venerdì 21 ottobre 2011

XXX domenica del tempo ordinario




Dal libro dell’Èsodo 22,20-26

Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».


Salmo 17 - Ti amo, Signore, mia forza.
Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore.

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési 1,5c-10

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acàia.  Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acàia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.  Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.
 

Alleluia, alleluia alleluia.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.

Alleluia, alleluia alleluia.
 

Dal vangelo secondo Matteo 22,34-40

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».  Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, Come abbiamo già visto domenica scorsa, i farisei assieme agli altri esperti, quelli che potemmo chiamare i “professionisti” della fede, mettono alla prova Gesù per cogliere il punto debole del suo insegnamento. Vogliono cioè scoprire quali sono gli elementi nuovi che Gesù introduce nella tradizione ebraica per poterlo così accusare di volerla stravolgere. In realtà il Signore aveva già detto che non era sua intenzione cambiare nemmeno uno “iota”, cioè una virgola, della Legge (Mt 5,17-18). Infatti il suo insegnamento è sì nuovo e diverso dalle dottrine delle altre scuole ebraiche, ma unicamente perché Gesù va in profondità e fa emergere dalla fede ebraica la radice più vicina al pensiero stesso di Dio. Negli anni infatti le scuole rabbiniche e le sette giudaiche avevano preso una parte o l’altra dell’insegnamento della Scrittura per farne una propria interpretazione o per dare enfasi ad un aspetto o ad un altro. Così facendo in realtà avevano fatto diventare la fede nel Dio unico e personale di Abramo, Isacco e Giacobbe una serie di leggi da osservare e costumi da tramandare.

Questa è una tentazione sempre presente, e che di tanto in tanto affiora anche nel cristianesimo, come ad esempio, ai giorni nostri, il tentativo di far diventare la fede un fascio di valori e di norme morali da osservare, di correnti culturali che si immedesimano con una civiltà di cui costituirebbe, come si dice spesso, le radici. In realtà quando si confonde la fede con una legge o una tradizione o una cultura essa viene a perdere il suo carattere determinante di rapporto personale con Dio, fatto di incontro, ascolto, ricerca e inquietudine, un continuo avanzamento e approfondimento nel pensiero di Dio che ci diventa così sempre più familiare, pur rendendoci conto della distanza abissale che da esso ci separerà sempre.

A Gesù chiedono quindi qual è la legge più importante del giudaismo. Il Signore risponde citando la Scrittura, in pieno accordo con la tradizione rabbinica, laddove dice “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Dt 6,5). I farisei possono essere tranquilli: l’insegnamento di Gesù è perfettamente ortodosso. Ma subito dopo aggiunge un secondo precetto, “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Anche questa seconda norma è tratta dalla Scrittura (Lv 19,18), e i farisei non possono eccepire nulla, ma accostando fra loro queste due norme e mettendole assieme come fondamentali per la fede di Israele Gesù opera una grande rivoluzione, nel senso che riporta quelle leggi dall’aridità dei precetti alla novità del soffio vitale che in esse Dio ha voluto mettere. Infatti amare Dio, dice Gesù, non può essere solo uno sforzo mentale e un impegno di volontà, ma passa attraverso la pratica concreta dell’amore per il prossimo. Allo stesso tempo l’amore per il prossimo, legato a quello per Dio, diviene non solo filantropia sociale ma un riverbero di quello Spirito che Dio dona a chi lo ama. Amore per Dio e amore per il prossimo diventano così il comandamento che riassume, come afferma Gesù, tutta la Scrittura: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.

Gesù nega che ci possa essere un amore per Dio che non passi attraverso l’attenzione all’altro, specialmente il più bisognoso del nostro amore, così come non vi è altro fondamento per la solidarietà tra gli uomini che non sia la gratitudine affettuosa per Dio che per primo ci ha gratuitamente voluto bene.

In Gesù noi possiamo imparare questo amore “a due facce”: in lui vogliamo bene al vero uomo e, allo stesso tempo, a Dio, e cosa significa voler bene ce lo insegna egli stesso: amare gli uomini e desiderare la loro salvezza ha significato per Gesù divenire come noi con l’incarnazione. È quel processo di immedesimazione profonda di cui parla il brano del libro dell’Esodo che abbiamo ascoltato: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.” Cioè l’amore per gli altri non nasce dall’applicazione di una norma (religiosa o sociale che sia) ma nell’identificarsi con l’altro, nel provarne le stesse sofferenze, lo stesso bisogno di essere amato e aiutato. È quello che ha fatto Gesù; che ci ha tanto amati da diventare uno di noi. Ha fatto suoi i nostri pesi e ha subito come uomo l’assalto del male, fino a morirne. Questo vuol dire amare “come se stesso”: come se il dolore del fratello fosse il mio, provando i suoi stessi sentimenti e identificandosi pienamente con la sua situazione.   

Alla domanda malevola dei farisei Gesù risponde dunque insegnandoci ad andare in profondità in una comprensione meno superficiale della Scrittura, che si ottiene solo mettendola in pratica. Sì, non c’è comprensione della Parola di Dio che non passi attraverso il viverla, e non c’è conoscenza religiosa che non derivi dal vissuto di una vita che mette in pratica il Vangelo. Tutto il resto è esercizio vuoto, è legalismo e sterile tradizionalismo.

È la via che anche a noi oggi è proposta: non ricerca di una novità fine a se stessa, né paura di mettere in discussione il nostro modo di pensare e di vivere, ma discesa in profondità nella Parola di Dio per ritrovarvi le radici del nostro agire più autenticamente umano.

Preghiere

O Signore Gesù che ti sei fatto conoscere da noi come vero uomo e vero Dio, insegnaci ad amarti nei poveri e nei piccoli che ci fai incontrare,

Noi ti preghiamo


O Padre misericordioso, perdona la distanza con cui guardiamo a te e la resistenza a seguire i tuoi comandamenti, rendici capaci di ascoltare con profondità il Vangelo e di viverlo,

Noi ti preghiamo


Rendici o Signore Gesù cercatori della tua volontà, perché non ci accontentiamo di seguire una legge ma diveniamo tuoi discepoli,

Noi ti preghiamo


Guida o Padre del cielo tutti quelli che cercano una vita piena di significato e la pace vera dei cuori. Fa’ che trovino in te la vita migliore e nei fratelli la famiglia in cui essere felici,

Noi ti preghiamo


Proteggi o Signore tutti quelli che sono nel dolore: i poveri, i malati, gli anziani, chi è senza casa e senza protezione. Dona a tutti guarigione e salvezza,

Noi ti preghiamo


Fa’ tornare la pace, o Dio, dove oggi infuria la guerra e la violenza. Per la Libia, la Terra Santa, L’Afghanistan e tutti i paesi in cui si soffre e si muore,

Noi ti preghiamo.


Dona o Dio il pane quotidiano a tutti quelli che soffrono per la fame.

Noi ti preghiamo

Proteggi o Dio quelli che fuggono dalla guerra. Aiutali a trovare qui da noi un rifugio e un futuro di pace per le loro famiglie

Noi ti preghiamo

giovedì 20 ottobre 2011

Preghiera del 19 ottobre 2011


Isaia 62,1-12

 Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
2Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
3Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia
e la tua terra avrà uno sposo.
5Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.
6Sulle tue mura, Gerusalemme,
ho posto sentinelle;
per tutto il giorno e tutta la notte
non taceranno mai.
Voi, che risvegliate il ricordo del Signore,
non concedetevi riposo
7né a lui date riposo,
finché non abbia ristabilito Gerusalemme
e ne abbia fatto oggetto di lode sulla terra.
8Il Signore ha giurato con la sua destra
e con il suo braccio potente:
"Mai più darò il tuo grano in cibo ai tuoi nemici,
mai più gli stranieri berranno il vino
per il quale tu hai faticato.
9No! Coloro che avranno raccolto il grano,
lo mangeranno e canteranno inni al Signore,
coloro che avranno vendemmiato
berranno il vino nei cortili del mio santuario.
10Passate, passate per le porte,
sgombrate la via al popolo,
spianate, spianate la strada,
liberatela dalle pietre,
innalzate un vessillo per i popoli".
11Ecco ciò che il Signore fa sentire
all'estremità della terra:
"Dite alla figlia di Sion:
"Ecco, arriva il tuo salvatore;
ecco, egli ha con sé il premio
e la sua ricompensa lo precede".
12Li chiameranno "Popolo santo",
"Redenti del Signore".
E tu sarai chiamata Ricercata,
"Città non abbandonata".

 Commento

 Abbiamo ascoltato dal libro del profeta Isaia il canto d’amore di Dio per la sua città. Dio predilige la città con un amore speciale, perché è il luogo in cui gli uomini vivono insieme, realizzando quella che è la loro vocazione profonda. Sì, l’uomo è stato creato da Dio per stare con gli altri: “Non è buono che l’uomo sia solo” (Gen 2,18) dice Dio al momento di creare Adamo, e poi il Salmo riafferma  Come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal 133,1).

La città realizza l’incontro, la convivenza, l’essere gli uni con gli altri, anche se spesso nella storia, e ancora oggi, essa ha tradito questa sua vocazione. Sì troppo spesso gli uomini tradiscono la vocazione profonda di “essere con gli altri”, vivendo la divisione, che è isolamento ma anche conflitto e contrapposizione. Dio ama la città, ama gli uomini insieme e per questo non si rassegna allo snaturamento della sua anima pacifica e unitaria.

Questo messaggio del profeta Isaia ci giunge proprio a pochi giorni di distanza dal pellegrinaggio di pace che il papa Benedetto XVI insieme a tanti altri leaders religiosi del mondo effettuerà, recandosi ad Assisi a commemorare il XXV anniversario del primo incontro convocato da Giovanni Paolo II nel 1986. Il papa vuole con questo gesto indicarci la via per la realizzazione della vocazione dell’uomo: essere insieme, gli uni accanto agli altri, legati da vincoli di amore reciproco nella comune ricerca della pace. Sì, perché la divisione è una ferita inferta al volto dell’umanità. Da essa sgorga sangue e la vita sfugge via. Per questo la divisione e il conflitto è sempre un male, anche se non è colpa nostra, se non siamo noi a volerla, perché ci indebolisce e rende la nostra vita più fragile davanti al male.

Bisogna allora vigilare e lavorare duro per realizzare l’unione di tutti gli uomini, come Isaia esprime l’intenzione di fare fin dall’esordio del canto:

Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.”

Deve essere anche il nostro impegno e la sfida che sale da questo tempo alla vita dei cristiani. Ma come realizzare l’unione di tutti?

Il profeta ci parla di un matrimonio da celebrare: il matrimonio di Dio col suo popolo.

Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te.

Sì, la pace vera non ce la diamo da soli, ma nasce dall’unione intima che vivremo con Dio. Dal nostro rapporto con lui sgorga la corrente di bene e di amore che diffonde pace e unità tutto intorno a noi. Celebriamo il matrimonio della nostra vita con la Parola di Dio, cioè facciamola scendere fin nel suo intimo, viviamola, e tutto cambierà, il male che viene dalla divisione sarà vinto.

C’è bisogno di vigilare, prosegue Isaia, perché il male è in agguato e ci mangia la vita. Rischiamo di assecondarlo e di offrire le nostre esistenze in pasto allo spirito di divisione, con la nostra indifferenza, col nostro ignorare il fratello, con la durezza dei cuori. Non diamo al maligno il frutto della nostra vita, siamo invece fecondi di frutti buoni perché ci rafforzino nel cammino di amore.

Passate, passate per le porte,
sgombrate la via al popolo,
spianate, spianate la strada,
liberatela dalle pietre,
innalzate un vessillo per i popoli

Il profeta perla di una convocazione di Dio per tutti i popoli a convenire nella sua città. C’è bisogno però di rimuovere gli ostacoli, le pietre, i burroni di indifferenze e pregiudizi, tutto quello che ci divide dagli altri. C’è bisogno di aprire la porta della nostra vita, perché chi ci incontra possa entrarvi ed essere accolto. Troppo spesso invece noi le teniamo chiuse e cumuli di macerie e abissi di indifferenza impediscono alla vita degli altri di entrare nella nostra. Lavoriamo perché la via sia spianata, apriamo la porta della nostra vita. Ogni persona e ogni comunità sia un vessillo innalzato, cioè un segno visibile ed evidente dell’amore di Dio che unisce e raccoglie tutti, che vince divisione e conflitti. Dobbiamo essere questo vessillo, lo dobbiamo mostrare attraverso il nostro modo di vivere, le nostre parole. È la vocazione di ogni comunità cristiana, ed anche questo luogo, per quanto piccolo e modesto, divenga sempre più una porta aperta e un vessillo per tanti nella città che sono disperdi, confusi e disperati.

Ad Assisi Francesco riuscì ad operare questo miracolo, trasformare un piccolo borgo periferico in una nuova Gerusalemme. Sappiamo come alla Porziuncola, piccola e insignificante chiesa, fu concessa dal papa, su richiesta di Francesco, l’indulgenza plenaria, la stessa concessa a chi si recava il pellegrinaggio a Gerusalemme. Sì, Assisi di nuovo nei prossimi giorni, si trasformerà in una Gerusalemme di pace e di concordia, in cui affluiranno da tutto il mondo uomini e donne di religione, lingua, cultura diversa, per testimoniare l’unità in nome della comune ricerca della pace. Ogni luogo in cui i cristiani amano e vivono il Vangelo è una piazza di Gerusalemme, è una via della città santa. Sia vero anche per questo nostro piccolo luogo e per le nostre povere vite, trasfigurate dalle nozze col Vangelo in vessillo di unione che raccoglie i dispersi nell’unica bella e santa città in cui Dio vive con gli uomini.

sabato 15 ottobre 2011

XXIX domenica del tempo ordinario



Dal libro del profeta Isaia 45,1.4-6

Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri».



Salmo 95 - Grande è il Signore e degno di ogni lode.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli.

Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri.

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 1,1-5b

Paolo e Silvano e Timoteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace. Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.

 
Alleluia alleluia alleluia.
Risplendete come astri nel mondo,
tenendo alta la parola di vita.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 22,15-21

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?» Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, i farisei e le altre autorità religiose si erano riuniti attorno a Gesù nel Tempio di Gerusalemme, mentre stava insegnando, e provano fastidio per quell’uomo che pretende di avere qualcosa di importante e di nuovo da insegnare. Tanto che, indispettiti, gli chiedono: “Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?” Vogliono intimidire quel Maestro che insegna qualcosa di nuovo. È l’atteggiamento spaventato e autoritario di chi non vuole accettare che vengano messe in discussione le proprie convinzioni acquisite e soprattutto la propria posizione di autorità, fosse anche solo davanti a pochi. Davanti alle parole di Gesù anche noi spesso proviamo il fastidio di una novità che vuole mettere in discussione le nostre convinzioni ormai assodate e per di più condivise da tutti: Con che autorità lo fa? Ci chiediamo.

Gesù non risponde direttamente a questa domanda: non si deve giustificare, e poi la forza del Vangelo che egli annuncia non proviene da qualcosa o qualcuno che ci sta dietro ma dall’autenticità della sua stessa umanità, vera e attraente per la ricchezza e pienezza di vita che contiene.

Così il Signore continua a parlare, usante il suo metodo semplice e diretto, le parabole, racconti semplici, a tratti paradossali, da cui emerge che ciò che sembra normale, quello che pensano tutti, in realtà non è così neutrale e inoffensivo, ma nasconde dentro l’insidia di un male che si fa strada dentro e attorno a noi e rivela la necessità di scegliere invece per il bene.

Ed ecco che di nuovo, nel brano ascoltato oggi, quei personaggi autorevoli tornano a contestare Gesù e lo fanno cercando di coglierlo in contraddizione. Per questo scelgono un tema spinoso, come quello del tributo imposto dagli odiati romani. Ogni possibile risposta conteneva un tranello: se avesse detto che non bisognava darlo si sarebbe proposto come un rivoluzionario fuorilegge; se invece diceva che era giusto darlo avrebbe offeso il sentire dei giudei.

In fondo quante volte anche noi ci sentiamo stretti fra scelte opposte e inconciliabili? È giusto fare qualcosa per gli altri, ma ci sono le responsabilità nei confronti della famiglia. È giusto essere generosi, ma bisogna anche essere prudenti e limitarsi. Bisognerebbe agire in un certo modo, ma motivi altrettanto seri ci sconsigliano di farlo. È proprio davanti a questi dilemmi che maturiamo il giudizio che non si può vivere a pieno il Vangelo, perché è qualcosa di utopistico e impossibile da applicare nella vita concreta e bisogna invece accontentarsi di compromessi e aggiustamenti.

Gesù risponde a questa obiezione non con un compromesso equilibrato che potesse accontentare tutti e togliere lui dall’imbarazzo. No, Gesù si fa dare la moneta in questione e chiede qual è l’immagine che vi è impressa. Quella del potere di questo mondo. Conclude che non vale la pena contendere al potere di questo mondo ciò che lui stesso ha inventato per vendere e comprare. La moneta, se ci pensiamo, altro non è che un dischetto di metallo con impressa un’effigie, eppure è vista da tutti come uno straordinario strumento di potere. Attraverso di lei si esercitano i poteri del mondo: il dominio, il possesso, l’asservimento, lo sfruttamento. Grazie a lei l’uomo ha la pretesa di affermare che tutto è quotabile e ha un prezzo, e concentra in essa la propria felicità, ecc… Davanti a tutto ciò Gesù dice: bene, lasciate a chi punta a questo potere spendere la sua vita per impossessarsene: date a Cesare quello che lui ha inventato per essere riconosciuto come imperatore del mondo.

Aggiunge poi di rendere invece “a Dio quel che è di Dio.” E qui emerge tutto il nostro smarrimento. Infatti noi che cosa pensiamo sia di Dio? Nel sentire moderno tutto è dell’uomo: i suoi pensieri, le sue azioni, i suoi beni, le sue doti, le sue conquiste, le sue opere, ecc… possediamo le spiegazioni, i meccanismi, i processi con cui tutto si realizza, dal pensiero ai sentimenti, ai fenomeni naturali semplici e complessi. Cosa resta a Dio? In realtà il libro della Genesi con le sue immagini semplici pone le basi di una diversa idea dell’uomo. Egli stesso e tutto quello che ha a sua disposizione non è propria opera e proprio possesso, ma è opera della creazione di Dio e dono ricevuto da lui. È Dio che ha creato la vita imprimendoci sopra la sua immagine e ce l’ha regalata. E questa non è un possesso esclusivo che si accumula e si ha a disposizione. Non si compra e non si vende, neppure con la somma più grande del mondo. Su di essa esercitiamo un potere relativo, è a nostra disposizione, possiamo farne ciò che vogliamo, ma non la possediamo. L’unica cosa che possiamo farne è donarla. Per questo Gesù dice “rendete a Dio”, cioè restituite a lui quello che lui vi ha donato, e lo facciamo regalando la nostra vita agli altri. Come lui l’ha donata moltiplicandola per tutto il numero degli esseri viventi, così a noi è chiesto di moltiplicare la nostra vita facendola tornare a Dio aumentata. È il messaggio della parabola dei talenti: chi li nasconde e li sotterra per paura può ridare indietro solo quanto ha ricevuto, ma chi invece l’ha messi a frutto investendoli e usandoli per gli altri, li restituisce cresciuti e moltiplicati.

Ecco che allora questo brano del Vangelo, semplice e scarno, racchiude una grande verità. E cioè che della nostra vita dobbiamo rendere conto, e non solo alla fine, ma ogni giorno: come l’ho spesa, nel modo migliore, l’ho sprecata, l’ho resa inutile e l’ho umiliata, o l’ho esaltata nella sua bellezza più profonda e autentica, cioè nel suo essere un dono gratuito motivato solo dall’amore per me, l’ho moltiplicata donandola, come una fiamma che se comunicata aumenta la sua luce e il suo calore?

Il giudizio non è solo alla fine, quando non si può più fare niente. Il giudizio è quotidiano. Non fuggiamolo nascondendolo con l’illusione del potere di comprare e vendere tutto, riconosciamoci invece forti solo dell’unico grande potere che abbiamo, quello di donare la vita e, così facendo, salvarla.

 
Preghiere 

O Signore nostro, Dio onnipotente, ti ringraziamo per il dono della vita e di tutto quello che abbiamo a disposizione per mantenerla. Fa’ che non la sprechiamo per ciò che ha poco valore,

Noi ti preghiamo

O Signore Gesù, insegnaci a far fruttare il dono della vita spendendola per gli altri e a moltiplicarla rendendola utile a tutti,

Noi ti preghiamo

Perdonaci o Signore per la tentazione di nascondere e trattenere solo per noi quello che abbiamo ricevuto. Fa’ crescere in noi un animo generoso e un cuore largo,

Noi ti preghiamo

Ti chiediamo, o Padre onnipotente, di farci ascoltare con disponibilità il Vangelo perché facendo entrare nei nostri cuori e mettendolo in pratica salviamo la nostra vita,

Noi ti preghiamo

Ascolta o Dio la preghiera di chi è nel bisogno. Libera tutti i poveri dal peso che li opprime,

Noi ti preghiamo

Dona o Padre del cielo la pace a tutti i popoli, perché mai più la guerra semini morte e dolore,

Noi ti preghiamo.

Guida o Signore gli uomini di buona volontà perché rendano il mondo più vivibile e giusto. Fa’ che la fiamma del tuo Spirito scaldi i cuori e illumini le menti dei tuoi discepoli,

Noi ti preghiamo

Proteggi o Padre onnipotente i tuoi figli ovunque dispersi, perché riuniti nel tuo nome rendano lode a te e ti celebrino risorto e vivo in mezzo a noi,

Noi ti preghiamo









mercoledì 12 ottobre 2011

Preghiera del 12 ottobre 2011





Mi fu rivolta questa parola del Signore:
5"Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni".
6Risposi: "Ahimè, Signore Dio!
Ecco, io non so parlare, perché sono giovane".
7Ma il Signore mi disse: "Non dire: "Sono giovane".
Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò.
8Non aver paura di fronte a loro,
perché io sono con te per proteggerti".
Oracolo del Signore.
9Il Signore stese la mano
e mi toccò la bocca,
e il Signore mi disse:
"Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca.
10Vedi, oggi ti do autorità
sopra le nazioni e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare".

Commento

Il profeta Geremia narra come si è svolta la sua chiamata. Egli era un uomo qualunque, lo dice nelle parole che precedono, ma a lui Dio ha parlato. Questa è la differenza da tutti gli altri. “Mi fu rivolta questa parola del Signore” dice Geremia. Quante volte Dio ha parlato anche a noi? Quante volte ci ha rivolto la sua parola? E ci chiediamo oggi, davanti alla testimonianza di Geremia, cosa ne abbiamo fatto noi di quell aparola? L’uomo di Dio riceve la parola e la conserva, tanto che ne diviene portavoce. Noi troppo spesso invece riceviamo la parola, ma la disperdiamo, e per questo la nostra vita non parla di Dio, ma di noi stessi e del mondo.

Ci sono tanti modi con cui noi evitiamo che la parola di Dio scenda in profondità e metta le sue radici nel terreno della nostra vita. Il primo è sentirci diversi, difendere la nostra originalità. Ma Dio contraddice questa idea: lui ci conosce meglio di noi stessi, perché è lui stesso ad averci formato nel grembo di nostra madre, e, cosa straordinaria, ci ha fatti profeti nella nostra natura, cioè capaci di annunciare e diffondere il modo di vivere che Dio ha preparato per noi: “prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni.” Diremmo che noi siamo stati fatti per vivere secondo il Vangelo, che il Vangelo è lo specchio in cui possiamo riconoscere la nostra vera natura umana, deformata dal male e resa una caricatura dal nostro senso di diversità e originalità.  

Geremia prova a difendersi: “Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane.” Geremia prova a nascondere dietro una pretesa oggettività la sua scelta di distanziarsi dal volere di Dio. Cosa vuol dire essere troppo giovane? Essere troppo anziano, essere fatto in un certo modo, avere un certo carattere, ecc…? Sono tutti modi con cui noi diciamo che la nostra lontananza da Dio non dipende da noi. Preferiamo cioè dirci completamente asserviti alle situazioni o agli ambienti, piuttosto che ammettere che così come siamo è la nostra scelta.

Dio non sta a discutere né a cercare di persuadere. Taglia fuori ogni scusa con un semplice gesto della mano: “Non dire: "Sono giovane!" Il vangelo mette a nudo la puerilità delle nostre scuse e non si sottopone a contrattare per ottenere qualcosa di più o avere una vittoria parziale. “Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti.” Ecco in cosa consiste la nostra vocazione, quello per cui siamo stati fatti: la nostra vita deve essere un andare incontro agli altri, e non fuggirli e nascondersi, per dire con la nostra vita tutto quello che Dio ci suggerisce. Troppe volte infatti la nostra vita parla di altro: parla di se stessi o fa semplicemente eco ai messaggi del mondo che invitano a farsi i fatti propri, a pensare a se stesso, a non essere ingenui ma diffidenti, ecc…

Come fare a fuggire lo sviamento che la vita tante volte ci impone e a cui noi ci sottomettiamo? “Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: "Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca.” Far uscire dalle nostre labbra le stese parole che ascoltiamo dal Vangelo, ma poiché, come dice Gesù “la bocca parla dalla pienezza del cuore” bisogna che esse entrino nel nostro cuore e lo riempiano, senza lasciare spazio ai cumuli di spazzatura e macerie che lo ingombrano.

La parola di Dio, una volta entrata nei cuori e riempitili del proprio amore, ci dona la potenza con cui cambiare la realtà attorno a noi. Non saremo allora più impotenti e vittime, lamentosi e prigionieri della situazione in cui stiamo, ma liberi, protagonisti del nostro futuro e capaci di trasformarlo rendendolo docile al volere di Dio.

È questo il dono che Geremia riceve, perché piega il capo e si sottomette alle indicazioni di Dio di essere profeta annunciatore della sua parola con la sua vita. Interroghiamoci allora sulle nostre resistenze e le abitudini che ci allontanano dall’assumere la parola di Dio come l’anima e lo spirito della nostra vita.

domenica 9 ottobre 2011

XXVIII domenica del tempo ordinario




Dal libro del profeta Isaia 25,6-10

Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte». 



Salmo 22 - Abiterò per sempre nella casa del Signore.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare, +
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 4,12-14.19-20

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.


Alleluia, alleluia alleluia.
Il Signore illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.

Alleluia, alleluia alleluia.
 

Dal vangelo secondo Matteo 22,1-14
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il Vangelo usa spesso l’immagine del banchetto e della festa quando parla del Regno di Dio, cioè di quel tempo in cui Dio e gli uomini vivranno insieme. È un’immagine che ben si adatta allo scopo perché riassume la gioia e la pienezza di vita che il Regno porta con sé. Infatti in un banchetto si è tutti insieme nella gioia. Si festeggia qualcosa che accomuna: un anniversario, un matrimonio, una nascita. È un’occasione in cui si rivedono persone che magari da tanto non incontravamo, si ricevono notizie sugli altri, si rinsalda il legame che motiva il nostro stare insieme. È un’occasione in cui si stemperano i dissapori e si ritrova l’unità, il calore dell’amicizia si sente in modo più forte e vince tante distanze, anche con l’aiuto, perché no, dei cibi e del vino buono. Insomma il banchetto è un bel simbolo per indicare come gli uomini possono vivere bene fra loro e con Dio.

Nel brano del Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato oggi è addirittura un re che organizza una festa per il matrimonio del figlio. Possiamo immaginare l’abbondanza delle vivande e del vino, la bellezza dei luoghi in cui si tiene il banchetto e il gran numero di invitati. Per questo ci colpisce come questi ultimi guardino con disprezzo all’invito e preferiscano restarsene ognuno per conto suo a fare le cose di ogni giorno: “Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari.” Ma come può essere?

Eppure, se ci pensiamo bene, c’è un fascino della banalità della propria vita quotidiana a cui quegli invitati non rinunciano per andare alla festa. Non sarà un gran che, eppure ci attrae nella sua ripetitività, perché è rassicurante, la conosciamo già bene, non ci riserva imprevisti. Si svolge in scenari conosciuti, con persone già note e con le quali abbiamo già preso le misure dei rapporti. È il fascino della normalità, dell’ordinarietà, della quotidianità che alla fine ci fa preferire restarcene per conto nostro piuttosto che accettare l’invito ad una festa. Alla festa c’è tanta gente, e noi preferiamo starcene per conto nostro, e poi perché dovremmo gioire per il matrimonio di un altro, abbiamo anti motivi per lamentarci dei nostri guai e già fatichiamo a gioire per quello che è mio. E se poi mi trovo male? E se poi mi pento? Magari mi trovo a dover avere a che fare con chi mi sta antipatico o semplicemente con chi non conosco e devo fare fatica a fare amicizia, E così via.

A nulla serve l’insistenza dei servi. Niente scalfisce il fascino della nostra vita di sempre così come la conosciamo e l’abbiamo sempre fatta. Questo non vuol dire che è la vita migliore possibile, anzi, il lamento è una costante sempre presente, però anche a questo siamo abituati e ci piace sentirci un po’ vittime e lamentarci, perché ci mette nella posizione di colui a cui non si può chiedere nulla.

Addirittura l’insofferenza per questo invito non chiesto e non desiderato suscita una reazione violenta: “altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.” Sì, a volte pur di continuare l’ordinarietà triste della nostra vita siamo capaci di fare fuori gli altri, di risultare sgarbati e antipatici, o semplicemente di troncare i rapporti, di tagliarli fuori come se nemmeno esistessero.

Il Signore davanti a questo atteggiamento è insofferente. Ma come, tutti si lamentano che non ce la fanno più, che niente va bene, e poi rifiutano un invito così speciale? È paradossale, ma è quello che facciamo davanti all’annuncio del Vangelo. Sono le parole affettuose di Dio che ci suggerisce il modo migliore di vivere: ci indica come non sprecare la vita, come riscoprirla felice e piena di senso, come ritrovare la compagnia dei fratelli e delle sorelle, come accorgerci della sua vicinanza affettuosa e piena di premura, come moltiplicare i motivi per gioire accorgendosi degli altri accanto a noi. Davanti a questo invito noi diciamo: No grazie, preferisco accontentarmi di quello che già ho, di come già so vivere. Non sarà un gran che ma è il mio modo di essere. E lo diciamo con espressioni forse più gentili, ma decise a tagliare fuori la possibilità di farci portare dal Signore dove noi non vogliamo assolutamente. Diciamo: è troppo difficile, non fa per me, non ci sono tagliato, forse un’altra volta, rimandiamo, e restiamo a fare la vita di sempre.

Dio però non rinuncia alla festa, sembra quasi che non ne possa fare a meno. Troppa è la sua felicità per il matrimonio del figlio che non può fare a meno di condividerla perché contagi gli altri e si moltiplichi. Per questo manda a invitare quelli che stanno per strada. Cioè quelli che non hanno una casa, e forse nemmeno un lavoro, senno non starebbero per strada. Quelli che non hanno fretta di occuparsi dei fatti propri e non sfuggono l’invito. In un altro passo del Vangelo di Luca ci viene detto chi sono questi nuovi invitati della strada. Il re infatti dice al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi, e gli zoppi. Il servo andò e disse. Signore è stato fatto come hai ordinato ma c’è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi e costringili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena.” (Lc 14,21-24)

Bisogna essere dei poveracci per gioire dell’invito del Signore. Chi pensa di avere già tutto è infastidito dall’invito del re.

La Messa è la festa che Dio ci offre ogni domenica perché possiamo gioire della sua amicizia e del nostro stare assieme come fratelli e sorelle, pregustando un angolo di regno di Dio in terra. Per questo noi cominciamo la Messa proprio con il riconoscerci peccatori, cioè poveracci, bisognosi del suo perdono, di essere accolti e di imparare da lui a gioire, e diciamo “Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà”. Anche a noi è mandato il servo di Dio ad invitarci ogni domenica ad andare da lui. Non facciamo vincere il fascino dell’ordinarietà banale e triste della nostra vita quotidiana, ma facciamo irrompere la straordinarietà della bellezza e della profondità della liturgia in ogni giorno e ora della nostra vita, perché a partire dalla liturgia essa sia trasformata. Facciamoci inondare dalla luce gioiosa dell’annuncio della resurrezione del Signore Gesù che da questo pulpito, che ne porta l’immagine dipinta sopra, ci viene rivolto ogni volta che il vangelo è letto a Messa. Ma, ancora una volta, il re che ha imbandito la festa ha un motivo per inquietarsi. Alla festa infatti non ci si sta con un atteggiamento dimesso e senza entusiasmo, cioè senza l’abito della festa che ci disonora e riempie di sdegno il Signore. Accogliamo l’invito invece per quello che è: il gesto di un amico che ci salva. Impariamo a gioire della salvezza che esso porta a noi e al mondo intero. Alla Messa infatti non si va per abitudine, ma per celebrare fra la buona notizia del Vangelo e la nostra vita. È questo il matrimonio che il re festeggia, e noi siamo gli sposi. Solo qui possiamo farlo. Solo qui troviamo il re pronto ad accoglierci e a preparare ogni cosa perché la festa sia piena. 

È un grande privilegio, è un invito prezioso, non disprezziamolo col rifiuto o con l’estraneità abitudinaria di una vita che esce dalla messa così come ci è entrata. Celebriamo con gioia invece ogni domenica le nostre nozze col Vangelo di Gesù.

Preghiere

Ti ringraziamo o Signore per l’invito che ci fai a partecipare ogni domenica a Messa alla festa del Regno. Fa’ che con gioia celebriamo il banchetto del tuo amore per la nostra vita,

Noi ti preghiamo


Perdona o Dio la durezza del nostro cuore e l’indifferenza con cui disprezziamo l’invito a gioire del dono del Vangelo e dell’Eucarestia. Fa’ che siano per noi occasione di grande gioia,

Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Dio del cielo perché non preferiamo la normalità banale della vita ordinaria invece della straordinaria novità del Vangelo,

Noi ti preghiamo


Accogli o Dio nel banchetto della tua amicizia tutti noi, assieme ai poveri e a quelli che hanno bisogno del nostro aiuto, perché in amicizia e solidarietà possiamo moltiplicare la gioia del tuo invito,

Noi ti preghiamo



Proteggi o Padre buono tutti quelli che sono nel pericolo e nel dolore. Dona la pace ai paesi in guerra e l’abbondanza di cibo dove oggi c’è la carestia,

Noi ti preghiamo
 

Sostieni o Gesù in modo particolare quelli che vivono nelle strade delle nostre città, perché il freddo e la solitudine non li schiacci sotto un peso insopportabile e siano vinti dal calore dei fratelli e delle sorelle,

Noi ti preghiamo.


Guida e proteggi o Dio tutti coloro che nel mondo annunciano la novità del Vangelo e la vivono nella gioia. Fa’ che l’annuncio di salvezza raggiunga ogni uomo e ogni donna,

Noi ti preghiamo


Accompagna sempre con benevolenza o Padre gli sforzi degli operatori di pace, perché non manchi mai nel mondo chi opera il bene e lotta per la giustizia,

Noi ti preghiamo