Introduzione
Non è solo una coincidenza che ci troviamo oggi a parlare delle
persone che sono senza casa in questo tempo di Quaresima. Anzi, si può ben dire
che esiste un legame forte fra la realtà di chi non ha riparo né famiglia e
vive grazie a ciò che trova per mangiare, dormire, vestirsi, lavarsi, ecc… e
questo tempo di preparazione all’incontro col Signore Risorto a Pasqua.
La Quaresima infatti si apre col gesto dell’imposizione della
cenere sul capo che sottolinea la dimensione umana di precarietà e dipendenza.
Abramo che dice: “Vedi come ardisco di
parlare, io che sono polvere e cenere” (Gen 18,27) non parla solamente di sé, ma afferma una verità sulla
natura di tutto il genere umano.
Noi ordinariamente rifiutiamo questa coscienza, preferendo
considerare invece la forza rassicurante che viene da una idea falsa di sé. La
Quaresima viene per questo, ogni anno, a riproporci in modo provvidenziale la nostra
realtà di precarietà, e lo fa non per schiacciarci nell’impotenza davanti agli
eventi e alle situazioni della vita, tutt’altro, per darci il punto di partenza
sul quale costruire la nostra vera forza che è affidarci a Dio. Abramo infatti nel
brano di Gen 18 parte proprio dalla coscienza di essere “polvere e cenere” per esercitare la sua franchezza insistente di
fronte a Dio e mettersi a contrattare con lui fino ad obbligarlo a cambiare
idea. E ci riesce! Abramo è così forte da riuscire a convincere Dio di
modificare la sua decisione per ben sei volte, ma non perché gli si contrappone
con arroganza, ma proprio perché parte dall’ammissione della propria condizione
di debolezza per affidarsi alla forza dell’amore misericordioso di Dio.
Ecco allora il perché del nostro incontro di oggi: guardare il
volto di questi nostri fratelli più fragili con gli occhi della Scrittura ci
aiuta a contemplare una dimensione che è anche la nostra, pure se la sfuggiamo.
Anche noi siamo precari e deboli, esposti alle tempeste della
vita, senza certezze di futuro né garanzie nel presente, dipendenti dagli
altri, proprio come chi vive per strada, senza casa. La differenza è che noi,
fidando nel nostro benessere materiale, possiamo permetterci di rifiutare
questa nostra dimensione costitutiva e ignorarla come qualcosa di
accantonabile. Ma a cosa serve nasconderlo? La facciata di finzione è posticcia
e spesso lascia vedere attraverso gli squarci che la vita gli provoca la verità
che gli sta dietro.
Partiamo allora oggi per questa nostra riflessione da una
domanda: non vale forse la pena guardare in faccia la nostra realtà di “cenere”,
per divenire, come Abramo, forti di una forza che non inganna e non tradisce,
come avviene per le altre forze di questo mondo?
(Relazione Prof.ssa Donatella Scaiola)
Il nostro atteggiamento davanti ai senza casa
I poveri, e soprattutto i senza casa, suscitano timore in chi
li incontra. Sono giudicati una presenza fastidiosa, per la loro insistenza nel
chiedere aiuto, oppure addirittura offensiva per il decoro urbano. Li si vede
come un corpo estraneo e minaccioso dell’ordine “normale” del nostro tessuto
sociale, e per questo li si evita, cambiando strada. Questo, come accennavo
prima, avviene perché rifuggiamo in essi l’immagine che ci richiama la nostra
vera natura che ci fa paura.
Oppure, in chi li accosta, sorge il fastidio perché non sempre
aderiscono ai nostri schemi interpretativi e ai valori condivisi dalla società,
o, se proviamo ad aiutarli, non otteniamo i risultati che vorremmo, o che
sarebbe logico aspettarsi, e ci sentiamo delusi
e frustrati, scoraggiati e con un senso di inutilità di qualunque iniziativa. È
facile allora giudicarli non
meritevoli di aiuto, responsabili della loro condizione, refrattari ai buoni
consigli, addirittura compiaciuti del loro modo di essere provocatoriamente
devianti dalle buone abitudini del vivere ordinario.
Sono tutte e tre (la paura, la delusione e il giudizio)
reazioni naturali, che ci vengono istintive, ma la Scrittura ci chiede di
uscire da questa istintività naturale, e la Quaresima è innanzitutto un itinerario
di esodo dal proprio presente modo di vivere e di essere, verso la liberazione
di una nuova vita.
La Scrittura ci indica un cammino, ma non nel senso che ha le
soluzioni concrete ai mille problemi dei senza dimora o la formula per
esorcizzare paure, delusioni e diffidenze. No, in maniera più semplice, ma
anche più efficace, la Scrittura rende possibile e anzi bello specchiarci nel
volto dei nostri amici senza casa perché ci dona la capacità di vedere oltre la
superfice, di andare in profondità e scoprire la realtà ulteriore che si
nasconde dietro un’apparenza a volte scambiata per l’essenza. Infatti dal
Vangelo impariamo che nessuno può essere definito solo dal cumulo di problematicità
delle quali è sovraccaricato, ma che dietro di esso si nasconde il volto di un
uomo trasfigurabile dall’amore. È l’esperienza di Gesù che incontra ogni sorta
di peccatori, malati e indemoniati, ma non si limita a definirli, a fare una
sorta di diagnosi patologica e sociologica, piuttosto instaura un rapporto,
parla, tocca, entra nella vita e la trasforma con la forza irresistibile del
suo voler bene concreto.
La Scrittura ci dona uno sguardo che va oltre la caricatura
goffa o violenta o arrabbiata o folle nella quale il male deforma i volti con
l’insulto della povertà e del disprezzo. Uno sguardo che spiana le rughe,
addolcisce lo sguardo, umanizza i comportamenti, placa gli animi e ricostruisce
il tessuto umano lacerato dal dolore subito e inferto agli altri.
La Scrittura ci libera dal cuore duro che giudica prima di
comprendere e ci dona la dimensione del tempo di Dio che è lento e paziente. Ci
dà la perspicacia del suo sguardo che non resta in superfice. Facendo nostro lo
sguardo di Dio che va oltre il momento attuale e lo trasfigura riusciamo a non
scappare spaventati e sfiduciati, anzi siamo attratti dai volti dei nostri
amici resi belli dall’amore ricevuto.
Per questo il nostro riflettere oggi è un atto di amore per i
nostri fratelli, ma anche un cammino di liberazione per noi, per scoprire un
cammino non solo possibile, ma anche attraente ed entusiasmante che ci fa
passare dal rifiuto della nostra realtà di “polvere
e cenere” all’accettazione serena di una dimensione non solo vera ma che ci
apre alla possibilità di accogliere un amore grande e forte che salva e dona la
vita del Risorto. È il cammino di Quaresima: dalle ceneri della nostra
debolezza alla resurrezione di una vita che vince la morte e non finisce più.
Stiamo attenti a restare ancorati ai nostri giudizi naturali
e alle reazioni istintive, alle quali siamo così affezionati, perché, ancor
prima di essere ingiusti verso gli altri, sono una vera e propria condanna per
noi stessi: la preclusione ad essere partecipi di quella forza di vita nuova
che è la resurrezione, la negazione della nostra fede che si basa sulla
certezza che niente e nessuno resta uguale se incontra l’amore di Dio. A noi la
scelta.
I senza casa: ospiti dello spazio della gratuità
La liturgia di domenica scorsa, terza di Quaresima, ci ha
fatto ascoltare il brano di Giovanni nel quale Gesù scaccia i mercanti dal tempio (Gv 2,13-25). Il Signore si comporta
con una violenza inaudita, non solo verbale, nello scacciare i banchetti dei
venditori e dei cambiamonete che avevano occupato il tempio di Gerusalemme.
Come mai tanta irruenza in chi altrove si definisce “mite e umile di cuore” (Mt 11,29)?
Evidentemente Gesù avverte che in quell’abuso si nasconde un
pericolo grande per il popolo che è venuto a salvare. Il suo giudizio non è
sulla disonestà dei commercianti o sulla illiceità in sé dell’attività
mercantile, come una lettura superficiale del brano potrebbe far pensare, ma
sul fatto che il mercato aveva occupato il luogo dell’incontro con Dio. Al
centro di Gerusalemme infatti il tempio era, ed è tutt’ora, un grande luogo libero,
costruito proprio per dare spazio alla presenza di Dio dentro la città. Questo
era innanzitutto lo spazio della gratuità dell’amore voluto da Dio al suo
popolo con pervicacia e oltre ogni ragionevole motivo, non meritato e, anzi,
più volte rifiutato e tradito da Israele, ma sempre reiterato.
Un amore caratterizzato dal non essere in alcun modo dovuto,
come ben esprime il salmista: “Signore
che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo perché te ne
dia pensiero?” (Sal 144,3). È un amore non previsto dalle regole sociali o
dai vincoli parentali. Per questo Gesù reagisce con tale violenza: lo spazio
dell’amore gratuito di Dio e della risposta dell’uomo ad esso, luogo primario dell’incontro
con Dio, è occupato dal mercato regolato dalla logica del profitto, della
convenienza, del calcolo dei debiti e dei crediti.
Questo è vero anche per noi oggi. Nel nostro mondo
globalizzato, nelle nostre città e società, nelle nostre vite personali quanto
spazio è rimasto sgombro per l’amore gratuito, non dovuto per vincoli parentali
o doveri sociali, immotivato e immeritato? Quanto del nostro tempo è speso per
questo voler bene senza chiedere nulla in contraccambio, senza calcolo e
convenienza, se tutto il vivere è occupato dalla logica dello scambio
mercantile ? Questo ha fatto sì che non ci sia più nemmeno un angolo in cui
possa avvenire l’incontro con Dio, ed egli è divenuto straniero, espulso dai
luoghi della vita, esattamente come lo sono i senza casa: senza un posto in cui
vivere, espulsi dalla famiglia, dalla società, dalla vita normale. Ricreare
nella città lo spazio per vivere l’amore gratuito restituisce un posto a Dio ed
anche ai senza casa: è l’esperienza umile ma bella di ospitalità della nostra
Parrocchia e di tante altre realtà, qui e altrove.
La mercantilizzazione del vivere ha coinvolto anche gli
ambiti che erano riservati un tempo all’espressione dell’amore gratuito: la
cura dei malati, l’accompagnamento degli anziani, il sostegno ai disabili, ecc…
tutto è ormai servizio sociale, istituzionalizzazione commerciale, questione di
bilancio e di costi.
Forse solo il mondo dei senza casa è rimasto fuori da questa
logica di mercato, perché è molto difficile trarne profitto ed è facile
rimetterci.
Il rapporto di amicizia con chi è senza casa è rimasto uno
dei pochi spazi liberi per l’amore gratuito, dentro il grande mercato globale e
invasivo del mondo di oggi. Nessun vincolo ci obbliga a occuparcene, non sono
parenti né vicini, anzi spesso niente ci lega a loro, vengono da mondi
culturalmente ed etnicamente estranei a noi. Sì, l’amore per i senza casa ha
veramente i tratti che lo avvicinano all’amore di Dio per gli uomini. Questo è
per noi una grande possibilità per riaprire e allargare lo spazio dell’incontro
con Dio nella nostra vita. È un esercizio, cioè qualcosa che si impara, e la
Quaresima è tempo opportuno per farlo e non mancare l’appuntamento col risorto
che ci attende a Pasqua!
Come allargare questo spazio? La tenda di Abramo
I capitoli 18 e 19 della Genesi ci offrono una risposta a
questa domanda.
“Poi il Signore apparve
a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda
nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini
stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro
dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio signore,
se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo
servo. Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto
l'albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete
proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro
servo". Quelli dissero: "Fa' pure come hai detto". Allora Abramo
andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: "Presto, prendi tre misure
di fior di farina, impastala e fanne focacce". All'armento corse lui
stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si
affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che
aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di
loro sotto l'albero, quelli mangiarono.” (Gen 18,1-8)
Abramo si trova sulla soglia della sua tenda in mezzo al
deserto. Non vive nel chiuso di una situazione protetta, ma tiene lo sguardo
rivolto all’esterno, anzi “alza lo
sguardo”, cioè lo solleva dalla contemplazione compiaciuta o spaventata di
sé, e per questo si accorge dei tre viandanti che si avvicinano. Sono gente in
situazione precaria: soli nel deserto, alla mercé di chi incontrano, stranieri
non protetti. Sono senza casa, ed Abramo va loro incontro per offrire ospitalità.
La tenda di Abramo è uno spazio di amore accogliente e gratuito: non ci
guadagna, anzi rischia, e ci rimette del suo.
La Genesi dice chiaramente che quei tre sono angeli
messaggeri di Dio, ma Abramo li vide come tre semplici anashim, cioè estranei e sconosciuti, eppure proprio in loro,
grazie alla gratuità della sua accoglienza, il patriarca incontra Dio. Il loro
arrivo è imprevisto ma Abramo non si lascia cogliere di sorpresa. L’incontro con
chi è senza casa avviene per strada, nell’imprevedibilità di spazi non protetti
e spesso inaccoglienti, e per questo chiede di essere uomini aperti
all’incontro e disponibili all’accoglienza. Infatti è Abramo a prendere
l’iniziativa, anche senza che quei tre gli chiedano nulla.
Inizia allora una vera e propria liturgia dell’accoglienza:
si offre ristoro, cibo, acqua, un tetto sotto cui ripararsi. Al centro c’è il
bisogno dell’altro e il desiderio di rispondervi. È il contrario di una logica
commerciale.
“Poi gli dissero:
"Dov'è Sara, tua moglie?". Rispose: "È là nella tenda".
Riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua
moglie, avrà un figlio". (9-10)
L’accoglienza porta fecondità: ad Abramo e Sara sterili i tre
ospiti annunciano la nascita di un figlio. L’incontro accogliente e l’amore gratuito
riaprono il futuro, danno prospettive e speranza a chi lo riceve, e ciò può
sembrare scontato, ma anche a chi lo offre, e questo invece è straordinario.
Poi Abramo e i tre si avviano verso Sodoma e qui avviene lo
svelamento di Dio. Da quella grande città si era levato il grido della
sofferenza provocata dall’inaccoglienza. Abramo riconosce in quei tre viandanti
la presenza di Dio perché sono solleciti nel difendere il diritto dello
straniero, perché Dio ama l’indifeso e protegge chi è minacciato. Inizia allora
la famosa contesa verbale di Abramo con Dio stesso per la salvezza della città.
È la lotta che avviene ogni volta che cerchiamo a fatica di far emergere il
bene anche dove sembra impossibile che si trovi. È una lotta anche con Dio che
è la dimensione della preghiera di intercessione per la salvezza altrui. Il
racconto che segue (Gen 19) in qualche modo dà ragione ad Abramo: Lot e la sua
famiglia accolgono i pellegrini e vengono salvati dalla distruzione alla quale
il resto degli abitanti della città si condannano con il loro comportamento
violento e inospitale.
L’icona di Abramo a Mamre è quello che la Quaresima oggi ci
propone di vivere: preparare l’incontro con Dio nell’amore gratuito e
accogliente per riceverlo nel povero.
In conclusione possiamo dire come oggi ci viene proposta una
via importante: la liberazione da una condizione di schiavitù del mercantilismo
per vivere la libertà dell’amore gratuito. È una prospettiva bella e salvifica
per noi e per quanti, accolti con amore, sono come coinvolti nell’abbraccio di
Dio.
Partire da chi non ha casa, famiglia e protezione non è
allora solo un’opera sociale o un impegno civile, ma ha un profondo significato
teologico e religioso.
Un grande vescovo orientale del V secolo, Giovanni Crisostomo
diceva: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia
ignudo; dopo averlo ornato qui in chiesa con stoffe di seta non permettere che
fuori egli muoia di freddo per la nudità. Colui che ha detto «questo è il mio
corpo» (Mt 26,26), confermando con la sua parola l’atto che faceva, ha detto
anche: «Mi avete visto soffrire la fame e non mi avete dato da mangiare» e
quanto non avete fatto a uno dei più piccoli tra questi, neppure a me l’avete
fatto (Mt 25,42-45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha
bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno
di molta cura. Impariamo quindi a pensare e a comportarci degnamente verso così
grandi misteri e a onorare Cristo come egli vuol essere onorato. … Così anche
voi onoratelo nella maniera che egli stesso ha comandato, impiegando cioè le
vostre ricchezze a favore dei poveri. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di
anime d’oro” (Giovanni Crisostomo, Commento a Matteo, 50, 2-ss).
Eucarestia e amore per i poveri, tavola del sacrificio
eucaristico e tavola della carità vissuta sono due realtà che si illuminano a
vicenda e che sussistono solo sorrette l’una dall’altra.
Testi utili
Esodo 22,20
“Non molesterai il
forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra
d'Egitto.”
Levitico
19,33-34
“Quando un
forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il
forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu
l'amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra
d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.”
Deuteronomio
10,17-19
perché il
Signore, vostro Dio, è il Dio degli dei, il Signore dei signori, il Dio grande,
forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia
all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate
dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri nella terra d'Egitto.
Deuteronomio
24,17-18
Non lederai
il diritto dello straniero e dell'orfano e non prenderai in pegno la veste
della vedova. Ricordati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha
liberato il Signore, tuo Dio; perciò ti comando di fare questo.
Luca 9,57-58
Mentre
camminavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu
vada".
E Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le
loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha
dove posare il capo".
Matteo
8,18-20
Vedendo
la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all'altra riva. Allora uno scriba
si avvicinò e gli disse: "Maestro, ti seguirò dovunque tu vada". Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli
uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il
capo".
Matteo 25,31-46
Quando
il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà
sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli.
Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle
capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re
dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre
mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del
mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,
ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e
mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a
trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti
abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo
dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o
nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e
siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro:
"In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Poi dirà anche a quelli
che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e
non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero
straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in
carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno:
"Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o
malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?" Allora egli risponderà
loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo
di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". E se ne andranno: questi
al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna".
“Tu non dai del tuo al povero, ma gli restituisci il suo;
infatti tu solo usi la proprietà comune che è stata data a tutti! La terra è di
tutti non soltanto dei ricchi, ma sono in minor numero quelli che la usano di
quelli che non la usano. Dunque tu restituisci il dovuto, non elargisci il non
dovuto.” (Ambrogio)
“Chi è il ladro? Colui che porta via le cose degli altri. Non
sei un ladro tu, che conservi come tua proprietà i beni che hai ricevuto perché
fossero distribuiti a tutti? Chi spoglia qualcuno dei suoi vestiti si chiama
ladro. E chi non veste l’ignudo, quando può farlo, merita forse altro nome? Il
pane che tieni per te è dell’affamato, il mantello che custodisci nel
guardaroba è dell’ignudo, le scarpe che ammuffiscono in casa tua sono dello
scalzo, l’argento che conservi sotto terra è del povero. Così tu commetti
altrettanta ingiustizia quanti sono i poveri che avresti potuto aiutare.” (Basilio
Magno)