martedì 29 novembre 2011

Preghiera del 29 novembre 2011 (I Avvento)


Dal Libro dell’Apocalisse 3, 14-22

"Così parla l'Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio. Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".

Commento

L’Apostolo Giovanni nel libro dell’Apocalisse ci riporta, al termine della sua vita, la visione grandiosa che Dio gli concesse circa i destini dell’umanità. Giovanni soffre in esilio, è prigioniero, al termine della sua vita, ha tutti i motivi per chiudere il cuore e gli occhi a visioni troppo ambiziose. Cosa gli resta da sperare per la sua povera esistenza? In fondo ha fatto molto per il Vangelo nella sua vita e cosa ne ha ricavato? È solo, sofferente, sconfitto.

Ma il Vangelo ha trasformato la vita di Giovanni, e pur nella sua condizione infelice, egli non smette di sperare e apre gli occhi su una visione grandiosa e ambiziosa: il destino dell’umanità con Dio. Il Vangelo ci insegna che il bilancio della vita non può essere solo la pesa dei risultati ottenuti, che c’è un oltre spirituale che ad una logica materiale dei risultati e dei guadagni sfugge. Nel modo di Dio di pesare la vita degli uomini conta ciò che per noi uomini non vale nulla, perché non si vende e non si compra, non ha consistenza e spessore fisico: per Dio conta quanto si vuol bene, quanto si sogna e si spera per il futuro, quanto ci si preoccupa degli altri, quanto si sa leggere dentro le pieghe della storia e delle umanità per scorgervi in trasparenza la bellezza di Dio. Per questo Giovanni non sente la sua vita sconfitta e la sua situazione attuale un fallimento. Possiamo ben dire che il suo è l’atteggiamento dell’uomo dell’Avvento, cioè di chi non è rassegnato al presente della sua vita e di quella del mondo in cui vive, è aperto alla speranza e alla visione, attende l’incontro personale con Dio che viene e per questo lavora per un futuro diverso. Sono gli atteggiamenti che in questo tempo di Avvento il Vangelo ci suggerisce nelle tappe della Liturgia, nell’invito a invocare con impazienza la venuta del Signore, come fa l’Apostolo Paolo scrivendo ai Corinzi: “Maràna tha” cioè “Vieni Signore! (1Cor 16,22).

Le esperienze personali, gli anni che passano, la situazione del nostro mondo non ci spingono forse ad abbassare lo sguardo con realismo e a chiuderci in una cupa rassegnazione? Già ci sembra molto riuscire a conservare quello che abbiamo e a rimanere ciò che siamo, figuriamoci se è possibile sperare nel futuro e confidare nella trasformazione del mondo! 

Eppure anche a noi il Vangelo in questo tempo di Avvento chiede di essere uomini e donne in operosa attesa del futuro nuovo che il Signore Gesù viene a portarci.

Ma come possiamo imparare ad essere uomini dell’Avvento e non uomini di questo mondo?

Come possiamo riconoscere e aspettare la novità che Gesù porta con sé?

Ce lo chiediamo perché siamo disabituati a specchiare dentro la Scrittura il volto trasfigurato che Dio ci vuole donare, e preferiamo invece guardarlo riflesso nello specchio della pretesa oggettività del buon senso comune e della sapienza del mondo che ci rassicura con la sua pretesa di essere vera perché condivisa da tutti. Oggi allora vogliamo specchiarci nelle parole di Giovanni, con l’ingenuità del fanciullo, per contemplare il volto che Dio vede e quello che vuole regalarci.

Innanzitutto il nostro è un volto di povera gente: “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.” Facciamo di tutto per nasconderlo, ma non ci rendiamo conto che così facendo leghiamo indissolubilmente la nostra vita alle false ricchezze di questo mondo che illudono e poi tradiscono: il benessere materiale, la salute, il successo, un senso spensierato e leggero di giocare con la vita. Dio ci invita a riconoscerci poveracci e bisognosi, per poter cercare e chiedere la vera ricchezza che solo Dio e il Vangelo ci possono dare: “Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista.

 Rivestiti dall’oro della Parola di Dio e dalla purezza dell’ingenua fiducia in essa siamo invitati a fermarci a mangiare con Dio stesso. Sì, chi si adorna della bellezza della vita del Vangelo e chi si umilia con l’abito semplice e ingenuo del fidarci di esso vive la compagnia del Signore che volentieri si ferma con lui e lo nutre con cibo buono, che non deperisce e non viene meno, che nutre, fa crescere e fortifica.

Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” Dio ancora una volta torna a bussare alla nostra vita. Lo fa con questa povera e umile preghiera. Lo fa ogni domenica con la Parola proclamata e col dono di tutto se stesso nell’Eucarestia. Lo fa ogni volta che incontriamo un fratello da amare e un povero da servire. Non si è stancato di bussare alla nostra vita, ma noi apriremo? O non resteremo sordi e insensibili, come sempre?

Ecco il programma per divenire uomini e donne dell’Avvento: aprire uno spiraglio di porta del nostro cuore, far entrare la sua Parola semplice e paradossale, che spiazza e stupisce, che rinnova i cuori e far sì che essa modelli i nostri sentimenti e le nostre azioni sulla forma del Vangelo. Ci troveremo così pronti a riconoscerlo povero e piccolo quando nascerà a Betlemme, nella mangiatoia della vita umile e semplice, riconosciuto e cercato dalla gente umile e semplice, i pastori.

Sia questo il programma di queste settimane che ci preparano al Natale, sia questa la nostra ambizione, perché liberati dal pessimismo realista e rassegnato impariamo con Giovanni a sollevare lo sguardo sulla visione ambiziosa del destino che Dio vuole  prepara per l’umanità intera: lui che vive con noi, l’Emanuele, il Dio con noi, la nuova città splendente della sua presenza nelle nostre vie, nelle nostre case, nelle vite di tutti.

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