lunedì 28 maggio 2012

Pentecoste




Dagli atti degli apostoli 2, 1-11

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».



Salmo 103 - Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Benedici
il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore. 



Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 5, 16-25

Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la car­ne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.



Alleluia, alleluia alleluia.
Vieni, Santo Spirito, riempi i nostricuori
accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Giovanni 15, 26-27; 16, 12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».



Commento

Cari fratelli e care sorelle, i discepoli stavano riuniti nello stesso luogo, come anche noi qui oggi, a Pentecoste, quando all’improvviso un forte vento si abbatté in quella sala, suscitando grande stupore. Un vento di novità si è abbattuto anche sul nostro secolo appena concluso e su questo inizio del nuovo, e noi ne siamo testimoni. Infatti il mondo in cui viviamo possiede un livello di progresso mai conosciuto prima dall’umanità. La nostra vita è più facile che nel passato, basti pensare al progresso della medicina che ha permesso un allungamento della vita e un miglioramento generale della nostra salute. Oggi si studia di più; il lavoro, in genere, è meno faticoso; siamo garantiti da leggi che ci difendono dall’arbitrio del più forte, come non era un secolo fa. E poi, da oltre 60 anni viviamo in pace, mentre le generazioni che hanno preceduto la nostra hanno conosciuto ben due guerre mondiali, con tutto quello che ne è conseguito in morti e distruzioni.

Tutto ciò significa che oggi viviamo meglio di quanti ci hanno preceduto, perché il vento del progresso ha portato grandi novità. Eppure, i ben noti fatti di questi anni, segnati pesantemente da un senso di crisi, e non solo economica, sembra stare a dire che questo vento nuovo non ha avuto la forza di portare la felicità e la soluzione dei problemi del mondo. Il progresso c’è stato, ma che cosa ne abbiamo fatto? Sembra quasi che il miglioramento oggettivo della vita dell’uomo è stato come un frutto bello a vedersi, dal sapore dolce, ma avvelenato, perché ha portato al crollo di quella certezze di miglioramento continuo e infinito e di progresso senza limiti che si nutriva per il futuro.

Cosa c’è che non ha funzionato, si chiedono molti oggi, contemplando un po’ sconsolati le macerie di tanto progresso. È come se tanta velocità nella crescita abbia generato un mostro che oggi dà segni di non riuscire più a vivere. Perché?

Io ho l’impressione che tanto sviluppo e crescita abbiano seguito un ritmo non solo tumultuoso, ma, soprattutto, ineguale. Alla crescita del benessere globale non è corrisposto una pari crescita del senso di responsabilità sul come utilizzarlo. Alla crescita delle conoscenze scientifiche non è corrisposta una crescita altrettanto grande della capacità di applicarle al servizio e per lo sviluppo dell’uomo e non per la sua disumanizzazione. Allo sviluppo, in generale, di un senso di potenza dell’uomo, sempre più padrone di sé e del proprio destino, non si è sviluppato altrettanto il senso di non poter comunque sia fare a meno dell’altro e di Dio per essere felici.

Ma poi lo stesso discorso lo si potrebbe fare in senso geografico: lo sviluppo e il progresso riguarda noi, occidente fortunato, ed altre poche aree del mondo, ma quante parti della terra sono rimaste nel sottosviluppo e nell’arretratezza, anzi pagano il conto del nostro sviluppo con un aumento della loro miseria?

È facile capire allora perché un mondo cresciuto in modo così diseguale e disarmonico, con ritmi e direzioni così diverse si trovi oggi a vivere una crisi così profonda, di cui quella economica è solo un aspetto.

Il vento del progresso in questo senso sembra aver allargato, come dicevamo domenica scorsa commentando l’Ascensione del Signore, lo spazio del vuoto di Dio. Il mondo si è sempre più sentito emancipato da lui e non più bisognoso di lui tanto da averlo espulso da sé. E il vuoto di Dio porta inevitabilmente con sé il vuoto di umanità e di senso della vita.

Il vento dello Spirito che soffia oggi a Pentecoste è molto diverso dal vento del progresso di questo secolo. È un vento, ci dice il vangelo che “riempì tutta la casa dove si trovavano” e uno Spirito, dice il vangelo di Giovanni che ci conduce “alla verità tutta intera”. Sì, lo Spirito riempie il vuoto di Dio e di umanità e lo fa illuminando cosa è vero e buono per tutti. È quello che fa l’amore. Solo volendo bene si riesce a coniugare lo sviluppo e la giustizia, il progresso e l’umanità, senza lasciare indietro nessuno, senza creare disuguaglianze. Lo Spirito è un vento che sconvolge e agita perché vuole portare un ordine nuovo e diverso dal solito Suggerisce di accorgerci del troppo vuoto di Dio che abbiamo lasciato crescere dentro di noi e attorno a noi, nel mondo, e che oggi paghiamo in termini di crisi e di assenza di prospettive.

Può sembrare un discorso ingenuo: cosa c’entra lo spread, le quotazioni di borsa, il tasso di disoccupazione, ecc… con lo Spirito di amore? Eppure c’entra, perché non c’è sviluppo sociale, culturale, politico ed anche economico che possa reggersi sul sottosviluppo, l’ingiustizia, l’ineguaglianza degli altri. Non è vera felicità quella che si fonda sull’infelicità degli altri e non c’è progresso costruito sul dolore degli altri.

Lasciamoci allora oggi riempire dallo Spirito di Dio, che può ridare il ritmo giusto alla crescita di quell’unico, grande corpo che è l’umanità tutta intera. Nessun membro sta bene se un altro soffre e nessuna parte può godere se non c’è benessere diffuso equamente.

A nulla vale il secolo di progresso che abbiamo ereditato se non c’è assieme un progresso dell’amore. Sì, questo è il vento forte di cui abbiamo tutti bisogno, un vento di amore, l’unico che può renderci felici. Un vento che spazzi via le certezze fasulle e porti aria pulita: “Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano”. Sì, c’è bisogno di una nuova Pentecoste che irrompa come un vento gagliardo a riempire di aria nuova un mondo in cui l’atmosfera è avvelenata dall’egoismo.

Il vento dello Spirito Santo, che è amore, può riempire le vite svuotate, dar senso ad esistenze sterili, bloccate dietro la ricerca affannosa del proprio interesse, che si rivela spesso illusorio, perché anche quando lo abbiamo raggiunto, non ci rende felici.

Oggi, a Pentecoste, lo Spirito scende su di noi, come un vento forte che vuole scapigliare vite troppo ordinate di un ordine che uccide l’amore. Questo è il dono di Pentecoste, non abbiamo paura di riceverlo, gustiamone la novità, godiamo del senso di libertà e pace che porta con sé. “Essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi” Sì, chi riceve lo Spirito parla le lingue dell’amore, che conosce parole buone per tutti e raggiunge i cuori. Sono parole che tutti capiscono e possono dire, che contrastano con la babele delle lingue con cui gli uomini si dividono e inseguono ognuno il proprio interesse.

Per tanto tempo abbiamo pensato che per essere felici dovessimo fare innanzitutto il nostro interesse. Oggi lo Spirito di Dio ci suggerisce che essere felici è voler bene, cioè fare l’interesse degli altri e ricevere, come dice S. Paolo: “Il frutto dello Spirito che è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. Se ci lasciamo toccare dall’amore di Dio lo vivremo. Se lo vivremo saremo felici.      



Preghiere



O Signore manda il tuo Spirito a scaldare i cuori e ad illuminare le menti, perché il mondo sia riempito del tuo amore,

Noi ti preghiamo



O Dio dona a tutti di lasciarsi ispirare da uno Spirito diverso da quello del mondo: spirito di amore e di pace, di perdono e di generosità,

Noi ti preghiamo



O Spirito di Dio riempi ogni luogo, anche quelli dimenticati dagli uomini, dove oggi c’è sofferenza e ingiustizia, perché ovunque regni il bene,

Noi ti preghiamo



Dona il tuo Spirito o Padre a tutti i tuoi discepoli, perché ovunque sono riuniti nel tuo nome siano sempre testimoni del Vangelo,

Noi ti preghiamo



Sostieni o Dio quanti sono colpiti dalla violenza della guerra e del terrorismo, aiutali a vincere l’odio con la forza del perdono e della riconciliazione,

Noi ti preghiamo



Sostieni o Signore coloro che sono stati colpiti dal terremoto e hanno perso tutto. Fa’ che tornino presto a vivere in serenità,

Noi ti preghiamo.



Ti preghiamo o Dio per tutti quelli che sono stati colpiti dalla crisi economica e hanno perso il lavoro e la serenità. Fa’ che trovino presto speranza e una prospettiva per il futuro,

Noi ti preghiamo



Sostieni o Padre del cielo quanti annunciano il Vangelo nel mondo, specialmente coloro che sono perseguitati e ostacolati. Dai loro il coraggio e la forza dello Spirito santo,

Noi ti preghiamo


giovedì 24 maggio 2012

Preghiera del 23 maggio 2012



Dal Vangelo secondo Giovanni 14,16-21


Se mi amate, osserverete i miei comandamenti e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.

Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui".



Dicevamo già domenica che con l’Ascensione i discepoli si sentono orfani, come anche accade spesso che gli uomini si lamentino, accusando Dio della sua distanza da noi.

La distanza di Dio, la sua assenza, dicevamo, è la condizione normale del mondo. Perché stupirsi, se non si è fatto nulla per cercare la sua compagnia o, addirittura, si è opposto un frequente e ripetuto rifiuto ad essa?

È la condizione di tanti oggi: lamentosi e vittimistici, ma allo stesso tempo, tenacemente chiusi all’offerta di amicizia e compagnia di Gesù e del Vangelo.

Gesù dice: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi.” ma chi vuole Gesù come padre? Questo è il problema di tanta parte dell’umanità oggi: si rifiuta sdegnosamente la paternità di un amico buono come Gesù, in nome della propria autonomia orgogliosa, ma poi ci si sente abbandonati e orfani. È l’itinerario del figlio che chiede al padre metà dell’eredità: per lui è già morto, tanto che ne pretende l’eredità mentre è ancora vivo, pertanto senza averne alcun diritto.

Il Vangelo è un invito (Paolo parla di “vocazione”, dicevamo domenica scorsa) ad accettare felicemente di essere adottati a figli, cioè di farci figli del Vangelo. Spesso si vede in questo invito la capitolazione dell’uomo e la sua umiliazione: perché obbedire ad un altro, non basto a me stesso? Gesù però non cerca servi o schiavi obbedienti, ma amici: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. L’uniformarsi al suo disegno infatti è frutto di un amore che c’è prima, non è un impersonale chinare il capo.

Siamo alla vigilia della festa di Pentecoste nella quale rivivremo l’esperienza sconvolgente della discesa dello Spirito sui discepoli. La Pentecoste viene su chi cerca il Signore, su chi sente il vuoto di Dio in sé e attorno a sé e viene a colmarlo. Ma come si potrà colmare un vuoto che non si sente e non si riconosce? L’uomo soddisfatto, appagato, orgogliosamente sicuro di sé e che si sente padrone del proprio destino non ha spazio per accogliere uno Spirito nuovo che viene proprio a suggerire e ispirare quell’amore che ci rende capaci di “osservare i suoi comandamenti”?

Egli è chiamato Paraclito, cioè difensore, perché ci protegge dal pericolo di una vita spesa male, che è il danno maggiore che possiamo subire. Una vita può essere breve, difficile, dolorosa, faticosa, ma niente è peggiore di una vita magari comoda e lunga, ma inutile e sprecata.

Invochiamo allora oggi lo Spirito di Dio scoprendo con dolore sincero e profondo il vuoto di Dio che l’Ascensione ha come svelato ai nostri occhi annebbiati.

“Ed ora cosa faremo?” Si chiesero gli apostoli smarriti dopo l’ascensione di Gesù al cielo.

Lo stesso ci chiediamo noi, senza credere di saperlo già, e lo Spirito verrà a suggerirci la risposta in un modo imprevedibile, che forse anche un po’ ci sconvolge e turba, ma nell’unico modo “vero”, cioè umano, che Dio conosce: passando attraverso l’amore sincero di un cuore da figlio.

Ascensione




Dagli atti degli apostoli 1,1-11

Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».



Salmo 46 - Ascende il Signore tra canti di gioia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio
tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni. 4, 1-13

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore, avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.



Alleluia, alleluia alleluia.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.
Alleluia, alleluia alleluia.



Dal vangelo secondo Marco 16, 15-20

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.



Commento

Cari fratelli e care sorelle, la liturgia di questa domenica ci fa soffermare sugli ultimi momenti della vita di Gesù assieme ai discepoli, quando egli fu assunto in cielo e scomparve dalla loro vista. Si chiudeva così la vicenda terrena di Gesù, ma, allo stesso tempo, si apriva un altro capitolo della storia dell’umanità, quello nel quale il Vangelo veniva interamente affidata nelle mani dei discepoli.

Possiamo immaginare il loro sconcerto, come si dovettero sentire abbandonati, per la seconda volta, dopo quel primo strappo che rappresentò la morte di Gesù. Avevano appena ripreso coraggio, rendendosi conto, con fatica e dopo mille resistenze, che Gesù era tornato in vita e che la sua passione e morte non era stata la sconfitta del Vangelo, ma la sua vittoria definitiva suggellata dalla resurrezione. Di nuovo, ecco, il Signore li lascia. Sembra ancora una volta che vinca un destino segnato dall’assenza del Signore, e questa volta apparentemente senza un motivo esterno. Se noi ci pensiamo bene, ancora oggi al mondo la maggioranza degli uomini non ha mai sentito parlare di Gesù. Per loro è normale vivere nell’assenza di Dio. Ma anche molti di quelli che si dicono cristiani in realtà vivono come se Dio non esistesse, in quell’assenza di Dio che non è negazione esplicita ma una sua irrilevanza pratica. L’Ascensione allora è un’occasione che torna ogni anno a ricordarci questa realtà di fatto che è l’assenza di Dio nel mondo. Assenza non dovuta al suo disinteresse: il fatto di essere voluto nascere come uomo per condividere in tutto la nostra esistenza ci fa capire quanto grande fosse il desiderio di Dio di esserci vicino, quanto piuttosto dal rifiuto del mondo ad accoglierlo, come afferma chiaramente Giovanni nel prologo del suo Vangelo: “egli venne fra gli uomini, ma i suoi non lo hanno accolto”.

Ma in fondo, non è questa anche la condizione normale della nostra stessa esistenza personale? Sì, certo, noi siamo cristiani e crediamo sinceramente che Dio esista, che Gesù sia nato, vissuto, e poi morto e risorto. Lo affermiamo con convinzione nel Credo ogni domenica, assieme a tante altre realtà della nostra fede. Ma quanto nelle nostre giornate noi viviamo alla presenza, in compagnia di Dio, e quanto invece siamo compagni e guide ciascuno di se stesso?

Questa ricorrenza ci pone allora oggi una domanda seria, che in qualche modo ci prepara alla festa di Pentecoste di domenica prossima, e cioè: che cosa vuol dire vivere in compagnia di Dio?

È evidente che la risposta non può essere abbandonare tutto e tutti per stare ogni momento assorti e concentrati su Dio. Istintivamente è quello che fecero gli apostoli: quando Gesù si sollevò in alto restarono con gli occhi fissi al cielo come per colmare con lo sguardo dell’affetto e dell’immaginazione la distanza da lui, pensandolo dietro le nubi. Si può vivere tutta la vita osservando il cielo? È questo quello che Dio ci chiede?

Ai discepoli due angeli dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Non serve guardare il cielo, osservare da lontano, dietro le nubi, dove gli uomini tradizionalmente individuano la sede della presenza di Dio. Piuttosto bisogna guardare il mondo e viverci dentro, per realizzare il prima possibile le condizioni per il suo ritorno. Egli lo ha detto ai suoi discepoli: “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono lì con loro”. Con l’Ascensione si inaugura un nuovo tempo della presenza di Dio nel mondo, quella dell’amore fra gli uomini. Essere insieme in suo nome infatti significa essere uniti come lui lo è stato a noi, con un amore così forte da giungere fino al dono della vita. Ad ognuno di noi è affidato il potere di realizzare questa presenza, anzi siamo chiamati da Dio a vivere proprio per questo. S. Paolo parla infatti di una “vocazione” come la condizione normale dei cristiani, non riservata solo ad alcuni: “una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione … egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede … fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.” Ciascuno come può e come sa, ognuno in modo diverso, ma tutti siamo chiamati a realizzare la presenza del Signore fra di noi, seguendo il suo esempio, imitandolo, fino a vivere il suo stesso amore che lo fa essere dentro la nostra vita.

E’ l’atteggiamento che l’Apostolo chiama “speranza”. Il nostro tempo soffre per mancanza di speranza. La crisi e tante altre manifestazioni del male rende l’uomo incapace di guardare al futuro con fiducia. Infatti “naturalmente” siamo tutti portati a guardare al futuro nella prospettiva della propria realizzazione intesa come affermazione di sé. Il progresso cosa altro è se non un processo di sempre più piena realizzazione del dominio dell’uomo sulla natura, sugli altri e su di sé, fino alla pretesa, oggi, di dominare anche i processi della nascita e della morte, fra i pochi finora rimasti esclusi dal nostro controllo assoluto? Ma la vera realizzazione di sé, ci insegna il Vangelo, è saper vivere nella ricerca del bene dell’altro. Questo realizza anche il proprio bene e felicità. È questa prospettiva inversa che permette di guardare al futuro con speranza, anche nelle difficoltà. Questa è la speranza: la certezza che il mondo, la vita, la storia, io, gli altri, tutto può raggiungere al bene che Dio vuole, anche se oggi sembra così lontano dal realizzarsi, e la disponibilità a lavorare perché esso si compia al più presto. Purtroppo tanti sono i profeti di sventura che nel pessimismo realista continuano a dire che invece niente può cambiare e il bene è destinato a soccombere, perché lo si cerca nel falso bene dell’affermazione di sé. Ma noi invece cerchiamo di vincere quotidianamente quella distanza fra noi e Dio, fra noi e il Vangelo che sì, è la nostra condizione normale, ma non la nostra condanna! Sappiamo infatti che quella distanza possiamo vincerla e raggiungere la vita assieme a lui, come Gesù per primo ha fatto, colmando la separazione fra sé e il mondo nascendo sulla terra. È una sfida quotidiana che realizza passo dopo passo, giorno dopo giorno quell’avvicinamento a lui nell’amore che ci fa sempre più assomigliare a lui e che lo rende presente fra noi.

Tutto ciò non è fuori della nostra portata, perché non siamo lasciati soli a compiere il nostro cammino. Dice Gesù subito prima di lasciare i suoi: “riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra” C’è una forza che non viene da noi, ma che è dentro di noi. Invochiamola, chiediamola a Dio ed egli ce la concederà. E quando sentiamo scorrere il soffio dello spirito di amore e di generosità, di unione con tutti e di benevolenza, di perdono e di compassione, non scacciamolo via come fosse un segno di pericolosa debolezza. Invece accogliamolo, tratteniamolo dentro di noi, perché è la forza che ci fa continuare a sperare contro ogni speranza, ci fa realizzare quella compagnia con Dio che un giorno, ne siamo certi, vivremo in pienezza, ma che fin da oggi possiamo intuire, desiderare e cercare di costruire nella gioia dello Spirito.



 Preghiere



O Signore Gesù che sei asceso al cielo, torna presto in mezzo a noi, ogni volta che il tuo amore è vissuto e ci unisce come fratelli e sorelle,

Noi ti preghiamo



Aiutaci o Dio a colmare la distanza fra noi e te vivendo con fiducia e fedeltà il vangelo,

Noi ti preghiamo



Manda o Dio il tuo Spirito a illuminare e scaldare i cuori, perché tu sia sempre compagno della nostra vita,

Noi ti preghiamo



Fa’ o Signore che ti cerchiamo ogni giorno nel mondo, dove il tuo nome è amato e invocato, dove l’amore dei fratelli li unisce e il tuo aiuto è concesso con abbondanza,

Noi ti preghiamo



Ti invochiamo o Dio, fa’ che presto tutti gli uomini ascoltino l’annuncio del Vangelo, perché nessuno sia escluso dalla possibilità di conoscerti e amarti,

Noi ti preghiamo



Sostieni, o Padre buono, tutti coloro che sono in difficoltà: i malati, i sofferenti, i prigionieri, chi è senza casa e sostegno. Fa’ che il tuo amore li raggiunga presto,

Noi ti preghiamo.



Ti preghiamo o Dio, fa’ cessare la violenza che uccide e semina terrore. Ti preghiamo per le vittime del terrorismo, per i loro cari, per chi è schiacciato dal dolore,

Noi ti preghiamo



Donaci o Dio la tua pace, perché dove oggi vince l’odio e la violenza torni a regnare umanità e concordia,

Noi ti preghiamo

domenica 13 maggio 2012

VI domenica del Tempo di Pasqua


Dagli Atti degli Apostoli 10, 25-27. 34-35. 44-48

Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Alzati: anch'io sono un uomo!». Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto». Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni. 



Salmo 97 - Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!



Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 4, 7-10

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. 



Alleluia, alleluia, alleluia.
Se uno mi ama e osserva la mia parola
il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia, alleluia, alleluia.


Dal vangelo secondo Giovanni 15, 9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».



Commento

Cari fratelli e care sorelle, questa domenica precede di due settimane la grande festa di Pentecoste che chiuderà il tempo di Pasqua nel quale continuiamo a vivere nella luce della Resurrezione. La Scrittura ascoltata in questa Liturgia ci prepara a questa festa in cui celebreremo la discesa dello Spirito Santo. La prima lettura dal libro degli Atti ci racconta infatti come Pietro fu mandato da Dio a parlare di Gesù e del Vangelo ad un gruppo di romani. Era la famiglia del centurione Cornelio, un pagano. Mentre parlava con lui lo Spirito Santo discese su tutti i presenti, ebrei e pagani. Era un segno straordinario che stupì molto Pietro e gli altri discepoli che erano con lui. Infatti fino ad allora il Vangelo era stato annunciato solo agli ebrei. Per la prima volta Dio mostra che il Vangelo di salvezza è per tutti e che la forza dell’amore che da esso promana riesce a vincere ogni barriera e muro di divisione, anche quello che separava ebrei e pagani, giudei e romani, un soldato dell’esercito occupante dal popolo da lui sottomesso. Si potrebbe dire che Dio sceglie proprio colui che era il più lontano ed estraneo per dimostrare che tutti gli uomini sono chiamati a divenire un’unica famiglia di fratelli e sorelle. Questa unità nasce e viene suggellata con il soffio leggero e potente dello Spirito Santo che dà compimento e pienezza a quello che Gesù era venuto a realizzare sulla terra: inaugurare un nuovo Regno di Dio retto da un ordine diverso da quello terreno, perché fondato sull’amore di Dio. Lo dice esplicitamente Giovanni nel brano che abbiamo ascoltato: “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.” Sì, tutti gli uomini possono ricevere la vita vera da Gesù, facendosi inondare dal suo Spirito che è l’amore gratuito che trasforma la vita.

Non fu facile per Pietro e i primi discepoli accettare che anche i pagani, perfino gli odiati romani che avevano messo in croce Gesù erano invitati da Dio a divenire discepoli del Vangelo e a imparare dall’esempio di Cristo a vivere secondo il suo Spirito. A volte anche per noi le divisioni che separano gli uomini sono resistenti più del vangelo! Sono come muri di cemento armato! Ma lo Spirito del Vangelo che ci insegna ad amare secondo Dio, e non più secondo noi stessi, è più forte di ogni muro. 

Il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi ci parla di questo amore secondo Dio che è lo Spirito Santo. Dice Gesù ai discepoli: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.” Il modo con cui Gesù ha amato gli uomini, e anche noi, è quello stesso amore di Dio: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” ed anche noi siamo chiamati a vivere lo stesso amore. Sì, la discesa dello Spirito che aspettiamo con impazienza e che chiediamo con forza al Signore è proprio questo: che finalmente Dio ci ispiri e ci aiuti ad imparare ad amare come lui.

Ma com’è l’amore di Dio? In cosa si differenzia da quello degli uomini? Come riconoscerlo per cercare di viverlo?

Non è solo questione di intensità, la differenza sostanziale ce la dice Gesù stesso: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.” Cioè proprio quello che ha fatto lui: mentre l’amore degli uomini ha come scopo ultimo se stesso, quello di Dio gli altri. L’amore degli uomini cerca sempre di attrarre attenzione su sé, cerca il proprio benessere, la propria soddisfazione. Ha bisogno che sia contraccambiato. Anche quando pensa di voler bene agli altri, in realtà ha come scopo far stare bene se stessi. L’amore di Dio no. Il suo è un voler bene che ha come unico scopo il bene altrui, la felicità del fratello. È quello che durante la Settimana Santa chiamavamo “l’amore gratuito”, cioè donato senza aspettarsi nulla e rivolto anche a chi lo rifiuta e non se lo merita, come insegna Gesù con il gesto di lavare i piedi ai discepoli, compresi Giuda che già aveva in cuore di tradirlo , e Pietro, che si oppone con forza. Vivere questo amore ci fa scoprire che esso ci fa ottenere quella felicità che tante volte noi ci sforziamo di trovare nel voler bene a sé ma che invece nasce solo dal voler bene agli altri: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Concludendo, fratelli e sorelle, oggi la Scrittura ci esorta a non cercare la nostra felicità là dove non c’è, nel voler essere amati e considerati dagli altri, ma piuttosto lì dove Gesù ce la indica, cioè nel voler noi per primi e senza limiti e condizioni bene agli altri. Scopriremo che i muri che ci dividono vengono giù, le antipatie, le incompatibilità, le divergenze, si sciolgono in uno spirito di generosa benevolenza. È la scoperta che ci prepariamo a vivere con particolare intensità e pienezza a Pentecoste, appuntamento con lo Spirito Santo a cui vogliamo prepararci fin da ora, perché l’amore di Dio che come fiamma illumina e scalda i cuori trovi accoglienza in noi che, come discepoli fedeli, non ci accontentiamo di voler bene come sappiamo e come ci viene spontaneo, ma vogliamo imparare da Lui a vivere la pienezza dell’amore di Dio, unica fonte di gioia vera e pienezza di vita.



Preghiere



O Padre di eterna bontà che mandi il tuo Spirito su di noi, perdonaci quando non accogliamo il tuo amore con animo grato e pronto a restituirlo ai fratelli e alle sorelle,

Noi ti preghiamo



Signore Gesù che ti fai trovare da chi ti cerca, aiutaci nel cammino che ci porta verso di te. Sostienici quando ci sentiamo scoraggiati o tristi, consola chi è nello sconforto.

Noi ti preghiamo



Padre buono, ti preghiamo per quanti non hanno ancora ascoltato l’annuncio del Vangelo. Fa’ che presto tanti scoprano con gioia la bellezza di essere adottati da te come figli.

Noi ti preghiamo



Signore Gesù, fa’ che sappiamo testimoniare al mondo il tuo amore. Aiutaci a non essere freddi e insensibili, ma a farci vicini a tutti quelli che ne hanno bisogno

Noi ti preghiamo



Ti preghiamo o Signore Gesù per il mondo intero. Dona presto ai suoi abitanti pace e sicurezza, placa le guerre e ispira sentimenti di riconciliazione in tutti gli uomini,

Noi ti preghiamo



Gesù che sei stato profugo in Egitto quando la minaccia di morte pendeva sul tuo capo, proteggi quanti affrontano viaggi lunghi e pericolosi per sfuggire dalla violenza e dalla miseria. Fa’ che tutti trovino accoglienza.

Noi ti preghiamo.



Padre misericordioso ti preghiamo per la gioia e la salute di tutti gli uomini. Guarisci gli ammalati, consola gli afflitti, libera chi è schiavo dell’odio e del rancore.

Noi ti preghiamo



In attesa della pentecoste ti preghiamo oggi o Signore di donarci il tuo Spirito santo perché i nostri cuori siano caldi e gli occhi aperti davanti al bisogno di amore di tanti.

Noi ti preghiamo

domenica 6 maggio 2012

V domenica del tempo di Pasqua




Dagli Atti degli Apostoli 9, 26-31

In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.



Salmo 21 - A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.

A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.

Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».


Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 3, 18-24

Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.



Alleluia, alleluia alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore;
chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia, alleluia alleluia.



Dal vangelo secondo Giovanni 15, 1-8

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».



Commento

L'evangelista Giovanni, a differenza degli altri tre, ci riporta il lungo discorso che Gesù rivolge agli apostoli durante quell’incontro intenso e commovente che è l'ultima cena. È un momento decisivo. Gesù sa che sta per essere catturato e messo a morte e sa anche che i discepoli saranno spaventati e disorientati, tentati dalla dispersione. Per questo si dilunga a parlare con loro, per lasciare ai suoi amici quel lungo testamento spirituale, di cui oggi abbiamo ascoltato il passaggio in cui Gesù parla di se stesso come una vite e dei discepoli come i suoi tralci. È un’immagine bella, piena di significati, ed è un chiaro esempio del modo di parlare di Gesù. Egli infatti usava le immagini della vita concreta di cui facevano esperienza i suoi ascoltatori, proprio per dire che il suo insegnamento non era una dottrina astratta, ma qualcosa che doveva diventare vita concreta. Per questo la gente che lo ascoltava aveva fiducia nella sua parola e l’accoglieva come autorevole e vera.

La prima cosa da sottolineare è che Gesù afferma che c'è bisogno di un legame concreto e visibile, reale con il Signore perche un uomo e una donna possa dirsi un discepolo, come il legame che unisce un ramo al suo tronco. Non basta avere buoni sentimenti, sentirsi vicini, avere un senso di appartenenza o di identità, essere simpatizzante. Non basta un’adesione intellettuale, dirsi convinti. Per questo abbiamo bisogno di venire qui la domenica: esserci, fisicamente e col cuore, è la condizione minima per dirsi cristiani, discepoli del Signore. Non ha senso dire, come si usa, che uno è cristiano "non praticante": per poter essere cristiani bisogna restare uniti al tronco del Signore, fisicamente, materialmente, anima e corpo, e non solo idealmente. Infatti anche il ramo di un albero una volta staccato resta un ramo, ma è morto. Oggi è comune dirsi cristiani, ma senza avere un legame concreto e costante con la comunità dei cristiani. Anzi alcuni in nome del loro forte senso di appartenenza pretendono di difendere il cristianesimo facendo vere e proprie crociate, senza avere un reale rapporto con 1a chiesa nella loro vita. E’ una falsità, in realtà chi fa così è un ramo secco, un tralcio staccato dal tronco che, come dice il vangelo, è buono solo ad essere preso e bruciato, almeno così serve a qualcosa. Né si può pensare che un ramo una volta staccato si può riattaccare quando lo desidera, come se tutto dipendesse solo dalla propria volontà. Per essere attaccato al tronco bisogna rinascere come un piccolo germoglio e poi, piano piano, si può ricrescere per tornare ad essere un tralcio della vite.

"Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi chiedete quel che volete e vi sarà dato". Sì, c'e un potere del discepolo che viene dall'essere ancorati al Signore, dal ricevere e conservare le parole del vangelo, perché rimangano in noi. Le parole del vangelo sono come la linfa che scorre dalla radice fino alla punto dell’ultimo tralcio. È la stessa linfa, lo stesso spirito vitale che unisce noi, ultimi arrivati, alla radice antica del vangelo che è l’amore di Dio fin dalla creazione dell’uomo, attraverso il tronco che è la vita di Gesù stesso. Ma per ascoltarlo bisogna esserci! Dalla partecipazione alla mensa domenicale, tavola in cui ci nutriamo tanto delle parole di Dio che del corpo di Cristo, nasce la vita cristiana, si alimenta e cresce, sennò muore. L’una e l’altra sono indispensabili!

Un tralcio infatti ha senso e valore se porta frutto. E questo il secondo aspetto su cui vogliamo oggi porre attenzione. Infatti la bellezza della vite è nel suo frutto. Dall'uva si ricava il vino, bevanda buona, simbolo della felicità e della convivialità, scelta, non a caso, dal Signore per essere trasformata nel suo sangue. Bevanda scelta da Gesù per fare il suo primo miracolo a Cana di Galilea durante le nozze a cui fu invitato con Maria e i discepoli. Per essere discepoli, cioè cristiani, non basta allora che noi, come tralci, restiamo attaccati alla pianta, legati alla comunità dei credenti che ascoltano il vangelo e partecipano alla mensa. No, bisogna anche portare frutti. Lo scopo infatti del restare attaccati al tronco è per il tralcio non solo quello di mantenere in vita sé, ma di dare frutto per gli altri, perché anche la loro esistenza ne tragga giovamento. Questo vuol dire, cari fratelli e care sorelle, che la fede, quando c'e, si vede: ha il colore e il sapore di frutti maturi. Se un uomo o una donna sono in tutto e per tutto uguali a tutti: un po' egoista, abbastanza arrivista e desideroso di arricchirsi, sentimentale e lacrimoso quando ci vuole, attento a non farsi coinvolgere in cose che non lo riguardano, ecc... allora difficilmente in quell’uomo c'e fede. Se le parole che diciamo sono solo per ricavarne attenzione e vantaggi per sé, se non le usiamo per dire bene di qualcuno, per lenire le sofferenze altrui, per incoraggiare ed esprimere amicizia; se siamo avari di gesti umani e fraterni, di impegno per gli altri, allora, fratelli e sorelle, poniamoci seriamente il problema della nostra fede. Forse c’è, ma è arida come un ramo che si è staccato dal tronco, e c’è bisogno che rinasca dalla linfa del Vangelo. Cioè non basta sentirsi molto credenti, avere tanto fervore e sentimenti nel cuore, la fede è qualcosa di più, è cuore che si fa vita e frutti per altri. La fede è fatta anche di sentimenti, certamente, ma che si concretizzano in gesti

Dalla pienezza del cuore nascono parole, azioni, impegno per gli altri, generosità, altruismo, solidarietà, gesti buoni. Se tutto questo non c'è, vuol dire che il cuore è vuoto di fede, anche se noi lo sentiamo ricolmo di chissà quali e quanti sentimenti. "Ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto" L'assenza di frutti, cioè di una fede che si fa vita concreta, porta a rendere inutile il ramo, anche se resta attaccato, perche è secco al suo interno. Se invece un ramo porta frutto, il contadino saggio che è Dio lo pota perche porti ancora più abbondante e buon frutto.

Si, se vogliamo che la nostra vita dia frutti, che la nostra sia fede vera e non solo sentimentalismo, lasciamoci potare dal Signore. Lasciamoci togliere le amarezze di una vita scontenta e pessimista; lasciamoci portare via lo sguardo sempre rivolto su di noi, pronto a rilevare i presunti torti subiti; lasciamoci potare dell’amore per noi stessi, dell’egoismo, dall’indifferenza, dall’orgoglio. Non è doloroso né un sacrificio, è la scoperta che si può essere uomini e donne vere, i cui sentimenti abbiano il sapore e il colore di frutti buoni prodotti e regalati con generosità per il nutrimento di tanti.



Preghiere



Ti preghiamo o Signore perché sappiamo restare uniti a te come tralci di una unica vite. Perdona il nostro istinto a isolarci e separarci da te per disperderci nei sentieri del nostro individualismo.

Noi ti preghiamo



O Padre, ispiraci le opere buone perché noi le compiamo. Fa’ che viviamo una vita ricca di buoni frutti e piena di misericordia e di pietà per il debole.

Noi ti preghiamo



O Signore Gesù che hai dato tutto te stesso per la salvezza del mondo, ti preghiamo perché sappiamo imitarti e usare il nostro tempo e le nostre risorse per fare il bene.

Noi ti preghiamo



Cristo Gesù, tu che hai sempre vissuto in unità con il Padre, insegnaci a restare fedeli all’amicizia che per primo ci hai dimostrato. Aiutaci a non credere di poter fare a meno di te e a vivere con gratitudine per i doni ricevuti da te.

Noi ti preghiamo



Padre santo, ti preghiamo per tutti coloro che ti invocano nel mondo: per i malati e i sofferenti; per i prigionieri e le vittime della violenza; per chi è solo e disperato, per i nemici del Vangelo.

Noi ti preghiamo



O Cristo che ci hai annunciato che non ci avresti lasciato soli, manda presto il tuo Spirito su di noi e su tutto il mondo, perché i cuori siano scaldati e gli occhi aperti a guardare la bellezza delle tue opere.

Noi ti preghiamo



O Signore Gesù che torni a parlarci con amore, fa’ che ti ascoltiamo sempre con cuore aperto, perché la linfa del vangelo entri in noi e nutra ogni nostro giorno.

Noi ti preghiamo



Guida e proteggi o Padre buono tutti gli uomini che nel mondo ti seguono. Benedici lo sforzo di quanti si affidano a te e annunciano il tuo amore,

Noi ti preghiamo

IV domenica del tempo di Pasqua




Dagli Atti degli Apostoli 4, 8-12

In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».



Salmo 117 - Benedetto colui che viene nel nome del Signore

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.


È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.
Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.


La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.


Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.



Dalla prima lettera di san Giovanni Apostolo Gv 3,1-2

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.



Alleluia, alleluia, alleluia.
Io sono il buon pastore, dice il Signore;
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
Alleluia, alleluia, alleluia.



Dal vangelo secondo Giovanni 10, 11-21

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. Molti di essi dicevano: "Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?". Altri invece dicevano: "Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?".



Commento

Cari fratelli e care sorelle, ci siamo oggi radunati in tanti in questa casa del Signore per accompagnare questi nostri fratelli e sorelle più piccoli al loro primo incontro con Gesù nel suo Corpo e Sangue. Siamo felici di farlo con festa, perché è un momento importante per loro nel cammino della vita. Nell’incontro con cui ci siamo preparati a questa giornata, sabato scorso, abbiamo parlato di Gesù che torna dopo la sua resurrezione per incontrare i suoi amici, li trova riuniti in casa e chiusi dentro per paura, ma essi fanno fatica a riconoscerlo, anzi sono spaventati da lui, come se fosse un fantasma.

Gesù poco tempo prima, quando sapeva che stava per lasciare i suoi per andare incontro alla morte, volle riunirli per un’ultima volta attorno alla tavola. E quando si ritrovarono insieme lasciò loro un segno concreto della sua presenza, perché potessero sempre tornare a stare assieme fra di loro e con lui. Non lasciò loro un segno che ciascuno si poteva portare con sé per ricordarsi di lui, come una foto ingiallita dal tempo da guardare con nostalgia da soli per ricordare Gesù e il tempo felice passato con lui. No, lasciò loro molto di più: il suo corpo stesso, perché radunandosi potessero di nuovo ritrovarsi in compagnia del loro Maestro, come un popolo unito attorno a lui. Gesù infatti sapeva che se si fossero dispersi, ognuno a casa sua e ognuno preso dalle sue occupazioni si sarebbero presto dimenticati di lui e del vangelo. E infatti dopo risorto Gesù torna e li trova riuniti. Questa è la fortuna dei discepoli: sono rimasti assieme, anche dopo la morte di Gesù e per questo hanno avuto la possibilità di rincontrarlo e ricevere da lui la forza di annunciare al mondo il Vangelo.

Nel brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato Gesù si paragona ad un pastore che ci invita a far parte del suo gregge e a seguirlo. L’idea di far parte di un gregge non attrae noi uomini moderni, perché siamo orgogliosi del nostro senso di indipendenza ed autosufficienza. Perché deve essere qualcun altro a guidarci? Perché dovremmo accettare la presenza di tanti accanto a noi, in una folla nella quale restiamo confusi? L’uomo e la donna di oggi spesso pensano che sia un valore l’essere indipendenti da vincoli troppo stretti, decidere in base solo al proprio personale modo di essere e di pensare. Ma siamo sicuri che è questa la vera felicità? Non rischiamo di rinchiuderci in una prigione senza porte né finestre, padroni di noi stessi e del nostro futuro, ma schiavi della solitudine più totale? E quando siamo da soli è facile che i lupi, di cui parla Gesù, ci attacchino e abbiano la meglio su di noi. Se non c’è un pastore buono a difenderci, chi ci salverà da essi? E i lupi sono le idee che tante volte, specialmente in questo tempo di crisi economica, ci vengono suggerite: pensa a te stesso; cerca innanzitutto il tuo vantaggio, anche a discapito degli altri; fa’ come ti viene spontaneo e naturale. Sono i pensieri della pecora dispersa, che se ne sta per conto suo e che per questo è vittima facile della forza di queste idee di vita. E’ facile riconoscere queste idee, perché, quasi sempre sono accompagnate dalla domanda: “che male c’è?” o “chi me lo fa’ fare?”, che sono domande false, perché affinché la nostra vita sia felice dobbiamo chiederci “qual è il bene e come possiamo farlo”, e questa è la domanda che si fa il pastore buono che si preoccupa del bene del suo gregge e non di cosa conviene a lui. Ma se siamo uniti, sotto la guida e con la forza del pastore, questi lupi rapaci che ci vogliono sbranare sono scacciati e noi siamo salvi.

Ed ecco che la comunione che oggi questi nostri giovani amici riceveranno ci raccoglie di nuovo come un popolo, e ogni domenica continua a farlo. Almeno una volta a settimana, ci dice Gesù oggi, ricordatevi che esistono gli altri, che assieme siamo un unico popolo e che lui è un pastore buono pronto a condurci su pascoli buoni, a difenderci dai lupi rapaci che ci minacciano, a consolarci quando siamo tristi, a guarirci dalle ferite dell’orgoglio e dell’egoismo che spesso da noi stessi ci facciamo con gli artigli. A volte cari amici, qualcuno vi dirà: “ma che bisogno c’è di andare in chiesa, non potete pregare Dio a casa, per conto vostro?” Oppure: “io a Dio ci credo per conto mio, quando voglio e come voglio, non ho bisogno di pregarlo insieme ad altri”. Quelli che parlano così  seguono se stessi e non il pastore, credono in un Dio che si costruiscono da soli e non in quello che è venuto sulla terra per salvarci dal male e insegnarci un voler bene che è forte più della morte. E prima o dopo i lupi li attaccheranno e si troveranno da soli, feriti dalla vita e senza più sapere dove andare per trovare il nutrimento buono. Gesù ci parla di un gregge perché sa che da soli siamo più deboli e vittime dei lupi e per questo fa di tutto per invitarci a raccoglierci attorno a lui, insieme, uniti fra di noi e felici di ascoltarlo assieme.

Sì, questo nostro esserci radunati non è solo un momento passeggero, può essere la dimensione quotidiana della nostra vita, con i fratelli accanto, con un senso di tenerezza e affetto per quelli che accompagniamo, disponibili a farci condurre senza resistere. È questo il di più che Gesù oggi ci offre, ancora una volta, non rifiutiamolo sprezzanti, perché la solitudine della prigione del mio io nel quale ci rinchiudiamo orgogliosamente autosufficienti non sia il nostro destino, ma ci apriamo piuttosto alla dimensione larga del popolo che il pastore buono della nostra vita raduna attorno a sé.

            

Preghiere

O Signore, ti preghiamo, aiutaci ad essere interessati alla tua Parola e a non essere distratti da niente altro,

Noi ti preghiamo

O Gesù che sei il salvatore del mondo, aiutaci a soccorrere i poveri, stare vicino ai malati e compiere i gesti di amore di cui gli altri hanno bisogno,

Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Signore perché ci sei sempre vicino. Aiutaci ad accoglierti nella nostra vita.

Noi ti preghiamo

O Signore che sei morto sulla croce per noi, aiutaci a vivere sempre in comunione con te

Noi ti preghiamo

Ti vogliamo ringraziare oggi, o Signore, per il dono del tuo corpo che ci dà forza e sicurezza,

Noi ti preghiamo

O Signore rendici degni di partecipare alla tua mensa, cioè di essere come una famiglia di amici che si vogliono bene,

Noi ti preghiamo.

Grazie Signore che ci fai rendere conto di quanto sei importante e che resti per sempre in mezzo a noi,

Noi ti preghiamo

O Signore aiutaci a considerare l’umanità come un grande popolo riunito, in modo da amarci l’uno con l’altro nei momenti difficili.

Noi ti preghiamo