lunedì 26 marzo 2012

Preghiera di mercoledì 21 marzo (IV di Quaresima)


Amos 5,4-20


Così dice il Signore alla casa d'Israele:
"Cercate me e vivrete!
5Non cercate Betel,
non andate a Gàlgala,
non passate a Bersabea,
perché Gàlgala andrà certo in esilio
e Betel sarà ridotta al nulla".
Cercate il Signore e vivrete,
altrimenti egli, come un fuoco,
brucerà la casa di Giuseppe,
la divorerà e nessuno spegnerà Betel!
7Essi trasformano il diritto in assenzio
e gettano a terra la giustizia.
Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione,
cambia il buio in chiarore del mattino
e il giorno nell'oscurità della notte,
colui che chiama a raccolta le acque del mare
e le riversa sulla terra,
Signore è il suo nome.
9Egli fa cadere la rovina sull'uomo potente
e fa giungere la devastazione sulle fortezze.
10Essi odiano chi fa giuste accuse in tribunale
e detestano chi testimonia secondo verità.
11Poiché voi schiacciate l'indigente
e gli estorcete una parte del grano,
voi che avete costruito case in pietra squadrata,
non le abiterete;
voi che avete innalzato vigne deliziose,
non ne berrete il vino.
12So infatti quanto numerosi sono i vostri misfatti,
quanto enormi i vostri peccati.
Essi sono ostili verso il giusto,
prendono compensi illeciti
e respingono i poveri nel tribunale.
13Perciò il prudente in questo tempo tacerà,
perché sarà un tempo di calamità.
14Cercate il bene e non il male,
se volete vivere,
e solo così il Signore, Dio degli eserciti,
sarà con voi, come voi dite.
Odiate il male e amate il bene
e ristabilite nei tribunali il diritto;
forse il Signore, Dio degli eserciti,
avrà pietà del resto di Giuseppe.
16Perciò così dice il Signore,
Dio degli eserciti, il Signore:
"In tutte le piazze vi sarà lamento,
in tutte le strade si dirà: "Ohimè! ohimè!".
Si chiameranno i contadini a fare il lutto
e quelli che conoscono la nenia a fare il lamento.
17In tutte le vigne vi sarà lamento,
quando io passerò in mezzo a te",
dice il Signore.
Guai a coloro che attendono il giorno del Signore!
Che cosa sarà per voi il giorno del Signore?
Tenebre e non luce!
19Come quando uno fugge davanti al leone
e s'imbatte in un orso;
come quando entra in casa,
appoggia la mano sul muro
e un serpente lo morde.
20Non sarà forse tenebra, non luce,
il giorno del Signore?
Oscurità, senza splendore alcuno?
 

Il profeta Amos rivolge a Israele le parole appassionate di Dio.
Sono parole dure e di condanna, contengono minacce durissime, ma  se andiamo in profondità sono innanzitutto le parole di un Dio ferito nel suo amore non corrisposto. Invece di esprimere al Signore Dio  gratitudine per quanto ricevuto, il popolo si rivolge agli dei che sembrano loro più accessibili e meno esigenti. Sì, è facile preferire rivolgersi agli idoli che non ci chiedono nulla, anzi benedicono il nostro modo di fare e danno l’assenso muto ai nostri desideri e modi di fare. È l’idea, così diffusa del pensare: “Che male c’è se mi comporto così? Chi mi potrà giudicare?” Diamo per scontato che la realtà ci appartiene, e deve obbedire al nostro volere. Quello che abbiamo è un nostro possesso e un diritto.

Lo pensa chi non riconosce più Dio, anzi più si allontana da lui, più si sente autorizzato a comportarsi come meglio crede, senza preoccupazione alcuna.
Dio rivendica che ciò che lui ha fatto e continua a fare per l’uomo non è un diritto, ma un suo dono:

“Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione,
cambia il buio in chiarore del mattino
e il giorno nell'oscurità della notte,
colui che chiama a raccolta le acque del mare
e le riversa sulla terra,
Signore è il suo nome.”

La Signoria di Dio si esprime nella libertà del suo amore, voluto per scelta e mai dovuto.

 “Cercate il Signore” implora Dio, perché ormai vi siete allontanati. L’uomo orgoglioso si stupisce di non essere seguito da Dio sui passi che lui sente di fare. Sì, Dio non ci insegue, perché non vuole la nostra rovina. Non accetta di seguirlo sulle vie dell’ingiustizia, di cui parla il profeta Amos, ma invita l’uomo a ritornare a lui:

“So infatti quanto numerosi sono i vostri misfatti,
quanto enormi i vostri peccati.
Essi sono ostili verso il giusto,
prendono compensi illeciti
e respingono i poveri nel tribunale.”

È l’invito della Quaresima, tempo del ritorno, come cantiamo nell’inno di questo tempo, perché ci siamo allontanati. 

C’è bisogno di uscire in questo tempo dal frastuono assordante delle mille giustificazioni e divagazioni per concentrarci su ciò che è essenziale:

“il prudente in questo tempo tacerà”
14Cercate il bene e non il male,
se volete vivere,
e solo così il Signore, Dio degli eserciti,
sarà con voi, come voi dite.
Odiate il male e amate il bene
e ristabilite nei tribunali il diritto;
forse il Signore, Dio degli eserciti,
avrà pietà del resto di Giuseppe.
 
Bisogna mettersi in ricerca, interrogarsi e il metro del nostro ritorno è la giustizia, cioè ridare il posto giustoa a Dio, dopo averlo gettato in un angolo e ai fratelli e alle sorelle, con i loro bisogno.

Amos parla di un lamento, cioè la capacità di farci portavoce del dolore di chi soffre. Sì, il segno della nostra giustizia è quanto siamo capaci di non farci portavoce solo del nostro lamento e insoddisfazione, ma del lamento per l’afflizione degli altri:

“Beati gli afflitti, perché saranno consolati” ammonisce il Signore e ci invita ad affliggerci per il male del mondo.

Infine Amos parla di un “giorno del Signore”:

Guai a coloro che attendono il giorno del Signore!
Che cosa sarà per voi il giorno del Signore?
Tenebre e non luce!
19Come quando uno fugge davanti al leone
e s'imbatte in un orso;
come quando entra in casa,
appoggia la mano sul muro
e un serpente lo morde.
20Non sarà forse tenebra, non luce,
il giorno del Signore?
Oscurità, senza splendore alcuno?
 
Il giorno del Signore è il giorno della verità, in cui sono smascherati tutte le finzioni con cui ci illudiamo di ingannare noi stessi e gli altri. È il giorno della morte e resurrezione di Gesù. È infatti il suo amore capace di arrivare fino al dono estremo di tutto se stesso e quello del Padre che ridona la vita perché più forte della morte è l’amore. Temiamo quel giorno, cioè temiamo il giudizio che da esso viene su di chi non ha approfittato del tempo per trovarsi davanti a Dio puro e senza macchia.

Sì, non vinca su di noi l’oscurità della morte, come l’ultima parola, ma splenda nei nostri cuori, aperti e disponibili, la luce della resurrezione, dopo che lamentandoci con il mondo per la forza ingiusta del male, abbiamo riconosciuto il nostro bisogno di essere da lui salvati.


giovedì 15 marzo 2012

IV domenica del tempo di Quaresima




Dal secondo libro delle Cronache 36,14-16.19-23

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme. Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi i suoi nemici incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi. Il re dei Caldei deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni». Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».



Salmo 136 - Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.


Lungo i fiumi di Babilonia, +
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.


Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».


Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.


Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 2,4-10

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.



Lode a te, o Signore, re di eterna gloria
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.
Lode a te, o Signore, re di eterna gloria


Dal vangelo secondo Giovanni 3,14-21

C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: "Rabbi, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui". Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio". Gli disse Nicodemo: "Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?". Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito". Replicò Nicodemo: "Come può accadere questo?". Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo.  Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».



Commento

Abbiamo ascoltato il dialogo fra Gesù e Nicodemo, un incontro difficile e controverso. Si svolge di notte, come a significare il buio in cui si trova l’anima di quell’uomo.

Quante volte anche noi ci rendiamo conto di trovarci al buio. Le incertezze, il dubbio, la mancanza di una via chiara da percorrere, ma anche la sofferenza, la solitudine, le delusioni ci fanno vivere in una oscurità del cuore da cui a volte sembra veramente difficile uscire. Così accade che nel buio ci accorgiamo solo di noi stessi, e le sensazioni che vengono dalla nostra esistenza diventano l’unica cosa di cui ci accorgiamo. E’ la condizione di una vita imprigionata in un orizzonte limitato che non trova una direzione verso cui andare e una meta da raggiungere al di fuori di se stessi.

Pur vivendo in questa condizione Nicodemo però è un uomo che non si rassegna al buio, non lo accetta come la condizione normale della sua vita: cerca la luce. Per questo Nicodemo in un certo senso ci indica una strada: la via del non rassegnarci ad accettare la situazione presente come definitiva, e del non rassegnarci a vivere un’esistenza al buio, con rari sprazzi di luce e una “normale” oscurità. Non si può fare l’abitudine ad una vita chiusa in se stessa che vede e sente solo ciò che tocca il proprio corpo, che si accorge e si interessa solo di quello che lo sfiora ! Che vita è ?

In questa Quaresima Nicodemo, uomo in ricerca, pone a se stesso e suscita in noi una domanda: come uscire dal buio? Non soffochiamo questa domanda nell’abitudine, non attutiamola nel considerare normale il buio e un fastidio la luce che ci mostra troppe cose, anche quelle spiacevoli.

E’ utile allora seguire il dialogo di Nicodemo con il Signore e riconoscere in esso anche la traccia del nostro personale incontro con Gesù.

Innanzitutto dobbiamo notare come Nicodemo sia un “maestro”, conosce Gesù e ne ha capito l’importanza. Infatti dice: “sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui”. Non è uno sciocco né un ignorante. Sa di Dio, riconosce la sua presenza, si capisce dalle sue parole che conosce la Scrittura. Gesù intuisce che il nodo di Nicodemo è proprio questo: conosce la religione, ha capito chi è lui, ma non crede che questo possa essere così rilevante per la sua vita da portarlo a decidere di cambiarla. Per Questo il Signore lo invita a “rinascere di nuovo”, ovvero a far nascere qualcosa di nuovo in sé: gesti, sentimenti, decisioni, un modo di vivere nuovi: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio”. Rinascere dall’alto vuol dire che, per Gesù, i motivi per uscire dal buio e incamminarsi verso la luce non li potremo mai trovare nel basso delle nostre sensazioni, nel quotidiano delle abitudini, nello stretto delle convenienze, del piccolo commercio, come dicevamo domenica scorsa, nei conti del dare e dell’avere. No, la vita nuova di cui abbiamo bisogno nasce se alziamo gli occhi da noi stessi e troviamo in uno sguardo alto il motivo per incamminarci altrove.

Nicodemo ribatte con il suo realismo: “Come può un uomo nascere quando è vecchio?” e poi poco dopo: “Come può accadere questo?” E’ lo scetticismo amaro di chi, restando nel chiuso della propria esperienza personale, non riesce a trovare motivi per fidarsi di Gesù. Il Signore glielo rimprovera: “voi non accogliete la nostra testimonianza ... vi ho parlato di cose della terra e non credete”.

Sono le nostre stesse obiezioni: “Non ho mai fatto questo, come potrei cominciare adesso? Come posso fidarmi? Venire qui in chiesa il mercoledì sera per pregare e ascoltare la Parola di Dio, come posso, con tutto quello che ho da fare? Voler bene a un povero, diventare suo amico, come è possibile, con tutto quello che si sente dire?” Oppure noi abbiamo un altro genere di obiezioni che all’apparenza sono altrettanto realistiche: “E’ troppo difficile per me, non sono in grado, non ne ho le forze”, e in genere lo si afferma ancora prima di provare, o al primo ostacolo. 

Anche se conosce il Signore, Nicodemo non si fida di fare quello che lui dice. Lo chiama “maestro” ma non accetta di applicare alla sua vita il suo insegnamento. E’ lo stesso problema nostro: anche noi conosciamo Gesù e lo chiamiamo Signore e Maestro, ma non ci fidiamo di fare quello che lui insegna, anche noi ascoltiamo e non crediamo.

Gesù però, pazientemente, non abbandona Nicodemo nella sua incredulità scettica e amara, nel buio del suo cuore. Usa l’unica arma che egli ha a sua disposizione: l’amore. Gli parla dell’amore di Dio: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” e della sua misericordia: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” e infine del proprio stesso amore che giunge a dare la vita innalzato sulla croce: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Cosa può fare di più Dio per smuovere alla fiducia il nostro animo intorpidito che mostrarci il suo amore gratuito?  E’ quello che ogni domenica a messa ci ricorda, donandoci il suo corpo e sangue, tutto se stesso offerto senza remore per la nostra salvezza.

Il Vangelo conclude così quel dialogo, con le parole sulla bontà e la misericordia di Dio. Non ci dice se Nicodemo accolse l’invito di Gesù a fidarsi di lui per veder nascere una nuova vita fuori dal buio. Il Vangelo infatti lascia a noi di scrivere la conclusione di questo brano. Ciascuno con la scrive con la propria decisione.

 
Preghiere

O Signore Gesù che ci indichi la via della salvezza, illumina i nostri passi perché sappiamo seguirti sulla strada dell’amore e della misericordia per tutti.
Noi ti preghiamo

O Padre buono che vuoi la salvezza di ogni uomo e per questo hai mandato il tuo Figlio unigenito, perdona la chiusura dei nostri cuori che vedono solo se stessi. Fa’ che ci apriamo all’ascolto del Vangelo e ad una vita buona e generosa.
Noi ti preghiamo

Cristo nostro Signore, non sdegnarti della durezza del nostro cuore. Perdona le indecisioni, i dubbi, le incertezze; guarisci l’insensibilità e l’egoismo, perché possiamo rinascere ad una vita nuova.
Noi ti preghiamo

O Gesù che ci doni l’esempio del tuo amore fino al dono della vita, fa’ che sappiamo essere generosi e solidali con i nostri fratelli nel bisogno. Suscita in noi sentimenti di pietà e accoglienza quando li incontriamo.
Noi ti preghiamo

O Dio del cielo, ti ringraziamo perché ogni domenica ci indichi la via per uscire dal buio di una vita chiusa in se stessa. Fa’ che incontrandoti nella liturgia cogliamo l’occasione per vivere sentimenti nuovi e compiere azioni nuove per tutta la settimana.
Noi ti preghiamo

O Spirito di amore, suscita nella nostra città sentimenti di fraterna solidarietà, perché nessuno resti da solo nel bisogno e nel dolore.
Noi ti preghiamo.

Padre clemente e misericordioso, ti preghiamo per il continente africano dove il Papa Benedetto sta portando la vicinanza di tutta la Chiesa universale. Fa’ che non dimentichiamo le sue sofferenze e le sue ferite e impariamo ad amare i suoi figli che vivono nella nostra terra.
Noi ti preghiamo

Suscita o Dio nuove forze e nuove energie in ogni cristiano perché sappia testimoniare con autenticità il Vangelo. Fa’ che rinati dall’alto, nell’amore dello Spirito santo, portiamo l’annuncio della morte e resurrezione di Cristo in ogni luogo della nostra vita.
Noi ti preghiamo

III Incontro-dibattito: Riflessione di Quaresima sul tema dei senza dimora nell’Antico Testamento


 Introduzione

Non è solo una coincidenza che ci troviamo oggi a parlare delle persone che sono senza casa in questo tempo di Quaresima. Anzi, si può ben dire che esiste un legame forte fra la realtà di chi non ha riparo né famiglia e vive grazie a ciò che trova per mangiare, dormire, vestirsi, lavarsi, ecc… e questo tempo di preparazione all’incontro col Signore Risorto a Pasqua.

La Quaresima infatti si apre col gesto dell’imposizione della cenere sul capo che sottolinea la dimensione umana di precarietà e dipendenza. Abramo che dice: “Vedi come ardisco di parlare, io che sono polvere e cenere” (Gen 18,27) non parla  solamente di sé, ma afferma una verità sulla natura di tutto il genere umano.

Noi ordinariamente rifiutiamo questa coscienza, preferendo considerare invece la forza rassicurante che viene da una idea falsa di sé. La Quaresima viene per questo, ogni anno, a riproporci in modo provvidenziale la nostra realtà di precarietà, e lo fa non per schiacciarci nell’impotenza davanti agli eventi e alle situazioni della vita, tutt’altro, per darci il punto di partenza sul quale costruire la nostra vera forza che è affidarci a Dio. Abramo infatti nel brano di Gen 18 parte proprio dalla coscienza di essere “polvere e cenere” per esercitare la sua franchezza insistente di fronte a Dio e mettersi a contrattare con lui fino ad obbligarlo a cambiare idea. E ci riesce! Abramo è così forte da riuscire a convincere Dio di modificare la sua decisione per ben sei volte, ma non perché gli si contrappone con arroganza, ma proprio perché parte dall’ammissione della propria condizione di debolezza per affidarsi alla forza dell’amore misericordioso di Dio.

Ecco allora il perché del nostro incontro di oggi: guardare il volto di questi nostri fratelli più fragili con gli occhi della Scrittura ci aiuta a contemplare una dimensione che è anche la nostra, pure se la sfuggiamo.

Anche noi siamo precari e deboli, esposti alle tempeste della vita, senza certezze di futuro né garanzie nel presente, dipendenti dagli altri, proprio come chi vive per strada, senza casa. La differenza è che noi, fidando nel nostro benessere materiale, possiamo permetterci di rifiutare questa nostra dimensione costitutiva e ignorarla come qualcosa di accantonabile. Ma a cosa serve nasconderlo? La facciata di finzione è posticcia e spesso lascia vedere attraverso gli squarci che la vita gli provoca la verità che gli sta dietro.

Partiamo allora oggi per questa nostra riflessione da una domanda: non vale forse la pena guardare in faccia la nostra realtà di “cenere”, per divenire, come Abramo, forti di una forza che non inganna e non tradisce, come avviene per le altre forze di questo mondo?



(Relazione Prof.ssa Donatella Scaiola)



Il nostro atteggiamento davanti ai senza casa

I poveri, e soprattutto i senza casa, suscitano timore in chi li incontra. Sono giudicati una presenza fastidiosa, per la loro insistenza nel chiedere aiuto, oppure addirittura offensiva per il decoro urbano. Li si vede come un corpo estraneo e minaccioso dell’ordine “normale” del nostro tessuto sociale, e per questo li si evita, cambiando strada. Questo, come accennavo prima, avviene perché rifuggiamo in essi l’immagine che ci richiama la nostra vera natura che ci fa paura.

Oppure, in chi li accosta, sorge il fastidio perché non sempre aderiscono ai nostri schemi interpretativi e ai valori condivisi dalla società, o, se proviamo ad aiutarli, non otteniamo i risultati che vorremmo, o che sarebbe logico aspettarsi, e ci sentiamo delusi e frustrati, scoraggiati e con un senso di inutilità di qualunque iniziativa. È facile allora giudicarli non meritevoli di aiuto, responsabili della loro condizione, refrattari ai buoni consigli, addirittura compiaciuti del loro modo di essere provocatoriamente devianti dalle buone abitudini del vivere ordinario.

Sono tutte e tre (la paura, la delusione e il giudizio) reazioni naturali, che ci vengono istintive, ma la Scrittura ci chiede di uscire da questa istintività naturale, e la Quaresima è innanzitutto un itinerario di esodo dal proprio presente modo di vivere e di essere, verso la liberazione di una nuova vita.

La Scrittura ci indica un cammino, ma non nel senso che ha le soluzioni concrete ai mille problemi dei senza dimora o la formula per esorcizzare paure, delusioni e diffidenze. No, in maniera più semplice, ma anche più efficace, la Scrittura rende possibile e anzi bello specchiarci nel volto dei nostri amici senza casa perché ci dona la capacità di vedere oltre la superfice, di andare in profondità e scoprire la realtà ulteriore che si nasconde dietro un’apparenza a volte scambiata per l’essenza. Infatti dal Vangelo impariamo che nessuno può essere definito solo dal cumulo di problematicità delle quali è sovraccaricato, ma che dietro di esso si nasconde il volto di un uomo trasfigurabile dall’amore. È l’esperienza di Gesù che incontra ogni sorta di peccatori, malati e indemoniati, ma non si limita a definirli, a fare una sorta di diagnosi patologica e sociologica, piuttosto instaura un rapporto, parla, tocca, entra nella vita e la trasforma con la forza irresistibile del suo voler bene concreto.

La Scrittura ci dona uno sguardo che va oltre la caricatura goffa o violenta o arrabbiata o folle nella quale il male deforma i volti con l’insulto della povertà e del disprezzo. Uno sguardo che spiana le rughe, addolcisce lo sguardo, umanizza i comportamenti, placa gli animi e ricostruisce il tessuto umano lacerato dal dolore subito e inferto agli altri.

La Scrittura ci libera dal cuore duro che giudica prima di comprendere e ci dona la dimensione del tempo di Dio che è lento e paziente. Ci dà la perspicacia del suo sguardo che non resta in superfice. Facendo nostro lo sguardo di Dio che va oltre il momento attuale e lo trasfigura riusciamo a non scappare spaventati e sfiduciati, anzi siamo attratti dai volti dei nostri amici resi belli dall’amore ricevuto.

Per questo il nostro riflettere oggi è un atto di amore per i nostri fratelli, ma anche un cammino di liberazione per noi, per scoprire un cammino non solo possibile, ma anche attraente ed entusiasmante che ci fa passare dal rifiuto della nostra realtà di “polvere e cenere” all’accettazione serena di una dimensione non solo vera ma che ci apre alla possibilità di accogliere un amore grande e forte che salva e dona la vita del Risorto. È il cammino di Quaresima: dalle ceneri della nostra debolezza alla resurrezione di una vita che vince la morte e non finisce più.

Stiamo attenti a restare ancorati ai nostri giudizi naturali e alle reazioni istintive, alle quali siamo così affezionati, perché, ancor prima di essere ingiusti verso gli altri, sono una vera e propria condanna per noi stessi: la preclusione ad essere partecipi di quella forza di vita nuova che è la resurrezione, la negazione della nostra fede che si basa sulla certezza che niente e nessuno resta uguale se incontra l’amore di Dio. A noi la scelta.



I senza casa: ospiti dello spazio della gratuità

La liturgia di domenica scorsa, terza di Quaresima, ci ha fatto ascoltare il brano di Giovanni nel quale Gesù scaccia i mercanti dal  tempio (Gv 2,13-25). Il Signore si comporta con una violenza inaudita, non solo verbale, nello scacciare i banchetti dei venditori e dei cambiamonete che avevano occupato il tempio di Gerusalemme.

Come mai tanta irruenza in chi altrove si definisce “mite e umile di cuore” (Mt 11,29)?

Evidentemente Gesù avverte che in quell’abuso si nasconde un pericolo grande per il popolo che è venuto a salvare. Il suo giudizio non è sulla disonestà dei commercianti o sulla illiceità in sé dell’attività mercantile, come una lettura superficiale del brano potrebbe far pensare, ma sul fatto che il mercato aveva occupato il luogo dell’incontro con Dio. Al centro di Gerusalemme infatti il tempio era, ed è tutt’ora, un grande luogo libero, costruito proprio per dare spazio alla presenza di Dio dentro la città. Questo era innanzitutto lo spazio della gratuità dell’amore voluto da Dio al suo popolo con pervicacia e oltre ogni ragionevole motivo, non meritato e, anzi, più volte rifiutato e tradito da Israele, ma sempre reiterato.

Un amore caratterizzato dal non essere in alcun modo dovuto, come ben esprime il salmista: “Signore che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero?” (Sal 144,3). È un amore non previsto dalle regole sociali o dai vincoli parentali. Per questo Gesù reagisce con tale violenza: lo spazio dell’amore gratuito di Dio e della risposta dell’uomo ad esso, luogo primario dell’incontro con Dio, è occupato dal mercato regolato dalla logica del profitto, della convenienza, del calcolo dei debiti e dei crediti.

Questo è vero anche per noi oggi. Nel nostro mondo globalizzato, nelle nostre città e società, nelle nostre vite personali quanto spazio è rimasto sgombro per l’amore gratuito, non dovuto per vincoli parentali o doveri sociali, immotivato e immeritato? Quanto del nostro tempo è speso per questo voler bene senza chiedere nulla in contraccambio, senza calcolo e convenienza, se tutto il vivere è occupato dalla logica dello scambio mercantile ? Questo ha fatto sì che non ci sia più nemmeno un angolo in cui possa avvenire l’incontro con Dio, ed egli è divenuto straniero, espulso dai luoghi della vita, esattamente come lo sono i senza casa: senza un posto in cui vivere, espulsi dalla famiglia, dalla società, dalla vita normale. Ricreare nella città lo spazio per vivere l’amore gratuito restituisce un posto a Dio ed anche ai senza casa: è l’esperienza umile ma bella di ospitalità della nostra Parrocchia e di tante altre realtà, qui e altrove.

La mercantilizzazione del vivere ha coinvolto anche gli ambiti che erano riservati un tempo all’espressione dell’amore gratuito: la cura dei malati, l’accompagnamento degli anziani, il sostegno ai disabili, ecc… tutto è ormai servizio sociale, istituzionalizzazione commerciale, questione di bilancio e di costi.

Forse solo il mondo dei senza casa è rimasto fuori da questa logica di mercato, perché è molto difficile trarne profitto ed è facile rimetterci.

Il rapporto di amicizia con chi è senza casa è rimasto uno dei pochi spazi liberi per l’amore gratuito, dentro il grande mercato globale e invasivo del mondo di oggi. Nessun vincolo ci obbliga a occuparcene, non sono parenti né vicini, anzi spesso niente ci lega a loro, vengono da mondi culturalmente ed etnicamente estranei a noi. Sì, l’amore per i senza casa ha veramente i tratti che lo avvicinano all’amore di Dio per gli uomini. Questo è per noi una grande possibilità per riaprire e allargare lo spazio dell’incontro con Dio nella nostra vita. È un esercizio, cioè qualcosa che si impara, e la Quaresima è tempo opportuno per farlo e non mancare l’appuntamento col risorto che ci attende a Pasqua!



Come allargare questo spazio? La tenda di Abramo

I capitoli 18 e 19 della Genesi ci offrono una risposta a questa domanda.

Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all'ingresso della tenda nell'ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall'ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: "Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po' d'acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l'albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo". Quelli dissero: "Fa' pure come hai detto". Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: "Presto, prendi tre misure di fior di farina, impastala e fanne focacce". All'armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l'albero, quelli mangiarono.” (Gen 18,1-8)

Abramo si trova sulla soglia della sua tenda in mezzo al deserto. Non vive nel chiuso di una situazione protetta, ma tiene lo sguardo rivolto all’esterno, anzi “alza lo sguardo”, cioè lo solleva dalla contemplazione compiaciuta o spaventata di sé, e per questo si accorge dei tre viandanti che si avvicinano. Sono gente in situazione precaria: soli nel deserto, alla mercé di chi incontrano, stranieri non protetti. Sono senza casa, ed Abramo va loro incontro per offrire ospitalità. La tenda di Abramo è uno spazio di amore accogliente e gratuito: non ci guadagna, anzi rischia, e ci rimette del suo.

La Genesi dice chiaramente che quei tre sono angeli messaggeri di Dio, ma Abramo li vide come tre semplici anashim, cioè estranei e sconosciuti, eppure proprio in loro, grazie alla gratuità della sua accoglienza, il patriarca incontra Dio. Il loro arrivo è imprevisto ma Abramo non si lascia cogliere di sorpresa. L’incontro con chi è senza casa avviene per strada, nell’imprevedibilità di spazi non protetti e spesso inaccoglienti, e per questo chiede di essere uomini aperti all’incontro e disponibili all’accoglienza. Infatti è Abramo a prendere l’iniziativa, anche senza che quei tre gli chiedano nulla.

Inizia allora una vera e propria liturgia dell’accoglienza: si offre ristoro, cibo, acqua, un tetto sotto cui ripararsi. Al centro c’è il bisogno dell’altro e il desiderio di rispondervi. È il contrario di una logica commerciale.

Poi gli dissero: "Dov'è Sara, tua moglie?". Rispose: "È là nella tenda". Riprese: "Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". (9-10)

L’accoglienza porta fecondità: ad Abramo e Sara sterili i tre ospiti annunciano la nascita di un figlio. L’incontro accogliente e l’amore gratuito riaprono il futuro, danno prospettive e speranza a chi lo riceve, e ciò può sembrare scontato, ma anche a chi lo offre, e questo invece è straordinario.

Poi Abramo e i tre si avviano verso Sodoma e qui avviene lo svelamento di Dio. Da quella grande città si era levato il grido della sofferenza provocata dall’inaccoglienza. Abramo riconosce in quei tre viandanti la presenza di Dio perché sono solleciti nel difendere il diritto dello straniero, perché Dio ama l’indifeso e protegge chi è minacciato. Inizia allora la famosa contesa verbale di Abramo con Dio stesso per la salvezza della città. È la lotta che avviene ogni volta che cerchiamo a fatica di far emergere il bene anche dove sembra impossibile che si trovi. È una lotta anche con Dio che è la dimensione della preghiera di intercessione per la salvezza altrui. Il racconto che segue (Gen 19) in qualche modo dà ragione ad Abramo: Lot e la sua famiglia accolgono i pellegrini e vengono salvati dalla distruzione alla quale il resto degli abitanti della città si condannano con il loro comportamento violento e inospitale. 

L’icona di Abramo a Mamre è quello che la Quaresima oggi ci propone di vivere: preparare l’incontro con Dio nell’amore gratuito e accogliente per riceverlo nel povero.

In conclusione possiamo dire come oggi ci viene proposta una via importante: la liberazione da una condizione di schiavitù del mercantilismo per vivere la libertà dell’amore gratuito. È una prospettiva bella e salvifica per noi e per quanti, accolti con amore, sono come coinvolti nell’abbraccio di Dio.

Partire da chi non ha casa, famiglia e protezione non è allora solo un’opera sociale o un impegno civile, ma ha un profondo significato teologico e religioso.

Un grande vescovo orientale del V secolo, Giovanni Crisostomo diceva: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Ebbene, non tollerare che egli sia ignudo; dopo averlo ornato qui in chiesa con stoffe di seta non permettere che fuori egli muoia di freddo per la nudità. Colui che ha detto «questo è il mio corpo» (Mt 26,26), confermando con la sua parola l’atto che faceva, ha detto anche: «Mi avete visto soffrire la fame e non mi avete dato da mangiare» e quanto non avete fatto a uno dei più piccoli tra questi, neppure a me l’avete fatto (Mt 25,42-45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo quindi a pensare e a comportarci degnamente verso così grandi misteri e a onorare Cristo come egli vuol essere onorato. … Così anche voi onoratelo nella maniera che egli stesso ha comandato, impiegando cioè le vostre ricchezze a favore dei poveri. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro” (Giovanni Crisostomo, Commento a Matteo, 50, 2-ss).

Eucarestia e amore per i poveri, tavola del sacrificio eucaristico e tavola della carità vissuta sono due realtà che si illuminano a vicenda e che sussistono solo sorrette l’una dall’altra.

Testi utili


Esodo 22,20

Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d'Egitto.”



Levitico 19,33-34

“Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l'amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.”



Deuteronomio 10,17-19

perché il Signore, vostro Dio, è il Dio degli dei, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri nella terra d'Egitto.



Deuteronomio 24,17-18

Non lederai il diritto dello straniero e dell'orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova. Ricordati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore, tuo Dio; perciò ti comando di fare questo.



Luca 9,57-58

Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu vada".

E Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".



Matteo 8,18-20

Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all'altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: "Maestro, ti seguirò dovunque tu vada". Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".



Matteo 25,31-46

Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". E il re risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?" Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me". E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna".


 “Tu non dai del tuo al povero, ma gli restituisci il suo; infatti tu solo usi la proprietà comune che è stata data a tutti! La terra è di tutti non sol­tanto dei ricchi, ma sono in minor numero quelli che la usano di quelli che non la usano. Dunque tu restituisci il dovuto, non elargisci il non dovuto.” (Ambrogio)

“Chi è il ladro? Colui che porta via le cose degli altri. Non sei un ladro tu, che conservi come tua proprietà i beni che hai ricevuto perché fossero distribuiti a tutti? Chi spoglia qualcuno dei suoi vestiti si chiama ladro. E chi non veste l’ignudo, quando può farlo, merita forse altro nome? Il pane che tieni per te è dell’affamato, il mantello che custodisci nel guardaroba è dell’ignudo, le scarpe che ammuffiscono in casa tua sono dello scalzo, l’argento che conservi sotto terra è del povero. Così tu commetti altrettan­ta ingiustizia quanti sono i poveri che avresti potuto aiutare.” (Basilio Magno)