domenica 30 settembre 2012

XXVI domenica del tempo ordinario - 30 settembre 2012


 

Dal libro dei Numeri 11, 25-29

In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani; quando lo spirito si fu posato su di loro, quelli profetizzarono, ma non lo fecero più in seguito. Ma erano rimasti due uomini nell'accampamento, uno chiamato Eldad e l'altro Medad. E lo spirito si posò su di loro; erano fra gli iscritti, ma non erano usciti per andare alla tenda. Si misero a profetizzare nell'accampamento. Un giovane corse ad annunciarlo a Mosè e disse: «Eldad e Medad profetizzano nell'accampamento». Giosuè, figlio di Nun, servitore di Mosè fin dalla sua adolescenza, prese la parola e disse: «Mosè, mio signore, impediscili!». Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».

 
Salmo 18 - I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l'anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Anche il tuo servo ne è illuminato,
per chi li osserva è grande il profitto.
Le inavvertenze, chi le discerne?
Assolvimi dai peccati nascosti.

Anche dall'orgoglio salva il tuo servo
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile,
sarò puro da grave peccato. 

Dalla lettera di san Giacomo apostolo 5, 1-6

Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. Sulla terra avete vissuto in mezzo a piaceri e delizie, e vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.

 
Alleluia, alleluia alleluia.
La tua parola, Signore, è verità;
consacraci nella verità.
Alleluia alleluia alleluia.

 
Dal vangelo secondo Marco 9,38-43.45.47-48

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

 
Commento

Cari fratelli e care sorelle, le letture che abbiamo ascoltato ci parlano dello scandalo: lo scandalo del giovane aiutante di Mosè che vede due uomini profetizzare nell’accampamento degli israeliti; lo scandalo dei discepoli di Gesù perché qualcuno imita il Maestro, facendo quello che lui ha insegnato, pur non essendo della loro cerchia; infine l’evangelista Marco ci riporta le parole di Gesù su cosa lo scandalizza.

Lo scandalo è una reazione forte, di sdegno davanti a qualcosa di molto grave che ferisce la nostra sensibilità. Lo scandalo suscita la protesta ed esige che si ponga al più presto fine a quella situazione o comportamento. Pensiamo, in questi giorni, allo scandalo dell’uso, per usare un’espressione delicata, “leggero” del denaro pubblico in un tempo in cui la crisi economica ci chiede restrizioni severe a volte anche per ciò che è essenziale. Tale comportamento irresponsabile, anche se talvolta non trasgredisce nessuna legge, ci suscita scandalo e la giusta richiesta di bloccare simili sperperi.

Lo scandalo dei discepoli, ci racconta il vangelo, è per un uomo che compie miracoli in nome di Gesù, ma non fa parte della loro cerchia. Quell’uomo cioè non compie niente di male, anzi mette in pratica quello che, forse confuso nella folla, ha ascoltato dire da Gesù e lo fa, specificano i discepoli, non per trarne profitto o per suoi scopi personali, ma “nel tuo nome”, cioè proprio nello spirito e con la forza di amore che il nome del Signore suscita. Ma qual è allora il motivo di tanto scandalo? I discepoli sono irritati dal fatto che quell’uomo non appartiene formalmente al loro gruppo, e forse anche perché a lui riesce ciò che, altrove nel vangelo, i discepoli non riescono a fare: “E dalla folla uno gli rispose: “Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto...  Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti” (Mc 9, 17-18). I discepoli si indispettiscono per un problema formale, per la figura che ci facevano, perché quel caso rompeva il loro schema di ruoli, appartenenze e meriti. Questo è più importante del fatto che il miracolo si compia e il male sia vinto.

In modo analogo avviene anche nel campo degli israeliti, dove lo sdegno per due uomini che annunciano la parola di Dio deriva dal fatto che lo facevano fuori dal contesto in cui era normale che ciò avvenisse, cioè la tenda dell’arca.

Questa mentalità è ancora molto forte anche fra di noi. Quante volte il giudizio sui fatti o sui comportamenti si ferma alla superficie del modo in cui sono compiuti,  se rientrano nella normalità, se sono secondo tradizione e senza cozzare con il buon gusto, i ruoli sociali e l’ordine abituale delle cose. Tutto ciò che è fuori da questi limiti dà fastidio ed è da condannare, senza perdere tempo a vedere se è buono o meno. Si esalta il ritualismo delle abitudini e i pregiudizi, positivi o negativi, sulle persone in base a criteri scontati di normalità.

Mosè e Gesù si ribellano a questo giudizio superficiale e ingiusto. “Magari profetizzassero tutti” risponde al giovane scandalizzato Mosè, ce ne sarebbe così bisogno! Chi se ne scandalizza vuol più bene all’ordine abituale delle cose che alla salvezza degli uomini. È quello che spiega più lungamente Gesù ai discepoli così scandalizzati. Il Signore offre una visione larga e ottimistica della vita: “chi non è contro di noi è per noi”, cioè: tutto ciò che vi è di umano, di bello e di buono nel mondo, da qualunque parte provenga, si inserisce nell’ordine divino delle cose, anche se chi lo fa non è cristiano, non è “dei nostri”. È la visione ottimistica e larga del Concilio che h inaugurato un nuovo modo di vedere agli uomini di altre religioni, non come nemici e rivali, ma come fratelli da coinvolgere il più possibile nella costruzione di un mondo più umano. Ma poi Gesù aggiunge che la cosa per la quale bisogna veramente indignarsi è quando un “piccolo” è maltrattato o soffre, questo sì che deve suscitarci sdegno e scandalo, perché vuol dire che nessuno lo aiuta. Gesù rimprovera aspramente i discepoli perché davanti alla scena del miracolo se la prendono con l’unico che ha fatto qualcosa di buono, e non con tutti gli altri che, presenti alla scena, non fanno nulla per aiutare quell’uomo oppresso dal male e sanno solo criticare e giudicare, restando indifferenti al dolore. È quello che capita spesso, quando davanti ai poveri si preferisce criticarli, accusandoli di essere importuni e magari colpevoli della loro stessa situazione, piuttosto che interessarsi di persona per provare a risolvere quei problemi. Oppure quando si emettono giudizi affrettati e tranchant  su chi fa qualcosa, magari anche sbagliando, dall’alto del proprio non sbagliare, perché non si fa nulla.

Per Gesù chi fa qualcosa per l’altro nel bisogno è giustificato anche se sbaglia, come afferma anche Paolo: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno” (2Tm 4,2).  Certo, chi annuncia il vangelo con insistenza e spesso potrà anche rischiare di cogliere il momento non adatto, ma è un rischio che vale la pena correre, pur di far risuonare la Parola di Dio nella vita dei fratelli.

Gesù conclude il suo discorso sul vero scandalo invitando gli apostoli a fare attenzione alle loro reazioni istintive e ad allontanare da sé tutto ciò che li porta a giudicare in modo affrettato e superficiale. Piuttosto che scandalizzarsi perché il bene è compiuto, dice Gesù, meglio rinunciare a una parte di sé che riteniamo magari connaturata e intima, come un braccio o un occhio, a cui siamo legati dall’affetto spontaneo per tutto ciò che fa parte di noi, come una gamba o una mano. Sì, a nulla vale giustificarsi dicendo che questo è il nostro carattere o il modo con cui reagiamo naturalmente, se poi questo ci porta a perdere la vita dietro ai giudizi malevoli e al rifiuto di uscire da schemi e ruoli tollerando che il male si espanda.

Tagliamo senza indugio né pietà tutto ciò che nel nostro modo di pensare e agire scandalizza il piccolo, cioè lo lascia solo e in balìa del male, anche se ci costa e fa soffrire. Impareremo così a gioire del bene che si fa anche fuori dai modi normali e, soprattutto, ci sentiremo responsabili perché né io né nessun altro rimanga indifferente e inattivo davanti al bisogno di un fratello o di una sorella. Sì, perché sarebbe uno scandalo troppo grande per Dio e su questo saremmo giudicati.

 
Preghiere
 

O Signore Gesù, ti ringraziamo perché ci insegni a scandalizzarci per la forza del male e a non accettarlo come normale. Aiutaci a non restare mai indifferenti,

Noi ti preghiamo
 

O Dio che ami gli uomini con immensa bontà, fa’ che sappiamo fermarci davanti ai piccoli perché nessuno sia scandalizzato dalla nostra durezza di cuore e indifferenza,

Noi ti preghiamo

 
Aiuta o Padre tutti coloro che sono nel bisogno, perché ovunque nel mondo il tuo nome sia glorificato e amato come il consolatore dell’afflitto e  il sostegno del povero,

Noi ti preghiamo


Sostienici o Signore Gesù perché con generosità aiutiamo chi è nel bisogno e non ci tiriamo indietro. Fa’ che in questo tempo di crisi economica i deboli non soffrano ancora di più ma vengano aiutati secondo giustizia,

Noi ti preghiamo

 
Proteggi e dona forza a tutti coloro che annunciano il Vangelo e testimoniano il tuo amore nel mondo. Fa’ che la loro vita sia di aiuto per chi cerca la pace e la giustizia,

Noi ti preghiamo

 
Ti preghiamo o Signore per la nostra città ed i suoi abitanti, perché sia un luogo in cui i più piccoli crescano circondati dall’affetto della famiglia e dall’esempio cristiano di chi gli è accanto,

Noi ti preghiamo.

mercoledì 26 settembre 2012

Preghiera del 25 settembre 2012


Os 11, 1-9

Quando Israele era fanciullo,
io l'ho amato
e dall'Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo,
più si allontanavano da me;
immolavano vittime ai Baal,
agli idoli bruciavano incensi.
A Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d'amore,
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia,
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare.
Non ritornerà al paese d'Egitto,
ma Assur sarà il suo re,
perché non hanno voluto convertirsi.
La spada farà strage nelle loro città,
spaccherà la spranga di difesa,
l'annienterà al di là dei loro progetti.
Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto,
nessuno sa sollevare lo sguardo.
Come potrei abbandonarti, Èfraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Adma,
ridurti allo stato di Seboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
Non darò sfogo all'ardore della mia ira,
non tornerò a distruggere Èfraim,
perché sono Dio e non uomo;
sono il Santo in mezzo a te
e non verrò da te nella mia ira.

 È il canto struggente di Dio per il suo popolo. Il Signore si rivolge ad Israele addolorato e tradito dalla sua gente che preferisce il culto degli idoli, piuttosto che l’amicizia con lui. Eppure le prove del suo amore sono state tante:  le ricorda, un po’ per rivendicarle davanti al popolo, un po’ con un senso di nostalgia per un tempo in cui Israele-bambino ancora sentiva bisogno di lui e si attaccava alla sua mano che lo sosteneva e lo nutriva.

Le parole del Signore sembrano quasi il lamento della madre sulla tomba del figlio. Sì Israele ha scelto per gli idoli morti, legno e metallo a cui si affida ricevendone, in ricambio, la morte spirituale e la schiavitù. Il culto degli idoli li porta infatti a soccombere sotto il dominio di un nuovo padrone: Dio li aveva liberati dall’Egitto, ma ora si gettano sotto la signoria di Assur: “Non ritornerà al Pese di Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi. La spada farà strage nelle loro città, spaccherà la spranga di difesa, l’annienterà al di là dei loro progetti”.

Cari fratelli e care sorelle, all’inizio di un nuovo anno in compagnia del Signore, della sua Parola appassionata e materna, egli si rivolge a noi con espressioni di tenerezza e affetto. Ci ricorda l’amore con cui ci ama e la sollecitudine con cui ci assiste amorevolmente. Eppure, quanto è facile preferire al suo amore il culto agli idoli? Essi sono docili, si piegano alle nostre esigenze, e ci rendono docili schiavi affezionati alle catene e insensibile al pericolo di morirne. Pensiamo all’idolo delle abitudini a cui sacrifichiamo volentieri la nostra libertà: ho sempre fatto così, è normale pensare questo, mi viene spontaneo essere in questo modo. L’abitudine è un idolo affascinante e dall’aspetto accattivante. Ci attira perché sembra inoffensivo, anzi quasi protettivo nella sua bonaria semplicità. Eppure esso mangia la nostra vita, sottraendoci la libertà di scegliere secondo il Vangelo e non secondo il suo volere. È un certo modo di pensare se stessi, i propri rapporti con gli altri, con i familiari, con le cose, di reagire istintivamente, ecc…

Ma poi c’è l’idolo del proprio benessere psico-fisico, a cui sacrifichiamo energie, forze e risorse. Per sentirsi rassicurati, voluti bene, ammirati, approvati, anche un po’ invidiati si asseconda quello che crediamo ci si aspetti da noi, si evita di apparire diversi o strani, ci si sforza di conformarsi al modo di pensare e di vivere di tutti.

Eppure questi idoli conducono alla schiavitù e alla morte della nostra interiorità, luogo dell’incontro con Dio e con i fratelli. Gli idoli ci assecondano, ci seguono nei nostri capricci e umori, rassicuranti e docili.

Davanti a questa realtà il Signore invita a sollevare lo sguardo da sé: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guadare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo”. Gli idoli ci rendono egocentrici perché in ultima analisi il re degli idoli e quello a cui tutti fanno riferimento è il mio io. Di lui mi fido, di lui mi compiaccio, a lui guardo sempre e rivolgo attenzioni e cure. Lui difendo da tutti e tutto, lui cerco di accrescere e rafforzare.

Dio ci propone di liberarci dalla schiavitù dell’idolo-io alzando lo sguardo da sé. Sì, se solleviamo lo sguardo incontriamo quello del fratello che ci strappa dal culto dell’io e rompe le catene dell’egocentrismo. Incontriamo gli occhi di Dio che non riesce a fare a meno di volerci bene. “Come potrei abbandonarti? … Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione … perché sono Dio e non uomo.” Dio confessa tutta la debolezza della sua forza d’amore: non riesce a disprezzarci e ad abbandonarci.

È il mistero di una paternità e maternità divina che oggi, alla soglia di questo nuovo anno che si apre, vogliamo contemplare come il mistero che ci salva. Mistero di un amore immeritato, insistente e tenace oltre ogni ragionevolezza, ma che non sopporta di vederci schiavi degli idoli e votati alla morte.

Lasciamoci sedurre da un Dio così compassionevole e buono, stacchiamoci dagli idoli a cui facciamo continuamente riferimento, e ci troveremo accolti dalle braccia di un padre così affettuoso che non si stanca di aspettarci.

lunedì 24 settembre 2012

XXV domenica del tempo ordinario - 25 settembre 2012


Dal libro della Sapienza 2, 12.17-20

Dissero gli empi: «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l'educazione ricevuta. Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine. Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione. Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

 

Salmo 53 - Il Signore sostiene la mia vita.
Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio alle parole della mia bocca.

Poiché stranieri contro di me sono insorti
e prepotenti insidiano la mia vita;
non pongono Dio davanti ai loro occhi.

Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono.


Dalla lettera di san Giacomo apostolo 3,16-4,3

Fratelli miei, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall'alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia. Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo,
a possedere la gloria di Cristo.
Alleluia alleluia alleluia.

 

Dal vangelo secondo Marco 9, 30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, Gesù attraversava la Galilea assieme ai suoi discepoli e nel corso di quel viaggio, forse spinto dall’intimità di un momento in cui nessuno li vedeva e ascoltava, apre il suo cuore ai dodici e rivela loro quello che accadrà a Gerusalemme. Il Signore però non lo fa in modo vittimista, per farsi compatire o per suscitare nei dodici una reazione sdegnata e bellicosa. Infatti egli sì, parla della sua passione e morte, ma non tace il fatto che dopo tre giorni sarebbe risorto. Che prospettiva straordinaria! Infatti, se da un lato era abbastanza prevedibile che Gesù avrebbe subito una persecuzione da parte dei suoi avversari, il fatto veramente straordinario era la profezia di quella vittoria sulla morte dopo tre giorni. I discepoli però sembrano non rendersi conto di quanto Gesù dice loro. Afferma il Vangelo che non capiscono e non chiedono: “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo”. I loro cuori sono spaventati dalla novità di un annuncio così straordinario e preferiscono chiudersi su se stessi, in un modo impenetrabile e indurito, tanto che nemmeno riescono ad avere parole e sentimenti di pietà o di consolazione per le sofferenze che Gesù si aspetta di subire.

Questa reazione ci stupisce e forse un po’ ci indigna: che razza di amici di Gesù sono? Eppure, se pensiamo alle nostre reazioni e sentimenti, questo non è forse anche il nostro modo normale di reagire? Il Vangelo che ascoltiamo ogni domenica infatti contiene sempre in sé un annuncio di resurrezione, non come un fatto astratto ma legato alla vita nostra e del mondo. La Parola di Dio ci indica sempre un prospettiva di vita che vince la morte, di bene che vince il male, di amore che vince l’odio, di perdono che vince il peccato. Quella misericordia e quella bontà che Gesù vive in ogni momento della sua vita con gli uomini è una profezia che afferma che oltre il male, il dolore, la malattia e l’ingiustizia che sembrano incombere sull’uomo senza lasciargli via di scampo c’è una forza più forte e una vita che non finisce che viene donata a chi si affida al modo di vivere così fuori dal comune del Vangelo e di Gesù. Pensiamo, solo per fare un esempio, alle Beatitudini, o al giudizio di Matteo 25: “quello che avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me”.

Come reagiamo noi a questo annuncio? Ci spaventiamo, e ragioniamo dentro di noi: “sarebbe bello se fosse possibile, ma è pericoloso rischiare di vivere così”. Perdonare settanta volte sette, o porgere l’altra guancia, non vuol dire mettersi in balia degli altri? Donare tutto, certi che riceveremo il centuplo, non è una rischiosa imprudenza? E così via. Lo spavento che ci suscitano simili prospettive ci fa’ chiudere il cuore, e allora non solo non capiamo più il senso di quelle parole, ma nemmeno riusciamo più a provare pietà e compassione, perché non trovano oramai posto in un cuore indurito e freddo. Sì, i cuori spaventati rendono le persone disumane e incapaci di speranza, perché chi ha paura non sa vedere nel futuro prospettive diverse dal presente, quelle visioni che invece il Vangelo ci propone così abbondantemente.

Ma cuori spaventati e induriti non solo sono sordi al Vangelo e insensibili al dolore, ma innescano anche meccanismi di sopraffazione ed il desiderio, così spontaneo in noi, di prevalere sugli altri. Chi ha paura cerca posizioni di forza da cui dominare gli altri e sentirsi così al sicuro. I discepoli infatti dopo essersi spaventati per quelle parole di Gesù si misero a fare la gara su chi di loro era più importante e più grande, dimostrando non solo di non considerare per niente l’esempio e gli insegnamenti di Gesù, ma di aver ormai preso una strada diametralmente opposta a quella del loro maestro.

Stiamo attenti dunque a restare col cuore spaventato e sordi all’annuncio della resurrezione che il Vangelo ci fa così spesso, perché è una scelta pericolosa e dalle conseguenze gravi, ci rende schiavi delle mentalità competitive e di sopraffazione del mondo.

Ci chiediamo allora, davanti a questo episodio così emblematico anche del nostro modo di essere, come vincere la paura istintiva di vivere il Vangelo?

Si potrebbe pensare che bisognerebbe diventare più coraggiosi, imparare a disprezzare i pericoli con animo eroico. Roba insomma da persone speciali.

Gesù però a quella reazione così disumana dei suoi discepoli, ai quali aveva aperto il cuore sperando forse di riceverne consolazione e di infondere in loro fiducia, non reagisce rimproverandoli duramente o esortandoli a essere più coraggiosi. Egli invece propone di rivestirsi di una forza diversa da quella del mondo, di essere grandi e potenti, ma non come fanno tutti: “Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti”. All’alternativa che il mondo ci pone: “essere deboli e soccombere o essere forti e dominare” risponde con una terza possibilità: essere forti, sì, ma delle forza dell’amore, che il mondo non possiede ma che Dio può donarci. Mentre dice queste parole Gesù chiama un bambino e lo abbraccia, aggiungendo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Gesù cioè indica la strada della  tenerezza per chi è debole, come un bimbo, e dell’affetto protettivo per la sua fragilità, e questo non come un’astratta teoria, ma nella pratica di un caloroso abbraccio. Cioè per vincere la paura che rende disumani e sordi al Vangelo, dice il Signore, non serve a nulla corazzarsi di forza e rinchiudersi in sé, piuttosto bisogna imparare a voler bene, partendo dai più piccoli e deboli, in concreto e con gesti di tenerezza e affetto protettivo. Questo atteggiamento ci rende capaci di non chiuderci al Vangelo di Gesù ma di accoglierlo, e con esso di ricevere i doni tutti interi dello Spirito di Dio che è amore, misericordia e bontà, fonte della vita che non finisce e della forza che non è sconfitta dal male.

Fratelli e sorelle, stiamo attenti alle nostre reazioni istintive, spaventate o solo abitudinarie, che attenuano la forza della novità del vangelo, annacquandola nella banalità o spegnendone lo Spirito nella freddezza preoccupata solo di sé.

Come ci invita Gesù fermiamoci davanti al povero e al debole, abbracciamolo teneramente con la nostra cura affettuosa e il nostro cuore tornerà ad ascoltare quell’annuncio di speranza e di fiducia di una vita più forte della morte, di un bene che supera e sconfigge ogni male, di un futuro di felicità che Dio prepara per chi è pronto ad accoglierlo e ad ascoltarlo.

 

Preghiere

 

O Signore Gesù che ci indichi la resurrezione che vince la morte e il male e ci doni la possibilità di essere anche noi partecipi della sua forza invincibile, aiutaci a non rifiutare spaventati di accoglierla, ma di divenire tuoi discepoli e imitatori,

Noi ti preghiamo

 

Aiutaci o Signore ad imparare l’amore per i piccoli che vince la paura di essere sopraffatti e di rimetterci. Fa’ che seguendo il tuo esempio abbracciamo col calore del nostro affetto chi è debole e nel bisogno,

Noi ti preghiamo

 

Sostieni o Dio del cielo tutti coloro che operano per la pace e la giustizia, perché nel mondo prevalga la riconciliazione sull’odio, il perdono sulla vendetta e il bene sul male,

Noi ti preghiamo

 

Sostieni e proteggi o Padre misericordioso tutti quelli che sono nel bisogno: i poveri, i malati, gli anziani, chi è senza casa, chi vive nel pericolo ed è minacciato dalla violenza e dalla guerra. Fa’ che la vicinanza dei fratelli e la consolazione del tuo Spirito vincano ogni male,

Noi ti preghiamo

 

Dona o Signore Gesù anche a noi tuoi discepoli uno spirito mite e umile, perché non cerchiamo di imporre noi stessi e di dominare sugli altri, ma con spirito di servizio ci preoccupiamo che ciascuno sia voluto bene e aiutato,

Noi ti preghiamo

 

Perdona o Padre tutti coloro che sono schiavi del male e operano ingiustizie, chi è indifferente al dolore degli altri e preoccupato solo di sé. Guarisci la piaga del vivere solo per sé che avvelena la nostra società e rende meschini gli uomini,

Noi ti preghiamo.

Festa della Santa Croce - 16 settembre 2012


 

Dal libro dei Numeri 21, 4b-9

In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.

 

Salmo 77 - Non dimenticate le opere del Signore! 

Ascolta, popolo mio, la mia legge,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
Aprirò la mia bocca con una parabola,
rievocherò gli enigmi dei tempi antichi.

Quando li uccideva, lo cercavano
e tornavano a rivolgersi a lui,
ricordavano che Dio è la loro roccia
e Dio, l’Altissimo, il loro redentore.

Lo lusingavano con la loro bocca,
ma gli mentivano con la lingua:
il loro cuore non era costante verso di lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.

Ma lui, misericordioso, perdonava la colpa,
invece di distruggere.
Molte volte trattenne la sua ira
e non scatenò il suo furore.


Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Filippési 2, 6-11

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo
perché con la tua croce hai redento il mondo.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Giovanni 3, 13-17

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, oggi celebriamo la festa solenne della Santa Croce, festa che ci tocca in modo particolare perché ad essa è intitolata la nostra chiesa e davanti ad essa siamo chiamati tutte le domeniche ad incontrare il Signore, ascoltare la sua Parola e partecipare al banchetto in cui ci nutriamo del suo corpo e sangue.

La prima lettura della liturgia di questa festa ci ha fatto ascoltare il racconto dal libro dei Numeri circa quello che accadde quando il popolo d’Israele si trovò ad attraversare iln deserto dopo essere stato liberato dal Signore dalla schiavitù in Egitto: “il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero».” Gli israeliti hanno già dimenticato la durezza della schiavitù in Egitto, le loro grida di dolore e la gioia di essere stati liberati dal Signore con segni potenti, come, ad esempio, l’attraversamento del Mar Rosso. Israele rimpiange la schiavitù perché non sopporta le difficoltà della vita libera. In questo esempio, così emblematico, si riassume il significato del peccato degli uomini. Sì, anche noi spesso preferiamo la schiavitù delle abitudini sempre uguali e rassicuranti, o l’essere prigionieri delle convenzioni sociali e del modo di fare e di essere di tutti, pur di non esercitare la libertà di scegliere per il bene in modo autonomo e, spesso, controcorrente. Sappiamo il più delle volte cosa sarebbe giusto fare, ma non lo facciamo, perché si discosta dal senso comune, va contro le consuetudini e chiede di prendere una posizione personale e autonoma che fa fatica. Ed ecco che allora ci conformiamo al modo normale di essere, anche se sappiamo che è sbagliato e contro il desiderio di Dio e il nostro stesso interesse, ma è infinitamente più facile: ci viene spontaneo e non ci costa nessuna fatica.  

Il peccato è sempre una forma di disprezzo per la libertà di scegliere il bene, e accettazione di essere schiavi come tutti, come mostra anche Israele con il suo atteggiamento nel deserto.

Ma scegliere per il peccato non è senza prezzo e conseguenze. Esso infatti ci espone al morso della durezza della vita e al pericolo di perderla, serpenti velenosi e mortiferi. Ci rende più fragili davanti alle realtà difficili, o semplicemente imprevedibili, quali la malattia o le avversità. Ci rende impreparati ad affrontare il male quando ci si propone sotto le forme accattivanti della convenienza. Ad esempio, quanto ci sembra preferibile farci gli affari nostri ed ignorare il bisogno degli altri, ma poi ci ritroviamo da soli e senza risorse quando siamo noi ad aver bisogno di aiuto. Oppure quanto è facile disprezzare la debolezza degli altri, ma poi quando siamo noi ad essere deboli ci sentiamo condannati e senza più speranza. Insomma legarci mani e piedi al modo di pensare del mondo ci solleva dalla difficoltà di dover scegliere ogni volta di vivere come insegna il Vangelo, ma allo stesso tempo ci rende schiavi dei pregiudizi, delle reazioni, dei pensieri che ci rendono infelici e incapaci di rispondere con la libertà che il Signore ci vuole insegnare, che è il suo amore. Sì, Gesù è un uomo veramente libero, perché niente gli impedisce di voler bene. Non ci riescono le lusinghe di Pilato, né le minacce del Sinedrio e della folla.

In questa situazione però il popolo d’Israele ha la forza di reagire e pentirsi. Il pentimento è un attimo di lucidità, come un flash che nel buio di una vita confusa e affannata illumina la realtà per quello che è veramente. Israele capisce l’assurdità del suo rimpianto per la schiavitù e il disprezzo per la libertà che ha espresso a Mosè con rabbia e risentimento.

Il pentimento è una grande arca di salvezza, perché ci ridona la libertà che abbiamo rifiutato preferendo farci schiavi del male. C’è bisogno di tanto in tanto di fermarsi, interrogarsi, non possiamo vivere tutto con scontatezza e banalità, bisogna lasciarsi interrogare dal Vangelo che ci insegna la vera libertà, che è l’amore.

Israele ha bisogno di tornare da Mosè per confessare il proprio peccato, non può trovare da solo la via del ritorno, c’è bisogno di qualcuno che lo guidi: è quello che facciamo tutte le domeniche, quando cominciamo la liturgia con la confessione del nostro peccato. È l’occasione per fermarsi un po’, in mezzo alla fretta della settimana che scorre veloce e affannata, e farsi interrogare dalla parola di Dio su come viviamo, sulle nostre scelte, se abbiamo preferito essere schiavi o liberi come Lui. Da questa sosta nasce il pentimento: è un dubbio, una domanda, il senso che vivere come ci insegna Gesù è infinitamente più bello e felice che farci schiavi del mondo e prigionieri delle sue dure leggi.

Il nostro pentimento nasce davanti alla croce e ci rimette di fronte alla croce. Sì davanti al paradosso di un amore così grande da parte di un Signore che liberamente ha scelto di farsi maltrattare, pur di non rinunciare ad amare, capiamo il grande valore della libertà di voler bene. Libertà enorme, vera ed estrema di chi non sceglie di salvare se stesso, facendosi schiavo della legge della convenienza e dell’egoismo, ma vuole salvare gli altri, liberandosi di ogni paura e incertezza, senza sottomettersi a consuetudini e convenienze, ma cercando solo il bene.

Fratelli e sorelle, non esiste autentico pentimento e conversione se non davanti alla croce, perché in essa c’è il segreto più profondo della libertà che abbiamo rifiutato e la strada per riacquistarla.

Questo è il senso di questa festa, perché sentiamo la forza di liberazione che ci viene da questa croce. Essa dice al mondo: è possibile voler bene fino in fondo, chi lo fa passa in mezzo alle difficoltà, ma la sua vita è salvata e resa vittoriosa sul male, come quella di Gesù. Scegliamo anche noi, come ci invita Gesù, di caricarci della croce dell’amore per gli altri, fino in fondo, senza paura e titubanze, e scopriremo che è un giogo soave, perché è Gesù stesso a portarne il peso maggiore. Altrimenti saremo schiacciati dai piccoli e grandi dolori della vita che non ci daranno più né tregua né speranza. Ogni difficoltà, vissuta nell’angusto orizzonte della ricerca prima di tutto della propria salvezza diventa una montagna invalicabile e un abisso che ci inghiotte. Al contrario non c’è difficoltà né sfida né impresa apparentemente impossibile che, vissuta con lo stesso spirito con cui Gesù si è caricato della croce, non risulti una vittoria gloriosa del bene sul male e un frutto di vita libera e felice per noi e chi ci sta accanto.

 

Preghiere

 

O Signore che sulla croce ci hai dato l’esempio di un amore così grande, aiutaci a imitare te che non ti sei tirato indietro davanti alla difficoltà e al dolore pur di continuare a volerci bene fino alla fine,

Noi ti preghiamo

 

O Signore Gesù, tu che hai donato ogni giorno della tua vita per salvare chi incontravi, insegnaci ad essere anche noi capaci di un amore che non trascura nessuna occasione di voler bene ai fratelli e alle sorelle,

Noi ti preghiamo

 

Dall’alto della croce, o Signore, tu hai perdonato chi ti stava uccidendo. Fa’ che anche noi siamo capaci di gesti di misericordia e sentimenti di perdono, perché il bene vinca sempre e ovunque, anche dove sembra regnare l’odio e il male,

Noi ti preghiamo

 

Accogli anche noi, o Signore Gesù, nella famiglia dei tuoi discepoli nata ai piedi della croce. Rendici capaci di prenderci cura gli uni degli altri come hai chiesto di fare a Maria e Giovanni,

Noi ti preghiamo

 

Dacci la forza o Signore di vincere il timore e l’abitudine, perché seguendo il segno dell’amore senza fine della croce, impariamo anche noi a non cercare la nostra salvezza personale, ma a ricevere la vita che non finisce mentre cerchiamo il bene di tutti,

Noi ti preghiamo

 

Ti ringraziamo o Signore per i testimoni del tuo amore che ancora oggi mettono a repentaglio la loro vita e donano se stessi per la salvezza degli altri. Per i testimoni del Vangelo, per chi vive la fede cristiana nella persecuzione e nelle difficoltà

Noi ti preghiamo.

 

 

Rafforza nel mondo o Signore Gesù l’opera di chi soccorre i crocefissi dall’odio e dalla violenza. Per chi ama e serve i poveri, per chi annuncia il Vangelo, per chi cerca la giustizia e opera per la pace,

Noi ti preghiamo

 

Soccorri o Dio, Padre di eterna bontà, chi è nel dolore e soffre. Tu che hai mandato il tuo figlio per salvarci e gli hai restituito la vita con la resurrezione gloriosa, fa’ che vinca la vita e sia cancellata ogni forma di morte e di dolore ovunque nel mondo,

Noi ti preghiamo

 

XXII domenica del tempo ordinario - 2 settembre 2012


 
Dal libro del Deuteronòmio 4, 1-2. 6-8

Mose parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: "Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente". Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».

 Salmo 14 - Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.
Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l'innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.  

Dalla lettera di san Giacomo apostolo 1, 17-18. 21b-22.27

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c'è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature. Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

 
Alleluia, alleluia alleluia.
il Padre ci ha generati per mezzo
della sua parola di verità,
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Marco 7,1-8.14-15.21-23

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». E diceva ai suoi discepoli: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, in­ganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».


Commento

Cari fratelli e care sorelle, Il libro del Deuteronomio ci fa vedere Dio che nel momento in cui il suo popolo sta per entrare nella terra che ha preparato per lui gli offre una legge, cioè un modo di vivere umano e giusto, perché il nuovo capitolo della sua storia che si apriva iniziasse con un rinnovamento totale, anche interiore, nei rapporti sociali e con Dio. Egli dice: “Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo”, sa infatti che quel modo di vivere che egli propone è il migliore per l’uomo e non c’è niente da aggiungere, e nemmeno niente da omettere o su cui fare aggiustamenti e compromessi. Dalle sue parole appare scontato che il popolo non può che essere felice di accogliere quell’invito e quella proposta, perché quello indicato è il migliore modo di vivere. Prosegue infatti Dio dicendo: “Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: "Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente".” Tutti infatti, ritiene Dio, possono subito rendersi conto della bellezza e umanità di quella legge.

Dio forse ci può sembrare un po’ ingenuo e credulone, infatti non minaccia punizioni a chi contravviene alla sua legge, e lo sappiamo, se non c’è paura per la punizione ogni legge è inefficace. In questo modo però Dio dimostra tutto il rispetto e la grande stima che ha per l’uomo: sa che la sua intelligenza può comprendere come la via del bene sia la migliore e come la vera punizione sia nel rifiutarla. È la condanna che ci infliggiamo da noi stessi a essere schiavi del male e prigionieri dell’iniquità, che è infelicità, anche se scelta liberamente.

Eppure l’atteggiamento di rifiuto del modo di vivere proposto da Dio ci sembra così naturale, direi che è il modo normale di vivere. Esso infatti si basa da un’idea di fondo che tutti sia portati ad avere di noi stessi, quella di pensare che dentro di noi ci sia il bene, e tutto quello di cui abbiamo bisogno sia dargli modo di esprimersi liberamente; per questo ci fidiamo così ciecamente di noi stessi e delle nostre cosiddette “libere scelte”, e così poco di Dio e del modo di vivere che ci propone.

Nella Scrittura invece noi troviamo espresso in modo molto chiaro un concetto esattamente contrario: il bene non è “per natura” in noi stessi, ma piuttosto è un dono che viene da Dio, è da lui che lo riceviamo e impariamo a viverlo, conformandoci ad un modo di essere che non ci nasce da dentro, ma che anzi, al contrario, dobbiamo imporci, imparare con pazienza e diligenza, proprio perché non ci viene spontaneo. Dice Giacomo nella sua lettera, che abbiamo ascoltato,: “ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre”. L’apostolo non si nasconde, e invita noi a rendercene conto, che quel che c’è di buono nella vita dell’uomo ha la sua origine da Dio, è un suo dono, e non è frutto del nostro istinto naturale. Giacomo, saggiamente insiste su questo concetto, e dice: “Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.” Cioè è dalla voce di Dio che ci parla che noi possiamo apprendere il bene, il nostro bene e quello del mondo intero, e solo se ci mettiamo pazientemente alla scuola di una pratica della parola di Dio possiamo sperare di trovare la nostra felicità vera, cioè la salvezza. Altrimenti, afferma realisticamente Giacomo, siamo degli illusi, cioè crediamo vero ciò che non lo è, e cioè, come dicevo, che il bene noi lo conosciamo e lo possediamo già.

Gesù rivolgendosi ai farisei e agli scribi riprende questo stesso insegnamento, mettendo bene in luce il pericoloso inganno a cui vanno incontro quelli che non vi prestano attenzione. Scribi e farisei erano i più religiosi degli ebrei. Essi in modo assai scrupoloso applicavano le norme che  secondo loro servivano a mettere la loro vita al sicuro da ogni pericolo di errore. Difendersi dai comportamenti sbagliati era per loro garanzia di salvaguardare il bene e la giustizia che era già dentro la loro vita. Gesù, di fronte alla loro convinzione di essere nel giusto e di non dover certo imparare da lui, afferma: “Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro”. Gesù è ancora più radicale di Giacomo: tutto quello che rovina la vita dell’uomo ce lo abbiamo già dentro di noi, e l’illusione di essere nel giusto esprimendo la “verità di sé”, come tanti ancora credono di dover fare, non è altro che dare espressione al male che dentro di noi alberga comodamente senza che nessuno lo disturbi. È da fuori infatti, e cioè dalle parole e dall’esempio del Signore e di quanti si fanno suoi discepoli, cioè i santi, che noi possiamo contrastare questo istinto malvagio, e la vita cristiana sta proprio in questa lotta fra la propria naturale propensione e la legge di Dio, il modo di vivere che lui ci insegna.

Quella che ci chiede Gesù è una vera e propria rivoluzione: non sono io il valore, il bene, il metro di giudizio, la verità, non trovo tutto ciò scavando dentro di me, ma mi è donato da Dio, come un consiglio, un invito. Esso ha la sua forza non nell’imposizione o nella minaccia di punizione, ma nella sua evidenza di bene, nella sua bellezza, semplice e vera. Noi siamo convinti, per fare un esempio di questa mentalità, che nel rompere con qualcuno è lui che ci rimette, perché perde il grande valore che sono io, e che sono gli altri che non capiscono il grande privilegio di avere accesso a me, sono loro che mi devono cercare, sono gli altri in definitiva che hanno bisogno di me, noi io di loro. È questa la gabbia di infelicità e solitudine che tanti, un po’ tutti, ci costruiamo attorno, convinti di essere nel giusto, ma chiediamoci, forse con un po’ di ingenuità, chi ci rimette? Gli altri che perdono me o io che resto solo con me stesso?

Ed ancora, non crediamo forse che il nostro essere discepoli, pregare, venire a Messa sia una concessione che facciamo a Dio, di cui lui ci deve essere grato, mostrandoci la sua benevolenza concreta, e non piuttosto che è un dono che Dio fa a noi per aiutarci a non perdere la nostra vita?

In questi semplici esempi, e in tanti modi di vivere figli dell’illusione di cui parla Giacomo circa il proprio valore, troviamo il significato profondo dell’essere discepoli del Signore Gesù, cioè cristiani: imparare da lui a voler bene, perché noi, da soli, non ne siamo capaci; scoprire dalle sue parole e dal suo esempio come essere veri uomini e vere donne, cioè capaci di amare, e di vivere in armonia con tutti.

Fratelli non è facile rendersi conto di quanto la mentalità comune ci inganni, noi siamo abituati a prendere per buono quello che fanno tutti, ma stiamo attenti e confidiamo con più attenzione in quello che Dio ci insegna, perché non ci illudiamo e non sprechiamo la vita per ciò che non vale.

 
Preghiere


O Signore ti ringraziamo perché ci doni la legge dell’amore come modello per essere veri uomini e vere donne. Fa’ che impariamo da te come vivere e non seguiamo l’insegnamento di questo mondo,

Noi ti preghiamo
 

Padre misericordioso, perdona il nostro orgoglio quando percorriamo i sentieri della vita seguendo il nostro istinto e le nostre abitudini. Fa’ che accorgendoci del nostro errore seguiamo le tue orme come figli grati e docili,

Noi ti preghiamo
 

Aiuta o Dio del cielo tutti coloro che cercano la vera vita e non la trovano nelle soddisfazioni di questo mondo. Indica loro il cammino che porta a te, unica vera fonte di vita piena e inesauribile,

Noi ti preghiamo
 

Accogli o Padre tutti coloro che sono morti in questo tempo. Li affidiamo a te che sei buono, e preghiamo la tua grande misericordia di concederci, un giorno, di essere assieme te in loro compagnia,

Noi ti preghiamo

 
Ti invochiamo o Signore Gesù, accompagna con la tua protezione tutti quelli che hanno bisogno di aiuto e consolazione: chi è nel dolore, chi è solo, chi dispera nella sua salvezza. Raccogli l’invocazione del povero ed esaudiscila,

Noi ti preghiamo

 
Riunisci o Dio onnipotente e benigno tutti i tuoi figli in un’unica famiglia, perché il mondo intero, pacificato e riconciliato, sappia invocare come Padre te e riconoscere nel tuo volere il bene per sé e per il mondo,

Noi ti preghiamo.

 

XXI domenica del tempo ordinario - 26 agosto 2012

 

Dal libro di Giosuè 24, 1-2.15-17.18b

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d'Israele a Sichem e convocò gli anziani d'Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore». Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».


Salmo 33 - Gustate e vedete com'è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.

Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.

Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 21-32

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
 

Alleluia, alleluia alleluia.
Le tue parole, Signore
sono spirito e vita
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Giovanni 6, 60-69

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

 
Commento

Dopo aver moltiplicato pani e pesci per sfamare la folla che si era attardata per ascoltarlo, Gesù pronuncia quel lungo discorso sul “pane del cielo”, cioè su se stesso, che abbiamo ascoltato queste due ultime domeniche, e che oggi, con queste parole del Vangelo di Giovanni, si conclude. Abbiamo già detto come la gente che lo ascolta, la stessa gente che aveva ricevuto il pane e il pesce moltiplicato, fa resistenza a credere a quelle parole di Gesù nel quale egli va oltre il gesto di misericordia con cui li aveva sfamati, in un momento di bisogno materiale, per offrirgli una salvezza che è la vita che non finisce. Questa salvezza, dice Gesù viene dal nutrirsi del suo corpo, di un pane cioè che non è di questo mondo e non finisce con questo mondo. Tutti però fanno fatica ad accettare questo discorso, un po’ lo disprezzano, ricordando che Gesù è figlio di povera gente come loro e che lo conoscono fin da piccolo, e, oggi, affermando che è un discorso troppo esigente, esagerato per loro. In effetti Gesù compie uno straordinario passo in avanti con queste parole, che sono la dichiarazione esplicita e piena di ciò che lui è venuto a fare. Infatti mentre con la moltiplicazione dei pani egli ha offerto quello che lui aveva, ora, con questo nuovo discorso sul pane del cielo, egli offre quello che è, tutto se stesso. È questo il passo ulteriore che il Signore propone a quella gente che si era fatta sua discepola, di non accontentarsi di prendere qualcosa da lui, le sue parole, il suo esempio, gli insegnamenti, ma di ricevere tutto il suo dono totale di sé, il suo corpo e sangue, tutta la sua vita donata ad essi per farla diventare la loro stessa vita.

Davanti a questo però molti preferiscono fare un passo indietro. Sì, finché Gesù parla di giustizia e di misericordia, di perdono e di guarigione, di amore e di pace tutti sono entusiasti e lo seguono, ma quando Gesù spiega loro che tutto ciò si realizza mettendo gli altri avanti a se stesso e divenendo disponibili a dare tutto se stesso per loro, come Gesù stesso faceva, “Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui” dice sconsolato l’evangelista.

Reazione umana e comprensibile, sono gente spaventata e timorosa per sé, come accettare un invito così esigente? Ma non considerano, quei poveretti, che rifiutano il tesoro inestimabile della loro salvezza per accontentarsi di un piccolo gruzzoletto da godersi ciascuno per sé. Infatti Gesù glielo dice: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita.” Non è in gioco solo la propria tranquillità e benessere, ma è la vita stessa che è messa in gioco: se non si accoglie lo Spirito di un amore come quello di Gesù, che è il vero senso della vita, resta solo la carne, cioè la banalità della vita naturale, con le sue regole spietate, il conto del dare e dell’avere, la lotta per prevalere, il tentativo di tenersi a galla, finché ce la si fa, cercando di non pensare troppo al futuro, che si staglia, con la morte, come una minaccia incombente. Al cristiano però, cioè al discepolo che accoglie lo Spirito che dà la vita, il futuro non fa paura, perché è il luogo della speranza, della realizzazione del meglio di sé, del progressivo maturare di quell’uomo spirituale e forte dell’amore di Dio, di cui ci parla l’apostolo Paolo, che non teme nulla, nemmeno il decadere delle forze fisiche, né la vecchiaia, né la morte.

Come fare allora, fratelli e sorelle, a vincere la paura che ci fa tirare indietro, il timore che ci fa rinunciare a ricevere lo Spirito?   

Gesù lo spiega chiaramente: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre.”

Cioè il dono dello Spirito che da vita viene a chi lo chiede, ovvero a chi si rende conto di quanto ne ha bisogno e cerca, come può e sa, di invocare dal Padre il dono che lo salverà, e non si accontenta di surrogati e alternative più a buon mercato. E il Padre lo concede a tutti quelli che lo chiedono, ma non lo impone a chi non lo desidera. È questo il punto saliente: la paura che ci fa ritrarre dal nutrirci del pane del cielo che è Gesù stesso non si vince con il coraggio e la forza, non è qualcosa per gente speciale e intrepida, ma anzi è proprio per gente che ha paura di perdersi e per questo non si conserva, ma dona tutto se stesso. Sì, fratelli e sorelle, bisogna imparare ad aver paura della cosa giusta! Noi spesso siamo posseduti dalla paura di perdere qualcosa del nostro e per questo rifiutiamo il “tutto” che Dio ci offre. Chiediamo con fiducia al Padre di imparare quel “timore” sano che è paura di non saper voler bene, paura di rifiutare lo Spirito di Dio che è amore, paura di accontentarsi di poco, di vivere a metà perché solo per se stessi. È questo timore che spinge Pietro a rispondere a Gesù che, sconsolato, chiede anche ai dodici se vogliono anche loro andarsene: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” Sì, Pietro non ha vergogna a mostrarsi impotente e vinto dall'amore di Dio: dove troverà salvezza se si separerà da lui? Ammettiamo la nostra fragilità debole e timorosa di perderci, non ci ammantiamo della corazza di sicurezze, tanto forti quanto fasulle, e presentiamoci anche noi davanti al Signore per quello che siamo, gente persa se non ha le sue parole da ascoltare, il suo esempio da seguire e il suo corpo di cui nutrirsi con fiducia.
 
Preghiere

 O Signore da chi andremo? solo tu hai parole di vita eterna! Per questo aiutaci a non essere spaventati di uscire da noi stessi per incontrarti e a non temere di rimetterci ma a cercare con tutte le nostre forze di essere tuoi discepoli,

Noi ti preghiamo

 Fa’ o Signore Gesù che non restiamo mai a digiuno del tuo corpo che ci dai in nutrimento. Fa’ che da esso traiamo la forza per essere sempre imitatori del tuo amore,

Noi ti preghiamo

 Salva o Dio quanti sono nel dolore e nella disperazione: i malati e gli anziani, i senza casa e chi è colpito dalla violenza. Fa’ che trovino presto consolazione e risposta al loro bisogno,

Noi ti preghiamo

 Guida e proteggi o Padre misericordioso quanti si fanno discepoli del Vangelo e lo annunciano con la loro vita. Sostieni quanti donano generosamente la loro vita perché il tuo nome sia conosciuto e amato ovunque nel mondo,

Noi ti preghiamo

 Accoglici o Signore deboli e fragili come siamo, quando siamo spaventati dal Vangelo che ci sembra troppo difficile da vivere e siamo attratti dal vivere normale di questo mondo. Fa’ che scegliamo con decisione di restare con te,

Noi ti preghiamo

 Aiuta, o Padre del cielo, chi è indeciso e titubante a scegliere per la via del vangelo, mettendo gli altri davanti al proprio interesse e facendo spazio ad uno Spirito di misericordia e generosità,

Noi ti preghiamo.