lunedì 23 maggio 2011

V domenica del tempo di Pasqua – 22 maggio 2011





Dagli Atti degli Apostoli 6, 1-7
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.

Salmo 32 - Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.

Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 2, 4-9
Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso». Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.

Alleluia, alleluia alleluia.
Io sono la via, la verità, la vita, dice il Signore:
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 14, 1-12
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, i brani della Scrittura che abbiamo ascoltato oggi ci presentano una realtà particolarmente importante, ovvero come il cristiano non si possa dire tale per nascita o per tradizione ma solo se risponde quotidianamente ad una vocazione, cioè al modo di vivere a cui Dio lo invita ad aderire. Si può ben dire infatti che nemmeno il battesimo, da solo, può bastare. Sì, è vero, esso imprime un carattere indelebile all’esistenza di chi lo riceve, ma questo carattere deve sempre essere incarnato perché non rimanga un potenzialità inattuata.
Abbiamo ascoltato dal libro degli Atti come gli apostoli si dedicano con intensità all’annuncio della Parola di Dio, cioè a far giungere a più persone possibile l’invito di Gesù a lasciare il vecchio modo di fare ordinario, per assumerne uno nuovo, quello del Vangelo. E sempre dagli Atti vediamo come “la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede”. Quest’ultima notazione sottolinea come anche chi per status sociale e ruolo religioso poteva dirsi già ad un livello elevato, come i sacerdoti, ascoltando l’invito di Gesù “mite e umile di cuore” si chinavano per assumere su di sé il giogo soave di un nuovo modo di essere e di vivere.
Questo deve essere vero anche per noi. Anche a noi infatti, un giorno, un discepolo del Signore ha annunciato il Vangelo, forse quando eravamo piccoli, oppure da grandi. Sì, perché non si è cristiani per nascita e non si eredita la fede come il cognome, dai genitori. La fede affonda le radici da una risposta, cosciente e convinta, ad un invito giunto alla nostra vita dalla voce di un altro cristiano che ci ha preceduto: un catechista, un amico, un testimone…, il quale a sua volta aveva fatto la sua scelta. E poi, certamente, ogni volta che ascoltiamo il Vangelo siamo chiamati a rinnovare la decisione di esserne figli, perché ogni lettura che viene fatta qui in Chiesa si conclude con una domanda implicita: “Questa è la proposta del Signore, vuoi farla tua?”. La risposta è libera, certamente, ma non può essere elusa. Anche non rispondere è una risposta, più precisamente un rifiuto. Per questo possiamo dire che si diventa cristiani ogni domenica ed ogni volta che nella vita concreta siamo messi davanti alla scelta di seguire il vangelo del Signore o le proposte del mondo. Se aderiamo alla proposta di Dio, allora il battesimo non rimane più un evento lontano e inutile, ma l’inizio di un tempo nuovo.
A questo proposito l’Apostolo Pietro nel brano della sua lettera che abbiamo ascoltato parla del discepolo come di colui che è come una pietra. In fondo ciascuno di noi si sente affidabile e sicuro di sé come una pietra, capace di giudicare gli altri e di insegnare a vivere. Ma perché questo sia vero non basta avere molta esperienza, come si dice ad esempio degli anziani, o avere avuto successo nella vita. Pietro dice: “Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo.” Ovvero, per essere pietre capaci di costruire un edificio solido e duraturo bisogna appoggiarsi sul Signore come un solido fondamento. Bisogna cioè conformarsi a lui, adattarsi alla sua forma, e non decidere noi cosa ci sembra meglio e più opportuno usare come fondamento su cui costruire. Così la nostra casa verrà su forte e robusta, potrà ospitare tanti ed essere anche d’esempio ad altri. Ma se invece la pietra resta per conto suo, sconnessa dalle altre pietre che formano l’edificio, non è altro che un inciampo, cioè qualcosa che rende più difficoltoso il cammino e pericoloso, per il rischio di scontrarsi con lei e finire, magari, per terra.
Potremmo dire: ma perché bisogna scegliere per il Vangelo e aderire alla proposta che il Signore ci fa, cosa ci aspetta alla fine di questo itinerario? È quello che probabilmente si chiedevano anche gli apostoli che, ascoltando Gesù dire che se ne sarebbe andato via, dubitano del loro futuro. Gesù li rassicura dicendo: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?” Il Signore cioè ci assicura che c’è un posto che ci attende, che la nostra esistenza ha uno scopo e qualcuno che garantisce per esso, Dio stesso. A noi sta raggiungerlo, incamminarci verso di esso e non perderci lungo le strade che non portano a nulla. Ma il cammino è sicuro, perché è Gesù stesso: " Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” È Gesù la via, è il suo modo di voler bene, di spendere la vita per gli altri, di non risparmiarsi, di dare tutto se stesso. È lui l’esempio da seguire e la vita da fare. Scegliamo allora, fratelli e sorelle, per ciò che è duraturo e solido, diveniamo anche noi una pietra solida sulla quale altri si possono appoggiare, ma non per la nostra forza, ma per il fondamento sicuro sul quale abbiamo edificato. Potremo così essere certi che il posto che Dio ci ha preparato non resterà vuoto e che la nostra vita non si perderà su strade che non portano a niente.


Preghiere



O Signore che hai preparato per noi un posto perché non perdessimo la nostra vita all’inseguimento di ciò che non vale e non dura, guidaci nel cammino verso la vita vera, tu che sei la via da seguire.
Noi ti preghiamo



Ti preghiamo, o Dio nostro Padre, perché accettiamo con gioia la proposta che tu ci fai di non vivere per noi stessi e scegliamo di seguirti per ogni giorno della nostra vita.
Noi ti preghiamo


Aiutaci, o Signore Gesù, a non dubitare del fondamento buono che è la tua Parola e il tuo esempio, ma di edificare su di esso la nostra vita, perché sia di testimonianza e sostegno a molti.
Noi ti preghiamo


Insegnaci, o Padre buono, ad essere annunciatori efficaci del Vangelo, perché senza timore parliamo di te e con coraggio indichiamo a tutti la tua Parola come via sicura per raggiungerti.
Noi ti preghiamo


Ti preghiamo, o Dio del cielo, vieni in soccorso di tutti quelli che ti invocano e chiedono il tuo aiuto. Per i malati, i sofferenti, i prigionieri, gli anziani e gli stranieri, per tutti quelli che sono nel dolore giunga presto la tua consolazione e salvezza,
Noi ti preghiamo


Non sdegnarti o Dio del nostro peccato, ma accetta che torniamo a te per ottenere il perdono. Fa’ che, sicuri di essere accolti come il figlio prodigo, volgiamo i nostri passo verso Te che sei fonte inesauribile di ogni bene.
Noi ti preghiamo.


Benedici e proteggi o Padre onnipotente tutti i tuoi figli che in ogni parte del mondo si radunano oggi attorno alla tua mensa: fa’ che nutriti dal tuo corpo e sangue ottengano la forza di restarti sempre vicini, anche nelle difficoltà e nei pericoli.
Noi ti preghiamo


Ispira sentimenti di pace, o Signore, in chi oggi si combatte e si uccide. Fa’ che cessi in ogni luogo della terra la guerra che semina distruzione e morte. Riconcilia i cuori di chi si odia e unisci l’umanità intera nell’unica famiglia dei tuoi figli.
Noi ti preghiamo

mercoledì 18 maggio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XXIII incontro (II del tempo di Pasqua) : Gesù e le folle

Gerusalemme


Dopo la riflessione che ci ha accompagnato nel tempo di Quaresima e Pasqua, riprendiamo oggi il tema del rapporto di Gesù con gli altri, e in particolare le folle, a cui, come abbiamo già detto, il Signore ha dedicato molto del suo tempo. Credo che questo soffermarci sulla dimensione larga dell’incontro e sui confini a volte ristretti del nostro interesse e coinvolgimento ci aiuta anche a vivere meglio questo tempo di Pasqua, come anche accennavamo mercoledì scorso rievocando la testimonianza di Giovanni Paolo II. Per lui, dicevamo, l’incontro col risorto ha significato aprirsi in modo sconfinato all’incontro con gli altri: singoli, folle, popoli interi, sognare per il loro futuro, e lavorare concretamente per imporre un cambiamento alla storia.




Oggi vorremmo concludere l’analisi della vita pubblica di Gesù vissuta assieme alle moltitudini, mettendo in luce un suo aspetto negativo, e cioè la folla come ostacolo all’incontro di Gesù.
Infatti il Vangelo non vuole offrire un’immagine edulcorata delle realtà o deformata dalla lente dell’ideologia, ma accetta di evidenziare come la folla possa divenire anche un potente ostacolo alla missione di Gesù di annunciare quel Vangelo di salvezza di cui parlava e che realizzava là dove si trovava.




Lo si vede bene in alcuni episodi narrati dai vangeli sinottici:




Zaccheo, dice Lc 19,3, “cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura.” Notiamo che Luca dice che Zaccheo voleva vedere “chi era Gesù”, sottolineando il suo interesse a comprendere in profondità quello strano personaggio che si avvicinava. Quello di Zaccheo è un atteggiamento di ricerca serio, tanto che la folla che gli impediva di vedere lo spinge a escogitare uno stratagemma curioso e impegnativo, poco adatto ad un personaggio di riguardo come lui: salire sul sicomoro. Potremmo dire che quella folla era come lui interessata a vedere Gesù, ma in modo più superficiale, tanto che Gesù, fra tanti, decide di andare a pranzo proprio da lui, nonostante sia un pubblicano.




Poi c’è l’episodio del paralitico portato dai suoi amici verso Gesù in Mc 2,4 e Lc 5,19: “Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono col lettuccio davanti a Gesù nel mezzo della stanza.” Anche qui l’accalcarsi di molta gente impedisce di raggiungere Gesù per chiedergli la guarigione e questa situazione costringe il gruppetto ad uno stratagemma arduo.




Un altro caso è quello della donna emorroissa che tocca il mantello Gesù di nascosto, in mezzo alla folla (Lc 8,45 e Mc 5, 27-31). In questo caso la donna sceglie deliberatamente di nascondersi fra la folla per toccare Gesù evitando il divieto che una donna impura per le mestruazioni toccasse un uomo. A Gesù però non basta che il miracolo sia avvenuto, ma vuole incontrare la donna personalmente, anche a costo di rivelare pubblicamente il suo stato di impurità. Ecco che allora i discepoli scettici espongono l’argomento che in mezzo alla folla è impossibile distinguere l’uno dall’altro e quindi incontrare qualcuno veramente.




C’è poi l’episodio del cieco Bartimeo che sedeva lungo la strada a mendicare (Mc 10,46-48). “E mentre [Gesù] partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».” Matteo (20,31) fa diventare Bartimeo “due ciechi” e sottolinea come “La folla li sgridava perché tacessero.” Anche in questo caso Gesù dà ascolto all’invocazione di aiuto e opera la guarigione.




In tutti questi episodi la folla è come un muro di divisione fra l’uomo e Gesù. Questo ci dice che l’incontro con Gesù va cercato con forza e tenacia, anche superando le difficoltà oggettive e soggettive: come ad esempio, nel nostro caso, la mancanza di tempo, l’incapacità a pregare, la disabitudine, la massa di pensieri e preoccupazioni che affollano la nostra vita e di affanni che ci distraggono, ecc… La difficoltà fa emergere in chi desidera fortemente vedere, parlare, incontrare Gesù risorse inaspettate, anche una fantasia dell’amore che fa compiere gesti inediti, come salire su un albero o scoperchiare un tetto e calare l’amico sulle teste della gente. C’è bisogno di forzare e non assecondare la sorte, il fato, le situazioni oggettivamente sfavorevoli. D’altro canto Gesù è il primo ad apprezzate tale sforzo e a favorire chi non rinuncia davanti alle difficoltà perché l’incontro si realizzi e porti la salvezza desiderata. Infatti la molla che spinge quelle persone è molto potente, perché tutte hanno un grande bisogno di salvezza, per sé o per il proprio amico. Non basta un po’ di curiosità, la consuetudine, la buona volontà, la buona educazione, la tradizione, ecc... Questi ed altri analoghi atteggiamenti davanti alla prima difficoltà fanno subito rinunciare, con la scusa che ci sarà un’altra occasione migliore, più facile e fortunata. Per i primi invece l’occasione che si presenta di incontrare Gesù che passa è unica e decisiva: va sfruttata ad ogni costo.




È la differenza, di cui già parlavamo alcuni incontri fa’, fra l’atteggiamento del ricco e quello che bisognoso (il cieco, l’emorroissa, il malato), ed è interessante notare come l’amicizia fa diventare anche chi sta bene come il malato e fa dunque assumere lo stesso atteggiamento: gli amici del paralitico si comportano come se fossero loro stessi ad avere bisogno di guarigione e fanno tutta quella gran fatica per far arrivare fino a Gesù la persona a cui vogliono bene, pur essendo sani e non avendo, apparentemente, bisogno di niente per se stessi. Mi sembra che il Vangelo in questo brano ci voglia indicare come si faccia a passare per la cruna dell’ago e trovare la salvezza anche da ricchi (cf. Mt 19,24).




Quanto appena detto trova una conferma in un altro brano in cui la folla è d’impedimento a incontrare Gesù: “Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».” (Mc 3,31-35). Qui vediamo alcune persone, i parenti, tenuti fuori dalla folla accalcata attorno a Gesù. È una scena abituale. Ma a differenza degli altri casi visti prima, questa volta c’è negli “esclusi” un atteggiamento ben diverso: non fanno nulla per raggiungere Gesù, aspettano fuori e lo mandano a chiamare. Sono sicuri di ottenere l’incontro: ne hanno diritto, sono i suoi parenti, ed è lui che deve attraversare la folla per giungere da loro! Gli altri, in fondo, sono degli estranei, vengono dopo.




Gesù rifiuta questa logica e coglie l’occasione per dire con chiarezza chi può dirsi suo parente e pertanto, secondo la logica del mondo, avere la precedenza nell’incontrarlo: chi compie la volontà del Padre, che, in quella situazione, significa stare ad ascoltarlo. Chi è sicuro di sé e forte della propria posizione, tanto da accampare dei diritti nei confronti di Dio, per Gesù è un estraneo e resta fuori, dietro al muro della folla.




Bisogna a questo punto notare che, se andiamo oltre la prima impressione superficiale, non è tanto la folla ad essere caratterizzata negativamente nel Vangelo, ma l’atteggiamento di chi ne fa una giustificazione per non cercare l’incontro personale con Gesù che, risulta evidente in tutti i casi, è sempre possibile, anche in situazioni estremamente confuse e caotiche.



La folla infatti è il luogo dell’anonimato, dell’assenza di responsabilità, del nascondimento, come è evidente durante la passione. La stessa folla che acclama Gesù “re, figlio di Davide”, al suo ingresso a Gerusalemme, dopo poche ore grida a Pilato “crocifiggilo!” È facilmente manipolabile dai capi dei giudei perché non hanno incontrato Gesù: lo hanno visto, ascoltato, ma non incontrato. Sono per lui sconosciuti e lui è rimasto un estraneo per loro. È cioè il caso contrario a quello che abbiamo sottolineato nei precedenti incontri, come cioè anche la folla può avere un incontro personale con Gesù, e lo si vede dalla reazione piena di stupore, dalle acclamazioni di lode a Dio, segno di una fede che risulta rafforzata dall’incontro col Signore anche se avvenuto assieme a tanti altri.




Ma lo possiamo notare anche da un particolare non insignificante: il momento della separazione di Gesù dalle folle che lo hanno ascoltato o gli hanno chiesto guarigione e perdono non è mai brusco. Il Vangelo usa la formula “congedare la folla”, ad es.:



Mc 4,36: “E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca”;
Mc 6, 45: “E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla” ;
Mt 14,23: “Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera egli se ne stava lassù, da solo” ;
Mt 15,39: “Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.”




Per Gesù c’è bisogno di perdere tempo a salutare la folla con cui è stato, come farebbe con un amico che non vedrà a lungo o forse mai più.




In altri casi c’è bisogno di uscire fisicamente dalla folla perché l’incontro si realizzi:




E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua” (Mc 7,32-33);
Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse: «Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme». Quelli si misero a deriderlo. Ma dopo che fu cacciata via la folla egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E se ne sparse la fama in tutta quella regione.” (Mt 9, 23-26).
Lo si vede con ancora più evidenza nel rapporto di Gesù con i discepoli fra la folla e in disparte, ad esempio: “Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola.” (Mc 7,17).




Per concludere la folla è una realtà concreta nella vita di Gesù: lo interroga e lui si lascia toccare e coinvolgere. Ma è anche la tentazione più forte per sfuggire da Gesù, pur essendo con lui vicino. Direi che è la nostra tentazione di vivere nella folla e con la folla nel cuore. La risposta non è nell’isolamento o nel rifiuto della folla, come già dicevamo le altre volte, ma nel puntare ad un incontro vero con Gesù, come avviene ad esempio nella liturgia: siamo assieme a tanti altri e nessuno è un protagonista isolato, ma per incontrare veramente Gesù bisogna farsi cogliere in un incontro personale con la sua Parola, fare proprie le preoccupazioni larghe del suo amore, farsi scoprire bisognoso di salvezza e guarigione. Allora la folla non ci esclude né ci allontana da Gesù, ma anzi ha il colore caldo della famiglia dei discepoli che si accalcano festosi attorno al loro maestro.

martedì 17 maggio 2011

IV domenica del tempo di Pasqua – 15 maggio 2011

uno squarcio nel muro di cinta


Dagli Atti degli Apostoli 2, 14a.36-41
Nel giorno di Pentecoste, Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso». All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.

Salmo 22 - Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare, +
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 2, 20b-25
Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.

Alleluia, alleluia alleluia.
Io sono il buon pastore, dice il Signore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 10, 1-10
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».




Commento




Cari fratelli e care sorelle, l’Apostolo Pietro ci dice oggi che “se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio.” Egli cioè ci parla di Gesù partendo da un punto di vista particolare, cioè quello del “sacrificio”, cioè fare il bene sopportando una sofferenza.
Questa parola ha per la nostra sensibilità un’accezione negativa: la si intende generalmente come la rinuncia a qualcosa di desiderabile e positivo per fare qualcosa che non si vorrebbe, ma alla quale si è costretti. In realtà la parola “sacrificio” significa, come indica la sua stessa etimologia, rendere sacro qualcosa (sacrum facere). Nel tempio di Gerusalemme, come anche negli altri templi pagani, il sacrificio voleva dire rendere sacri a Dio degli animali offrendoli sull’altare perché Dio li ricevesse in dono. Con Gesù, ci dice Pietro, il “sacrificio” si è esteso a tutta la vita stessa di Gesù: “A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme”. Gesù ha reso “sacra, santa” la sua vita, cioè gradita a Dio, secondo il suo desiderio, donandola agli altri, spendendola per la salvezza altrui.
Un’idea comune afferma che oggi giorno non si è disposti a fare sacrifici, non come un tempo. In realtà non è così. Noi vediamo la gente faticare e stancarsi a volte con grande dispendio di energie e risorse, ma per sé stessi: per far soldi, per apparire più belli (pensiamo alla fatica della ginnastica o di altri sport o alle diete, ecc…). Cioè si pensa che l’unica cosa per cui vale la pena di darsi da fare e impegnarsi anche con grande sforzo e sacrificio è il proprio vantaggio, il proprio tornaconto. È quello che Pietro, indicandoci l’esempio di Gesù, vuole smentire, suggerendoci un modo di vivere che è l’esatto contrario dell’idea dell’uomo comune, che si affatica e si stanca per se stesso, ma poi si sente svuotato e senza prospettiva.
Il suo infatti è un affaticarsi vano, non è sacrificio, nel senso che non rende santa e gradita a Dio la vita e gli sforzi che l’accompagnano, come esordisce il libro del Qoelèt: “Vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?” Un’affermazione quella di Qoelèt che ci appare amara e senza speranza. Siamo allora prigionieri del non senso?
Pietro viene proprio ad affermare questo: c’è un liberazione dal vano affanno per sé, dal vivere senza una prospettiva duratura di vita che resta, cioè di vita eterna, e questa prospettiva ci è donata da Gesù, con il suo stesso esempio: “egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia.” Si tratta di vivere la propria vita come un “sacrificio”, cioè un’offerta di sé per il bene degli altri, l’unico modo per dare un senso profondo e duraturo al proprio vivere.
Come fare a vivere così? Pietro continua indicandoci una via: seguire il pastore buono della nostra vita: “Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.”
Si fa fatica ad ammetterlo, ma sì, siamo come un gregge di pecore allo sbando se non seguiamo un pastore buono. Seguire solo se stessi, i propri umori, le convinzioni o la falsa sapienza accumulata attraverso le nostre esperienze, a volte amare e deludenti, o appresa dal sentire comune ci danno l’impressione che siamo in grado di fare una lunga strada e che già siamo arrivati lontano, ma in realtà il nostro cammino è tutto racchiuso da un recinto ristretto, i nostri interessi, il nostro piacere, la nostra famiglia, la cerchia ristretta dei nostri conoscenti. Un recinto angusto nel quale ci sentiamo magari protagonisti di avventure esaltanti, che si rivela il più delle volte un girare attorno a se stessi inconcludente e vano. Infatti il mondo vero è fuori dal recinto, la vera realtà è oltre lo steccato in cui ci siamo imprigionati da noi stessi. Se vogliamo essere uomini e donne liberi, non pecore belanti, non possiamo accettare di restare al chiuso di una vita stretta e circondata da uno steccato: è la vita del prigioniero della paura e dello schiavo delle abitudini.
Nel vangelo che abbiamo ascoltato Gesù parla alla gente usando la metafora del gregge e del pastore, era questa una realtà ben conosciuta al suo tempo e un’esperienza condivisa da molti. In questa metafora il Signore non solo si propone come pastore che sa guidare le pecore verso ciò che gli è necessario, il pascolo e l’abbeveratoio, ma anche come la “porta”. Sì, non solo bisogna farsi guidare da lui, ma bisogna vedere nella sua persona la porta attraverso la quale passare per uscire dal piccolo mondo illusorio e vano. Diremmo che non siamo veramente liberi e padroni della vita nostra e del suo destino se non passiamo attraverso la porta di come ha vissuto Gesù, cioè del sacrificio di sé, del dono della propria esistenza per il bene degli altri. Ma questa non è la proposta di una vita malinconica e di rinuncia. Gesù era accusato di essere un mangione e un beone. Parla di sé come di uno che ha un modo ben diverso di vivere nel confronto con l’ascesi austera di Giovanni Battista. Cioè la vita che Gesù ha fatto e che propone a noi è una vita più bella, felice, perché piena di senso e spesa con generosità. Chi crede invece di trovare la gioia nel trattenere tutto per sé scopre la miseria e la tristezza di un modo di vivere avaro e pieno di paure. Facciamoci allora condurre volentieri, in questo tempo di Pasqua, dal Risorto che viene a guidarci come un pastore buono che conosce ed ha a cuore le sue pecore, tanto da accorgersi se ne manca anche una sola e da seguirla finché non la trova. Seguiamolo mentre ci conduce fuori dalla porta dell’ovile angusto. Il mondo grande ci fa paura, lo spazio stretto del mio piccolo mondo ci rassicura, ma la vera vita ci attende, altrimenti, come ci mette in guardai Qoelèt, saremo schiavi del non senso, della vanità del girare attorno a noi stessi, scontenti e lamentosi perché non giungiamo mai da nessuna parte.






Preghiere



O Signore Gesù che sei guida e pastore della nostra vita, conduci noi tuo gregge verso il pascolo buono di una vita spesa per il bene degli altri e alla fonte inesauribile di una generosità che non conosce confini.
Noi ti preghiamo

O Dio non lasciarci prigionieri nella ristrettezza di una vita spaventata, chiusa nel limite angusto del proprio io e del piccolo mondo delle solite abitudini. Fa’ che uscendo dalla porta del tuo esempio entriamo con gioia in una vita larga e generosa.
Noi ti preghiamo

Signore che hai vissuto cercando e facendo il bene di tutti, insegnaci a rendere santa e gradita a Dio la nostra vita, non trattenendo egoisticamente tutto per noi ma donandoci con larghezza.
Noi ti preghiamo

Sostieni o Dio del cielo gli sforzi di chi annuncia e testimonia che la vita non è vana se spesa per gli altri. Fa’ che tutti i cristiani, ovunque nel mondo, siano predicatori della buona notizia che si può essere felici volendo bene e donando generosamente.
Noi ti preghiamo

Raccogli o Signore in un unico gregge tutto quelli che vagano sperduti e senza meta: gli indecisi, i timorosi, chi è nel dubbio e nell’incertezza. Dona a tutti la decisione di seguire te per trovare il senso della vita.
Noi ti preghiamo

Difendici o Dio dai falsi pastori che rubano la vita e rendono schiavi. Liberaci dall’essere servi del benessere a tutti i costi, dall’apparire e dal non fermarsi a pensare, perché non ci accontentiamo del poco ma ti seguiamo sui pascoli migliori,
Noi ti preghiamo.

Sostieni e conforta o Signore tutti coloro che sono nel dolore: i malati, i prigionieri, le vittime della guerra e della violenza, gli anziani, gli stranieri, chi è oppresso e perseguitato. Liberali dal male e dona loro la tua salvezza.
Noi ti preghiamo

Guida e sostieni i tuoi discepoli ovunque nel mondo, perché da paesi e culture differenti si radunino nell’unico gregge dei tuoi figli, diversi ma uniti nel tuo amore.
Noi ti preghiamo

martedì 10 maggio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XXII incontro (I del tempo di Pasqua)

Giovanni Paolo II: testimone della forza della Resurrezione





Riprendiamo dopo alcune settimane i nostri incontri di riflessione e confronto con la Scrittura, e lo facciamo in questo “tempo di Pasqua”. Mi sembra molto significativo questo modo di chiamare il tempo in cui ci troviamo. Infatti la Pasqua non è solo un giorno, una ricorrenza che passa, come gli anniversari di eventi storici o i compleanni, ma piuttosto la Pasqua è un evento che inaugura una nuova dimensione della nostra vita, un nuovo tempo caratterizzato da un nuovo modo di essere cristiani, cioè discepoli di Gesù risorto.
Non è la stessa cosa conoscere Gesù fino alla croce e conoscerlo risorto e in mezzo a noi.
Lo dicevamo già domenica scorsa: i Vangeli ci mostrano il grande paradosso dei discepoli che non riconoscono Gesù risorto che torna a visitarli. Eppure non ha cambiato sembianze, è in carne e ossa, come sottolinea Luca nell’episodio dei due discepoli ad Emmaus, “in persona”, e Tommaso incredulo lo tocca. Gesù mangia con loro il pesce pescato sul mare di Galilea. Insomma non è cambiato, e nemmeno loro sono diversi: sono sempre i discepoli di Gesù. Eppure non lo riconoscono, perché non hanno creduto nella sua resurrezione e ormai per loro Gesù è definitivamente legato all’immagine di un corpo morto, sfigurato dal dolore, di uno sconfitto dalla storia e fuori dalla vita. Tant’è che, forse con dolore, ma anche con molto realismo, i discepoli tornano a fare quello che facevano prima, i pescatori in Galilea: “Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.” (Gv 21,3) Pietro e gli altri, increduli nella resurrezione di Gesù, anche loro sono dei vinti, tornano senza Gesù alla vita di prima, ma senza frutto.
È l’esperienza di ciascuno di noi: senza la fede nel risorto, cioè senza vivere il nostro “tempo di Pasqua” ma il tempo banale e senza resurrezione, siamo dei vinti: vinti dal timore, dalla rassegnazione, da un senso di impossibilità di fronte alle sfide della vita e della storia. Come dice S. Paolo: “Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede.” (1Cor 15,14). Ancora S. Paolo: “egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro.” (2Cor 5,15). Cioè si è veramente vivi attraverso, confidando in Cristo risorto per noi, vivendo della sua resurrezione e non di noi stessi, delle nostre convinzioni e abitudini, anche buone che siano.
Ma che significa vivere nel tempo di Pasqua, compagni del risorto e risorti con lui? Come si può vivere la fiducia che non siamo condannati a vivere da vinti e rinunciatari davanti ad una realtà che sembra dura e immutabile?

Il beato Giovanni Paolo II testimone della forza della resurrezione.
Due domeniche fa Giovanni Paolo II è stato proclamato beato, e tutti noi ci siamo commossi davanti allo spettacolo di S. Pietro gremito di folla che si è stretta attorno alla sua memoria. Per quasi 27 anni ci ha accompagnato, fino al suo ultimo respiro, senza rinunciare mai, anche da vecchio e da malato, di dare la sua testimonianza di una fiducia incrollabile nella resurrezione del Signore. Sì, Giovanni Paolo II ha vissuto una fede pasquale, sempre in compagnia del risorto. In questo stia la straordinarietà della vita di questo papa che ha attraversato e segnato così profondamente la storia del secolo scorso e del passaggio al nuovo millennio.
Giovanni Paolo II infatti ha vissuto i momenti più significativi del ‘900, ne ricostruiamo alcuni, seguendo il filo rosso della sua fede.
Da bambino Karol Wojtyła ha ricevuto da suo padre l’eredità della I guerra mondiale, nella quale egli aveva combattuto come soldato dell’Impero Austro Ungarico. Quella prima guerra sanguinosa che Benedetto XV aveva chiamato “inutile strage” (Nota del 1 agosto 1917), la prima nella quale il numero dei morti civili aveva superato quello dei militari morti, rivelando forse in modo ancora più evidente l’assurdità di questo strumento nei rapporti fra Stati.

La guerra e l’occupazione nazista
Ma poi da giovane studente e seminarista aveva conosciuto il nazismo che nel 1939, quando Karol aveva appena 19 anni, si annetté gran parte della Polonia. Negli anni dell’occupazione nazista il giovane Karol seminarista fa esperienza personale del dolore della guerra e della scomparsa improvvisa di tanti suoi amici coetanei: i compagni di scuola ebrei che vengono deportati ed eliminati, alcuni suoi amici e compagni di studio. Dal 1940 al ‘44 lavora in una cava di pietra e poi nella fabbrica chimica Solvay, mentre sperimenta la clandestinità negli studi ecclesiastici, a partire dal 1942, nel seminario segretamente tenuto a Cracovia dal Cardinal Sapieha. Per avere un’idea di come fosse la situazione nella Polonia di quegli anni, nel 1942 il Cardinale di Cracovia così scrive al papa:
La nostra situazione è estremamente tragica. Siamo privati di quasi tutti i diritti umani; siamo esposti alla crudeltà di uomini i quali, per massima parte sono privi di qualsiasi parvenza di sentimenti umani; viviamo nel perpetuo e orribile timore di dover perdere tutto in una fuga, nella deportazione o nell’incarcerazione nei cosiddetti campi di concentramento, dai quali pochi tornano vivi. In questi campi migliaia e migliaia dei nostri uomini migliori vengono detenuti senza processo e senza motivi. Tra questi vi sono molti preti, sia secolari che religiosi. Siamo privati per legge di quasi tutto ciò che è necessario per vivere, perché le razioni autorizzate non sono sufficienti … Ed ora c’è anche il tifo il cui contagio si diffonde sempre più, dato che non vengono date né medicine né altri rimedi, e le autorità si accontentano di vuote promesse di mettere brutalmente in quarantena coloro che ne sono infetti.”
Pensiamo che nei campi di sterminio nazisti morirono circa 1.800.000 polacchi, più tutti gli ebrei dello stesso Paese. Questo è uno squarcio del tipo di vita che si faceva in Polonia e di come la Chiesa avesse a soffrire sotto il giogo nazista. In questo contesto nasce la vocazione sacerdotale di Karol. Come mai? Lo dice il papa stesso.
Del grande e orrendo theatrum della seconda guerra mondiale mi fu risparmiato molto. Ogni giorno avrei potuto essere prelevato dalla casa, dalla cava di pietra, dalla fabbrica per essere portato in campo di concentramento. A volte mi domandavo: tanti miei coetanei perdono la vita, perché non io? Oggi so che non fu un caso. Nel contesto del grande male della guerra, nella mia vita personale tutto volgeva in direzione del bene costituito dalla vocazione.”
Il giovane Karol avverte un senso del debito che ha per essere stato preservato dall’essere inghiottito dal mostro della guerra e del nazismo, e anche per questo matura il desiderio di rimborsare questo debito col dono della sua vita nella vocazione sacerdotale, vissuta pertanto sotto il segno del dono totale di sé agli altri. È una visione pasquale della vita: sacrificio di sé, per salvare gli altri e non se stesso, in cambio della vita ricevuto in dono.

La Polonia sotto il comunismo
Terminata la guerra Karol fa esperienza di un altro regime, altrettanto totalitario e persecutorio nei confronti della Chiesa: il comunismo. Per trent’anni (dieci come prete e venti come vescovo) Wojtyła vive sotto un regime particolarmente duro che cerca di asfissiare la vita dei cristiani togliendo loro l’ossigeno della libertà. Il primo incarico del giovane prete è come vice parroco in un villaggio di campagna, che così egli descrive:
Hai addosso la tonaca, il mantello, il camice e il berretto, e con tutto questo devi aprirti un cammino nella neve, la neve si attacca al fondo della tonaca,… Poi uscendo il tessuto bagnato ghiaccia e, attorno alle gambe, si forma una specie di campana rigida, che pesa sempre più e ti impedisce di camminare. La sera trascini i piedi, ma bisogna proseguire, perché la gente attende tutto l’anno l’incontro con te.”
Il primo impatto col comunismo è duro. Dice il futuro papa: “Per me, allora, fu subito chiaro che il loro dominio sarebbe durato per lungo tempo, molto più lungo di quello nazista.” Karol Wojtyła sente che in una situazione in cui il campo per l’azione pubblica era ridotto al minimo per la Chiesa, la vera sfida per i cristiani polacchi era quella di tenere aperto, in una situazione di mancanza di libertà politica e sociale, lo spazio della libertà interiore, approfondendo le radici della propria fede. Per fare questo Wojtyła sceglie la via di un incontro personale significativo e paterno. Dapprima si impegna nella pastorale giovanile, con gli universitari e gli altri giovani di Cracovia, poi come vescovo ausiliare della stessa città.
Da vescovo ad esempio rinnova la pratica della visita pastorale nelle parrocchie, come racconta lui stesso:
Avevo elaborato un mio modello di attuazione di quell’adempimento pastorale. Esisteva infatti un modello tradizionale … Non mi soddisfaceva l’impostazione piuttosto giuridica della visita e volevo introdurvi più contenuto pastorale.”
Così si svolgevano le sue visite pastorali: dopo il benvenuto il vescovo si reca in chiesa e prende contatto con la gente. Il giorno dopo si mette nel confessionale per ricevere le confessioni e poi celebra la messa. Successivamente visita le case dei parrocchiani, specialmente dei malati. Nel marzo 1969 durante la visita nella parrocchia del Corpus Domini di Cracovia si reca in visita in molte case di malati. Dedica ben due giorni a questo impegno, girando casa per casa, anche quelle più povere. La suora che lo accompagna racconta:
Il Cardinale voleva sedersi vicino al letto di ogni malato e parlare con loro con paterna gentilezza... in una casa di un’anziana malata c’erano molti altri membri più giovani della famiglia. Ognuno espose i propri problemi. Dopo una conversazione con l’anziana e con altra gente sofferente sopraggiunta, il cardinale fu invitato a tavola. Non si rifiutò. C’era una sincera atmosfera di famiglia. Ogni persona era importante per lui, per ciascuno aveva una parola gentile e qualche gesto di compassione.”
Poi il vescovo si incontra con le altre categorie di cristiani: i giovani, gli insegnanti, gli operatori parrocchiali, gli sposi, poi incontra separatamente i preti e discute con loro. In questo modo concreto e paziente Wojtyła non si arrende davanti all’impossibilità di fare pastorale sulle piazze o con grandi manifestazioni pubbliche, o con la scuola e dentro l’Università, come tradizionalmente si faceva prima, ma costruisce un forte senso di comunità e di unione fra i cristiani e approfondisce la loro fede nel dialogo personale e nell’incontro in piccoli gruppi.
Ancora una volta Karol Wojtyła dimostra la sua incrollabile fiducia nella forza dell’amore di Cristo, attraverso il servizio paterno ai cristiani, e nella debolezza della situazione bloccata nella morsa del regime comunista, vince il male che vorrebbe spegnere nel suo popolo la luce della fede con la forza della sua fiducia nell’incontro umano, paziente e caldo. È un segno della fiducia nella resurrezione di un popolo dalla schiavitù della dittatura materialista alla libertà dello spirito.

Il papato
Il 16 ottobre 1978 Karol Wojtyła è eletto papa. Nei 27 anni successivi l’orizzonte di Giovanni Paolo II si allarga a dismisura, fino ad abbracciare il mondo intero, ma resta uguale l’approccio, se vogliamo ingenuo, di una fiducia infinita nella forza del Risorto nel vincere ogni forma di male.
Lo grida nella messa di apertura del suo pontificato:
Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.”
Giovanni Paolo usa l’immagine post-pasquale dei discepoli chiusi per paura dei Giudei e invita il mondo cristiano, forse troppo spaventato e timido, a non tenere chiuso fuori il risorto. È il programma di tutto il suo pontificato. Non accetta logiche di politica prudente nel confronto con il mondo della politica, della cultura e delle società. Giovanni Paolo II non pensa di dover limitare il proprio campo di azione al mero ambito “religioso” ma coglie la necessità di affrontare a testa alta le sfide delle società del Nord ricco, in fase di progressiva secolarizzazione, e di un Sud alla deriva, in preda a enormi problemi di miseria e ingiustizia.
Con questo spirito affronta i temi politici ed economici, rifiutando sia l’ideologia comunista che il capitalismo selvaggio, proclamando che economia e politica devono essere al servizio dell’uomo e del suo sviluppo e non renderlo schiavo.
Continua la sua azione pastorale incontrando folle di persone nei suoi innumerevoli viaggi per il mondo (oltre 140) e si può dire che tutti i cristiani hanno di lui un ricordo personale, per averlo visto, ascoltato, pregato con lui almeno una volta nella loro vita.
Compie le visite pastorali nelle parrocchie romane, da buon vescovo della città. Non si nega a nessuno che desidera incontrarlo.
Sviluppa un rapporto di simpatia con il popolo italiano, a cominciare dall’anziano Presidente Pertini, con il quale organizza gite semiclandestine sulla neve.
È un papa giovane e forte, ha solo 58 anni! Dopo i tempi della contestazione del ’68, il dilagare della cultura marxista in Europa, la caduta verticale del numero dei preti, dei seminaristi e dei religiosi cattolici nel mondo, il nuovo papa propone una fede popolare, semplice ma salda, fatta di preghiera, devozione mariana, amore per i santi (che proclama in numero straordinario), rosario, pellegrinaggi, santuari, ma paradossalmente, è anche il papa che dà grande valore alla memoria dei nuovi martiri, che ama Mons. Romero con venerazione filiale, che richiama alla necessità di applicare il Concilio Vaticano II, di cui è stato un giovane protagonista, ridà ossigeno all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, è il primo papa che entra in moschea, che incontra gli ebrei nella sinagoga, a Roma, dà fiducia ai giovani senza giudicarli; in un tempo di realismo cinico in cui riprende vigore l’idea della guerra come inevitabile strumento nei rapporti fra Stati (vedi la dottrina Bush della “guerra preventiva”) si fa paladino della pace a ogni costo e in questo suo atteggiamento è visto con ammirazione da tutto il popolo pacifista (che in maggioranza era di ispirazione di sinistra e marxista). Sempre dimostra una grande speranza nel futuro che appare incerto.
Con la sua azione pastorale il papa con la sua incrollabile fiducia nella forza del Vangelo della resurrezione scardina i vecchi schemi con cui si giudica (anche nella Chiesa) chi è di destra o di sinistra, conservatore o progressista: è un uomo di fede e di preghiera, e ciò basta.
Per questo Giovanni Paolo II è un papa dalle grandi visioni. In una sua poesia del 1952 aveva scritto: “credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di visione”: è la vita con le porte chiuse di cui ha parlato fin dall’inizio, esortando tutti ad aprirle. Ad esempio divenuto papa Giovanni Paolo II aveva detto che l’Europa era unita dall’Atlantico agli Urali. Sembrava un visionario fuori della realtà: non teneva conto della situazione della cortina di ferro, della guerra fredda, della divisione netta in due dell’Europa, Est e Ovest. In realtà sì, Giovanni Paolo II era un visionario, ma perché guardava al mondo con la fiducia nella resurrezione dei popoli e della storia. Credeva nella presenza di correnti sotterranee dello Spirito che erano capaci di cambiare la storia. Per questo chi credeva con estremo realismo che tutto dovesse restare così come era, che i blocchi politici, ideologici ed economici in cui il mondo era diviso fossero granitici e ineluttabilmente permanenti si sbagliava rispetto alla previsione visionaria, che si è infine realizzata. La forza della sua fede e del persistenze incoraggiamento rivolto popoli perché difendessero la propria libertà civile e religiosa portò alla caduta del muro di Berlino e alla riunificazione dell’Europa.

La vecchiaia del papa, forza interiore nella debolezza del corpo
Ma forse per quanto sia stato un lavoratore infaticabile nella prima fase più giovanile del suo pontificato, forse quella che ha lasciato l’impronta più forte negli occhi e nei cuori di cristiani e non cristiani nel mondo intero è stata la sua vecchiaia, fino alla morte. Una vecchiaia non nascosta, non temuta ma vissuta, ancora una volta, con una forza interiore straordinaria. Mai un papa aveva continuato a parlare, incontrare e comunicare con così tanta forza anche quando non poteva più muoversi e parlare.
L’esibizione del suo corpo malato diede fastidio a molti. Rappresentanti della cultura laica, ma anche molti cristiani vedevano in questa ostinazione a non volersi fare da parte una specie di fissazione senile che andava contro la decenza e il buon senso: ad una certa età, quando si è deboli e malati bisogna farsi da parte e rinunciare ai propri impegni. Si discusse a lungo sulla possibilità che un papa fisicamente impedito a governare si dovesse dimettere, come si fa in tutti i campi delle attività umane. Il realtà il papa dimostrò con la sua forza spirituale che né la malattia, né la vecchiaia, né i limiti fisici sono un ostacolo alla predicazione del Vangelo che, proprio perché vissuto fra sofferenze e fatiche indicibili, è reso ancora più credibile e convincente. Dimostrò che mai la vita è da buttare via o inutile, anche quando è ridotta ad un flebile respiro. Un padre non va in pensione e non smette di esserlo perché vecchio e malato. La gente ha capito benissimo questo messaggio profondo. Lo dimostra l’affetto delle folle per quel vecchio, la forza attrattiva sulle masse di giovani alle GMG, la tenerezza suscitata in tanti, anche non cristiani, che lo consideravano un patriarca di tutti i credenti nel bene, nella pace e nell’amore. Forse non era mai avvenuto che un’intera generazione di giovani cristiani sia cresciuta e si sia rafforzata alla scuola di un vecchio inerme ma forte nello spirito, come si è verificato con Giovanni Paolo II.
Benedetto XVI nell’omelia della liturgia per la sua beatificazione ha detto:
E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nella Chiesa.
Al momento del suo inizio di pontificato il Primate della Polonia, il Cardinale Stefan Wyszyński, gli disse: “Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio”. Sembrava una previsione avventata e irrealistica: mancavano ancora 22 anni!
Invece Giovanni Paolo II si assunse questo compito con una straordinaria serietà, attraversando la porta del millennio che si apriva a mani nude, senza segni di potere o di forza mondana, con il solo Vangelo in mano. Scrisse in quell’occasione: “il programma c'è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in Lui la vita trinitaria, e trasformare in Lui la storia fino al suo compimento... È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e delle culture tiene conto per un dialogo vero ed una comunicazione efficace. Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio" (Enciclica Novo Millennio Ineunte, 29).
Un altro aspetto della sua vita che ha fatto emergere con evidenza la sua fede pasquale è stata la forza della sua preghiera. Giovanni Paolo II è stato da tutti riconosciuto come un mistico, cioè un uomo capace di un rapporto intimo e personale con Dio attraverso la preghiera. Da giovane, uomo pratico, energico e forte, si è affidato innanzitutto alla debolezza della preghiera; da anziano, debole e malato, si è identificato nella preghiera col Cristo della passione imitandolo nel dare tutto se stesso per gli altri. Basti pensare all’immagine indimenticabile della sua partecipazione dalla cappella privata in Vaticano all’ultima via crucis del venerdì santo, alla quale finché ha potuto non aveva mai mancato di prendere parte al Colosseo. Il suo corpo sembrava sopportare lo stesso peso della passione di Cristo che veniva rievocata. Nella debolezza fisica risaltava ancora più forte la sua forza spirituale.
Un altro esempio della forza della sua preghiera e dell’identificazione con Cristo ci giunge da una testimonianza di un suo stretto collaboratore sul suo ultimo viaggio in Terra Santa:
Volle sfidare la sua stessa infermità pur di pregare sul Golgota. In occasione del grande Giubileo del 2000, ci chiese infatti di tornare in Terra Santa. Era in condizioni di salute piuttosto critiche e aveva grandi problemi di mobilità, quindi dovemmo tenere in considerazione il suo stato fisico nella preparazione del viaggio. D’accordo con don Stanislao, quando si pensò di fare la visita al Santo Sepolcro, escludemmo che potesse salire sino al Golgota poiché la scala di accesso è talmente stretta e ripida da non consentire l’aiuto a una persona che abbia delle difficoltà. Nelle condizioni del Papa dunque era impossibile. La visita si sviluppò lungo nove densissime e faticose giornate. Al momento di … partire per Roma, mi accorsi che, nonostante la testa del corteo si fosse mossa, la macchina che aveva a bordo Giovanni Paolo II era ferma. Don Stanislao mi chiamò per dirmi che il Papa chiedeva di poter tornare al Santo Sepolcro e di andare a pregare sul Golgota. Per le rigidissime forze di sicurezza israeliane non c’erano dubbi: era impossibile e da escludere assolutamente perché tutte le misure di protezione erano state rimosse, i negozi della città vecchia erano riaperti e i pellegrini avevano già invaso quella parte della città. Dunque non c’erano assolutamente le condizioni per realizzare quel desiderio. Lo spiegai a don Stanislao e al Pontefice. A quel punto Papa Wojtyła prese il braccio del segretario e disse: «Se non vado a pregare sul Golgota, non posso partire da Gerusalemme». Dal suo sguardo capii che non c’erano alternative … Lo feci presente alle autorità competenti. Dovevano scegliere: o avere il Papa fermo in mezzo alla strada per chissà quanto tempo o puntare sulla sorpresa e portarlo al Golgota. Con grande difficoltà raggiungemmo il Santo Sepolcro. Lì ho vissuto un momento che mai dimenticherò. Il Papa non camminava quasi più, si teneva a malapena in piedi e non riusciva a procedere da solo. Lì davanti a quella scala, però, raccolse tutte le sue poche forze residue e si aggrappò ai corrimano. Cominciò a salire lentamente. Lo precedevo camminando all’indietro per controllarlo. ... Ho visto il volto di Giovanni Paolo II trasfigurarsi per la sofferenza a mano a mano che saliva. Non ebbi la percezione del tempo che impiegammo a salire quei venticinque gradini. Mi sembrò un’eternità. In cima non c’era neanche un inginocchiatoio. Appena giunto crollò in ginocchio sul lastricato per la stanchezza. Era ai piedi dell’altare di marmo del Golgota. Rimase in quella posizione a lungo, assorto nella preghiera. Non dimenticherò mai quell’immagine mai. Anzi, ogni volta che arriva il periodo di Pasqua e penso alla Passione di Cristo, rivedo il volto di Wojtyła mentre sale le scale del Golgota. È stato impressionante. Dopo aver pregato disse: «Adesso possiamo andare».”
Un ultimo esempio di questa forza del vecchio papa ci viene dal discorso che Wojtyła rivolse al corpo diplomatico il 13 gennaio 2003, all’età di ben 83 anni, Quando disse:
Sono impressionato dal sentimento di paura che dimora sovente nel cuore dei nostri contemporanei. Il terrorismo subdolo che può colpire in qualsiasi istante e ovunque; il problema non risolto del Medio Oriente, con la Terra Santa e l’Iraq; gli scossoni che scompigliano il Sud America, particolarmente l’Argentina, la Colombia e il Venezuela; i conflitti che impediscono a numerosi Paesi africani di dedicarsi al proprio sviluppo; le malattie che propagano il contagio e la morte; il problema grave della fame, in modo speciale in Africa; i comportamenti irresponsabili che contribuiscono all’impoverimento delle risorse del pianeta: ecco altrettanti flagelli che minacciano la sopravvivenza dell’umanità, la serenità delle persone e la sicurezza delle società. Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede, di probità, di rispetto altrui, di dedizione al servizio degli altri.”
Un papa vecchio e amareggiato dalla brutta piega che prende la situazione storica mondiale non è vinto da un senso di fallimento o di ineluttabilità, non si accontenta del molto che ha già fatto, ma ripropone, ancora una volta, il messaggio pasquale di un cambiamento sempre possibile, se si fa entrare il risorto nella propria vita, come aveva detto all’inizio del suo pontificato.



Davanti alla beatificazione di Giovanni Paolo II, avvenuta in tempo di Pasqua, anche noi oggi siamo interrogati dalla testimonianza della sua fede pasquale nella forza invincibile del risorto.
È la forza di un amore che non si arrende davanti a nessun ostacolo, tenace ma sempre benevolo; pieno di energia ma debole come è la preghiera; tenero con tutti e inflessibile con se stesso; capace di cambiare la storia del mondo attorno a sé cominciando dalla trasformazione del proprio cuore; curioso degli altri e attento a tutti meno che alle proprie paure e resistenze a lasciarsi andare; amante della pace perché sicuro della pace donata dal risorto ai discepoli nel cenacolo; forte dello Spirito invocato e accolto.
La Pasqua prima della sua morte Giovanni Paolo II ha detto:
A noi il Signore chiede di rinnovargli l'espressione della nostra piena docilità e della totale dedizione al servizio del suo Vangelo. Carissimi Fratelli e Sorelle! Se talora questa missione può apparirvi difficile, richiamate alla mente le parole del Risorto: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Certi della sua presenza, non temerete allora nessuna difficoltà e nessun ostacolo.”
Oggi facciamo nostra questa invocazione, di incontrare il Risorto e riconoscerlo vivo accanto a noi a incoraggiare la timidezza del nostro amore, a darci la fiducia necessaria per riuscire a passare dalla cruna di un ago, a spostare le montagne e a voler bene come seppe fare Giovanni Paolo II.

domenica 8 maggio 2011

III domenica del tempo di Pasqua

Dagli Atti degli Apostoli 2, 14a. 22-33
Nel giorno di Pentecoste, Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così:
«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo: “Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”. Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: “questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione”. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».

Salmo 15 - Mostraci, Signore, il sentiero della vita.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore +
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita, +
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 1, 17-21
Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

Alleluia, alleluia alleluia.
Signore Gesù, facci comprendere le Scritture;
arde il nostro cuore mentre ci parli.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 24, 13-35
In quello stesso giorno, il primo della settimana, due dei discepoli erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.



Commento



Il Vangelo di Luca ci presenta due discepoli che tornavano tristemente a casa dopo gli avvenimenti della passione, morte e resurrezione di Gesù. Ci colpisce come i Vangeli, dopo il racconto della resurrezione del Signore, riportano molti episodi che mettono in evidenza la difficoltà dei discepoli a riconoscere Gesù che si presenta loro risorto. Presso la tomba Maria di Magdala non lo riconosce e pensa che sia il custode del giardino (Gv 20,15), Sul mare di Galilea non lo riconoscono quando chiede loro da mangiare (Gv 21,4-ss), ed oggi di nuovo Luca ci parla di due discepoli anonimi che fanno un lungo viaggio con lui, “in persona” sottolinea Luca, e neanche lo riconoscono, tanto sono ormai rassegnati a non vederlo più. A noi sembra così strano: come fanno a non riconoscere Gesù risorto dopo che hanno vissuto con lui per così tanto tempo?
Il fatto è che, cari fratelli e care sorelle, Maria di Magdala e gli altri discepoli, come quelli che vanno ad Emmaus, non hanno creduto alla resurrezione di Gesù, l’hanno ritenuta una chiacchiera di donne (come risposero gli apostoli alle donne che avevano visto la tomba vuota), o una vaneggiamento (come fece Tommaso). Anche i due discepoli che vanno ad Emmaus dicono: “Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto”, restano cioè scettici.
Non è possibile riconoscere Gesù se non si crede alla sua resurrezione. Sì, certo, pensano di conoscerlo già: lo hanno visto in Galilea, girare per i villaggi, a Gerusalemme predicare nel tempio, compiere miracoli e insegnare alle folle. Ma l’ultima immagine di Gesù che si è impressa nella loro mente è quella del Signore morto sulla croce. Credono di conoscerlo, pensano di essere suoi intimi, ma in realtà ne hanno una conoscenza così superficiale e distorta che è un’altra persona. Non si può conoscere il Gesù dei miracoli, delle parabole e della passione se non lo crediamo anche con fermezza risorto dai morti.
Ciò, fratelli e sorelle, vale anche per noi. Quante volte pensiamo di conoscere Gesù, di averne capito il messaggio e gli insegnamenti, ma in realtà ci resta un estraneo e non riusciamo a riconoscerlo vivo accanto a noi, perché non abbiamo creduto alla resurrezione.
Ma che vuol dire credere alla resurrezione?
Non è tanto uno sforzo della ragione: non c’è molto da capire, è un mistero che non si spiega razionalmente. Piuttosto si tratta di fidarsi della forza dell’amore, così straordinaria che riesce a vincere anche il male più grande, che è la morte. In apparenza voler bene si presenta come una forma di debolezza: significa essere vulnerabili, rischiare di rimetterci, di essere giudicato male, di fare una brutta fine. Ce lo dimostra la storia stessa di Gesù: ha speso tutte le sue forze per fare il bene degli altri, senza risparmiarsi, ha pensato a salvare gli altri e non se stesso, e cosa ne ha ricavato? Il tradimento, la passione e la morte in croce.
Se ci fermiamo fin qui infatti diamo ragione al vangelo del mondo che dice: per trovare salvezza e sicurezza pensa a te stesso, non ti occupare degli altri, salva te stesso e fai il tuo interesse.
Ma il realtà il vangelo di Gesù va oltre la morte e la croce: il suo amore non è prigioniero della tomba, non finisce con la croce, ma vince sulla morte, risorge.
Se non ci facciano discepoli di questo vangelo, cioè del vangelo della resurrezione e della fiducia nella forza dell’amore del Signore che possiamo anche noi vivere come lui, saremo discepoli del vangelo del mondo che si ferma davanti alla morte, ne è schiavo, spaventato e succube.
Ma non è facile credere la vangelo di Gesù”, diciamo spesso, “è molto più convincente il vangelo del mondo, sembra più razionale e realistico”, a giustificare la nostra incredulità.
Sì è vero, è più difficile crederci, ma chi anche solo una volta ci ha provato ne ha gustato la forza e la bellezza. Non ci viene spontaneo, infatti per credere veramente nella resurrezione non ci si può sottrarre alla “fatica” di accoglierne l’annuncio con pienezza. Per questo anche a noi il Signore dice oggi: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!” Siamo sciocchi perché, credendoci furbi e intelligenti, diamo ascolto al vangelo del mondo, che è così connaturato al nostro modo di pensare, e ci teniamo alle nostre convinzioni: prima di dare ragione e aderire intimamente a qualcosa di così nuovo e diverso dalla normalità come la resurrezione di un morto devono convincerci che è meglio. Ma non c’è dimostrazione possibile né spiegazione razionale convincente: lo si capisce solo vivendolo, per questo bisogna avere un cuore “pronto” a fidarsi e a provare a viverlo, proprio quello di cui Gesù rimprovera i discepoli, “tardi di cuore” a credere. Un cuore tardo è troppo lento, frenato dalla paura di fidarsi, dall’abitudine a diffidare di tutto e di tutti.
Ecco che allora anche noi, che ci crediamo tanto furbi, esperti e navigati, davanti al vangelo ascoltato oggi ci scopriamo “sciocchi e tardi di cuore”, e prosegue: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” Cioè la sciocchezza e la lentezza del nostro cuore sta nel credere che è meglio non attraversare la sofferenza, eppure proprio questa è il passaggio attraverso il quale si giunge a credere alla resurrezione. Nessuno di noi, ovviamente vuole attraversare la sofferenza, e la fuggiamo più che possiamo, non solo in noi, ma nemmeno vogliamo aver a che fare con la sofferenza degli altri. Non siamo disposti ad attraversare il dolore degli altri. Non siamo disposti a farci sfiorare dalla sofferenza del mondo, perché abbiamo paura, temiamo il contagio del dolore. Eppure, ci dice il Gesù della resurrezione, il dolore è un passaggio verso la vita nuova. A Pasqua abbiamo visto come solo le due donne che tornano alla tomba di Gesù crocefisso e si ricordano di quel povero condannato a morte sono testimoni della sua resurrezione, e ancora oggi il Vangelo ci ricorda che la “stoltezza e lentezza di cuore” è rifiutare il passaggio attraverso la sofferenza, che fuggiamo proprio perché non crediamo alla resurrezione.
Il Signore pazientemente si mette a camminare accanto ai due di Emmaus, spiega loro le Scritture, si fa loro vicino e compagno di viaggio. Così avviene anche con noi. Gesù non giudica e non condanna nessuno, ma continua a parlare, a spiegare e a camminarci accanto. Sì forse anche noi non crediamo veramente che dopo la morte c’è la resurrezione, che dopo il dolore, la sofferenza, la vita può vincere di nuovo se abbiamo fede e amore, ma il Signore ci torna a spiegare. La salvezza di quei due discepoli allora non è nella loro bravura, nella santità o nella loro intelligenza e coraggio. Si salvano perché si lasciano prendere da quelle parole, tanto che alla fine lo pregano di restare con loro: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Sì, diciamo anche noi “Resta Signore, perché le certezze della nostra vita declinano, perché la furbizia, la diffidenza, la sfiducia, non ci fanno vivere meglio. Alla prova della vita tante certezze vengono meno, declina la nostra fiducia in noi stessi, sfuma l’orgoglio delle nostre sicurezze. Resta con noi perché abbiamo bisogno che continui a spiegarci la Scrittura, a camminarci accanto, a darci coraggio e fiducia nell’amore che vince su ogni male.” Sia questa la nostra preghiera davanti all’assurdità del male, all’esplosione di tanta follia. Sia la preghiera che ci spinge a fermarci con più serietà davanti al mistero della resurrezione per farla diventare qualcosa cui aderiamo intimamente, cui crediamo a fatti e non solo a parole. Solo così da tardi di cuore, da sciocchi diventeremo uomini e donne con un cuore vero, caldo e sincero, intelligenti nell’amore: si dicono i due di Emmaus “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” Possano essere anche le nostre parole ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio.




Preghiere





O Signore che ti fai incontro a noi risorto da morte, fa’ che sappiamo riconoscerti vittorioso sul male e salvatore di ognuno di noi.
Noi ti preghiamo

Perdona o Signore Gesù la nostra incredulità che ci rende sciocchi e tardi di cuore. Aiutaci ad accogliere con fiducia l’annuncio delle donne che la vita ha vinto sulla morte e tu sei risorto per sempre.
Noi ti preghiamo





Dona, o Padre del cielo, la vita che non finisce a tutti coloro che ti invocano. Ascolta il grido dell’oppresso e del sofferente, chinati su chi è vittima dell’ingiustizia e schiacciato dal dolore. Fa’ che l’annuncio della resurrezione risuoni con forza dove oggi sembra vincere il male.
Noi ti preghiamo





Rendici o Signore testimoni convincenti della tua resurrezione. Fa’ che sappiamo annunciare con le nostre parole e le nostre azioni il vangelo del tuo amore più forte di ogni male.
Noi ti preghiamo





Perdona o Dio del cielo il nostro peccato, perché liberi da ogni impaccio e animati dalla forza del tuo perdono sappiamo sempre lodare il tuo nome e annunciare le tue meraviglie.
Noi ti preghiamo





Proteggi ogni uomo dal pericolo di una vita spesa per ciò che non vale e vissuta inutilmente. Fa’ che chi ancora non ti conosce e non ti ama possa presto incontrarti come il Signore buono e misericordioso della sua vita.
Noi ti preghiamo.


Proteggi o Padre del cielo tutti i tuoi discepoli ovunque dispersi, in modo particolare coloro che soffrono per la persecuzione e la violenza. Fa’ che la loro testimonianza sia inizio di un nuovo tempo di pace e di riconciliazione.
Noi ti preghiamo





Dai forza e coraggio a tutti coloro che annunciano il Vangelo e guidano il popolo dei tuoi figli. Per il papa, i pastori e tutti coloro che con la loro testimonianza sono di esempio e guida a molti.
Noi ti preghiamo



martedì 3 maggio 2011

II domenica del tempo di Pasqua – 1 maggio 2011




Dagli Atti degli Apostoli 2,42-47
Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

Salmo 117 - Rendete grazie al Signore perché è buono.
Celebrate il Signore, perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia.
Dica Israele che egli è buono:
eterna è la sua misericordia.

Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne: «Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

Mi avevano spinto con forza per farmi cadere,
ma il Signore è stato il mio aiuto.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.

Grida di giubilo e di vittoria +
nelle tende dei giusti:
la destra del Signore ha fatto prodezze.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo1, 3-9
Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.

Alleluia, alleluia alleluia.
Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;
beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 20, 19-31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


Commento


Cari fratelli e care sorelle, questa domenica la liturgia ci offre diversi motivi per essere pervasi da una gioia profonda. Il primo è il ricordo ancora così vivo nei nostri cuori della pasqua che abbiamo celebrato domenica scorsa. Il secondo è la beatificazione di Giovanni Paolo II che proprio in questa stessa ora si sta compiendo a S. Pietro. Sono due eventi che si richiamano l’uno con l’altro, come due grandi specchi che riflettono fra di loro e verso di noi lo splendore senza fine della Resurrezione del Signore.



Eppure il vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato ci parla dei discepoli di Gesù che pur avendo già ricevuto l’annuncio della resurrezione se ne stanno a porte chiuse, nascosti per la grande paura. Che ne hanno fatto della Pasqua vissuta col Signore? Che ne hanno fato del dono ricevuto del corpo e del sangue di Gesù, della lavanda dei piedi? Che ne hanno fatto della passione del Signore di cui sono stati testimoni da lontano, come paralizzati dallo spavento? Che ne hanno fato delle parole delle donne che hanno ascoltato l’angelo e poi hanno visto Gesù vivo? La loro testimonianza entusiasta non è stata abbastanza forte e convincente per smuovere i cumuli di diffidenza e rassegnazione che si sono stratificati davanti ai loro occhi. È la stessa cosa che avviene a noi: dopo tanti anni le parole delle donne che ci sono state proclamate a Pasqua risuonano come un sibilo flebile che non riesce a superare la corazza spessa della nostra abitudine scontata. Lo sappiamo, Gesù è risorto, ma che motivo c’è di agitasi tanto? Abbiamo avuto l’annuncio, ma tanto che cambia nella nostra via?



L’uomo occidentale, la donna della nostra società è spaventato da una vita che non riesce a capire e dominare: troppi eventi, troppe complicazioni, troppe domande. La guerra il Libia e la conseguente immigrazione dal Nord Africa. La crisi economica che sembra non passare mai. La violenza quotidiana nei rapporti familiari e sociali. Ciascuno ha abbastanza motivi per preoccuparsi per sé e il proprio futuro che non c’è spazio per la preoccupazione per l’altro. Ognuno deve tenere a bada i destini della propria esistenza che si aggrovigliano come impazziti, in famiglia, al lavoro, con i conoscenti, e non c’è spazio per pensare ad un futuro più largo del mio piccolo privato orizzonte. E poi, diciamo la verità, è troppo complicato stare dietro a così tante cose che accadono, io che a malapena riesco a tener testa alle mie faccende. In questa vita complicata l’annuncio della Resurrezione non trova spazio, non ha motivo di prendere piede e cambiare qualcosa, ma scivola via come acqua sul vetro in mille goccioline.



Non siamo molto originali, quasi duemila anni fa gli stessi pensieri bloccavano di paura i discepoli prigionieri della solita stanza chiusa, come noi che siamo prigionieri della cella del nostro io. La voce delle donne giunge da dietro la porta chiusa ma non supera lo sbarramento del cuore.


Tutto sembra bloccato e immutabile.



Ma nonostante tutto Gesù torna dai suoi, supera la porta chiusa del cuore, cerca di placare i loro animi agitati dalla paura con l’invito a trovare in lui la loro pace: “Pace a voi”. È lo stesso invito con cui Giovanni Paolo II inaugurò il suo pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo.” Il papa beato ha preso sul serio la voce di quelle donne, non è restato al chiuso della sua stanza, e ha invitato tutti i cristiani a fare altrettanto, per poter incontrare Cristo nostra pace. Sappiamo come Giovanni Paolo II ha vissuto in un tempo non facile. È passato attraverso la tragica esperienza della II guerra mondiale, durante la quale vide deportati e uccisi dai nazisti tanti suoi compagni e amici, e poi, dopo la guerra, ha visto il suo Paese soccombere sotto il peso schiacciante di un totalitarismo materialista e ateo. Egli in un mondo in cui si proclamava la morte di Dio e si giudicava la fede come qualcosa di vecchio e superato, in cui si predicava l’avvento del paradiso in terra con il socialismo, credette nella forza della resurrezione quando tutto sembrava bloccato e ormai perduto. Con la forza di questa fede semplice e incrollabile, da prete e poi da vescovo, seppe mantenere vivo nel suo popolo l’attaccamento ad un Vangelo che offriva la libertà dall’oppressione. Una volta eletto papa Giovanni Paolo II mantenne integra la sua fiducia che solo fondandosi sulla roccia solida del Vangelo la vita non si perde. In quegli anni settanta tutto consigliava prudenza e la Chiesa viveva un tempo di crisi. Molti erano spaventati dall’aggressività degli ambienti anticlericali e vivevano una chiesa rinchiusa nelle sagrestie a celebrare i suoi riti al chiuso. Il papa volle subito affermare con forza che dalla Resurrezione il cristiano doveva trarre la forza di liberazione da ogni paura, anche quella del nemico più invincibile, la morte. Lo testimoniò sfuggendo per un soffio al martirio, nel maggio 1981, non cercato, certamente, ma dovuto proprio a quel suo offrirsi alle folle che lo cercavano e lo attorniavano ovunque. Ma poi lo testimoniò anche vincendo la paura della malattia grave e della sofferenza, restando fino all’ultimo respiro a testimoniare quanto la forza della Resurrezione può rendere comunicativo di speranza perfino un vecchio dal corpo immobilizzato e la voce ammutolita.



Cari fratelli davanti alla vita di Giovanni Paolo II ci chiediamo: che ne ho fatto io dell’annuncio della resurrezione? La sua vita è stata eccezionale non per le sue doti naturali, che casomai furono il suo lato più fragile, ma per la fiducia incrollabile nel fatto che la resurrezione di Cristo poteva abbattere ogni parete, anche il muro di Berlino, spalancare le porte dei cuori, anche quelle dei giovani e dei lontani dalla fede, e far risorgere gli individui, come i popoli interi, dalla tomba della rassegnazione, del “nulla può cambiare”, del “tanto che ci si può fare”.



Di questa forza invincibile anche noi ci vogliamo rivestire facendo nostra la felicità di tanti cristiani nel mondo che gioiscono della beatificazione di Giovanni Paolo II. Se almeno un po’ apriamo uno spiraglio e ci fidiamo che la nostra vita e il mondo intero possono cambiare, vedremo i miracoli di uomini paurosi divenire coraggiosi testimoni del Vangelo e situazioni credute bloccate per sempre trasformarsi nel trionfo della vita e del bene. Questa è la nostra fede e questo lo spirito con cui vogliamo vivere questo tempo che segue la Pasqua, perché non passi invano, come un’occasione perduta di una nuova giovinezza e vita piena.



Preghiere


O Signore Gesù ti ringraziamo perché torni a incontrarci nel chiuso delle nostre stanze per vincere la paura e donarci la pace. Aiutaci ad accoglierti senza la diffidenza di Tommaso, ma con la fede di chi crede pur senza avere visto.
Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Dio del cielo per il grande dono del papa Giovanni Paolo II che ha segnato la storia dell’umanità intera con la forza dirompente della Resurrezione. Fa’ che il suo ricordo renda vivo in ogni cuore il Vangelo di Pasqua.
Noi ti preghiamo

Aiutaci, o Padre buono, quando dubitiamo in cuor nostro che il mondo possa cambiare e che la storia possa prendere una strada diversa. Fa’ che sull’esempio degli apostoli vinciamo la paura e diveniamo annunciatori audaci del Vangelo e testimoni della Resurrezione di Cristo.
Noi ti preghiamo

Guida i nostri passi o Signore perché una volta ricevuto l’annuncio della tua Resurrezione, come fecero le donne anche noi riferiamo la novità del vangelo a tanti nostri fratelli e sorelle.
Noi ti preghiamo

Rafforza in ogni tuo discepolo o Signore la certezza che la morte non è l’ultima parola e che quando tutto sembra perduto la fiducia in te fa risorgere la speranza. Dona a tutti quelli che invocano il tuo nome la pace di chi non teme più il male ma lo combatte con le armi della benevolenza e del perdono.
Noi ti preghiamo

Fa’ o Signore Gesù che tutti quelli che ti sono compagni nella via dolorosa verso il Calvario siano risollevati dal loro dolore assieme a te che risorgi. Ti preghiamo per i malati, gli immigrati, gli anziani, chi è senza casa, oppresso dalla guerra e dalla violenza. Dona loro pace e salvezza.
Noi ti preghiamo.

O Dio nostro Padre, rafforza la fede nella vita che non finisce in tutti coloro che nel mondo iniziano a conoscerti. Perché con essi anche noi, ricordando il battesimo con cui siamo stati fatti morire al peccato e risorgere con Cristo, sappiamo vivere con pienezza il dono di una vita rinnovata dal tuo amore.
Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Dio, proteggi tutti i cristiani nel mondo, specialmente quelli che sono perseguitati e discriminati. Fa’ che l’annuncio della tua Resurrezione doni loro coraggio nella prova e la forza di resistere al male,
Noi ti preghiamo