sabato 31 agosto 2013

XXII domenica del tempo ordinario - 1 settembre 2013


 
Dal libro del Siràcide 3, 19-21.30-31

Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.

 

Salmo 67 - Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.
I giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.

Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.

Pioggia abbondante hai riversato, o Dio, +
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio. 
Dalla lettera agli Ebrei 12, 18-19.22-24

Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Prendete il mio giogo sopra di voi, dice il Signore,
e imparate da me, che sono mite e umile di cuore.
Alleluia, alleluia alleluia.
  

Dal vangelo secondo Luca 14, 1. 7-14

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, alcune delle maggiori difficoltà che viviamo nascono nel rapporto con gli altri. È nelle relazioni personali infatti che emergono gran parte delle nostre ansie del vivere quotidiano. Gli altri sono un po’ lo specchio nel quale vediamo riflesse le nostre paure e incertezze, gli insuccessi e lle mancanze, oppure dal quale ricaviamo con soddisfazione la misura del nostro successo, del quale compiacerci, o della nostra superiorità, che ci conferma nelle nostre scelte. Jean-Paul Sartre, pensatore esistenzialista del secolo scorso, diceva “l’inferno sono gli altri”, proprio perché nell’incontro con gli altri si rivelano tutte le nostre debolezze e i nostri limiti, li sentiamo potenziali rivali, nemici ostili, o anche solo un ingombro fastidioso.

Quante volte infatti abbiamo desiderato vivere senza gli altri? È questa forse la tentazione più profonda del nostro cuore, che Dio in un certo senso ha voluto evidenziare fin dai primi passi della storia dell’umanità attraverso la storia di Caino e Abele. Quest’ultimo con la sua mitezza e franchezza nel rapporto con Dio fece nascere nel cuore di Caino un senso di invidia e di fastidio. Il suo essere così amico faceva risaltare ancora meglio tutta la scontrosità e l’animosità del suo animo. E, come capita spesso, Caino pensò che per eliminare questo problema bisognasse agire non dentro di sé, addolcendosi e sforzandosi di assomigliare a qual suo fratello migliore, ma eliminandolo, così che col suo modo di essere non suscitasse più quel fastidio che provava.

È ciò che spesso avviene anche nella nostra vita. Quando incontriamo un fratello migliore di noi, una sorella che con il suo agire ci richiama la vocazione di tutti i figli di Dio ad essere più umani, il nostro fastidio tende ad allontanarlo, un vero e proprio “omicidio”, anche se, ovviamente, è un far fuori incruento.

Il libro del Siracide che abbiamo ascoltato nella prima lettura ci dà una prima indicazione su come il sapiente agli occhi di Dio si rapporta con gli altri: “Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.” L’invito  è alla mitezza e all’umiltà. Mitezza significa non ospitare mai dentro di sé sentimenti e atteggiamenti aggressivi, in nessun caso e per nessuna ragione. Umiltà invece significa avere una considerazione di sé bassa, senza inorgoglirsi e pensarsi grande.

Vivere questi atteggiamenti nei nostri rapporti con gli altri, afferma la Scrittura, ci rende “amati” e “graditi” dagli uomini e da Dio. Infatti, precisa il Siracide, chi non vive questi due atteggiamenti non può far suoi i pensieri e i modi di agire di Dio, perché egli non trova spazio in un cuore orgoglioso e aggressivo, tutto pieno di sé e attento e sensibile solo a se stesso. C’è bisogno come di svuotarsi da un senso di sé ipertrofico e esagerato per dare spazio a Dio e alla sua Parola. Infatti “Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.

La mitezza e l’umiltà sono dunque frutto di un ascolto attento e continuato della Parola di Dio. Non sono infatti atteggiamenti che si costruiscono con il semplice sforzo umano, ma sono, direi, il dono che viene da un atteggiamento sapiente di ascolto della Parola e di impegno a farla scendere dentro di sé per poterla così vivere.

La parabola di Gesù che ci riporta Luca nel vangelo ricalca questi stessi suggerimenti dell’antica sapienza di Israele, di cui è espressione il libro del Siracide. Gesù descrive un banchetto, che è la vita di ognuno di noi, e del posto che ciascuno pensa sia il proprio. Per alcuni, dice il Signore, viene spontaneo pensare che il primo posto è il proprio. Anche per noi è così, se ci pensiamo. Le mie esigenze, le mie preoccupazioni, i miei affanni, desideri e soddisfazioni sono quelli cha hanno sempre la precedenza. È naturale e spontaneo, neanche ci dobbiamo sforzare. Dio però, padrone di casa del grande banchetto che è la vita, ha un suo criterio e per lui lo spazio principale, il posto d’onore è quello degli altri, a partire proprio dai più poveri. Dice infatti Gesù: “quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.” L’unico caso in cui infatti siamo disposti a dare spazio a qualcun altro è quando abbiamo qualcosa da ricavarci, allora sì che gli si lascia volentieri la precedenza, per ottenere qualcosa in cambio.

Dio però ci mette in guardia. Stai attento, ci dice, a mettere sempre e solo te stesso al centro della tua vita, al primo posto, perché verrà un momento in cui gli altri necessariamente, avranno il sopravvento, ed allora questo sarà per te motivo di umiliazione e infelicità”. Succede a tutti infatti che, ad esempio, per la vecchiaia o altri motivi di debolezza, noi diveniamo bisognosi dell’aiuto degli altri e siamo costretti a umiliarci a chiederglielo o a lasciarci guidare “dove non vogliamo”, come Gesù ricorda a Pietro. L’orgoglio ci renderà questo insopportabile e motivo di infelicità. Ma anche nel caso in cui fossimo senza alcun bisogno, quanto è arida e senza prospettive una vita pensata solo per sé!

Meglio, dice Gesù, mettere il nostro interesse, il tornaconto, il senso di sé dopo quello degli altri, dare ad essi la precedenza nelle nostre preoccupazioni e interessi, nel nostro pensiero e azione, a partire proprio da quelli che ne hanno più bisogno, cioè i poveri, così verremo “esaltati” dalla riconoscenza e dall’affetto loro, e dalla benevolenza di Dio.

Ecco che allora gli altri non saranno più un problema, né il nostro inferno, ma il luogo in cui sperimentare quella dolcezza dell’amore di Dio che riceviamo in abbondanza in ogni momento della nostra vita e che noi fatichiamo così tanto a vivere. Gesù ha messo il nostro interesse davanti al suo, non ha pensato a salvare se stesso, a mettersi al sicuro, non ha pensato ad avere successo e ad essere benvoluto con entusiasmo da tutti, ma piuttosto ha sempre cercato di far emergere in ciascuno il meglio che c’era in lui, anche se questo a volte è doloroso e suscita reazioni stizzite e di rifiuto violento. Ha sempre operato perché prevalesse il bene di chi aveva di fronte, anche se questo lo rendeva odioso a molti.

Fratelli e sorelle, questa è la vera e unica risposta a quel dramma che tante volte ci si presenta nel rapporto con gli altri: conflittuale o problematico e fastidioso. Non è evitando o fuggendo che lo risolviamo, anzi così costruiamo una gabbia ancora più stretta che ci imprigiona, ma imparando dal Vangelo quella mitezza e umiltà che ci fanno vedere nell’altro sempre un valore, qualcuno da cui la vita ci sfida ogni volta a far emergere il meglio che è riposto in lui, quella scintilla di umanità che Dio ha creato per renderci somiglianti a lui. Scoprirla e riuscire a farla brillare come oro prezioso è il compito bello che Dio ha voluto assumersi con noi e a cui ci chiama, perché possiamo divenire ricchi non solo dei nostri talenti e risorse, ma anche di quelle cha riusciremo a far riemergere sotto la cenere e i detriti di quelli che abbiamo accanto.
 

Preghiere

O Signore Gesù aiutaci a non cercare di occupare tutta la nostra vita con noi stessi, le nostre preoccupazioni e affanni, ma a lasciare spazio alla tua Parola per amarla e viverla,

Noi ti preghiamo


O Dio plasma le nostre esistenze a immagine tua, perché brilli anche in noi l’umanità buona e generosa che vi hai voluto immettere. Elimina tutte le scorie che offuscano la bellezza del nostro volto creato a tua immagine e somiglianza,

Noi ti preghiamo

Ti ringraziamo o Signore Gesù perché con la tua vita ci dai l’esempio di umiltà e mitezza che ci rende capaci di ospitare il vangelo in noi e di viverlo. Fa’ che siamo sempre attenti ascoltatori di ogni tua parola,

Noi ti preghiamo

 
Incoraggia o Signore quanti ti cercano e non sanno come fare. Per i giovani, per i lontani, per tutti quelli che sono incerti e dubbiosi, fa’ che la chiarezza del tuo amore allontani ogni oscurità e faccia sempre brillare la bellezza luminosa del tuo Vangelo,

Noi ti preghiamo

 
Ti invochiamo o Signore, proteggi e libera dal male quanti soffrono per la povertà e per il dolore. Per gli ammalati, chi è anziano, senza casa, prigioniero, per chi è in guerra e vittima della violenza. Dona a tutti pace e salvezza,

Noi ti preghiamo


Sostieni i tuoi discepoli perché vivano il tuo stesso a amore e prediligano chi è povero e bisognoso col tuo stesso amore misericordioso e generoso. Sostieni il loro impegno per la difesa di chi è debole e per la consolazione del misero,

Noi ti preghiamo.


Benedici o Padre santo, la tua famiglia che si raduna attorno al Vangelo e all’Eucarestia, rendila conforme al tuo desiderio e vigilante nell’attesa della tua venuta,

Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Signore per il papa Francesco e per tutti i pastori del tuo gregge sconfinato. Dona ad essi coraggio e speranza perché portino a tutti l’annuncio della salvezza che viene da te,

Noi ti preghiamo

 

 

venerdì 23 agosto 2013

XXI domenica del tempo ordinario - 25 agosto 2013


 
Dal libro del profeta Isaia 66, 18-21

Così dice il Signore: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore. Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».

 

Salmo 116 - Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore.

Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode.

Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.

Dalla lettera degli Ebrei 12, 5-7.11-13

Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio». È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore;
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Alleluia, alleluia alleluia

 

Dal vangelo secondo Luca 13, 22-30

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

 

Commento

 

Il brano del Vangelo appena ascoltato si apre con una domanda strana: “Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»” Poco prima si legge il racconto di una guarigione fatta da Gesù in giorno di sabato e della reazione stizzita degli ebrei osservanti che rimproverano quella malata di essersi presentata da Gesù di sabato, infrangendo così la legge che vietava il lavoro in quel giorno, e implicitamente rimproverano anche Gesù di aver compiuto quella guarigione quando ciò sarebbe stato vietato. Con quel gesto il Signore voleva dimostrare che la compassione per chi sta male e la misericordia per chi chiede aiuto ha la priorità su tutto, anche sulla tradizione e la legge religiosa, di per sé una cosa buona, ma che non è un motivo sufficiente per sentirsi estranei e non interpellati dal bisogno di un uomo, in questo caso un malato in cerca di guarigione. Il Vangelo nota che davanti a questo contrasto “la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute”, cioè il miracolo, certamente, ma credo anche la meraviglia per un amore così sollecito e incondizionato che rende Gesù libero da ogni imbrigliamento, perché mette sempre al centro della sua attenzione la necessità di essere vicino, aiutare, avere misericordia e pietà per chi sta male.    

Ed ecco che, in un altro contesto, si pone quella domanda sulla salvezza. Ciò che stupisce è come quel tale non chieda come si faccia a salvarsi, ma se sono pochi a salvarsi, tradendo quasi un fastidio per una grazia troppo larga, donata con abbondanza, con quella libertà che Gesù aveva dimostrato poco prima con la sua guarigione di sabato. Sì, perché la larghezza dell’amore di Gesù suscita un fastidio in chi si sente a posto, senza bisogno di guarigione, come quei giudei osservanti, o già sulla via della salvezza, come forse quell’uomo della domanda.

Gesù risponde a quell’uomo, ma senza rispondere alla sua richiesta. Non dice infatti se si salvano pochi o molti, ma sposta l’attenzione sul fatto che la salvezza viene da un rapporto personale con Dio. Dice Gesù infatti che molti verranno alla porta del Regno ma il padrone di casa rifiuterà loro l’ingresso dicendo “Voi, non so di dove siete.” a nulla vale la protesta di quelli che avanzano il diritto di entrare perché hanno dimestichezza con lui, lo hanno frequentato. Non basta.  L’ingresso al Regno è definito da Gesù una “porta stretta”, ma è stretta non perché vuole impedire l’ingresso, infatti aggiunge Gesù che, confermando l’immagine di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura, “verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.” Cioè il Regno è pronto ad accogliere tanti, provenienti da tanti luoghi, e non è un luogo “per pochi”. Ma quella porta è stretta perché è la porta dell’incontro, che si fa sempre uno ad uno. Non si sta con Dio nella massa, anonimi, sicuri che basta aver seguito certi precetti e non aver infranto le tradizioni e consuetudini sociali per essere da Lui “conosciuti”. L’amicizia con Dio ci rende ospiti graditi del banchetto del Regno. Quella è infatti la porta dell’ovile nel quale Gesù, pastore buono, raduna le sue pecore chiamandole ognuna per nome, perché appunto: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me (Gv 10,3; 14).

Ma come si fa a “farsi conoscere” da Dio, ad essere suoi amici, a farsi chiamare da lui per nome mentre si passa per quella porta stretta? Gesù nel respingere quelli che non si sono fatti conoscere da lui dice: “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!” Eppure essi avevano rivendicato che avevano udito i suoi insegnamenti (“tu hai insegnato nelle nostre piazze”), ma non li avevano vissuti. La loro appartenenza era data per scontata, per aver udito ed essere stati presenti, ma non era passata attraverso la loro vita. Questo li rende incapaci di capire e vivere la giustizia di Dio, che è la sua misericordia, proprio come gli uomini scandalizzati da Gesù guaritore di sabato.

La stessa cosa spesso capita anche a noi, quando crediamo di essere “dei suoi” perché lo abbiamo udito, frequentato, siamo stati presenti e anche sappiamo molto di lui. Ma la vera conoscenza di Dio avviene quando le sue parole passano dentro la nostra vita, lasciando un segno indelebile, incidendo in profondità sul nostro modo concreto di agire e pensare. Anche quegli uomini scandalizzati dalla guarigione fatta da Gesù in giorno di sabato conoscevano bene la legge, erano giudei osservanti e ben preparati, ma si può dire che quella legge non era mai entrata dentro il loro cuore e non li aveva trasformati secondo il volere di Dio, tanto che restano estranei, anzi ostili a lui.

Cari fratelli e care sorelle, prepariamoci da subito ad entrare per la porta stretta di un rapporto intimo con Dio, abituiamoci ad assomigliargli almeno un po’, così da essere riconosciuti da lui, facendoci plasmare dentro dal Vangelo, quelle parole apparentemente difficili, così estranee al nostro mondo, ma così vere e umane, capaci di trasformare delle persone apparentemente sane e a posto, in uomini e donne bisognosi di essere guariti e salvati da Lui.

 

Preghiere

O Signore Dio nostro, aiutaci a non sfuggire dall’incontro con te, dando per scontato di conoscerti. Fa’ invece che ascoltiamo le tue parole e seguiamo il tuo esempio facendoci operatori di giustizia,

Noi ti preghiamo


Plasma o Dio il nostro cuore, perché tu ci riconosca come tuoi figli e discepoli nel momento del nostro incontro con te. Fa’ che la porta stretta dell’amore speciale con cui ci vuoi bene apra la nostra vita alla conversione,

Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Dio per quanti non ti conoscono, anche se pensano di sapere già chi sei e cosa vuoi da loro. Aiutali ad ascoltare con umiltà il vangelo e a farlo scendere dentro di sé perché trasformi le loro vite,

Noi ti preghiamo


Aiuta o Dio tutti quelli che ti invocano, affidandosi a te anche se non ti conoscono bene. Mostra loro il tuo volto di misericordia che guarisce e salva,

Noi ti preghiamo


Guida i tuoi figli ovunque dispersi sui sentieri del Vangelo o Dio nostro Padre, perché uniformando ad esso il proprio agire portino pace e riconciliazione dove oggi c’è odio e contesa,

Noi ti preghiamo

Proteggi o Signore i tuoi figli, specialmente quelli che sono nel dolore e nella difficoltà. Guarda ad ognuno con il tuo volto misericordioso, perdona e guarisci ciascuno,

Noi ti preghiamo.

venerdì 16 agosto 2013

XX domenica del tempo ordinario - 18 agosto 2013


 

Dal libro del profeta Geremia 38,4-6.8-10

In quei giorni, i capi allora dissero al re: «Si metta a morte questo uomo, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché questo uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male ». Il re Sedecia rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi». Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia, principe regale, la quale si trovava nell'atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non c'era acqua ma fango, e così Geremia affondò nel fango. Ebed-Melech uscì dalla reggia e disse al re: «Re mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame sul posto, perché non c'è più pane nella città». Allora il re diede quest'ordine a Ebed-Melech l'Etiope: «Prendi con te da qui tre uomini e fa’ risalire il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia».

 

Salmo 39 - Vieni presto, Signore, a liberarmi.

Ho sperato: ho sperato nel Signore  +
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.

Mi ha tratto dalla fossa della morte,
dal fango della palude;
i miei piedi ha stabilito sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.

Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.

Io sono povero e infelice;
di me ha cura il Signore.
Tu, mio aiuto e mia liberazione,
mio Dio, non tardare.


Dalla lettera agli Ebrei 12, 1-4

Fratelli, circondati da un gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Apri, Signore, il nostro cuore
e comprenderemo le parole del Figlio tuo.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 12, 49-57

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». Diceva ancora alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?».

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, nel brano del vangelo che abbiamo appena ascoltato Luca ci riferisce alcune parole di Gesù particolarmente appassionate, direi quasi violente. Egli parla di un fuoco che è venuto a portare sulla terra, ma che sembra non volersi appiccare, e di un battesimo da ricevere che gli suscita angoscia. È evidente come Gesù parli della sua missione di diffondere nel mondo un amore bruciante e appassionato, capace di trasmettersi per la forza del suo calore, come avviene negli incendi, ma che fa fatica a far ardere nei cuori degli uomini che sembrano invece preferire il freddo o la tiepidezza di un amore così diverso da quello di Dio. È un’amara constatazione che Dio potrebbe fare davanti ad ogni generazione, in seguito alla resistenza che in tutte le epoche gli uomini hanno fatto a che l’incendio del suo amore trasformasse la faccia della terra e purificasse col calore le scorie di egoismo, indifferenza, odi e violenze che lo hanno attraversato in ogni epoca.

Anche oggi quanto poco arde l’amore di Dio nei nostri cuori! Eppure Gesù ce ne ha dato una dimostrazione concreta in ogni situazione della sua vita. Egli non si è risparmiato nel vivere quel principio che è mettere l’interesse dell’altro sempre al di sopra del proprio. Questo è l’amore di Gesù che, come dice l’Apostolo, “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.” (Fil 2,6-8).

Ecco qual è l’incendio che Gesù vuole propagare a partire dal proprio modo di essere. È quel calore che i due discepoli che andavano ad Emmaus dissero di aver sentito davanti al Signore fattosi loro compagno “Ed essi dissero l'un l'altro: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via” (Lc 24,32). “Ardeva” dicono i due, perché le parole di Gesù se accolte nel cuore accendono un fuoco, e per questo corrono dagli altri discepoli, per propagare loro quel fuoco di amore. Sì, perché quando si accende, l’amore di Dio non può essere trattenuto, ma suscita la necessità di comunicarlo. Ecco da cosa si riconosce l’amore vero.

Chiediamoci fratelli e sorelle, quante volte ci capita di infiammarci di un amore così forte per gli altri da non riuscire a trattenerlo e da sentire la necessità di comunicarlo a tanti? Piuttosto, spesso, quello che noi riteniamo amore si nutre di esclusività, di gelosie, di tanti meccanismi che servono a chiudere fuori gli altri. Non si dice forse che per voler veramente bene a una persona bisogna amare solo lei, o altre stupidaggini simili?

In genere per parlare di una forma di amore supremo ci si riferisce a quello di una madre per il figlio o a quello fra fratelli. Anche Gesù riporta l’esempio di una famiglia, affermando però che il suo amore è più forte degli stessi vincoli di sangue naturali. Se brucia l’amore di Dio infatti nella nostra vita scopriamo che anche quelli che normalmente sono considerati i legami più stretti sono un niente davanti ad esso, e nulla, neppure gli obblighi familiari o le normali relazioni fra parenti, possono frapporsi o ostacolarlo, anche a costo di dolorose separazioni.

Infine Gesù parla di un battesimo da ricevere, come fa anche in Mc 10,38, per parlare della sua passione. Egli sa infatti che questo amore, se vissuto fino in fondo, ha un costo molto alto, perché suscita l’invidia e l’opposizione di molti, ma Gesù non dubita ad andare incontro a questo battesimo perché è il passaggio obbligato per giungere alla vita vera, restituita piena e senza fine con la resurrezione.

Questo fratelli e sorelle è vero anche per noi! Non si giunge alla vita felice, beata e piena di senso se non facendosi ardere in petto l’amore di Gesù, per il quale essere disposti a rinunciare a tutto quello che nella nostra vita ci trattiene e ci raffredda, fosse pure quello che noi riteniamo invece irrinunciabile e indispensabile per vivere. Ce lo insegna la testimonianza di tanti martiri che hanno ritenuto più importante salvaguardare lo spazio dell’amore appassionato per i fratelli, piuttosto che salvare la loro vita stessa.

Non a caso usiamo la parola passione per indicare la sofferenza di Gesù fino alla sua morte, perché è veramente un segno di amore appassionato, che non fa risparmiare nulla a Gesù, ma gli fa offrire tutto sé stesso, fino all’ultimo, per non abbandonare e tradire la gente a cui vuole trasmettere il suo amore. E paradossalmente proprio dalla croce, nonostante il dolore e l’impotenza, non smette di scorrere questa corrente di fuoco, tanto da far ardere anche il buon ladrone e il soldato romano, due tipi di sicuro non teneri e facilmente impressionabili, che proprio da come muore riconoscono che Gesù è veramente Dio e si lasciano ardere per lui.

Cari fratelli e care sorelle, non intiepidiamo le parole del Vangelo con le mediazioni e gli addolcimenti che ci vengono così bene, non rischiamo di farci trovare come la Chiesa di Laodicea che, nell’Apocalisse, viene giudicata né calda né fredda, ma tiepida e per questo è vomitata via lontana dalla salvezza (Ap 3,15-16), accettiamo che le parole di Gesù, i suoi gesti, le prove del suo amore per gli uomini ci scaldino fino a farci ardere del suo stesso amore, perché ci purifichiamo dal peccato e diveniamo suoi cooperatori nel diffondere l’incendio a tutta la terra.

 
Preghiere  

O Signore accendi anche in noi l’incendio di un amore appassionato e fedele, perché sappiamo voler bene al fratello e alla sorella più di quanto amiamo noi stessi,

Noi ti preghiamo


Aiutaci o Signore a superare le resistenze e le paure a farci investire da un amore sincero per tutti. Donaci la disponibilità e l’audacia di andare contro abitudini e tradizioni per essere tuoi discepoli fedeli,

Noi ti preghiamo

 
Consola o Dio quanti soffrono per la mancanza di amore e restano soli nel bisogno. Fa’ che i tuoi discepoli si facciano volentieri loro compagni e sostegni,

Noi ti preghiamo

 
Dona o Padre del cielo la pace all’Egitto e alla Siria, colpiti dalla forza della violenza e della guerra, consola gli afflitti e sostieni quanti cercano vie per la riconciliazione,

Noi ti preghiamo


Aiutaci o Dio ad essere sempre tuoi discepoli fedeli, anche quando questo è difficile e costa sacrificio. Fa’ che ovunque nel mondo i cristiani siano sempre una forza di pace e di riconciliazione,

Noi ti preghiamo


Sostieni o Padre il nostro papa Francesco nel suo ministero di pastore buono del tuo gregge. Donagli la forza profetica dell’annuncio e della testimonianza,

Noi ti preghiamo.

 

 

mercoledì 14 agosto 2013

Assunzione di Maria Santissima - 15 agosto 2013


Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo 11, 19a; 12, 1-6a.10ab

Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo».

 

Salmo 44 - Risplende la Regina, Signore, alla tua destra.

Figlie di re fra le tue predilette;
alla tua destra sta la regina, in ori di Ofir.
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre.

Il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio.
Dietro a lei le vergini, sue compagne, +
condotte in gioia ed esultanza,
sono presentate nel palazzo del re.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 15, 20-27°

Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Maria è assunta in cielo;
esultano le schiere degli angeli.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 1, 39-56

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il ricordo di Maria ci coglie in questo tempo estivo un po’ strano, segnato dalla fatica del clima e dal desiderio di evasione. Tutto, possiamo dire, in questi giorni ci spinge a concentrarci su noi stessi, sulle nostre necessità e sul desiderio di lasciarsi andare ad una maggiore attenzione e cura di sé.

È in questo clima che ci coglie la festa che celebriamo oggi che invece ci fa alzare lo sguardo su una prospettiva ampia e grandiosa. È la visione dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato nella prima lettura e che ci immette nell’eterna lotta fra la forza del male e i segni del bene. L’Apostolo Giovanni descrive la minaccia di un drago che occupa quasi tutto il cielo, ne cancella le stelle luminose, e si appresta a distruggere quel bambino che sta per nascere. Sì, se usciamo dalla nostra prospettiva individuale vediamo che nel mondo è presente una forza del male che vuole uccidere ogni segno di una nuova speranza che nasce. Nel nostro piccolo angolo tutto sembra molto più addomesticabile e rassicurante. Certo anche lì non mancano le contrarietà e le sofferenze, ma noi le viviamo come nostre questioni private, da gestire fra sé e sé con la sapienza maturata con l’esperienza, con la capacità di compromessi e adattamenti che ci fa sfuggire dagli aspetti più drammatici del male. Eppure, fratelli e sorelle, se non alziamo lo sguardo verso la visione grandiosa della lotta cosmica fra il principe del male e Dio e se non ci inseriamo anche noi in questa battaglia come alleati del Signore non potremo nemmeno partecipare della sua vittoria, di cui ci parla l’Apostolo nella lettera ai Corinzi: “Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.” Tutti moriamo in Adamo, cioè tutti siamo partecipi di un male che affonda le radici in quella volontà di allontanarsi da Dio che Adamo espresse fin dai primi passi dell’uomo e che trova innumerevoli espressioni, appunto, in quella lotta che il male continua in tutto il mondo a condurre contro il bene, ma grazie a Dio possiamo anche partecipare assieme all’umanità intera della forza della resurrezione che ci strappa al dominio della morte.

Eppure fratelli e sorelle, è facile sentirsi lontani da questa battaglia ed estranei al peccato del mondo. Che c’entro io con le ingiustizie, il male, le sofferenze degli altri, specie di quelli più lontani? Che responsabilità ho io per quello che accade, per le guerre, le violenze, i dolori infiniti che avvolgono l’umanità intera? Noi misuriamo il nostro male con il metro piccolo del nostro orizzonte individuale e cerchiamo i nostri compromessi per sentirci estranei alla visione dell’Apocalisse. Per questo però ci tagliamo anche fuori dal destino vittorioso che il Signore ha voluto realizzare con la sua resurrezione. Solo infatti se ci coinvolgiamo in questa lotta cosmica e sentiamo che anche il mio piccolo peccato, il mio piccolo dolore, le mie piccole sofferenze sono parte di questo disegno più grande potremo partecipare della forza di cambiamento e di redenzione che Cristo è venuto per comunicare al mondo.

Maria lo capisce. La sua vita umile e appartata all’improvviso diviene strumento di una storia grande, universale, cosmica, che coinvolge l’umanità intera e tutto il creato. Ha accettato di inserirsi in questa storia, senza rinchiudersi nella nicchia della sua vita privata, e di divenire lei, giovane e piccola ragazza di una regione periferica, la donna dell’apocalisse che soffre le doglie di un parto minacciato dal male, ma benedetto e salvato da Dio che la protegge e la scampa.

Il suo canto di gioia rivolto a Elisabetta parla di questa visione grandiosa: “D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.” Maria si sente figlia e depositaria delle attese di una storia grande, che coinvolge tutto il mondo, di generazione in generazione, e vi sa leggere dentro il disegno di salvezza di Dio.

Cari fratelli e care sorelle, questa è la prospettiva che la Scrittura oggi, indicandoci l’esempio di Maria, propone a ciascuno di noi. Quella cioè di sentirci partecipi di una storia più larga del nostro piccolo privato, che coinvolga e assuma su di sé le speranze, le sconfitte, i dolori di un mondo grande e complesso, pieno di contraddizioni e drammi, ma nel quale il disegno di Dio si può leggere in filigrana per poterne essere così partecipi. Se guarderemo anche alle nostre piccole vicende, le piccole possibilità e i piccoli limiti del nostro vivere quotidiane nell’ottica della visione larga di Maria scopriremo che non è indifferente come agiamo e che le nostre scelte possono inserirsi in essa e divenire protagoniste di quella lotta che Dio conduce perché il bene vinca e la speranza non venga soffocata dal buio della violenza e del dolore di oggi.

Cari fratelli e care sorelle, viviamo col cuore largo di Maria e godiamo, con la sua stessa fiducia ingenua e semplice, delle prospettive di vita diversa che Dio ci suggerisce. Anche da noi, nonostante l’età, la stanchezza e la troppa rassegnazione, nascerà una nuova vita, figlia delle benevolenza di Dio e del suo desiderio di vincere la sterilità di vite spente e rinunciatarie. Di essa il Signore stesso si prenderà cura, se gliela affidiamo, perché non venga soffocata dal male. Ne ha bisogno il mondo e ne abbiamo bisogno noi stessi, perché la vittoria sul male è possibile e ci è offerta, se noi non la rifiutiamo.

 
Preghiere 

Ti ringraziamo o Padre del cielo per la umile disponibilità di Maria che seppe farsi carico della storia di tutta l’umanità e accogliere in sé la salvezza del mondo. Dona anche a noi di essere strumento della forza della resurrezione nella lotta contro il male,

Noi ti preghiamo

O Dio nostro Padre, proteggi la debolezza delle vite minacciate, come salvasti il piccolo Gesù dalla violenza di Erode. Fa’ che chi è piccolo e indifeso sia scampato da ogni male e goda della tua benedizione,

Noi ti preghiamo
 
Ti preghiamo o Signore Gesù perché non viviamo rinchiusi nel piccolo mondo delle nostre esistenze private, ma ci apriamo alla dimensione universale della lotta fra il bene e il male che si combatte nel mondo. Rendici in essa tuoi alleati fedeli e generosi,

Noi ti preghiamo
 

Scampa o Dio quanti sono minacciati dalla violenza della guerra e del terrorismo e vivono oppressi dal dolore. Liberaci tutti dalla radice di peccato che ci unisce in Adamo, per essere invece partecipi e operatori della vera pace portata da Cristo,

Noi ti preghiamo

 
Proteggi o Dio il nostro papa Francesco nel suo impegno senza sosta per la predicazione del Vangelo e per la testimonianza del tuo amore. Fa’ che ciascuno di noi sia toccato dalle sue parole e dal suo esempio per vivere una maggiore autenticità evangelica,

Noi ti preghiamo
 

Guida e proteggi o Padre del cielo tutti  i tuoi figli che oggi nel mondo intero venerano e invocano la tua Madre come protettrice e guida. Fa’ che con la sua stessa umiltà e umanità sappiamo tutti fare spazio a Cristo nelle nostre vite,

Noi ti preghiamo.

 

venerdì 9 agosto 2013

XIX domenica del tempo ordinario - 11 agosto 2013


Dal libro della Sapienza 18, 6-9                                              

La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri.

 

Salmo 32 - Beato il popolo scelto dal Signore.

Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.


Dalla lettera agli Ebrei 11, 1-2.8-19

Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città. Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Vegliate e tenetevi pronti,
perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 12, 32-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».  Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

 Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato l’evangelista Luca riferire le parole di Gesù che rassicura così i discepoli che lo stanno ascoltando: “Non temere, piccolo gregge.  Ma cosa avevano da temere i discepoli? Subito prima Gesù li aveva esortati a non affidarsi a ciò che il mondo ci presenta come le sicurezze della nostra vita: “non state a domandarvi che cosa mangerete e berrete, e non state in ansia”. Anche noi siamo legati a dei punti fermi che ci danno sicurezza: le nostre abitudini, il nostro carattere, la psicologia, il benessere economico, la salute fisica, gli ambiti sociali, ecc… La sola idea di poter cambiare anche solo un po’ queste cose ci mette in ansia. Ma soprattutto ciò che ci sembra la garanzia più sicura per non trovarci in difficoltà nella vita è il fatto di non discostarci dal modo di fare di tutti. Essere con la maggioranza e comportarsi come tutti è per tutti noi il modo migliore per sentirci al sicuro da errori e critiche. Un vero e proprio spavento ci prende se ci rendiamo conto che ci stiamo discostando dal sentire comune oppure, il più delle volte, riteniamo la sola ipotesi così inconcepibile che nemmeno ci viene in mente la possibilità di discostarci da come abbiamo fatto sempre o da come fanno tutti.

Forse proprio per questo Gesù, rivolgendosi ai suoi per rincuorarli, li definisce “piccolo gregge”, e cioè minoranza, e proprio a questo piccolo gruppo dice di “non avere paura”, perché per lui la sicurezza dell’uomo non viene dall’essere con la maggioranza ma dall’essere con Dio, e infatti aggiunge: “perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”. Sì, Dio offre il suo Regno non alla maggioranza, ma lo assegna ad un piccolo gregge. E’ assurdo, perché è perdente: da che mondo è mondo sono le folle quelle che si devono cercare di conquistare. Gesù non ha mai inseguito le folle, non ha usato ciò che di solito ne conquista il consenso, come azioni straordinarie, sensazionalismo, promesse, le ha accolte e istruite quando venivano a lui, ma spesso queste se ne sono andate via deluse, spesso le ha fuggite. Dio non si illude, sa che le folle sono mutevoli e ondivaghe: oggi acclamano Gesù Messia e Re d’Israele, “Osanna al Figlio di Davide”, e l’indomani gridano a Pilato “crocifiggilo”: è quello che ascoltiamo la domenica delle palme nella Passione. Dio sa che quelli che si fidano di lui sono una minoranza, anche se molti sono quelli che, a parole, usano il suo nome, per vantarsi o per sentirsi a posto. Ad un piccolo gregge, e non alle folle, Dio affida il Regno e invita i suoi discepoli, e oggi ciascuno di noi, a farne parte. 

I cristiani spesso non hanno creduto a queste parole, cercando invece soprattutto il consenso e la sicurezza di far parte di una maggioranza. E’ nella folla che ci si sente forti, anche se si è spersonalizzati e deresponsabilizzati. Ed infatti, così facendo, si è esclusi dall’eredità del Regno. Il discepolo sarà sempre in minoranza, se autenticamente fedele al vangelo, rispetto alla grande maggioranza, anche se essa si dicesse cristiana.

Ma cosa vuol dire essere minoranza? Non è una condanna all’irrilevanza, e alla rassegnazione, non è un tradimento del comando di Gesù di andare ed annunciare il vangelo a tutte le genti (Mt 10,7) ? E’ un po’ la domanda di Pietro: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?» cioè: “Il cristianesimo è per pochi o per molti?”.

La risposta a questo dubbio può essere duplice. Certamente il cristianesimo è per tutti, e la condizione di minoranza non è una condanna a cui rassegnarsi, ma una situazione contingente dei nostri tempi, che sarà rovesciata nella prospettiva escatologica, che sta a noi affrettare col nostro operato e la conversione del cuore. La Scrittura ci offre motivi per credere che la salvezza è possibile per tutti, ma non si realizza solo per il nostro sforzo, perché richiede un intervento di Dio.

In secondo luogo l’esortazione di Gesù è a far parte di quel “piccolo gregge”, e non certo della folla, ma sta a ciascuno accogliere questo invito. Sicuramente, e la storia delle comunità cristiane ce lo dimostra in ogni epoca, quando qualcuno vive il vangelo in modo radicale e sincero esercita una grande forza attrattiva e fa allargare il piccolo gregge di cui egli fa parte, se si nasconde nella folla, anche la più devota e pia, difficilmente la sua testimonianza sarà significativa per qualcuno.

In fondo anche noi oggi qui abbiamo più l’aspetto di un piccolo gregge, rispetto alla grande maggioranza di quelli che sono presi dal turbine del clima vacanziero in cui ci si concentra con tutte le forze a dedicarsi solo a se stessi. Ma non per questo ci sentiamo sconfitti o rassegnati. Siamo una minoranza, certamente, ma felici di essere qui. Sentiamo che stare con Dio per rendere culto al Signore e non con la maggioranza che sta rendendo culto a se stessa e al proprio benessere, ci fa felici, perché già pregustiamo la bellezza di quel Regno in cui non c’è lutto né lamento, né affanno. Il Signore viene a incoraggiarci: “Non temete di essere diversi, non temete di aderire ad un Vangelo che appare così diverso dalla logica comune e dal buon senso”. Solo così potremo essere parte di quella minoranza che da’ sapore e luce alla massa inquieta e disorientata della maggioranza, potremo essere qual lievito, poco ma vivo, che fa crescere la pasta ben più grande di essa.

Preghiere  

Ti ringraziamo o Signore perché ci raduni nel tuo piccolo gregge a cui prometti in eredità il Regno dei cieli. Fa’ che restiamo uniti a te ed ai fratelli per non perdere il privilegio di far parte della tua famiglia.

Noi ti preghiamo

Ti preghiamo anche, o Signore Gesù, per tutti coloro che non ti conoscono e non ti amano. Fa’ che il nostro esempio li attragga verso di te e faccia loro scoprire la bellezza della vita evangelica.

Noi ti preghiamo

 O Padre misericordioso, aiuta in questo tempo difficile tutti coloro che sono messi a dura prova dal clima e dalla dimenticanza: gli anziani, i malati, i prigionieri, i soli, coloro che sono senza casa. Sostienili e proteggili da ogni male.

Noi ti preghiamo

 
Non far mancare il tuo aiuto, o Dio del cielo, a tutti coloro che in questi giorni sono stati colpiti dai disastri naturali, dalla violenza, dalla guerra e dal terrorismo. Dona al mondo intero pace e salvezza.

Noi ti preghiamo

 
Guarda con amore, o Padre Misericordioso, tutti i tuoi discepoli ovunque dispersi. Fa’ che ogni comunità riunita nel tuo nome sia un segno di pace e riconciliazione, un piccolo gregge che anticipa il Regno di amore che erediteranno.

Noi ti preghiamo

 
Proteggi o Dio coloro che sono in pericolo a causa della loro fede cristiana o per l’amore per la giustizia. Fa’ che sia fermata la mano violenta che vuole colpire chi ti ama.

Noi ti preghiamo.

 

 

 

sabato 3 agosto 2013

XVIII domenica del tempo ordinario - 4 agosto 2013


Dal libro del Qoèlet 1,2; 2,21-23
Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità. Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male. Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!
 
Salmo 89 - Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione. Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi, +
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi: sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: +
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Calossesi 3,1-5. 9-11
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria. Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato. Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.
 
Alleluia, alleluia alleluia. Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli..
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 12,13-21
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
 
Commento
Cari fratelli e care sorelle, papa Francesco poche settimane fa, in occasione del suo viaggio a Lampedusa per commemorare gli immigrati morti nei viaggi in mare, ha detto: “La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.”
Sono parole severe, pronunciate davanti al dramma di troppi morti davanti ai quali facciamo fatica a trovare l’atteggiamento giusto, un senso di responsabilità collettiva che coinvolge tutto il mondo di noi privilegiati ma che, facilmente, ci scrolliamo di dosso: che colpa ne ho io?
Questo senso di leggerezza esistenziale di chi con facilità si alleggerisce di ciò che pesa sulla coscienza o sui cuori, rimuovendo tutto ciò che dà fastidio o sembra opprimere per il peso della responsabilità, mi sembra descriva bene ciò che in modo sintetico ed emblematico la Scrittura chiama “vanità delle vanità”, come abbiamo sentito nella prima lettura dal libro di Qoelet.
Come dice il papa, la cultura del benessere fa vivere con la leggerezza dell’indifferenza che ci solleva dal peso della responsabilità. Ma la cultura del benessere, cari fratelli e sorelle, non riguarda solo i ricchi, quelli che, potremmo dire, “se lo possono permettere”, ma coinvolge tutti in atteggiamenti diffusi e spontanei, che vengono senza nemmeno accorgersene.
Il papa descrive questo vivere vano con l’immagine delle bolle di sapone, belle e iridescenti, leggere, che seguono il vento e i capricci del caso, ma che sono vuote ed effimere. Così è il modo di vivere di chi non sente la responsabilità del fratello e della sorella con cui condivide l’essere figlio di Dio, l’essere cittadino dello stesso mondo e, spesso, degli stessi spazi quotidiani. È comune infatti vivere senza sentire la responsabilità delle conseguenze delle mie scelte, azioni, modi di essere sugli altri, perché tutto inizia e finisce con me stesso. Se una cosa a me fa piacere, se mi soddisfa, se ne avverto la necessità, allora automaticamente è giudicata positiva e anzi una lecita aspirazione da soddisfare a tutti i costi. Le conseguenze, il peso che potrebbe causare sugli altri o, anche, l’inutilità e futilità, non sono mai prese in considerazione. È quell’atteggiamento “primordiale” che Caino espresse davanti a Dio dicendo: “Sono io il custode di mio fratello?”
Lo vediamo anche nell’attuale grave crisi della politica: l’interesse dei politici e dei partiti sempre meno si focalizza sulla costruzione di qualcosa di buono, di giusto e migliore per tutti ma sempre più sull’ottenere il proprio successo e i propri scopi personali, i giochi di potere fra gruppi, senza curarsi di ciò che è il bene di tutti.
Ma tutto ciò, cari fratelli e care sorelle, non è senza conseguenze. Si potrebbe dire: che male c’è se ognuno fonda la vita su quello che gli piace, basta che questo lo faccia contento. Purtroppo però non è così, perché la bolla quando poi scoppia e rivela il vuoto che contiene lascia uomini e donne senza senso e senza sapere più essere felici. Inseguire le bolle del vuoto di responsabilità e della soddisfazione di sé è una forma di idolatria, come dice l’Apostolo ai Colossesi: “Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra … e quella cupidigia che è idolatria.” Il culto all’idolo  vuoto crea infelicità e lascia, appunto, vuoti e senza senso. A quell’idolo si dedicano fatiche e sforzi che affannano la vita, senza valutare se esso sia qualcosa di consistente per cui valga la pena faticare e lavorare, oppure se non è una bolla vuota. È la domanda che è risuonata con tutta la sua tragicità poco fa, nella prima lettura: “quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? … Anche questo è vanità.
Gesù riprende questa questione e lancia un monito, quasi un grido: “fate attenzione”, lo abbiamo sentito. Sì, bisogna fare molta attenzione per cosa spendiamo la vita, le risorse e le energie. “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” mette in guardia Gesù, e non lo fa con l’intento di minacciare punizioni o lanciare maledizioni, ma per svelare che l’agire dell’uomo ha un peso, e non è senza valore. Non è indifferente per cosa si sceglie di spendersi, perché poi a soffrirne le conseguenze siamo noi stessi.
Gesù immagina un uomo benestante che pensa: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!” Egli ragiona, come accennavo prima, tenendo in considerazione solo se stesso, quello che può fare per sé e ottenere per sé, anestetizzando l’idea che esistono anche altri, verso i quali abbiamo una responsabilità. Avere risorse, fosse anche solo quella di essere capaci di fare qualcosa, ci assegna di per sé una responsabilità e costituisce un debito nei confronti di chi non ha quelle stesse possibilità: chi ha cultura è in debito nei confronti di chi non ne ha; chi ha beni nei confronti di chi non ne ha; chi è sano nei confronti di chi è malato; chi è sazio nei confronti di chi è affamato, ecc… Per questo Gesù accoglie nel suo regno, nella famosa parabola del giudizio, chi ha dato da bere, da mangiare, da vestire a chi non ne aveva, perché il fatto di possedere qualcosa pone di per sé in una situazione di debito verso chi non l’ha, e sanare questo debito è responsabilità di ciascuno a cui non si può eludere.  
Ecco allora per cosa vale la pena darsi da fare: riempire il vuoto di responsabilità con il pieno di generosità, condivisione e solidarietà che rendono quello che abbiamo e sappiamo e possiamo fare qualcosa di utile e buono per tanti.
È questo quell’ ”arricchimento presso Dio” di cui parla il vangelo ascoltato. Dare arricchisce chi riceve, ma ancor di più chi offre, perché rende quel bene voluto qualcosa di eterno e incorruttibile, conservato nel tesoro di Dio come qualcosa di prezioso. Nulla del bene fatto viene sprecato e non si consuma né si perde, ma si accumula e ce lo ritroviamo per la lunghezza della nostra vita ed anche oltre come un capitale accumulato e sempre pronto a ripagare i nostri sforzi e sacrifici. Per questo chi dona è più felice di chi accumula per sé e chi regala è più sazio di vita e di gioia vera di chi rifiuta. Infatti tutto quello che rimane di un uomo che lascia la vita è ciò che ha depositato dentro gli altri: l’affetto, la generosità, la disponibilità ad aiutare. Tutto il resto invece passa, perché è “vanità di vanità”.
   
Preghiere
 
 
Aiutaci o Signore a fondare la nostra vita sulla roccia del Vangelo, perché il nostro non sia un vano faticare per ciò che non conta ma la costruzione solida di una vita spesa per il bene di tutti,
Noi ti preghiamo
 
 
Guida o Padre buono tutti quelli che sono disorientati e incerti, perché trovino in te la guida sicura e nel Vangelo il cammino per indirizzare i propri passi verso il bene,
Noi ti preghiamo
 
 
Ti preghiamo o Signore Gesù per tutti i giovani che hanno seguito papa Francesco nel pellegrinaggio in Brasile. Dona ad essi di spendere la forza dei loro anni per ciò che conta e che dà vita,
Noi ti preghiamo
 
 
Proteggi o Dio in questo tempo di caldo tutti quelli che sono affaticati per l’età e la malattia. Solleva le sofferenze di chi è nel dolore, consola i prigionieri e chi non ha casa,
Noi ti preghiamo
 
 
Suscita sempre in noi, o Padre buono, sentimenti di amore per chi è povero e di generosità per chi è nel bisogno, perché vinca la cultura della solidarietà e dell’amore su quella che scarta la debolezza,
Noi ti preghiamo
 
 
Guida o Padre del cielo la tua Chiesa sui sentieri del vangelo, perché la testimonianza dei cristiani susciti in tutti decisioni di pace e azioni di bene,
Noi ti preghiamo.