mercoledì 24 luglio 2013

XVI domenica del tempo ordinario - 21 luglio 2013


 
Dal libro della Genesi 18, 1-10

In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

 

Salmo 14 - Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.
Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Calossesi 1, 24-28

Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

 

Alleluia, alleluia alleluia
Beati coloro che custodiscono la parola di Dio
e producono frutto con abbondanza
Alleluia, alleluia alleluia


Dal vangelo secondo Luca 10, 38-42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il libro della Genesi ci presenta Abramo che è intento a celebrare una vera e propria “liturgia dell’accoglienza” nei confronti di alcuni sconosciuti che gli si sono fatti innanzi in mezzo al deserto. Sono estranei, anonimi stranieri, ma Abramo, al contrario di quanto spontaneamente e comunemente viene fatto, non trova in questo un motivo per ignorarli o, peggio, per chiudere loro le porte della sua casa. Abramo non si difende, non li identifica come una minaccia, come tanto spesso avviene oggi nei confronti di chi è sconosciuto, diverso da noi, estraneo alla nostra terra e cultura. No, Abramo compie gesti, dice parole che hanno come scopo evidente quello di farsi umile e piccolo e di lasciare spazio all’altro che viene da lui. È la via che Gesù ha scelto per incontrare l’uomo: l’abbassamento, l’annullamento di sé, la kènosi, l’unica che permette e realizza l’incontro.

Non c’è infatti incontro quando tutto il mio orizzonte è ingombro di sé. Non c’è posto per l’altro quando le preoccupazioni, le paure, le ambizioni, gli sforzi sono tutti concentrati su se stessi. Il volto dell’altro rimane nascosto, oppure deformato in una maschera aggressiva e fastidiosa. Nel nostro mondo troppo spesso è questo quello che avviene. Non c’è tempo, attenzione, pietà, interesse perché l’altro si affacci nel nostro orizzonte.

Abramo invece si fa piccolo e umile, dice: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo.  Sì, quell’estraneo diventa “signore”, cioè protagonista del momento in cui si realizza l’incontro, e Abramo diventa mendicante di un rapporto con lui. Da padrone a servo, da estraneo a ospite, da nemico ad amico. È questo l’itinerario che Abramo compie perché sa che l’incontro con l’altro è una benedizione per la sua vita. L’autore della lettera agli Ebrei ce lo ricorda: “Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. (Eb 13,2) riferendosi proprio alla storia di Abramo.

Nel deserto l’incontro con l’altro è sempre una benedizione, mentre la solitudine è condanna. Ancora una volta Abramo contraddice la mentalità comune del nostro tempo che vede nell’isolamento individualistico un modo per sentirsi forti e protetti, difesi dal pericolo che l’altro costituisce nell’immaginario collettivo. Al contrario, ci dice la Scrittura, l’incontro con l’altro è sempre una benedizione perché ci libera dalla schiavitù di una vita prigioniera di sé stessi, dei propri umori, paure e convinzioni, e ci apre a quel tesoro di umanità di cui gli altri sono portatori. Attraverso di essi incontriamo mondi, esperienze, sapienze frutto di itinerari umani diversi dal nostro. L’incontro con l’altro completa quello che mi manca, abitua all’ascolto, educa alla disponibilità, mi fa scoprire risorse umane e spirituali prima sconosciute. Nessuno è mai così umile e trascurabile da non essere portatore di un valore grande per chi sa guardarlo con gli occhi di Dio.

È quello che accadde a Marta e a Maria. La prima ha lo sguardo e le mani piene di cose, non ha spazio per soffermarsi sul volto di chi gli viene davanti, Maria invece, come Abramo, si fa piccola, infatti siede ai piedi di quello straniero entrato in casa sua, e non ha sguardo e interesse che per la persona che gli sta davanti. Marta ha solo parole di rimprovero: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?” e di comando: “Dille dunque che mi aiuti”, invece Maria tace e ascolta, lascia che sia Gesù a riempire il suo vuoto di parole.

Anche noi il più delle volte abbiamo nei confronti degli altri un istintivo senso di fastidio, che ci suscita un atteggiamento di asprezza e arroganza. L’altro ingombra, dà fastidio, ostacola, quanto ci sembra più facile farne a meno, evitarlo! L’unico caso in cui diventa accettabile è quando è umiliato a spettatore, del lamento o dell’esaltazione di sé, dell’esibizione delle nostre capacità e conoscenza della vita. All’altro sappiamo solo insegnare oppure comandare. Ma se questo è ridicolo nel caso dei nostri fratelli e sorelle, diviene tragico quando nello stesso modo, l’unico che conosciamo per rapportarci agli altri, trattiamo Dio.

Gesù ha una reazione piuttosto sconsolata: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Marta soffoca l’altro sotto il peso ingombrante del proprio io, usando addirittura l’ospitalità come scusa per imporre la propria arroganza ruvida e sorda. Gesù la invita a scegliere la parte migliore, cioè l’incontro con l’altro, che è sempre una benedizione, perché apre le porte del Vangelo. 

Sì, se non siamo capaci di ascoltare, accogliere e incontrare l’altro che vediamo e tocchiamo, tanto meno saremo in grado di ascoltare, accogliere, incontrare Dio, che nemmeno vediamo!

È la tragica condanna cui si sottopongono quanti preferiscono chiudere le porte all’incontro con l’altro.

Impariamo da Abramo la liturgia umile e solenne dell’incontro: abbassamento di sé, accoglienza nella propria casa, soccorso ai bisogni concreti, ascolto e interesse per chi si ha difronte. Fermiamoci dalla fretta, riconosciamoci bisognosi degli altri, non crediamo che sia sempre e solo io ad essere interessante per gli altri, chiediamoci cosa serve loro e non cosa io posso riversargli addosso.

Dopo la sosta nella tenda di Abramo i tre stranieri si rivelano per quello che sono realmente, la presenza del Signore stesso e stringono con lui un’amicizia che lo rende intercessore e capace di ricevere la salvezza e di donarla agli altri.

Sia questa anche per noi la benedizione che viene dall’incontro col fratello e con la sorella, con il povero e con il molesto, con chi ci sembra inutile e ininteressante. In ogni uomo infatti si nasconde la scintilla divina e il volto del Signore risplende a chi si pone con umiltà ai piedi, ad ascoltare.

 

Preghiere

Ti ringraziamo o Signore perché ci sei venuto incontro e ci hai accolto come un umile amico e compagno della nostra vita. Fa’ che sappiamo imitarti accogliendo ogni fratello e ogni sorella che incontriamo,

Noi ti preghiamo

 Insegnaci O Gesù l’umiltà di lasciare spazio agli altri, di farci servitori del loro bisogno e ascoltatori sensibili della loro vita, perché nell’incontro sappiamo riconoscere in ciascuno un fratello e una sorella,

Noi ti preghiamo
 
Perdona o Signore la frettolosità e superficialità del nostro incontro con gli altri. Aiutaci a voler bene sempre a tutti e a desiderare l’amicizia e la concordia con ciascuno,

Noi ti preghiamo

O Gesù vero amico dell’uomo, aiutami a sedermi con disponibilità ai tuoi piedi, per non perdere nemmeno una tua parola,

Noi ti preghiamo
 

Proteggi o Dio i tuoi discepoli ovunque nel mondo ti invochino. Aiutaci ad essere testimoni del Vangelo e fedeli servitori degli uomini,

Noi ti preghiamo

 
Salva o Dio il mondo dalla guerra e dal dolore. Spegni i conflitti che armano l’uomo contro l’uomo e consola il dolore della morte e delle ferite di chi è vittima della violenza,

Noi ti preghiamo.

 
Insegnaci o Padre misericordioso le vie del perdono e della pace come vittoria sull’odio e la sopraffazione che tanto dolore causano nel mondo. Rendici imitatori del Signore che è mite e umile di cuore,

Noi ti preghiamo


Proteggi e sostieni o Dio i tanti giovani riuniti in questi giorni in Brasile per far crescere nella gioia e nell’ascolto la loro fede. Proteggi papa Francesco nel suo ministero di pastore umile e buono di tutti gli uomini,

Noi ti preghiamo

 

 

XV domenica del tempo ordinario - 14 luglio 2013


 

Dal libro del Deuteronomio 30, 10-14

Mosè parlò al popolo dicendo: «Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima. Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».

 

Salmo 18 - I precetti del Signore fanno gioire il cuore.
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 1, 15-20

Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 10, 25-37

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il Vangelo di Luca ci mostra Gesù mentre incontra un uomo esperto di religione e profondo conoscitore della Scrittura. Dal racconto emerge come costui parlando con Gesù “si voglia giustificare”, cioè vuole trovare un motivo per cui sentirsi a posto e poter dire che quello che la Scrittura dice non lo riguarda. Sì, non basta conoscere le Scritture, avere familiarità con le cose di religione, con i discorsi sulla fede, conoscere il catechismo, ecc…per trarre da tutto ciò l’unica cosa che ci offre il senso autentico della vita, cioè la fede. Quell’uomo è religioso, sì certo, ma non ha fede, e questa è la condizione di tanti anche oggi. La fede infatti non è cultura religiosa, nemmeno adesione alla morale e osservanza dei precetti. Di tutto ciò quell’uomo andava fiero, molto probabilmente a ben ragione, come tutti i dottori della legge e i farisei, orgogliosi della loro religiosità, ma, paradossalmente, proprio per questo un muro li separava da Gesù e impediva loro di incontrarlo con cuore aperto e sincero, con fiducia e disponibilità, consigliandoli invece di restare diffidenti e lontani, fino a rifiutarne le parole e l’esempio con violenza. Lo si vede così spesso nei racconti evangelici.

Anche noi, dicevo, spesso davanti al Signore che ci si fa incontro attraverso la Scrittura cerchiamo il modo con cui “giustificarci” per la nostra distanza e freddezza. Sono i mille distinguo, per cui la nostra situazione non coincide mai con quello che Gesù dice e fa; sono le facili argomentazioni con le quali affermiamo che il Vangelo è bello, ma non si può vivere, che è per altri, gente speciale, per un’altra stagione della nostra vita, forse, chissà un domani, ecc… tanti motivi per giustificarci e per prendere le distanze dalla Parola di Dio e dal Signore che ci parla attraverso di essa.

Il profeta Mosè sembra voler rispondere a queste obiezioni che, evidentemente, già al suo tempo gli israeliti ponevano davanti alle Parole che Dio, attraverso di lui, rivolgeva loro: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?” Come è facile pensare che ci sia un mare che ci divide dal Vangelo, un mare spesso tempestoso per i piccoli drammi della vita quotidiana, le insoddisfazioni, le delusioni, le rivalità, e per quelli più grandi, come la solitudine, la malattia, il dolore. Oppure che un cielo scuro e pieno di nubi ci impedisce di alzare lo sguardo da noi stessi e ci fa vedere solo il piccolo mondo dei nostri affari privati e del nostro lamento quotidiano. È impossibile, diciamo, afferrare la Parola e farla propria: il mare e il cielo ce la rendono così lontana !

Mosè però risponde agli israeliti: “questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica”. Cioè dice che la Parola del Signore non è qualcosa di esterno e lontano, dietro le nubi e le tempeste della vita, ma è ben più vicina, se rinunciamo ad allontanarla da noi con le nostre “giustificazioni”. Essa è così semplice ed umana che, una volta accolta, sgorga da dentro di noi perché è ciò che ci restituisce la nostra umanità: il vero cuore, i veri sentimenti, la tenerezza di cui parla spesso papa Francesco, la capacità di commuoversi e provare compassione davanti al dolore di cui parlava sempre il papa lunedì durante la sua visita a Lampedusa. Sì, la Parola accolta ci fa ritrovare il meglio di noi stessi che giaceva seppellito in profondità sotto le giustificazioni, le paure, le durezze.

A quel dottore della legge Gesù risponde più o meno nello stesso modo. Quello si voleva giustificare obiettando che dipende dagli altri essere vicini a lui perché egli sia in obbligo di prendersene cura, come prescrive il versetto della Scrittura citato. È la logica del mondo che crea mille strutture e schemi per distinguere chi sono quelli di cui siamo in dovere di occuparci, per restringerne al minimo la cerchia. Egli chiede “chi è il prossimo, cioè chi è vicino a me, perché io debba occuparmi di lui?” In queste parole, amare, dure riconosciamo tante delle obiezioni che ancora oggi si fanno: chi si merita le mie attenzioni? Se ci pensiamo, la risposta più normale è scontata: nessuno. Ci sono mille motivi per negare a tutti questo diritto: le rivalità, i risentimenti, oppure più semplicemente l’estraneità e la diversità. Niente ci lega a nessuno di per sé, per natura, risponde Gesù, ed infatti non sono gli altri a doverci essere vicini perché noi siamo in obbligo di averne cura, ma siamo noi a doverci fare vicini a tutti, con un obbligo che nasce dal bisogno di ciascuno, mio per primo, di amare e di essere amato.

È questo l’unico motivo che esiste al mondo perché debba occuparmi di qualcuno che non sono me stesso: perché io ho bisogno di voler bene all’altro e che lui voglia bene a me. È questa la Parola così umana che Dio rivolge all’uomo indurito, isolato e spaventato, l’unica Parola che riesce a risvegliarci dentro il calore di una umanità vera perché riscopre la bellezza di amare il fratello e la sorella, senza speranza di guadagno o per obbligo, ma con quella stessa gratuità di Gesù e di ogni amore autentico.

Fratelli e sorelle, perché quel samaritano avrebbe dovuto fermarsi, prendersi cura di quello sconosciuto, pagare di tasca propria, tornare a visitarlo? Quello non gli era mia stato vicino, ma è lui per primo che gli si è fatto vicino, innescando quella cascata di amore gratuito così umano e così bello che non può che lasciarci pieni di stupore e commozione.

Fin dall’antichità i primi cristiani hanno interpretato questa parabola identificando nel buon samaritano il Signore Gesù stesso, che per primo e senza motivo si fa vicino alla nostra umanità, ferita dalla vita e spenta, quasi morta. Questo ci fa capire come solo il suo esempio, Vangelo di salvezza, può insegnarci a tornare ad essere umani facendo sgorgare dentro di noi la verità di quella somiglianza a Dio che fin dalla creazione ci è stata donata.

Prendiamo allora sul serio questo esempio di amore gratuito e senza nessun motivo, se non il bisogno di Gesù di volerci bene e di essere ricambiato, non gettiamo lontano queste parole dietro le onde del nostro mare in tempesta e dietro le nuvole, ma cogliamole nella loro semplicità e concretezza per viverle.

 

XII domenica del tempo ordinario - 23 giugno 2013


Dal libro del profeta Zaccarìa 12, 10-11; 13.1

Così dice il Signore: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito. In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo. In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità».

 

Salmo 62 Ha sete di te, Signore, l'anima mia.

 

O Dio, tu sei il mio Dio, +
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua.


Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.


Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.


Quando penso a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 3, 26-29

Fratelli, tutti voi siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

 

Alleluia, alleluia, alleluia.
Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.
Alleluia, alleluia, alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 9, 18-24

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

 

Commento

Gesù rivolge ai discepoli la domanda su chi la gente pensa sia lui. Lo fa in un momento di intimità, mentre stanno per conto loro. Gesù parla a cuore aperto ai dodici, sono la sua famiglia, quelli di cui si fida e a cui si affida. In tutto il Vangelo infatti possiamo vedere che Gesù parla a tanta gente, in situazioni diverse, ma non è con tutti la stessa cosa. Le folle, il più delle volte, lo cercano, lo seguono e lo ascoltano, pensiamo ad esempio a quelli che restano con lui fino a tardi e per i quali Gesù deve moltiplicare il cibo perché sono rimasti così a lungo che non riuscirebbero a procurarselo da soli. Spesso però le folle sono anche volubili e cambiano idea facilmente: pensiamo alle folle di Gerusalemme che un giorno lo acclamano trionfalmente al suo ingresso in città e il giorno dopo gridano a Pilato di liberare Barabba e crocifiggere Gesù.

Il Vangelo ci presenta spesso questo doppio modo di ascoltare Gesù e di stare con lui, come per invitarci a trovare anche noi il modo giusto, a non dare per scontato che chi ascolta Gesù (diremmo oggi “chi viene a Messa”) è un suo discepolo. C’è bisogno di qualcosa di più e il vangelo di oggi ci aiuta a comprendere cosa.

Infatti alla domanda su chi la gente diceva che lui fosse, i discepoli rispondono: “Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto.” Tutti cioè pensano di conoscere già Gesù, che è qualcuno di noto, di cui hanno già preso le misure, e che quindi non ha molto di nuovo da dire e da chiedere. Per loro Gesù, in un certo senso, appartiene al passato.

Poi però Gesù rivolge anche ai discepoli la stessa domanda: “Ma voi chi dite che io sia?” E’ una domanda impegnativa, che coinvolge personalmente e profondamente i discepoli. Potremmo dire: ma che bisogno c’era di chiederlo, non vede Gesù che i dodici lo seguono ovunque, hanno lasciato tutto per stare con lui, e affrontano rischi e disagi per amore suo? Non gli basta?

Gesù pone la questione non del “quanto” sono disposti a dare, ma a “chi”.

E questa è la domanda vera: Gesù non è un Dio sempre imbronciato e mai contento di quello che si fa per lui, ma piuttosto è un Dio che vuole essere conosciuto per chi lui è veramente, e fa di tutto per rivelarsi a noi.

Alla domanda del Signore Gesù risponde Pietro: “Il Cristo di Dio.” Con questa espressione Pietro intendeva dire: tu sei il Messia, cioè colui che da secoli Israele attendeva. E’ la novità assoluta, quello che mai era venuto prima, colui che tutti speravano un giorno di vedere, colui che le promesse antiche annunciavano come il compimento del tempo, il completamento del disegno di Dio per l’umanità intera, ciò che mai nessuno aveva conosciuto prima.

Ecco la grande differenza: Gesù non fa parte del passato, non è qualcosa di scontato, ma è uno squarcio sul futuro, apre un tempo nuovo come mai prima si era potuto immaginare e desiderare.

Fratelli e sorelle, questo ci viene oggi a dire la Liturgia: non serve a niente un senso un po’ mesto del sentirsi sempre inadeguati, come studenti impreparati all’interrogazione. A Gesù non interessa solo il passato, più o meno meritevole, che abbiamo vissuto, con le immancabili miserie e glorie, esaltazioni e depressioni, ma ci interroga sul futuro: su chi punti, a chi ti affidi, a chi dai fiducia?

Pietro risponde bene, perché afferma che si vuole affidare non alle esperienze del passato, alla sapienza maturata attraverso l’esperienza sua e delle generazioni passate, ma a chi può fargli vivere quel futuro pieno, il Regno di Dio o dei cieli, che Dio aveva annunciato. Questa è anche la grandezza di prospettive cui i cristiani sono chiamati. La fede ci riapre il futuro, ci dona una visione che non si limita ad aspettarci al massimo ciò che già è accaduto, ma riesce a guardare la realtà come Dio la desidera, rinnovata, trasformata dalla forza del suo amore, come non è mai stata prima. Tante volte da soli noi non riusciamo nemmeno a pensare a noi stessi diversi da come siamo già. Conosciamo i nostri difetti, ma allo stesso tempo pensiamo che siano qualcosa che non è possibile superare, una sorta di DNA del nostro spirito. Ma la novità assoluta che è il Signore ci dice che egli può “fare nuove tutte le cose”, come dice il libro dell’Apocalisse.

Gesù è felice: qualcuno lo ha conosciuto veramente. Il vangelo non dice la reazione del Signore, ma possiamo immaginarla. Per questo Pietro è il primo degli apostoli, perché affida a Gesù il suo futuro con la fiducia piena di chi sa che non sarà deluso. Lascia tutto, non si affida al passato già conosciuto. Questo non lo mette al sicuro dalle tentazioni e dal peccato, lo sappiamo bene, ma la grandezza dei santi non è nell’essere perfetti, ma nell’essere sicuri su ciò che salva il loro destino e gli apre il futuro.

Per questo Gesù prosegue parlando a cuore aperto di quello che lo aspetta e che coinvolgerà anche i discepoli: persecuzione, sofferenza, morte. Chi infatti capisce che Lui è la sua salvezza e si affida con fiducia ai suoi insegnamenti non ha paura delle difficoltà: le affronta perché punta in alto, a qualcosa che né sofferenza né morte gli può togliere quella vita piena che Gesù è venuto ad annunciare e a realizzare.

Anche l’Apostolo Paolo nella lettera ai Galati che abbiamo ascoltato ci invita a considerare di chi vogliamo essere figli: di un passato sicuro ma a volte deludente, pieno di angoli oscuri e qualche lampo di luce, o figli del futuro che Dio ha preparato per noi, rendendoci partecipi della sua stessa vita, come figli suoi ed eredi della sua gloria? Egli dice: “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.” Cioè non siamo figli di un destino segnato dalla nazionalità, dallo stato sociale, dalle condizioni esterne della nostra vita e neppure dalla nostra stessa identità, ma l’unico destino cui siamo chiamati ad affidarci è essere figli non di noi, non del nostro tempo e mondo ma di Gesù Cristo. È questa la scelta che Gesù, con la sua domanda, chiede di compiere ai suoi discepoli.

Anche per noi è la domanda di questa domenica, è l’interrogativo che Gesù fa a noi, suoi intimi. Vogliamo essere noi in quella cerchia, in quella famiglia di uomini a cui dona tutto se stesso, o ci accontentiamo di far parte di quella folla che crede già di aver capito, di sapere, con un senso scontato che gli viene dalla sapienza del già vissuto? Il Signore ci sostenga nel rispondere con la nostra vita ad una domanda così importante e decisiva.


Preghiere
 

O Signore Dio nostro, ti ringraziamo perché vieni nelle nostre vite a portare la novità del vangelo. Fa’ che sappiamo accoglierla con gratitudine, come la salvezza che il mondo attende e che dona la vita piena,

Noi ti preghiamo
 

Aiutaci o Signore a non aver paura della novità del vangelo, a non preferire ciò che già conosciamo e che il mondo ci propone. Insegnaci ad avere fiducia in te che ci guidi verso un nuovo modo di vivere,

Noi ti preghiamo
 

E’ facile o Signore avere fiducia solo in se stessi e credere solo a quello che la nostra esperienza ci ha insegnato. Aiutaci a non rifiutare la salvezza che hai portato al mondo ma a riconoscere nella tua parola e nel tuo esempio il cammino per imparare la vita vera che non finisce.

Noi ti preghiamo


O Signore Gesù, fa’ che come Pietro sappiamo sperare nel futuro che tu ci proponi. Aiutaci a guardare il mondo con gli occhi del vangelo pieni di fiducia in te e certi che il male può essere vinto.

Noi ti preghiamo

 Ti invochiamo o Dio del cielo, vieni e visita la nostra vita, perché ogni nostra azione sia guidata dal tuo Spirito e animata dal desiderio di realizzare il bene che tu hai preparato per le nostre vite.

Noi ti preghiamo
 

Ti preghiamo, o Signore, per tutti coloro che sono nel dolore: per i poveri, i malati, gli anziani, tutti coloro che sono vittima della guerra, della violenza e del disprezzo. Fa’ che i tuoi discepoli siano operatori di pace e costruttori di giustizia dove ce n’è più bisogno.

Noi ti preghiamo.

 

O Dio, sostienici nelle difficoltà che incontriamo a vivere il bene che ci proponi. Fa’ che incontrando ogni uomo e ogni donna sappiamo riconoscervi il fratello e la sorella che tu ci doni e per i quali continui a dare la vita come un Padre buono e pieno di misericordia. 

Noi ti preghiamo


Sostieni o Signore Gesù quanti lodano il tuo nome e invocano il tuo aiuto. Mostrati in ogni momento pastore buono delle nostre vite, maestro mite ed umile dei tuoi discepoli nel mondo.

Noi ti preghiamo

 

Preghiera del 19 giugno - XI settimana del tempo ordinario


Mt 13,1-9

 

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.

Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti".

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il vangelo ci propone l’immagine di Gesù che si siede in riva al lago e una folla si raccoglie attorno. È l’immagine della Chiesa, cioè della gente che sente il bisogno di stare ad ascoltare Gesù. Questo è infatti ciò che rende una massa di gente anonima e impersonale una comunità di discepoli e fratelli: il bisogno di stare ad ascoltare Gesù. Tutto il resto conta poco. Le strutture, l’organizzazione, tutto quello che contorna e rende in qualche modo visibile la Chiesa da lì trae motivo: tutto serve ad aiutare la gente a radunarsi accanto a Gesù che si siede e parla.

Questo è anche il senso di questo nostro riunirci fedele e umile il me4rcoledì a pregare. Qualcuno dice che non serve a niente, perché siamo pochi, ma noi crediamo che così si realizza quel volto autentico della chiesa di cui noi ci sentiamo figli e discepoli. Tutto il resto conta relativamente.

Ma cosa significa ascoltare Gesù?

Egli parla di una semina e dei diversi esiti che ne derivano. Noi in genere siamo molto attenti ai due momenti estremi: il momento in cui il seme è gettato, e quando si vede il frutto. Il primo ci coinvolge emotivamente, ci tocca e ci fa sentire qualcosa di vero e profondo dentro di noi. È il dolore per la nostra umanità che viene svelata nelle sue miserie, o  anche lo stupore per le nuove prospettive che vengono fatte scorgere e che prima non ci apparivano. Accanto a questo però viviamo la ricerca del frutto: quali risultati ci offre l’ascolto. E allora restiamo delusi o scontenti per la pochezza di essi e ce la prendiamo con la inefficacia di quella Parola.

Quello che però spesso ci sfugge quasi completamente è tutto quello che intercorre fra il primo e l’ultimo momento, e cioè tutto il lavoro segreto o manifesto che fa sì che la parola seminata fruttifichi.

La parabola che abbiamo ascoltato in qualche modo ce ne dà l’immagine. Il seme una volta gettato ha bisogno di trovare terreno e poi irrigazione, di radicarsi, di avere luce e calore dal sole, ecc… Insomma c’è un lungo lavoro che è richiesto e che, come accennavo, è sia nascosto che manifesto. Cioè c’è un lavoro che è la Parola stessa che compie, ed è la forza insita in essa che trasforma e cresce, ma il lavoro di memoria e di protezione che solo noi possiamo fare. È il lavoro paziente di mettere in ogni momento a confronto la nostra vita con la parola, per non farcela rubare via o per non farla seccare, e permettere ad essa di mettere radici forni nella nostra vita e di dare così frutti buoni.

Questo è quello a cui noi difficilmente diamo peso, ma che invece la parabola ci dimostra è decisivo perché l’opera di semina non sia infruttuosa.

Questo tempo che viene allora in genere viene considerato un po’ un tempo vuoto. Tempo di ferie in cui la Parola sembra essere come un po’ essere messa da parte per occuparci un po’ di più a noi stessi: al riposo, allo svago, a fare tutto quello che negli altri tempi non riusciamo a fare.

Ma non potrebbe essere invece questo tempo proprio il tempo opportuno perché la parola ascoltata trovi terreno fertile e attenzione da parte nostra? Un tempo fuori dai ritmi più caotici in cui c’è modo di soffermarsi e riflettere, fare memoria con più calma. Il frutto allora si vedrà perché la Parola lavora, scava, cresce, cambia la nostra vita, ma non lo fa nonostante noi e senza di noi. La Parola non è una magia che opera da sola, ma è il seme di una pianta che ha bisogno di cura e lavoro e può dare un frutto straordinario e inatteso.

 

XI domenica del tempo ordinario - 16 giugno 2013


Dal secondo libro di Samuele 12, 7-10. 13

In quei giorni, Natan disse a Davide: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Urìa l’Ittìta, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammonìti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Urìa l’Ittìta».Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai». 

 

Salmo 31 - Togli, Signore, la mia colpa e il mio peccato.
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia,
mi circondi di canti di liberazione.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia! 


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 2, 16. 19-21

Fratelli, sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della Legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge; poiché per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno. In realtà mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Dio ha amato noi e ha mandato il suo Figlio
come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca Lc 7, 36 - 8, 3

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, i brani della liturgia di oggi ci propongono di soffermare la nostra attenzione sul bisogno che abbiamo di essere perdonati. Infatti possiamo vedere nel Vangelo di Luca come Gesù confronta il peccato della prostituta che gli si era avvicinata con quello del fariseo che lo aveva invitato a cena e si sofferma sul loro diverso atteggiamento verso di sé. A prima vista quel fariseo non ha fatto nulla di male, anzi è stato gentile con Gesù, lo ha invitato a cena e ha dimostrato così la sua disposizione non ostile, a differenza di tanti altri farisei che lo contestavano. Ma Gesù pone l’accento su un aspetto del comportamento di quelle due persone evidenziando così la vera differenza fra i due: la mancanza o la presenza di amore, e le conseguenze che questo ha.

Gesù infatti vuole far capire che ogni uomo è peccatore, che nel suo cuore albergano sentimenti di inimicizia ed egoismo che lo rendono, seppur in modi diversi, partecipe del grande disegno del male che agisce nell’umanità. In questo possiamo dire che siamo tutti uguali e le differenze sono veramente minime. Noi, al contrario, siamo abituati a pesare sempre il peccato col bilancino, a valutare gravità e venialità, per dire che in fondo noi non abbiamo fatto niente di veramente grave. In realtà in un’altra situazione Gesù dice che non c’è molta differenza fra dire “stupido” al fratello e, addirittura, l’ucciderlo (Mt 5,21-22). Le parole di Gesù infatti sembrano dare poca importanza alla grandezza del peccato delle due persone, la prostituta e il fariseo, differenza che invece ai commensali di Gesù sembra così evidente, tanto da far pensare a tutti che Gesù è uno sciocco perché non dà segno di accorgersene. Ma per il Signore la vera differenza sta non tanto nel “peso” dei peccati, quanto piuttosto nel bisogno che i due sentono di allontanarsi da essi e di ritrovare il legame di amore con Dio che il peccato fa perdere.

Questa per Gesù è la differenza che conta.

I farisei infatti erano un gruppo religioso che esercitavano in modo molto scrupoloso l’osservanza alla legge. Erano attentissimi a non infrangere nemmeno il più piccolo dei comandamenti di Dio contenuti nella bibbia, imposti da Dio nel corso dei secoli. Secondo loro questo era sufficiente per essere davanti a Dio irreprensibili e, di conseguenza, per non avere più bisogno di Lui. Paradossalmente i farisei, con il loro scrupolo di osservanza della legge, avevano costruito il sistema perfetto per fare a meno di Dio. Era infatti la loro meticolosità, la rettitudine, l’onestà, il comportamento ineccepibile a salvarli e a mettere al sicuro la loro vita dal peccato. In questo modo che bisogno avevano più di Dio, del suo perdono, del suo aiuto, del suo amore?

È un vero paradosso, tutta la forza dei farisei si collocava nella loro volontà, autocontrollo, rigidezza, nell’essere sempre e comunque a posto davanti a Dio e agli uomini. Questa è la grave accusa che Gesù muove al suo ospite: aver costruito la sua vita su un sistema di comportamenti e di idee che lo rende impermeabile all’amore di Dio, semplicemente perché non ne sente il bisogno, e proprio per questo di essere a sua volta incapaci di voler bene agli altri.

Questo atteggiamento è così simile a quello di tanti uomini oggi. Da un lato il progresso scientifico e tecnologico ci rende molto più orgogliosamente autonomi davanti a Dio e sembra che ormai il possesso di tutti i meccanismo naturali ci renda autosufficienti e senza bisogno di fare riferimento ad un aiuto esterno e superiore all’ordine naturale, cioè Dio. Ma poi, oltre questo fattore, esiste un altro atteggiamento, simile a quello dei farisei, che è credere che la nostra salvezza si trovi in un fascio di valori da osservare.

Si parla infatti molto di valori oggigiorno, addirittura individuando nella loro presenza o assenza la realizzazione del cristianesimo o meno. Si dice infatti: la nostra società si è allontanata dai valori cristiani, ecc… Ma essere cristiani, cari fratelli e care sorelle, non coincide con l’aderire a certi valori. Non basta infatti, come non bastava per il fariseo, essere irreprensibile quanto a onestà, rettitudine, correttezza, ecc… C’è bisogno di qualcos’altro, dice Gesù a quel fariseo e a noi oggi. L’unica cosa che salva è voler bene. Non basta essere corretti, onesti e giusti, se non si vuole bene. E questo per un fatto molto semplice: perché solo chi vuole bene si rende conto di essere voluto bene da Dio, e che il proprio amore non ha forza né possibilità di esistere se non si nutre di una amore ricevuto prima di tutto da Dio. Chi pensa di amare per propria capacità vuol dire che non conosce l’amore vero, cioè quello di Dio che è la fonte del vero voler bene. Infatti per noi cristiani l’uomo è fatto a immagine di Dio, pertanto non è vero uomo e vera donna se non assomiglia a Lui, cioè se non ama. L’amore che viviamo è ciò che ci lega a Dio, e chi non ama può anche essere un modello irreprensibile di onestà, ma ha tagliato i suoi legami col Signore, si è costruito come figlio di Sé e non più di Dio. è quanto afferma bene l’apostolo che dice: “per le opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno” anche se ammettessimo che qualcuno possa rispettare a perfezione tutte le regole di rettitudine.

Questa è la radice di ogni peccato, perché questo è quello che il maligno vuole ottenere: allontanare in modo sempre più forte gli uomini da Dio, e come ci riesce facilmente illudendolo che ci si può salvare da sé, basta aderire ai valori! La prostituta è proposta invece da Gesù come un modello.

Ma come, dicono gli onesti e i corretti, quelli che fanno propri i valori della famiglia, della moralità e del decoro, una peccatrice che va contro i valori cristiani può essere un modello? Sì, paradossalmente per Gesù quella donna è meno peccatrice del fariseo perché lei sente il bisogno dell’amore di Dio, si avvicina a lui, gli dimostra tutto il suo affetto con gesti inequivocabili. Si umilia ai suoi piedi, non pretende di stare alla sua altezza, sullo stesso piano, come il fariseo, ma riconosce il proprio bisogno di essere accolta ed amata da Gesù. Questo atteggiamento è chiamato dal Signore fede: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!” La fede salva e non la correttezza e l’osservanza dei valori, e questa fede si  sostanzia nel sentire il bisogno di essere voluti bene da Dio per poter voler bene agli altri, riconoscendosi bisognosi del suo perdono e aiuto e incapaci a salvarsi da sé, con la propria scrupolosità e forza di volontà.

Cari fratelli e care sorelle, quanto è grande questa realtà e comprenderla e viverla ci rende liberi e felici. Impariamo a conservare nel fondo del nostro cuore la coscienza del nostro bisogno di essere amati, cioè perdonati, sostenuti, accolti da Dio, e la nostra vita, nonostante i peccati e la fragilità della nostra volontà, sarà sempre piena della benedizione della santità che è restare vicini a Lui.

Preghiere  

O Dio nostro Signore, aiutaci a riconosce sempre il nostro peccato e a vivere con umiltà il bisogno di essere perdonati da te,

Noi ti preghiamo

Aiutaci o Signore Gesù a chinarci sempre ai tuoi piedi come fece quella prostituta, perché impariamo da te a voler bene per primi e a perdonare di cuore i fratelli,

Noi ti preghiamo
 
Aiutaci o Signore Dio nostro a vincere il male con il bene, a non desiderare mai il male degli altri e ad attendere con umiltà e fiducia il perdono che libera dal male,

Noi ti preghiamo

Sostieni o Signore Gesù quanti ti invocano nelle loro necessità, aiutali, confortali e dona loro pace,

Noi ti preghiamo
 
Consola o Dio Padre misericordioso quanti sono nel dolore: i malati, gli anziani, chi è senza casa e famiglia, le vittime della guerra e della violenza. Dona a tutti loro pace e salvezza,

Noi ti preghiamo
 

Trasforma o Dio questa nostra città, manda il tuo Spirito a suscitare sentimenti di concordia e solidarietà nei cuori dove oggi albergano rancori ed egoismo,

Noi ti preghiamo.
  

Proteggi o Dio il nostro papa Francesco, sostienilo nel compito difficile di rendere più bello ed evangelico il volto della Chiesa,

Noi ti preghiamo
 

Aiuta o Padre tutti i tuoi figli a invocarti e amarti come tu ci hai amato. Fa’ che in ogni parte della terra il tuo nome venga onorato e il Vangelo ascoltato e vissuto con amore,

Noi ti preghiamo

 

Preghiera del 12 giugno 2013



Colossesi 1, 21-29

Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici, con la mente intenta alle opere cattive; ora egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne mediante la morte, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili dinanzi a lui; purché restiate fondati e fermi nella fede, irremovibili nella speranza del Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunciato in tutta la creazione che è sotto il cielo, e del quale io, Paolo, sono diventato ministro.

 

Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.

 

A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.

 

L’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Colossi con parole che ci possono apparire complicate e di difficile comprensione. In realtà questo è perché Paolo assume la prospettiva diversa parlando di sé, cioè quella di chi si identifica con il corpo stesso di Gesù e, di conseguenza, con il corpo che è la comunità di coloro che hanno ricevuto il Vangelo. Dice Paolo: egli vi ha riconciliati nel corpo della sua carne , cioè c’è una appartenenza fisica,  stretta, carnale con un corpo largo che è quello di Cristo e che riunisce tutti i discepoli.

Cosa vuol dire questo?

Significa essenzialmente che nessuno ci è estraneo e come in un corpo unico ciò che reca gioia o dolore ci è comune. Paolo dice invece come è la condizione normale, quella da cui ogni uomo parte: Un tempo anche voi eravate stranieri e nemici L’essere estranei, stranieri, ci rende nemici. C’è una inimicizia “naturale” che non solo ci allontana, ma anche ci mette gli uni contro gli altri.

Ma cosa è che ci unisce a questo grande e complesso corpo?

Paolo parla di fede e di speranza del Vangelo. La fede è fidarsi, avere fiducia, non in sé e nell’ordinarietà del modo di essere di tutti, ma in Gesù, che si esprime in un modo diverso di vivere e cioè nello sperare che quella buona notizia di un mondo migliore e liberato dal male si realizzi.

La forza infatti del male si fonda proprio sul mettere in crisi di ciò: cioè far dubitare che il bene possa vincere, che la vita possa essere trasformata dall’amore che Gesù testimonia e ci chiede di vivere. Chi vive nella sfiducia nella forza trasformatrice del vangelo, e perde pertanto na speranza, accontentandosi di trovare le proprie risorse e la propria forza in altro, allora costui si stacca dal corpo e si condanna alla morte.

Questa prospettiva spiega tante altre espressioni apparentemente assurde: Paolo parla di una sua gioia nel soffrire sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa, perché è qualcosa che si lega al bene degli altri e dona senso anche alla sofferenza del presente.

Infine Paolo mette bene in luce come appartenere a questo corpo ci comunica la forza invincibile del suo capo, Cristo: Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza.  La fatica e la lotta, come le sofferenze che ne conseguono, trovano sollievo nella certezza che agisce una forza che assicura la vittoria.

Cari fratelli e care sorelle, quanto cambia nella vita se viviamo in questa prospettiva di Paolo. Ci sembra assurdo, ma partecipare delle sofferenze dei poveri, essere sensibili e vulnerabili, farci colpire dal dolore degli altri sarebbe cosa tragica e fonte di infelicità estrema, e come tale la pensa il mondo, se non avessimo invece la forza che viene dal far parte di quel corpo.

Viviamo allora la fiducia e la speranza nel Vangelo e non solo saremo rafforzati nell’affrontare le durezze della nostra vita, ma diverremo capaci di assumerci anche quelle di tanti, per portarli tutti alla salvezza che è entrare in comunione con quel corpo che Cristo anima e rafforza