martedì 29 novembre 2011

Preghiera del 29 novembre 2011 (I Avvento)


Dal Libro dell’Apocalisse 3, 14-22

"Così parla l'Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio. Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".

Commento

L’Apostolo Giovanni nel libro dell’Apocalisse ci riporta, al termine della sua vita, la visione grandiosa che Dio gli concesse circa i destini dell’umanità. Giovanni soffre in esilio, è prigioniero, al termine della sua vita, ha tutti i motivi per chiudere il cuore e gli occhi a visioni troppo ambiziose. Cosa gli resta da sperare per la sua povera esistenza? In fondo ha fatto molto per il Vangelo nella sua vita e cosa ne ha ricavato? È solo, sofferente, sconfitto.

Ma il Vangelo ha trasformato la vita di Giovanni, e pur nella sua condizione infelice, egli non smette di sperare e apre gli occhi su una visione grandiosa e ambiziosa: il destino dell’umanità con Dio. Il Vangelo ci insegna che il bilancio della vita non può essere solo la pesa dei risultati ottenuti, che c’è un oltre spirituale che ad una logica materiale dei risultati e dei guadagni sfugge. Nel modo di Dio di pesare la vita degli uomini conta ciò che per noi uomini non vale nulla, perché non si vende e non si compra, non ha consistenza e spessore fisico: per Dio conta quanto si vuol bene, quanto si sogna e si spera per il futuro, quanto ci si preoccupa degli altri, quanto si sa leggere dentro le pieghe della storia e delle umanità per scorgervi in trasparenza la bellezza di Dio. Per questo Giovanni non sente la sua vita sconfitta e la sua situazione attuale un fallimento. Possiamo ben dire che il suo è l’atteggiamento dell’uomo dell’Avvento, cioè di chi non è rassegnato al presente della sua vita e di quella del mondo in cui vive, è aperto alla speranza e alla visione, attende l’incontro personale con Dio che viene e per questo lavora per un futuro diverso. Sono gli atteggiamenti che in questo tempo di Avvento il Vangelo ci suggerisce nelle tappe della Liturgia, nell’invito a invocare con impazienza la venuta del Signore, come fa l’Apostolo Paolo scrivendo ai Corinzi: “Maràna tha” cioè “Vieni Signore! (1Cor 16,22).

Le esperienze personali, gli anni che passano, la situazione del nostro mondo non ci spingono forse ad abbassare lo sguardo con realismo e a chiuderci in una cupa rassegnazione? Già ci sembra molto riuscire a conservare quello che abbiamo e a rimanere ciò che siamo, figuriamoci se è possibile sperare nel futuro e confidare nella trasformazione del mondo! 

Eppure anche a noi il Vangelo in questo tempo di Avvento chiede di essere uomini e donne in operosa attesa del futuro nuovo che il Signore Gesù viene a portarci.

Ma come possiamo imparare ad essere uomini dell’Avvento e non uomini di questo mondo?

Come possiamo riconoscere e aspettare la novità che Gesù porta con sé?

Ce lo chiediamo perché siamo disabituati a specchiare dentro la Scrittura il volto trasfigurato che Dio ci vuole donare, e preferiamo invece guardarlo riflesso nello specchio della pretesa oggettività del buon senso comune e della sapienza del mondo che ci rassicura con la sua pretesa di essere vera perché condivisa da tutti. Oggi allora vogliamo specchiarci nelle parole di Giovanni, con l’ingenuità del fanciullo, per contemplare il volto che Dio vede e quello che vuole regalarci.

Innanzitutto il nostro è un volto di povera gente: “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.” Facciamo di tutto per nasconderlo, ma non ci rendiamo conto che così facendo leghiamo indissolubilmente la nostra vita alle false ricchezze di questo mondo che illudono e poi tradiscono: il benessere materiale, la salute, il successo, un senso spensierato e leggero di giocare con la vita. Dio ci invita a riconoscerci poveracci e bisognosi, per poter cercare e chiedere la vera ricchezza che solo Dio e il Vangelo ci possono dare: “Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista.

 Rivestiti dall’oro della Parola di Dio e dalla purezza dell’ingenua fiducia in essa siamo invitati a fermarci a mangiare con Dio stesso. Sì, chi si adorna della bellezza della vita del Vangelo e chi si umilia con l’abito semplice e ingenuo del fidarci di esso vive la compagnia del Signore che volentieri si ferma con lui e lo nutre con cibo buono, che non deperisce e non viene meno, che nutre, fa crescere e fortifica.

Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” Dio ancora una volta torna a bussare alla nostra vita. Lo fa con questa povera e umile preghiera. Lo fa ogni domenica con la Parola proclamata e col dono di tutto se stesso nell’Eucarestia. Lo fa ogni volta che incontriamo un fratello da amare e un povero da servire. Non si è stancato di bussare alla nostra vita, ma noi apriremo? O non resteremo sordi e insensibili, come sempre?

Ecco il programma per divenire uomini e donne dell’Avvento: aprire uno spiraglio di porta del nostro cuore, far entrare la sua Parola semplice e paradossale, che spiazza e stupisce, che rinnova i cuori e far sì che essa modelli i nostri sentimenti e le nostre azioni sulla forma del Vangelo. Ci troveremo così pronti a riconoscerlo povero e piccolo quando nascerà a Betlemme, nella mangiatoia della vita umile e semplice, riconosciuto e cercato dalla gente umile e semplice, i pastori.

Sia questo il programma di queste settimane che ci preparano al Natale, sia questa la nostra ambizione, perché liberati dal pessimismo realista e rassegnato impariamo con Giovanni a sollevare lo sguardo sulla visione ambiziosa del destino che Dio vuole  prepara per l’umanità intera: lui che vive con noi, l’Emanuele, il Dio con noi, la nuova città splendente della sua presenza nelle nostre vie, nelle nostre case, nelle vite di tutti.

domenica 27 novembre 2011

I domenica di Avvento




Dal libro del profeta Isaia 63, 16b-17.19b; 64, 2-7

Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balia della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.

Salmo 79 - Signore, fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvati.

Tu, pastore d’Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci.

Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo, vedi e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte.

Sia la tua mano sull’uomo della tua destra,
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1 Cor 1, 3-9

Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo! Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza. La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!

Alleluia, alleluia, alleluia

Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Alleluia, alleluia, alleluia

Dal vangelo secondo Marco 13, 33-37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, si apre oggi il tempo di Avvento che inaugura un nuovo anno della nostra vita in compagnia del Signore, lungo le tappe che la Liturgia segna per incamminarci all’incontro con Lui. Il tempo di Avvento, come sappiamo e come le letture ci esortano a fare, ci invita a porci in attesa della venuta del Signore Gesù. Il profeta Isaia, nella prima lettura, esprime un sentimento che tante volte anche noi condividiamo, e cioè la lamentela perché Dio è troppo lontano da noi e non si cura delle nostre vicende. Egli dice: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema?”. Queste parole suonano come un vero e proprio rimprovero a Dio perché lascia che l’uomo si allontani da sé e non si preoccupa del suo destino. Questo sentimento non ci è estraneo, ed a volte si esprime nella delusione, anche rabbiosa, perché le nostre richieste non sono esaudite, oppure nell’abitudine a vivere come se Dio non esistesse, pur professando il contrario, trovando nella mancata reazione di Dio la conferma di ciò che siamo noi ad affermare.

Ma di fronte a questi e a tanti altri atteggiamenti scettici, delusi, scontenti, arrabbiati, lamentosi su Dio e il suo presunto rifiuto a farsi conoscere credo che sia necessario fare chiarezza. Prima di porci cioè la domanda sul perché Dio non cercherebbe l’uomo dovremmo, almeno per onestà, chiederci se noi lo cerchiamo. Infatti è normale che chi non è interessato a conoscere qualcuno, non lo cerca, non fa niente per entrarci in rapporto poi, concretamente, non lo incontri. Banalmente non sa nemmeno riconoscerlo anche se avesse occasione di incontrarlo. Con Dio è la stessa cosa. Noi a volte viviamo un rapporto con Dio come dei bambini viziati, abituati a ricevere senza dover chiedere e a vedersi sempre circondati dalle attenzioni di chi, non si sa perché, sarebbe tenuto a prendersi cura di noi senza che noi facciamo nulla. Deve essere sempre lui a fare il primo passo, a venirci incontro, a non far caso se siamo occupati in altre cose, ad aspettare il momento giusto, quando siamo disponibili e pronti a concedere la nostra attenzione.

Ma è chiaro che se questo è il nostro atteggiamento Dio non lo incontreremo mai, perché siamo noi che non desideriamo incontrarlo.

In realtà infatti Dio ha fatto già molto per realizzare l’incontro personale con noi: come afferma Isaia, egli ha squarciato i cieli, ha oltrepassato le nubi, la sconquassato i monti. Ovvero, egli di sua iniziativa ha eliminato quella distanza inseparabile che gli uomini hanno frapposto fra se stessi e Dio, relegandolo nel mondo dell’astratto, dell’invisibile, dell’inconoscibile, e si è fatto uomo come noi, visibile e tangibile, parlando la nostra lingua e, ancor di più, la lingua universale e da tutti comprensibile, che è la lingua dell’amore. La sua presenza ha tolto le fondamenta alle montagne di diffidenza, di orgoglio, di presuntuosa autosufficienza che nei secoli gli uomini hanno costruito idolatrando le proprie capacità e le conquiste del proprio genio, ponendo i presupposti perché crollino al primo debole colpo. Insomma Dio ha già fatto tantissimo, ma nulla può davanti al nostro rifiuto. Prosegue Isaia: “Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ma, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. … le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te.” A fronte del lungo tratto di strada compiuto da Dio per venirci incontro, l’uomo ha voltato le spalle.

Il Vangelo ci parla di un sonno della mente e del cuore che rende impossibile all’uomo riconoscere il re che ci viene incontro. Egli ha provveduto a tutto, perché nulla ci mancasse: “È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.” Ma invece è il sonno a vincere, come chi si accoccola al suo posto comodo, sazio e soddisfatto di sé, e non sente il bisogno di aspettare più niente e nessuno. Il Signore torna ma nessuno lo aspetta, nessuno lo desidera, nessuno si prepara per accoglierlo.

Ma che vuol dire attendere il Signore, cioè vivere lo spirito dell’Avvento che oggi si apre?

Il profeta Isaia ne dà una immagine molto suggestiva e concreta: “Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.”Vivere lo spirito di Avvento cioè significa cercare il Signore come fa il figlio col padre, e cioè con colui che dà la forma alla sua vita, con la sua amorevole presenza e l’affetto concreto, l’abbraccio e il rimprovero, l’incoraggiamento e la messa in guardia. E noi, come argilla non saremo più costretti a prendere la forma casuale, a modellarci sul posto sul quale siamo casualmente andati a finire, ma invece diveniamo vasi nelle mani sapienti di Dio, capaci di raccogliere la sua sapienza preziosa e non lasciarla disperdere. L’avvento allora sia tempo in cui rinnovare la nostra disponibilità a farci modellare dalle parole del Vangelo, ad attendere con impazienza e desiderio che torni il Padre a darci la forma giusta perché la nostra vita, troppo preziosa per essere sprecata, prenda la forma buona che Dio nella sua bontà paziente ha pensato per noi.
 
Preghiere

O Signore Gesù che squarci i cieli e oltrepassi ogni ostacolo per venirci incontro, aiutaci ad aspettarti con impazienza in questo tempo di Avvento perché ti riconosciamo vicino e amico in tutti i giorni della nostra vita,

Noi ti preghiamo

Aiutaci o Dio a non vivere ripiegati su noi stessi e addormentati nel nostro benessere, ma fa’ che sappiamo aspettarti come il re che viene a liberare e a riempire di amore le nostre vite,

Noi ti preghiamo

Aiutaci o Signore nostro ad essere docili come creta nelle tue mani, perché non rifiutiamo che la nostra vita prenda la forma del Vangelo,

Noi ti preghiamo

Soccorri o Padre misericordioso noi tuoi figli ribelli e resistenti. Fa’ che scoprendoti Padre buono e affettuoso ci stringiamo a te senza sfuggirti,

Noi ti preghiamo

Aiuta o Dio onnipotente tutti coloro che sono nel bisogno: gli anziani, gli stranieri, i malati, coloro che sono senza casa e senza famiglia, perché tu venga nella loro vita come liberatore dalla povertà e Signore potente,

Noi ti preghiamo

Fa’ cessare o Padre del cielo ogni guerra e violenza. Aiuta i popoli a trovare il modo per convivere nella pace e per costruire il loro futuro nell’armonia e nella libertà,

Noi ti preghiamo.

Soccorri o Signore tutti i nostri fratelli che sono perseguitati per la fede in Pachistan. Sostienili nel dolore e fa’ cessare ogni minaccia,

Noi ti preghiamo

Guida e proteggi o Padre del cielo coloro che annunciano il vangelo e lo testimoniano con la loro vita. Fa’ che l’annuncio della tua venuta converta i cuori di chi non ti conosce e li apra all’attesa di incontrarti,

Noi ti preghiamo




martedì 22 novembre 2011

Preghiera del 23 novembre 2011


Dal libro del profeta Isaia 11, 1-9

Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d'intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli umili della terra.
Percuoterà il violento con la verga della sua bocca,
con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio.
La giustizia sarà fascia dei suoi lombi
e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l'agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà.
La mucca e l'orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;
il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la conoscenza del Signore riempirà la terra
come le acque ricoprono il mare.


Commento

Cari fratelli e care sorelle, siamo alle soglie di un tempo nuovo che sta per aprirsi: l’Avvento.

Non è scontato né banale, vogliamo che anzi anche per noi sia un nuovo inizio da attendere con impazienza. Noi siamo poco abituati ad aspettare qualcosa di nuovo, per diversi motivi. Vuoi per l’età non più giovanissima: cosa di nuovo possiamo aspettarci, ne abbiamo già viste molte e conosciamo la vita. Vuoi per il momento di crisi economica e sociale: siamo portati a ripiegarci su di noi stessi, ad assumere atteggiamenti conservatori e spaventati verso il futuro, cosa di buono possiamo aspettarci?

Insomma tutto sembra negare la possibilità dell’aprirsi di un tempo nuovo. Siamo in clima di stasi e di timore del futuro.

Eppure la liturgia domenica prossima ci proporrà ancora una volta di metterci in attesa di una novità grande ed importante. Il tempo del Signore infatti viene a scardinare le rigidità e freddezze delle nostre vite e ci propone di attendere. “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”: Isaia profetizza ad un popolo insecchito come un vecchio tronco e dalle radici contorte e stanche di cercare nutrimento in un terreno arido. Eppure qualcosa di nuovo può nascere, anche dalla mia vita indurita come un legno secco, anche in questo mondo invecchiato e stanco.

La Scrittura stasera ci invita a cogliere i segni di questo germoglio che spunta. Non possiamo trascurarli! Sì è vero, non sono ancora rami forti, fiori rigogliosi né frutti maturi. Sono solo germogli, deboli e facili da stroncare. Basta una gelata, o la siccità e il germoglio secca. Chi se ne accorge? Eppure tutto comincia con un germoglio, la vita comincia con un piccolo germoglio. Non disprezziamo i segni semplici e forse ingenui di novità che nascono nella nostra vita. Non stronchiamo col gelo della freddezza o la siccità di un cuore arido lo spuntare di un piccolo sogno, di una speranza fragile, di un sentimento di tenerezza e di commozione che sentiamo nascere a volte nelle nostre vite o che cogliamo in chi ci è accanto. Stiamo attenti: basta poco e tutto muore, la vita continua come prima, la novità che cercava di venire alla luce viene ricacciata indietro e chissà quando avrà la possibilità di spuntare di nuovo.

Eppure da quel piccolo germoglio soffia un vento nuovo: lo spirito di una visone nuova si fa strada così, in modo stentato e quasi invisibile. Proviamo a dare credito a quel germoglio, proteggiamolo dal freddo della vita e dalla ripetitività che tutto appiattisce. Da quello spirito può nascere il miracolo di un mondo risanato, senza violenza né prevaricazione, più giusto e meno duro con i poveri. Un mondo di convivenza pacifica, di amicizia fra diversi, un mondo senza nemici.

Impariamo a riconoscere quei segni piccoli e che non si impongono all’evidenza di un mondo nuovo che vuole spuntare dal tronco antico della vita. Non stronchiamoli con la ruvidezza del nostro agire grossolano e volgare o con la scontatezza di chi la sa lunga e vuole riaffermare le proprie ragioni che niente può cambiare.

Impariamo una sapienza nuova che ci insegna ad accorgerci e a dare importanza ai germogli, anzi a cercarli con ansia e preoccupazione in noi, negli altri, nella vita del mondo per proteggerli e farli fortificare. All’inizio ci sembrerà forse una strana ingenuità, ma pian piano questa sapienza crescerà e si fortificherà, fino a diventare goccia a goccia un mare di misericordia e consolazione per i tanti che stanno ad aspettare che il mondo cambi, perché non ce la fanno più a sopportarne il peso e la durezza. Sì, “la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare” profetizza Isaia e a noi in questa vigilia dell’Avvento ci piace sognare il tempo che verrà quando tutti conosceranno il Signore e la sua pianta in mezzo agli uomini sarà divenuta un albero forte e rigoglioso. Albero che fa ombra sui tanti che hanno bisogno di protezione. Albero dai frutti dolci dell’amore e dell’amicizia. Albero dai fiori variopinti che rendono la vita bella e piena di gioia. Sia questo il nostro sogno di Avvento. Sia questo il traguardo della nostra vita, e cominciamo subito a viverlo cercando i germogli teneri e fragili, senza disprezzarli né trascurarli, perché da essi nasce il futuro grande che Dio prepara per noi e per il mondo intero.


domenica 20 novembre 2011

Festa di Cristo re


Dal libro del profeta Ezechièle 34,11-12.15-17



Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.


Salmo 22 - Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla


Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare.
Ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia, +
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.


Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 15,20-26a.28


Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

Alleluia, alleluia alleluia
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Alleluia, alleluia alleluia

Dal vangelo secondo Matteo 25,31-46


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Commento

La domenica odierna conclude un anno liturgico e ci avvia alla porta di un nuovo anno che inizia con l’Avvento. Con questo chiudersi dell’anno la Liturgia ci invita a fermarci un po’ e a considerare il tempo trascorso. Infatti il tempo non passa invano. Non è un susseguirsi di momenti sempre uguali e senza valore. Nell’idea pagana del trascorrere del tempo esso è come un girare attorno all’individuo: fatti, persone, cose hanno il loro significato nel loro appartenere al mio giro e la loro evoluzione avviene come in una spirale che ai avvolge attorno a me. Per questo il trascorrere del tempo spaventa l’uomo che non conosce Dio, perché, girando attorno a se stesso, la sua fine rompe la spirale che si avvolge senza portare a nulla.


Dio però ha insegnato agli uomini un’idea diversa del tempo. Lo ha fatto fin dall’antichità, quando si è rivelato a Israele chiamandolo a uscire dalla condizione di schiavitù per incamminarsi in un itinerario che porta a lui. È l’esodo che ha condotto Israele dalla condizione servile dell’Egitto fino a giungere alla terra promessa. Anche noi partiamo dalla nostra condizione naturale, dalla sottomissione al potere di un mondo in cui il male esercita il suo dominio, e siamo invitati dal Signore a incamminarci verso la libertà dai condizionamenti e dal modo abituale di essere per seguirlo come discepoli. Ecco che allora il tempo della nostra vita è segnato dalle tappe di questo cammino di avvicinamento al Signore per arrivare fino al momento in cui egli eserciti dal sua signoria sul mondo intero e sulla nostra vita come unico e incontrastato re. Anno dopo anno avanziamo verso di lui e pregustiamo in modo sempre più pieno la vicinanza a lui. Per questo il passare del tempo non deve farci paura: perché vediamo l’avanzamento verso la meta della pienezza della signoria di Dio nella nostra vita che giorno dopo giorno si realizza se noi, ascoltando la sua Parola, ci incamminiamo verso di lui.


Ma poi come Israele, anche noi non siamo chiamati ad un cammino individuale. Il battesimo infatti ci inserisce nel cammino comune di un popolo largo, tutti i discepoli del Signore, e nella lunghezza di un tempo che non parte da noi e non finisce con noi.


La festa di oggi dunque ci aiuta a mettere meglio a fuoco il traguardo verso il quale siamo in cammino per affrettarci verso di esso: la signoria di Cristo sul mondo.


Nella prima lettura Dio si presenta come un pastore che raduna il gregge disperso, e per questo divenuto preda dei lupi, ferito, malato, senza un buon pascolo dove nutrirsi e acqua pulita da bere. È la condizione in cui Dio ci trova, spesso smarriti, senza una strada chiara, e lui stesso si fa nostro compagno perché la sua guida affettuosa ci faccia percorrere la strada giusta: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia.” Il Signore fa lo stesso con noi: ci cerca lì dove ci siamo incamminati, spesso in strade che non portano a un pascolo buono o sottomessi ai padroni cattivi che ci tiranneggiano: le idee false di felicità, l’egoismo, l’orgoglio. Sta a noi però riconoscere la bontà del pastore che ci viene incontro. Spesso siamo poco propensi a metterci a seguire un altro, a farci condurre e consigliare. Preferiamo decidere da soli la nostra strada e al servizio di chi metterci. Per questo le parole del profeta Ezechiele si concludono con la promessa di un giudizio: “Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri.” Proprio per dire che una scelta non è come l’altra e le strade non sono tutte uguali. Il giudizio mette a nudo le differenze fra il tipo di vita che ciascuno ha condotto.


Spesso infatti un modo comune di pensare fa credere che non valga la pena di darsi troppa preoccupazione, che in fondo che male c’è ad essere come ci capita e ad assecondare il primo pastore che ci viene spontaneo seguire. Il giudizio viene ad affermare che invece c’è una grande differenza e bisogna stare molto attenti a non sprecare la vita dietro ai pastori che non conducono a pascoli buoni e abbandonano la pecora che cade nella malattia o è troppo debole e non sta al passo delle altre. È quello che vediamo accadere abitualmente.

Il giudizio c’è perché la vita vale molto. Non vale la pena di giudicare quello che è trascurabile e ci è indifferente. Ma la vita no, vale troppo per trattarla come cosa senza valore. E il giudizio, ci dice Gesù nel vangelo di Matteo, è sulla capacità di voler bene, concretamente, sul nostro atteggiamento nei confronti degli altri: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto…” E coloro che hanno speso male la loro vita restano stupiti: “quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?” Sono sinceramente stupiti, non si sono mai accorti di come si sono comportati e delle conseguenze del loro agire. Ma proprio questo è il problema. Non hanno capito perché hanno seguito, senza riflettere, il loro istinto egoista. Non si sono resi conto perché hanno obbedito, senza reagire, alla naturalezza dell’agire individuale che non tiene conto di chi è accanto. Ma, come dicevo, la vita è cosa troppo preziosa per sprecarla senza capire e senza chiedersi perché. Impariamo a farla giudicare ogni domenica dalla parola di Dio, perché diveniamo suoi discepoli docili, senza paura di dover cambiare strada e di doverci mettere al servizio di un Signore buono e attento a quello che ci è necessario.


Accogliamo allora con gioia l’immagine che la liturgia oggi ci propone: Gesù come Signore e re della nostra vita e dell’universo intero. Egli giudica dal trono della sua croce, cioè del bene che ha voluto fino in fondo e fino alle estreme conseguenze a noi uomini. Giudica assiso sulla croce dalla quale ha perdonato quelli stessi che lo stavano uccidendo. È il trono di un Signore che ci cerca, ci accompagna, ci indica la strada del nostro bene. Il suo giudizio è prezioso, perché è carico della forza di salvezza, non lo sfuggiamo. Le sue parole sono vere, e per questo a volte le sentiamo taglienti nella carne della nostra vita, ma ci permettono di camminare verso di lui sulla strada del bene, senza rischiare di perderci nei vicoli bui, aridi e senza vita del male.

Preghiere

O Signore Gesù guidaci come un pastore buono sulle strade del bene e nutrici nei pascoli in cui nulla ci manca. Fa’ che affidandoci a te impariamo il modo migliore di vivere,


Noi ti preghiamo

O Signore Gesù ti chiediamo perdono perché abbiamo accettato troppo facilmente la signorìa dei padroni malvagi di questo mondo: l’egoismo, la paura, l’arroganza e l’orgoglio. Fa’ che seguendo il tuo esempio diveniamo miti e umili come te,


Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Dio del cielo perché sei un Signore che perdona e aiuta, pronto a sostenerci nei momenti di difficoltà e attento alla nostra debolezza. Divieni re e Signore della nostra vita perché essa sia salvata dal male,


Noi ti preghiamo

Ti invochiamo o Padre misericordioso, libera il mondo dai padroni violenti che seminano odio e divisione. Fa’ cessare ogni guerra e placa l’istinto di dominio e aggressività, dona la pace a tutti i popoli,


Noi ti preghiamo


Sostieni o Signore quelli che lavorano per il bene degli altri e non cercano il proprio interesse individuale. Suscita servitori della giustizia e operatori di pace perché in tutti i popoli regni la concordia,


Noi ti preghiamo


Ascolta o Signore il grido del povero che ti invoca ed esaudisci la sua preghiera. Perché tutti àbbiano il minimo indispensabile per vivere bene,


Noi ti preghiamo.


Guida e proteggi o Padre misericordioso, tutti coloro che annunciano la tua Parola e la vivono, perché il loro esempio sia di modello per tanti,

Noi ti preghiamo


Proteggi o padre il papa in viaggio in Africa. Fa’ che la sua presenza in quel continente sia un segno dell’amore di tutti i cristiani per i popoli che soffrono per la fame, la miseria e la guerra,


Noi ti preghiamo








lunedì 14 novembre 2011

XXXIII domenica del tempo ordinario




Dal libro dei Proverbi 31,10-13.19-20.30-31

Una donna forte chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Gli dà felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e le sue dita tengono il fuso. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della città.

Salmo 127 - Beato chi teme il Signore.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto +
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.
Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési  5,1-6

Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

Alleluia, alleluia alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto.

Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.  Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, in questo tempo di crisi economica il Vangelo ci parla proprio di una situazione in cui c’è un grande movimento di denaro, investimenti, guadagni, rovesci economici, ecc… Ma, naturalmente, il Vangelo non pretende di suggerirci una ricetta economica, anche perché, a ben vedere, il modo con cui agisce quel ricchissimo padrone di cui parla la parabola, che poi è Dio stesso, è fuori da ogni logica economica.

Innanzitutto quel ricco prima di partire per un viaggio divide i suoi bene fra i suoi servi. Si fida di essi al punto da affidargli somme esorbitanti. Il Vangelo non dice che diede quei soldi in prestito o in deposito, ma che li distribuì. Il viaggio nell’antichità era sempre qualcosa di pericoloso: non si sapeva se si sarebbe tornati. Si può pensare che con quella distribuzione quel ricco personaggio voleva assicurare una sorta di eredità a coloro che erano i suoi più stretti amici. È esattamente quello che Gesù ha fatto con noi: ha dato tutto se stesso, senza risparmiarsi o lasciare qualcosa per sé.

Quei talenti, fratelli e sorelle, tradizionalmente sono interpretati come le nostre risorse e doti, tanto che nel linguaggio comune si chiamano “talenti” le capacità innate che ciascuno di noi ha fin dalla nascita. Ma io credo che il tesoro più prezioso che ci viene assegnato sia piuttosto la Sapienza di Dio che ci è donata perché noi sappiamo usare tutto quello che abbiamo ricevuto in dono, la vita stessa e tutto il resto, perché essa sia piena di frutti buoni e non vada sprecata. Senza di essa ogni dote e ogni capacità sarebbe vana e, forse, anche dannosa. Questa Sapienza è contenuta nella Parola di Dio, che è un vero e proprio tesoro preziosissimo come molto oro, il tesoro più prezioso che un uomo può ricevere in eredità, ed infatti è la Sapienza di Dio, il suo modo di giudicare e agire, il suo spirito mite e misericordioso che salva la nostra vita e il mondo intero. È il modo di vivere paradossale e a volte così diverso dal nostro, di vivere ad esempio la misericordia e il perdono nei confronti anche di chi ci è ostile, la misura larga del voler bene per primi, la pace interiore del non voler prevalere a tutti i costi sugli altri, e così via. Questo è il tesoro incomparabile che Dio ci dona. La parabola ci dice che i talenti sono donati a ciascuno secondo la propria capacità, cioè la Parola è annunciata a tutti, ma poi ciascuno la accoglie secondo la propria disponibilità a farsene discepoli e a metterla in pratica: chi cinque, chi due, chi uno.

Questa sapienza evangelica non ci è data in prestito o in semplice custodia, ma è a nostra piena disposizione, perché diventi carne della nostra carne e sangue della nostra vita.

A tutti è offerta la sapienza del vangelo. Dio non lascia nessuno senza la possibilità di divenirne ricco, anche chi apparentemente è svantaggiato o si ritiene non adatto. A ciascuno è fatto dono di molto di più di quello che merita o che riesce a darsi da se stesso.

Ciascuno poi usa questa ricchezza in modo diverso. Sostanzialmente la parabola ci indica due modi: i primi due la mettono in circolazione, la danno ad altri perché produca frutto, correndo in questo modo anche il rischio di rimetterci. La sapienza appresa dalla Parola di Dio, nel loro caso, diventa qualcosa che si moltiplica attorno ad essi come i cerchi concentrici di ondate di bene che coinvolgono quelli che sono accanto e tornano indietro accresciute.

Il terzo invece la sotterra: cioè continua la sua vita come se non avesse ricevuto nulla. È l’atteggiamento di chi ascolta la parola di Dio ma non la fa diventare vita, non la mette in pratica e continua come se non avesse ascoltato niente.

Alla fine il ricco padrone torna: la sua vita è stata salvata e il viaggio ha avuto un ritorno. Vede i tre servi, ma il Vangelo non dice che richiede loro indietro le somme date alla partenza, anche perché la sapienza del Vangelo se è vissuto diventa carne e ossa della nostra esistenza. Solo vuole sapere se qual dono è stato utile e in che modo è stato usato. Infatti ai due che sono diventati ricchi raddoppiando il tesoro ricevuto non chiede nulla indietro, al contrario, paradossalmente giudica persino poco quanto è da loro posseduto e offre un potere sul mondo intero ancora più grande: “Bene, servo buono e fedele … sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Sì, è la gioia il potere più grande! La gioia di vivere la Sapienza del Vangelo ci rende padroni del mondo intero, nel senso che ci libera dalle schiavitù che esso vuole esercitare sugli uomini. L’uomo e la donna felici del vangelo sono padroni e non servi. Padroni di fare il bene, padroni di trasformare la vita, padroni di voler bene ed essere amati, che è il potere più grande ed efficace che ci sia. Quei due infatti mettendo in comune il prezioso dono del Vangelo divengono capaci di gioire come Dio stesso per la bellezza della vita trasfigurata dal Vangelo.  

Il terzo invece appena vede il padrone che è tornato, in modo onesto e irreprensibile consegna spontaneamente ciò che gli era stato donato: non l’ha mai considerata roba propria e per questo non era interessato nemmeno a metterla a frutto. Il dono generoso è stato rifiutato: quel servo ha preferito mantenersi del suo, barcamenarsi con i propri mezzi, piuttosto che accogliere il dono del talento e vivere di esso nell’abbondanza. Il suo destino è amaro e triste. Non conosce la gioia del Vangelo perché è schiavo del mondo: della paura, innanzitutto, e poi delle invidie, dell’orgoglio, dell’aggressività. Si costringe da se stesso a vivere dove si trova “pianto e stridore di denti”.

Non sia questo il nostro destino. Il Signore ogni domenica ci parla e la sua Parola affida a ciascuno uno, due, cinque talenti da vivere. Noi che ne facciamo? Accogliamo con gioia piena il dono e saremo padroni e liberi di moltiplicare il tesoro ricevuto. Non spaventiamoci del rischio di una vita libera, non preferiamo sotterrarla in una buca, perché così facendo ci condanniamo da soli all’infelicità senza prospettive.

Preghiere  

O Dio ti ringraziamo per il dono prezioso della tua Parola. Fa’ che l’accogliamo con gioia come un tesoro dal valore inestimabile,

Noi ti preghiamo

 Aiutaci o Padre ad apprendere la vera sapienza contenuta nel Vangelo, affinché come tuoi discepoli diveniamo ricchi di umanità e liberi di amare tutti,

Noi ti preghiamo

Rendici, o Dio onnipotente, forti della gioia del Vangelo, perché non restiamo schiavi dell’impotenza e sottomessi al male, ma come uomini e donne sapienti trasformiamo il mondo e il suo modo di vivere,

Noi ti preghiamo

Ti chiediamo perdono o Dio per quando rifiutiamo il talento della tua Parola, accontentandoci del poco che sappiamo darci da soli. Apri il nostro cuore al Vangelo perché diveniamo sapienti e forti,

Noi ti preghiamo

Guida o Padre misericordioso i passi di coloro che cercano il bene e operano per la pace. Fa’ che presto nel mondo intero cessino le guerre e ogni forma di violenza,

Noi ti preghiamo

Suscita in ogni luogo o Padre misericordioso amici dei poveri e soccorritori di chi è in difficoltà. Guarda con amore a chi ti invoca ed esaudisci la preghiera del misero,

Noi ti preghiamo.

O Signore Gesù che hai donato tutto te stesso per la nostra salvezza, perdona la nostra avarizia nel voler bene ai fratelli e alle sorelle che incontriamo.

Noi ti preghiamo

Guida e proteggi o Dio tutti quelli che camminano sulla via del Vangelo: i testimoni dell’amore, i costruttori di pace, coloro che perdonano, i miti di cuore. Fa’ che la loro forza d’amore trasformi il mondo intero,

Noi ti preghiamo


mercoledì 9 novembre 2011

II incontro-dibattito: La primavera araba

 
 
La primavera araba:
quale futuro per l’Islam del Mediterraneo
Il titolo stesso di questo nostro incontro ci porta a riflettere per comprendere quale sia il rapporto tra primavera araba e Islam. E ancora ci chiediamo se essa (la primavera) stia avendo un impatto non solo sui paesi del Medio Oriente ma anche su quelli della sponda Nord del Mediterraneo.
La risposta alla seconda domanda è certamente affermativa e basti pensare al ruolo della Francia e dell’Italia nella rivoluzioni libica ma anche al possibile collegamento tra le proteste degli “indignados” e quelle dei giovani di piazza Tahrir.
La prima domanda – Islam e Primavera – è assai più insidiosa e per provare a dare una risposta ai nostri interrogativi mi sembra necessario ripartire dagli avvenimenti. La primavera araba sta per “compiere” il suo primo anno di storia. Il 17 dicembre 2010 nella città di Sidi Bouzid (250 Km a sud di Tunisi) si è verificato il gesto disperato di Mohamed Bouazizi (17 dicembre 2010), l'ambulante che si è dato alla fiamme davanti al palazzo governativo. Quel gesto ha prodotto, in maniera inattesa, improvvisa una serie di avvenimenti che oggi non si sono ancora conclusi. Gli sviluppi della primavera araba preoccupano molti osservatori internazionali e i leader delle comunità cristiane d’Oriente che ormai esternano pubblicamente i loro timori di una deriva islamica nel nuovo Medio Oriente. Si parla sempre più spesso di “primavera islamica” o di “estate islamica e inverno cristiano”. Ma a prescindere da questi slogan o da questi timori su cui ci soffermeremo nella seconda parte di questa nostra conversazione, vogliamo, innanzitutto, ripercorrere le date di questa grande rivolta popolare.
La primavera araba: paesi, fatti e cronologia
Tunisia
Dopo la partenza del ex-presidente (dittatore) Ben Ali, dal 14 gennaio la Tunisia è guidata da governi ad interim. L'attuale primo ministo è Beji Caid Es-Sebsi (82enne, in carica da febbraio) già ministro degli esteri con Bourguiba. Tra gli atti immediati del governo Sebsi c'è stato l'immediato scioglimento della polizia segreta che aveva svolto un ruolo importante nel sopprimere il dissenso politico sotto il regime di Ben Ali. L’economia del Paese è ancora in stallo. Il turismo - tra le principali attività produttive, che vale il 6,8% del Pil e dà lavoro a una persona su cinque - è ancora fermo, dopo un crollo di quasi il 50% dopo i primi sei mesi del 2011. I disoccupati nel Paese sono circa 700 mila, ovvero il 16% della forza lavoro. Ma nelle zone rurali, più lontane dalla costa, sono il 30%, in particolare giovani tra i 20 e i 25 anni. Nella città di Sidi Bouzid (250 Km a sud di Tunisi) dove si è verificato il gesto disperato di Mohamed Bouazizi la disoccupazione è addirittura al 48%. Le elezioni del 23 ottobre 2011 porteranno alla creazione di un'assemblea costituente per aprire la strada a successive elezioni legislative e presidenziali. Su 217 membri dell'assemblea 177 appartengono a uno dei 5 partiti principali ovvero: Il partito izb al Nahdah, al primo posto in termini di familiarità ha ottenuto Ḥ 90 seggi. Rashid al- Ghannushi, è stato il fondatore nel 1981 del Ḥizb alNahdah (Partito della Rinascita, di tendenza islamista) insieme ad Abdelfattah Mourou, ed è tra i leader più noti. Nel 1991 il partito fu dichiarato fuori legge dal presidente Ben Ali, sotto l'accusa di aver fomentato il rovesciamento violento delle istituzioni. Ghannushi fu quindi costretto a riparare nel Regno Unito, nella cui capitale ha a lungo vissuto e operato. Moncef Marzouki è l’altro leader tunisino rientrato dopo la rivoluzione, ed è tra i fondatori della LTDH (Lega Tunisina per i diritti umani) e del Congrès pour la république (CPR) che ha ottenuto 30 seggi alle elezioni. Il CPR è un partito laico socialista come il partito denominato Ettakatol (FDTL - Mustapha Ben Jaafar) che ha conquistato 21 seggi (Democratic Forum for Labour and Liberties) (Arabic: التكتل الديمقراطي من أجل العمل والحريات , at-Takattul ad-Dīmuqrāṭī min ajl il-‘Amal walḤurriyyāt) Gli altri partiti rilevanti sono stati Pétition populaire o Aridha Chaabia (Hechmi Hamdi di Sidi Bouzid dove ci sono stati gli scontri recenti) [19] e il Parti démocrate progressiste (PDP - Ahmed Najib Chebbi) [17].
Egitto
I 18 giorni di manifestazioni che, a partire dal 25 gennaio 2011, hanno portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak hanno aperto per l’Egitto scenari nuovi e inaspettati dopo un trentennio di regime. Dopo le dimissioni di Mubarak, l’11 febbraio, le funzioni della presidenza sono state assunte ad interim da un consiglio di militari, guidato dal comandante in capo delle forze armate dal 1991, Mohammed Hussein Tantawi, ex ministro della difesa di Mubarak. Egli si è guadagnato un certo consenso poiché ha contrastato l’ordine di attaccare i manifestanti nei giorni delle manifestazioni di piazza. Da allora il paese si è avviato verso il cambiamento degli assetti istituzionali, con un referendum che in marzo ha aperto la strada alle prossime elezioni parlamentari previste per novembre, cui seguiranno le elezioni presidenziali. I giovani, e con loro, i partiti di tendenza laica, tra i protagonisti delle giornate in piazza Tahrir (Liberazione) temono che il risultato ottenuto dalla piazza venga stravolto da un lato, dai militari che hanno di fatto il controllo del paese, dall’altro dalle correnti islamiche più conservatrici (salafiti). La piazza ha mostrato la fecondità dell’incontro tra correnti diverse, movimenti religiosi e laici, musulmani e cristiani, potevano essere uniti in un unico e alto obiettivo, quello di immaginare un futuro diverso per il proprio paese. È quello che testimoniano i racconti entusiastici dei protagonisti della piazza, di ogni corrente. Uno dei principali obiettivi dei movimenti giovanili e dei raggruppamenti nuovi o della vecchia opposizione, è quello di fissare alcuni principi basici su cui chiedere l’accordo a tutti coloro che saranno chiamati a rappresentare il paese in parlamento. Una sorta di patto pre-elettorale che dovrebbe garantire l’osservanza dei principi democratici di fondo da iscrivere nella nuova costituzione.
Proprio sui principi di fondo, come è naturale che sia, si è sviluppato il dibattito dei mesi post rivoluzionari che hanno visto anzi tutto l’emersione di tanti nuovi e vecchi partiti, usciti dalla clandestinità. Dal punto di vista politico, i maggiori temi di discussione sono: il sistema democratico, la politica economica, i rapporti internazionali. Su questi temi si stanno presentando anche i candidati alle elezioni presidenziali, il cui numero sfiora la trentina, appartenenti alle varie anime della comunità nazionale: laici di sinistra, partiti storici di opposizione come il Wafd e il Tagammu, il leader del movimento Ghad (domani), perseguitato dall’ex regime, indipendenti e nomi illustri della politica egiziana, come Amr Mousa, dato per favorito, o El Baradai, il viennese, poco popolare nel paese. Da segnalare la candidatura di un leader della Fratellanza Musulmana, che ha fondato un suo partito, ma ha optato per non presentare un proprio candidato alle presidenziali. Abu’l Futuh, leader del sindacato dei medici egiziani, per questa sua decisione è stato espulso dalla fratellanza. Dal punto di vista economico, il paese soffre una profonda depressione dovuta al ristagno delle sue attività dopo la rivoluzione e alla caduta del turismo.
Il vecchio sistema soffriva per gli enormi squilibri economici tra ricchi e poveri, per la mancanza di opportunità lavorative e per il ristagno del settore pubblico. Tutto ciò sta provocando una grave crisi per la maggioranza dei cittadini egiziani.
Libia
Il 15 febbraio scorso è sorto in Libia il movimento che portato alla fine della “Grande Jamhiriya”. Le manifestazione contro il regime di febbraio sono state contrastate con violenti repressioni a Bengasi e Al Baida (est). Dai primi giorni della rivolta i minsitri della Giustizia, Mustapha Abdel Jalil, e dell'Interno, Abdel Fatah Younes, si uniscono alla rivolta. Decine di rappresentanti politici e militari faranno lo stesso. Il 10 marzo la Francia è il primo Paese a riconoscere il consiglio nazionale di transizione (CNT), creato a fine febbraio dall'opposizione a Bengasi; il 17 marzo l'Onu autorizza un ricorso alla forza contro le truppe fedeli al colonnello per proteggere i civili. Il 15 luglio il gruppo di contatto, guida politica dell'intervento “alleato” riconosce il CNT ''autorità governativa legittima''. Il 20: agosto scoppia la ribellione su Tripoli con l'appoggio aereo della Nato. Il 23 agosto viene conquistato il bunker del colonnello Gheddafi a Bab al-Aziziya, mentre da piu' parti lo danno in fuga. Il 15 settembre Nicolas Sarkozy e David Cameron vanno in Libia e il 16: l'Onu riconosce il CNT. Dopo le sanguinose battaglie di Sirte e Beni Walid, il 20 ottobre il colonnello Gheddafi viene catturato e ucciso. Sirte, ultimo bastione del regime, viene liberata. Il 31 ottobre in seguito alle dimissioni di Ma m d Jibr l è stato ḥ ū ī nominato primo ministro Abdurrahim Khaled Abdulhafiz El-Keib. Il CNT si sta impegnando per dar vita alla nascita di un nuovo congresso nazionale (parlamento) entro otto mesi, e a indire elezioni multipartitiche in Libia nel 2013.
Syria, Yemen e Bahrein
La primavera araba ha toccato altri paesi del Medio Oriente, alcuni li ha appena sfiorati come l’Algeria o l’Arabia Saudita, altri le ha toccati debolmente come il Marocco e la Giordania e altri ancora li ha interessati direttamente anche se i nostri mass media ne parlano con diverse tonalità anche perché si tratta di situazioni ancora confuse o non concluse. Dal 15 marzo, il regime del presidente Bashar al-Assad ha affrontato un movimento di protesta in tutto il paese. Almeno 3.500 persone sono state uccise in Siria dall’inizio della rivolta, secondo le ultime stime delle Nazioni Unite. E’ difficile, tuttavia, avere notizie certe dato che la stampa internazionale è stata espulsa dal paese e, prima di tutte, la televisione satellitare “Al Jazeera” una grande protagonista delle rivolte in Egitto, Tunisia e Libia. Il governo sembra avere ignorato l’accordo fatto con la Lega Araba lo scorso mercoledì 2 novembre, di ritirare le truppe e soldati dalle strade, di permettere l’ingresso nel paese a osservatori stranieri e ai media internazionali. Nello Yemen, un movimento di protesta importante è stato lanciato il 27 gennaio per chiedere la cacciata del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere dal 1978. Il regime è attualmente sempre più indebolito per le defezioni nell'esercito, ma Saleh rifiuta di dimettersi. Lo Yemen sembra scivolare nel caos dopo mesi di proteste antigovernative e crescenti tensioni. Il rischio è che un conflitto prolungato si trasformi in una guerra civile incontrollabile un po’ com’è avvenuto in Libia. Saleh sta guardando ciò che è accaduto a Hosni Mubarak in Egitto e vuole evitare la stessa sorte. Anche se non sarà presidente per un altro mandato vorrebbe evitare di rimanere ostaggio del caos. Con un paese pieno di armi e molte fazioni in competizione, ci deve essere un chiaro senso di come potrà essere la transizione. Inoltre, i problemi dello Yemen non saranno magicamente risolti con le dimissioni di Saleh. La situazione è molto complicata. Infine da metà febbraio a metà marzo il Bahrain ha assistito al movimento di protesta che chiedeva riforme politiche. L'Arabia Saudita a metà marzo ha inviato truppe per soffocare le proteste. Circa 30 persone vengono uccise durante la repressione. Nonostante la diminuzione delle proteste di massa, le tensioni rimangono alte, com’è provato dalle proteste di decine di esponenti dell'opposizione e manifestanti continuano nella capitale.
Proteste pacifiche, guerre civili e situazioni sospese
Riflettendo sugli avvenimenti di questi ultimi undici mesi è evidente che essi hanno suscitato, in Europa e non solo, sentimenti diversi: attesa, emozione, timore, speranza, preoccupazione. Io vorrei cominciare dai sentimenti positivi e direi che c’è stata una passione di chi non ha paura del futuro. C’è un passo da compiere nel proprio cuore, è il passo di chi non ha paura di perdere qualcosa, non ha paura di avanzare pacificamente ed è il passo della democrazia. E’ quello che ha raccontato al recente incontro internazionale di Monaco Ramy Shaath (figlio del più celebre negoziatore palestinese, Nabil) che dopo aver tenuto contatti con dei suoi amici grazie a Tweeter ed aver girovagato peri i vicoli del Cairo per evitare di essere fermato dalla polizia si era dato appuntamento con qualcuno in piazza Tahrir un giorno di fine gennaio del 2011.
Pensava di incontrare poco decine di “amici” e si è trovato davanti a una piazza pacifica e strapiena di persone: non erano “fratelli musulmani” o “salafiti” ma donne e uomini, moltissimi giovani come lui, cristiani e musulmani senza differenze. La chiesa copta, le sue gerarchie, era preoccupata perché Mubarak con tutti i suoi difetti era comunque una garanzia. Il grande Sheikh di Al Azhar aveva scelto una posizione defilata e i grandi predicatori si sono trovati spiazzati da un movimento giovane ed entusiasta. Questa è stata la primavera araba al suo inizio, dopo il tragico gesto di Mohamed Bouazizi, morto a Tunisi a soli 27 anni, lui che pur avendo studiato volgeva l'attività di venditore ambulante abusivo di frutta e verdura nella città di Sidi Bouzid (a 250 Km dalla capitale). Il 17 dicembre 2010 la polizia gli confisca tutte le merci, apparentemente perché privo dei permessi necessari per la vendita ambulante e che dopo aver protestato inutilmente per avere indietro la mercanzia sequestrata acquista una tanica di benzina e si dà fuoco di fronte al palazzo del governatore locale. La primavera è cominciata dai giovani come la 32enne attivista yemenita Tawakkul Karman, quasi sconosciuta in occidente fino a quando e stata insignita del premio Nobel per la pace con la seguente motivazione: "per la sua lotta non violenta per la tutela delle donne e per la salvaguardia del diritto delle donne di una piena partecipazione nella costruzione della pace ". La primavera araba ha prodotto, inconsapevolmente, dei frutti amari. Le immagini tragiche e violente della morte di un dittatore come Gheddafi hanno fatto riflettere molte persone come noi sul percorso intrapreso dagli eventi. La repressione in Siria, che continua a fare vittime, ci pone crescenti interrogativi sul futuro di quel paese e anche dei cristiani (ancora numerosi) che lo abitano. Le rivolte che hanno caratterizzato la Tunisia e l’Egitto sono state pacifiche; quello che è avvenuto in seguito, negli altri paesi, è stato molto meno pacifico. Non possiamo sapere cosa si nasconda dietro le pieghe della storia dopo la primavera araba come non eravamo in grado di prevedere cosa sarebbe successo dopo gli avvenimenti del 1989 anch’essi segnati da grandi manifestazioni pacifiche ma anche da episodi tragici e violenti come la morte di Nicolae Ceau escu. Il 25 dicembre 1989 i coniugi Ceau escu furono giudicati ș ș colpevoli dopo un processo sommario e condannati a morte. La loro esecuzione fu effettuata alcuni minuti dopo la pronuncia della sentenza. Nonostante quella tragica esecuzione nel 1989 ci sentivamo tutti europei, ci sentivamo tutti parte della festa alla porta di Brandeburgo. Mi sono chiesto durante quest’anno se anche io sarei sceso in piazza, se, da egiziano, mi sarei ritrovato in piazza Tahrir o se, in fondo, la primavera araba sia stata solo la scelta entusiasta di Ramy, la scelta coraggiosa di Tawakkul, la scelta disperata di Mohammed e loro, in fondo, sono diversi da noi, lontani anche nel nostro mondo globalizzato.
Quale futuro per il cristianesimo del Mediterraneo?
Vorrei concludere con la domanda inversa al titolo di questo nostro incontro: quale futuro per il cristianesimo del Mediterraneo? Ha scritto di recente Hisham Matar, scrittore libanese: “La primavera araba è una reazione, potente ed esemplare, non solo all’epoca dei tiranni ma anche a quello che rimane dell’influenza imperiale. L'esito finale delle nostre rivoluzioni – ammesso che la storia conosca esiti finali – è ancora incerto. Potremmo non riuscire a costruire un futuro migliore. Ma nessuno può mettere in dubbio l’autenticità del nostro desiderio, o quanto siamo disposti a sacrificare pur di conquistare l’autodeterminazione, la dignità e la giustizia”. Cristiani e musulmani egiziani hanno espresso in piazza Tahrir una grande domanda. Io vorrei fidarmi di te. Posso? Questa domanda ha attraversato in maniera potente la società egiziana. Questa domanda interroga anche le nostre coscienze e ci chiede comunque di non dimettere mai dei sentimenti di fiducia e simpatia nei confronti di quanti hanno voluto una primavera che sta fiorendo (il 90% dei tunisini hanno partecipato democraticamente a elezioni libere) pur tra alcune ombre e ambiguità come molti avvenimenti della storia.
Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio al termine della cerimonia di consegna del premio “Carlo Magno” ad Aquisgrana nel 2009 si esprimeva con delle parole che non sono molto lontane da quelle che stanno animando la primavera araba. Dobbiamo assaltare il palazzo del potere, quello dell’Europa. Non con la violenza, ma assaltarlo con la passione europea e le idee. Per aiutare i governanti a guardare oltre e sognare un’Europa dei popoli e che gli europei siano popolo. C’è fretta. L’accelerazione verrà anche dalla volontà dei cittadini, che debbono prendere tener alta la visione europea. Le visioni sono icone di speranza. Aiutano a vedere la speranza, suscitano la passione del futuro. Molto possiamo noi, europei della strada. Come diceva il grande Hillel, maestro ebraico del tempo di Gesù: “quando mancano gli uomini, sforzati tu di essere uomo!”.
Bisogna pensare, anche nel quadro degli avvenimenti del 2011, ad un nuovo modo di essere nella storia del mondo. “Se soffre per mancanza di visione –deve allora aprirsi la strada fra i segni…”- scriveva Giovanni Paolo II. Non è un segno la domanda di democrazia che viene da tante parti del mondo?
Sebbene l’appartenenza religiosa può costituire la retorica con cui i conflitti vengono rappresentati, dopo l’11 settembre 2001, al livello globale, si assiste a un inedito tentativo delle grandi religioni di dialogare in una prospettiva di comprensione reciproca e di costruzione della pace. Vorrei ricordare, a tal riguardo, lo storico incontro di Assisi voluto dal beato Giovanni Paolo II nel 1986 e del quale abbiamo celebrato quest’anno il 25 anniversario con il papa Benedetto XVI.
Quell’incontro, replicato annualmente e fedelmente in tante grandi città dell’Europa e non solo, è stato ed è un segno che anche le religioni possono vivere nel confronto o forse, per usare un linguaggio diverso, una democrazia del convivere.
Federico Di Leo


Una riflessione cristiana sulla primavera araba
ncontro di questa sera si propone di riflettere su un tema che apparentemente ha poco a che fare con noi ma che in realtà ci pone dei seri interrogativi, non solo sociologici o politici ma anche esistenziali, cioè che riguardano il nostro modo di concepire noi stessi, il mondo, la vita e, in ultima analisi, il nostro essere cristiani. La nostra domanda stasera si potrebbe riassumere così: cosa vuol dire essere cristiani dopo, o davanti, la primavera araba? Infatti, come stiamo comprendendo sempre meglio in questi nostri incontri, la fede non è una dimensione avulsa dalla realtà esterna, anzi per essere autentica, deve sapersi mischiare alla vita, abbracciando un orizzonte vasto dentro il quale pensarsi alla luce del Vangelo, immersi in una realtà mutevole piena di interrogativi e sfide.

Imparare l’arte del convivere
In questo senso il movimento della primavera araba ci obbliga a porci con urgenza una questione seria, direi epocale che fino a poco tempo fa sembrava superflua: come i cristiani devono rapportarsi a una presenza sempre più massiccia e significativa di persone di religione diversa e, in particolare, islamica? Si tratta di una presenza concreta, perché aumenta il numero dei musulmani che vivono nei nostri Paesi occidentali, ma anche una presenza in un orizzonte più vasto. Infatti il protagonismo dei popoli musulmani che hanno dato vita alla primavera araba ci chiede di impostare con essi un nuovo rapporto diretto e paritario: popolo con popolo, cultura con cultura, comunità con comunità, religione con religione, senza la mediazione dei regimi più o meno repressivi che proponevano agli Stati occidentali uno scambio reciprocamente vantaggioso: attenuare l’identità arabo-musulmana attraverso un’occidentalizzazione dei costumi e una repressione degli ambienti che non l’accettavano passivamente, in cambio di buoni affari e appoggio politico.  
In questi ultimi due decenni è cambiato il nostro contesto: per la prima volta nella storia i cristiani in Europa hanno direttamente a che fare con comunità religiose strutturate e portatrici di un’identità forte. Prima avevamo a che fare solo gli ebrei, ma la loro presenza non costituiva un problema, per il loro numero esiguo e per le misure già sperimentate nei secoli di “contenimento” e “separazione”. Pensiamo ai ghetti nei quali gli ebrei sono stati costretti a vivere, l’interdizione di certe professioni, misure che spiegano anche la facilità con cui si è potuta perpetrare la feroce persecuzione durante l’ultima guerra mondiale che mirava all’annientamento di tutto il popolo ebraico in Europa, abituato da secoli ad essere subalterno e isolato. Inoltre la fede ebraica non ha un atteggiamento proselitistico, essendo l’identità ebraica strettamente legata a quella etnica: si è ebrei perché parte del popolo Israelita, i convertiti sono assai rari. E poi gli ebrei in secoli di convivenza hanno assimilato la civiltà dei paesi in cui si sono radicati, limitando la loro diversità all’ambito strettamente religioso.
L’islam invece no: si presenta a noi con il volto di una cultura diversa, di una fede che, come anche il cristianesimo, ha la pretesa di fare proseliti, di un forte senso identitario e comunitario che non si fa “diluire” nell’anonimato delle nostre società occidentali. Ha una letteratura, un’arte, un diritto, che pretende di influenzare i contesti in cui viene a inserirsi. Tutto ciò suscita problemi e timori.


La scorciatoia più facile: lo stereotipo
Come si è caratterizzato l’atteggiamento delle nostre società europee finora?
In Occidente negli ultimi decenni si sono consolidate alcune immagini stereotipate dei musulmani. I mass media e alcuni intellettuali hanno costruito degli stereotipi molto semplificati, e per questo di facile diffusione televisiva e di presa sulle masse, secondo i quali alle società musulmane, nonché ai singoli islamici, sono stati attribuiti comportamenti e caratteristiche che li caratterizzerebbero indistintamente, quasi un diverso codice genetico. Gli elementi principali sono:
·         oscurantismo e arretratezza culturale;
·         normalità, anzi “sacralità” dell’uso della violenza a fini politici e religiosi (la nota “guerra santa” e gli “sgozzamenti rituali”);
·         un’aggressività connaturata al credo musulmano;
·         intolleranza e integralismo religiosi come carattere ordinario dell’islam;
·         tendenza a ingannare mostrando un volto tollerante al fine di nascondere la presunta vera anima aggressiva;
·         rifiuto viscerale di tutto ciò che è cultura occidentale;
·         tendenza ad un certo isolazionismo;
·         disprezzo della donna; ecc…
E' vero, esistono in alcuni ambienti islamici tali tendenze, ma compiere delle arbitrarie generalizzazioni non ha aiutato certamente ad avere una visione più chiara e realistica della realtà.
Anche perché nel variegato universo cristiano si possono trovare esempi altrettanto calzanti per ognuno degli aspetti su elencati:
·         l’ultracoservatorismo di certe comunità neoprotestanti fondamentaliste che rifiutano ad esempio l’uso dell’elettricità o della tecnologia perché non presenti nella Bibbia;
·         senza giungere fino alle crociate, pensiamo all’uso del terrorismo come strumento politico di affermazione della comunità cattolica contro quella anglicana in Nord Irlanda, o della tortura da parte dell’ultracattolico regime franchista, per non parlare dello schiavismo e all’apartheid, praticati fino a pochi decenni fa in Paesi cristianissimi (USA; Sud Africa; ecc..);
·         l’aggressività culturale e sociale del colonialismo e neocolonialismo economico della globalizzazione operato da parte di nazioni cristiane, o i movimenti neo-nazi antislamici che hanno larga diffusione in Olanda, Ungheria e Francia ;  ecc…
Ma la presenza di questi elementi non ci porta a dire che il cristianesimo è religione della violenza e del fanatismo.
Per il mondo musulmano invece si è preferito deliberatamente costruire una caricatura da sbandierata ad ogni occasione: in televisione, nei dibattiti pubblici, nella politica (vedi ad esempio la Lega e la Svizzera e il loro rifiuto alla costruzione delle moschee o addirittura dei negozi che vendono cibo dei paesi musulmani, il kebab). Ma qual che è più grave è che purtroppo questo meccanismo ha coinvolto anche tanti cristiani che vedevano in questa demonizzazione del musulmano un motivo per il rafforzamento, nelle società occidentali, di un’ identità collettiva che facesse riemergere il suo carattere intrinsecamente cristiano. Ma che cristianesimo possono evocare le identità che si nutrono di intolleranza per chi è diverso da sé e che si rafforzano nell’essere “contro” qualcun’altro?
Hanno avuto dunque buon gioco i cosiddetti “atei devoti” (i Giuliano Ferrara, Oriana Fallaci, Eugenio Scalfari, ecc…) che pur non essendo cristiani, ed anzi professandosi apertamente atei, appoggiano la polemica antimusulmana utilizzando strumentalmente le “radici cristiane” della civiltà occidentale, fino a renderle una specie di decorazione del loro mondo salottiero: la bellezza del suono delle campane, l’architettura sacra, il senso rassicurante della cultura contadina, ecc… Tutte cose che hanno molto poco a che vedere con un Vangelo incarnato nel mondo di oggi, e per questo inoffensive e accettate senza problema.


Gli schemi non funzionano più
I fatti che sono avvenuti e che ancora sono in corso nel mondo arabo hanno del tutto sparigliato le carte di questo gioco di schemini semplificati preconfezionati. Infatti:
·         I giovani musulmani si sono rivelati assai simili ai nostri giovani occidentali, con un diffuso uso di internet, Twitter, Facebook: seguono le stesse mode ed hanno gli stessi loro modelli culturali di massa (consumismo, televisione, aspirazione al benessere, ecc…);
·         Le loro rivendicazioni non sono per una società oscurantista e arretrata, piena di divieti e per un ritorno al passato, ma hanno aspirazioni democratiche e di libertà, voglia di un futuro migliore;
·         Il loro comportamento in piazza Tahrir (al centro del Cairo) non aveva nulla della rozzezza primitiva del trucido fanatico musulmano con la spada in una mano e il Corano nell’altra: le uniche loro armi erano striscioni, slogan, resistenza passiva e pacifica, presenza e compattezza, c’era un’atmosfera quasi di festa popolare;
·         c’era una presenza massiccia di donne, in prima fila nello scandire slogan e mostrare striscioni.
·         La protesta ha visto assieme, mano nella mano, giovani musulmani e cristiani, spontaneamente raccolti dal desiderio comune di futuro. Gli striscioni dicevano “Musulmano e cristiano, una sola mano”, oppure “Musulmani e cristiani uniti contro il governo”.
Insomma i recenti fatti sono stati una vera e propria sconfessione del modello stereotipato costruito dall’Occidente, ma tutte queste carte andate in aria invece di provocare un senso di stupita curiosità, di interesse e il tentativo di rimettere in discussione le idee del passato ha spinto il mondo occidentale, attraverso i media e i commentatori, in due diverse direzioni:
·         da un lato cercare di riproporre le vecchie letture dicendo che quello che si vedeva dall'esterno era solo un’apparenza e la realtà erano i presunti manovratori nascosti nell’ombra (ad esempio all’inizio delle rivolte si diceva che sarebbe finita come in Iran con l’instaurazione di un regime teocratico e oscurantista, peccato che il contesto era completamente diverso);
·         dall’altro lato leggere la svolta storica che stava avvenendo guardando dal buco della serratura del proprio interesse e tornaconto: tutto ciò che stava avvenendo si involgariva in un lamento per il paventato aumento del flusso degli immigrati, l’innalzamento del prezzo del petrolio (dovuto alla speculazione delle compagnie occidentali che lucrano sempre nei momenti di disordini o incertezza politica e istituzionale), le paure nelle sue varie espressioni, le prudenze a prendere posizione delle Cancellerie occidentali che dovevano sconfessare decenni di appoggio ai regimi oggi abbattuti dalle piazze, ecc...
Cioè si è dimostrato come davanti ai popoli del Nord Africa che rivendicavano con forza e pacificamente il proprio desiderio di un futuro nuovo, più giusto e libero la reazione dei popoli occidentali era lo spavento e la presa di distanza, senza la minima simpatia e partecipazione, senza provare pietà per gente umiliata da decenni di mancanza di libertà, subiti per di più con la benedizione dei nostri Paesi.
Infatti va aggiunto che il paranoico allarme degli analisti occidentali sul pericolo islamico visto dietro ogni angolo ha offerto il destro ai regimi autoritari dei Paesi citati per giustificare agli occhi dell’Occidente (USA ed Europa per primi) la loro politica repressiva come un comodo rimedio alle nostre paure del terrorismo fondamentalista. Con la scusa della mano pesante contro tutte le espressioni di un islam politico e radicale (come ad esempio i Fratelli Musulmani) i Ben Ali, Mubarak, Gheddafi, Assad, ecc… si sono garantiti l’immunità da ogni critica per la loro negazione dei minimali diritti civili e anzi l’appoggio occidentale alle loro politiche accentratrici del potere e degli affari nelle mani dei loro clan familiari.
Quanto questo gioco sia stato sporco è emerso con chiarezza dal fatto che, ad esempio, dopo la caduta di Mubarak in Egitto il suo ministro degli interni Habib El Adly sia stato incriminato per aver effettuato attraverso i Servizi Segreti Egiziani l’attentato di Capodanno contro la chiesa copta Dei Santi ad Alessandria, del quale il Governo aveva incolpato Al Quaeda.


Il fastidio per la novità e la paura
Per concludere, mi sembra che l’atteggiamento dell’Occidente sopra descritto riveli come un profondo fastidio per la novità, motivato dai tanti argomenti citati: la paura, la disabitudine ad una comprensione più approfondita delle realtà complesse, il rifiuto della fatica di modificare il proprio quadro di interpretazioni e giudizi già consolidati.
Ma questo atteggiamento si pone in aperta contraddizione con i capisaldi del cristianesimo.
Nel libro dell’Apocalisse l’apostolo Giovanni presenta la visione grandiosa del destino dell’umanità. Egli descrive la “nuova Gerusalemme”, cioè la città trasfigurata dalla presenza di Dio che vive assieme agli uomini, e dice:
E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
"Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate".
E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". E soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e vere". (Ap 21, 1-5)
 
Dio si presenta come colui che rende nuove tutte le cose. La sua presenza è fonte di novità e in sua compagnia niente resta uguale a prima. La “novità” pertanto è un concetto teologico di grande rilevanza, è segno del rivelarsi di un oltre divino che supera la realtà attuale. È la realtà che Dio vede “dietro” o “dentro” le cose, le persone, le situazioni. E’ lo sguardo misericordioso e perspicace di Gesù che non giudica sulle apparenze ma legge nei cuori e non si accontenta dei giudizi facili ma vuole far emergere da ciascuno il meglio di sé, la novità che porta dentro, pensiamo all’adultera che stava per essere (secondo diritto) lapidata e invece Gesù salva dalla morte, aprendogli una nuova esistenza perdonata (Gv 8, 10-11).
Per questo aver paura della novità e preferire un’attitudine di conservatorismo è sicuramente estraneo al cristianesimo.
Ma poi, se entriamo nel dettaglio, cosa ci dà tanto fastidio e ci fa paura?
Innanzitutto la dimensione collettiva, di popolo. Noi siamo gente dell’individualismo e ci da fastidio l’idea che un popolo possa esprimere un ideale collettivo e quasi sublimarsi in una dimensione che supera il me e il te in un noi che è qualcosa di ulteriore. Ci sembra eccessivo, spersonalizzante, pericoloso. Ma il cristianesimo è religione di un popolo: siamo il nuovo Israele, cioè un popolo prescelto da Dio e non singole individualità, e poi la fede richiede la dimensione collettiva che si esprime in modo pieno nella liturgia, che letteralmente significa proprio “servizio del popolo”, e Chiesa significa “assemblea”, riunione del popolo.
Ci spaventa poi l’immagine di popoli giovani, ed anche per questo entusiasti e appassionati. Siamo abituati ad un mondo di vecchi e dai sentimenti spenti e  moderati.
La nostra reazione istintiva allora deve suonare come un campanello di allarme: attenzione a non infastidirci proprio di quegli elementi che dovrebbero essere nel corredo genetico della nostra fede.


Costruire un nuovo rapporto
È necessario ripensare e costruire un nuovo rapporto con una realtà nuova, o comunque che ci si presenta davanti per la prima volta e con un nuovo protagonismo. Il confronto con quelle che definivo come identità forti chiede proprio a noi cristiani di essere anche noi con una forte identità cristiana, che, sull’esempio di Gesù, non può che essere identità di incontro, amicizia, accoglienza e amore. Questa è la nostra forza, come ci insegna San Francesco. L’ideologia del muro contro muro sarebbe una pericolosa debolezza, perché vorrebbe dire stravolgere la propria identità cristiana per, paradossalmente, cercare di riaffermarla. La croce è il simbolo della mitezza e del sacrificio di Gesù, non può nelle nostre mani diventare una clava con cui colpire gli altri.
Davanti a questi fatti potremmo dire: “Noi che c’entriamo? sono cose lontane e non ci riguardano, abbiamo i nostri problemi e di questi dobbiamo occuparci.” Io però credo che nel nostro tempo la folla che cercava e chiedeva aiuto a Gesù non è solo quella del mio quartiere o al massimo della mia città. In un mondo globalizzato la dimensione nella quale la storia ci proietta è quella del mondo, e anche le folle del Cairo, di Tunisi, Damasco ci interpellano. Sono persone che cercano un futuro migliore e lo intravedono in ciò che per noi, grazie a Dio, è scontato: libertà, democrazia, sviluppo economico e sociale. Non si può reagire a tutto ciò richiudendosi a riccio, per paura che venga intaccato il nostro benessere o la nostra tranquillità.
Gesù si fa interrogare dalla folla, accetta di confrontarsi con lei anche quando questa è ostile o non sa cosa chiedere e chiede male. Cerca di interpretare il bisogno profondo che non sa esprimere, quello di salvezza e di un futuro nuovo. Forse anche per noi quanto succede in Egitto e dintorni è una sfida ad essere all’altezza della nostra vocazione cristiana che, in un tempo come il nostro, non può solo limitarsi a guardare il cortile di casa. C’è bisogno di esprimere simpatia, comprensione, di non giudicare e respingere, di pregare e sperare che il futuro sia veramente nuovo e migliore per loro e anche per noi. Chi infatti non sa farlo è condannato a vivere con un o spirito spento e vecchio, senza fame di futuro e incapace di costruire qualcosa di buono per sé e per gli altri.
 Roberto Cherubini