o secondo la legge di misericordia e di amore del Vangelo del Signore Gesù?
Questo è il fondamento della libertà cristiana, per il quale Paolo afferma con grande spregiudicatezza:
“«Tutto è lecito!». Ma non tutto è utile! «Tutto è lecito!». Ma non tutto edifica.” (1Cor 10,23)
Possiamo dire che il cristiano è colui che nella sua vita quotidiana non da mai nulla per scontato e si pone sempre, prima di agire, questa domanda: agisco secondo le loro leggi interne che il mondo si è elaborato da sé, o secondo la legge di misericordia e di amore del Vangelo del Signore Gesù?

Allora il mondo è da rifiutare?
A partire dai primissimi secoli cristiani si è diffusa una lettura di questo rapporto da avere con il “mondo” un po’ diversa da quella che Gesù insegna nel Vangelo. La cultura semitica di cui infatti il Signore è figlio e che si esprime nell’intera Bibbia ha un’idea dell’uomo unitaria: anima e corpo, spirito e materia sono unite inscindibilmente, due dimensione dell’unico uomo che Gesù considera sempre nella sua interezza, senza dividerlo mai.
La cultura greca in cui invece si sviluppa il pensiero cristiano nei suoi primi secoli prevede una visione della realtà umana un po’ diversa, utilizzando le categorie della filosofia platonica che avevano allora maggiore diffusione nella cultura. Secondo questa visione la realtà era nettamente divisa nelle sue due componenti materiale e immateriale. La prima aveva una valenza negativa, perché costituiva l’esteriorità ingannevole delle realtà che fuorviava l’uomo dalla conoscenza della reale essenza delle cose, che era quella immateriale. In contesto cristiano questo portava al disprezzo per tutto quello che era fisico e materiale, per dare invece importanza solo al versante spirituale della realtà umana. Questo giungeva fino all’estremo disprezzo per ogni dimensione fisica (corpo, salute, bellezza, benessere, ecc…) vista come una nemica da combattere per far prevalere quella spirituale (anima, salvezza, bontà, felicità, ecc…).
In questo sistema di pensiero il “mondo” ha via via assunto una valenza negativa: esso andava rifiutato in totale e abolito, mentre, come abbiamo visto, per Gesù si deve invece trasformarlo dal di dentro per dargli un’anima, per farlo diventare un mezzo di manifestazione della logica sovvertita del regno di Dio.
Questa mentalità è arrivata fino ad oggi in tante concezioni tradizionali che si dicono cristiane.
Potremmo dire che l’atteggiamento più in sintonia con quello di Gesù è: non rifiuto ma conversione al Vangelo. Chiaramente questo processo è molto più difficile, perché dà libertà, e quindi responsabilità, a ciascuno di noi di agire: non c’è più la netta divisione fra ciò che è buono da accettare e ciò che è male da rifiutare, ma una realtà complicata e multiforme da comprendere amare e trasformare, assumendosela e convertendola assieme a me che la vivo. È molto più difficile, ma è anche una sfida che ci restituisce una grande libertà e responsabilità. Dalla logica della rinuncia al mondo e del sacrificio alla logica della misericordia e della trasformazione del mondo.
La famiglia allora, in questo senso, come una delle dimensioni naturali del mondo non è di per sé un male (come magari una certa mentalità cristiana antiquata faceva pensare, privilegiando la scelta del celibato come perfezione maggiore rispetto al matrimonio), come non è di per sé un bene (non è “santa” automaticamente, come una certa ideologia familista moderna vorrebbe magari contrabbandare semplicisticamente), ma è invece una dimensione concreta e spirituale della vita che va evangelizzata, cioè convertita assieme a me che la vivo.
Il Vangelo ci offre le coordinate di come operare questa conversione, seguendo l’esempio e gli insegnamenti di Gesù.