sabato 21 settembre 2013

XXV domenica del tempo ordinario - 22 settembre 2013


 
 
Dal libro del profeta Amo 8, 4-7

Il Signore mi disse: «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».

 

Salmo 112 - Benedetto il Signore che rialza il povero.
Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.

Su tutte le genti eccelso è il Signore, +
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?

Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 2, 1-8

Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.  Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese. 

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 16, 1-13

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

 

Commento

 

Con il vangelo di oggi Gesù ci propone la storia di un uomo che lavorava come amministratore presso un ricco possidente. Il fatto di amministrare tanti beni però aveva portato quell’amministratore a dare poca importanza alla fortuna che aveva a disposizione, tanto che, dice il vangelo, “fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi”. Sembra una storia d’altri tempi, un po’ una favola. Ci ricorda un sistema sociale che oggi non esiste più.

Eppure, se andiamo in profondità, oltre le forme esteriori, troviamo in quella storia l’immagine di ogni uomo. Sì perché in fondo ognuno di noi, nascendo, è stato messo ad amministrare una grande fortuna: un patrimonio di vita, di opportunità, di salute, di pace, di benessere, eccetera. Ognuno onestamente, se fa un bilancio di quanto ha ricevuto nella vita, se ne rende conto. Sì, magari possiamo anche fare l’elenco delle difficoltà, dei dolori, di quello che ci è mancato e avremmo desiderato. Ma non possiamo negare di aver comunque ricevuto molto, e non per meriti speciali. Anche noi, come quell’amministratore, siamo stati messi a gestire un grande patrimonio.

Forse, anche noi , come quell’amministrazione, ci siamo talmente abituati a considerare scontato tutto quello che abbiamo che lo sperperiamo, ovvero lo utilizziamo con superficialità e scontatezza, o solo per se stessi, quando addirittura non contro gli altri.

Infatti il ricco possidente di cui parla il vangelo non accusa il suo amministratore di aver rubato o fatto cose disoneste con i beni posseduti, ma di averli usati male, di non averli fatti fruttare, di averli fatti sciupare senza frutto.

Noi, cosa facciamo della nostra vita? Come usiamo il nostro tempo? Che frutto traiamo dalle energie, le risorse che la salute e la pace di cui godiamo ci mettono a disposizione? Non è scontato avere a disposizione tante risorse, non tutti al mondo ne godono, ci sono state date in amministrazione, senza meriti, e noi che ne facciamo?

E’ questa la domanda che ci pone il vangelo oggi. Noi che facciamo della nostra vita? E’ una domanda molto seria, che raramente ci poniamo. Anche a noi il ricco possidente, colui che ci ha affidato tanti beni perché li amministrassimo, ce ne rende conto, ogni volta che ascoltiamo il Vangelo. Noi cosa risponderemo? Potremo trovare molte scuse, potremo dire che abbiamo avuto tanti problemi, che non ci hanno aiutato abbastanza, ecc… ma sappiamo che in fondo non è vero. Sappiamo che abbiamo preferito tenerci tutto per noi, spendere il patrimonio affidatoci solo per noi stessi, senza metterlo a frutto per altri, senza far crescere la vita, l’amore, il benessere attorno a noi, per gli altri.

Davanti a questa domanda ci troviamo in grande imbarazzo, tanto che evitiamo di porcerla. Sfuggiamo le occasioni, meglio distrarci, pensare ad altro. Sì, possiamo riempirci la vita di passatempi e distrazioni, ma la domanda resta: Tu della vita che ti è stata donata cosa ne hai fatto?

Quell’amministratore di cui ci parla il vangelo quando gli viene chiesto conto sa cosa fare, e per questo ci indica una via. Non si perde d’animo, messo di fronte alla domanda cruciale non sfugge. Non comincia a mettere scuse, a trovare giustificazioni, a dare la colpa agli altri, al destino, al caso. Si decide, finalmente, a non sciupare, ma a mettere a frutto il patrimonio affidatogli. E il modo migliore che trova per farlo è usarlo per aiutare gli altri, per farsi amare, per far crescere amicizia simpatia e gratitudine nei suoi confronti. Quell’olio, quel vino, quel grano che prima teneva chiusi in cantina, donato a chi ne ha bisogno produce un buon frutto per l’amministratore, perché lo rende amico di tanti. Aiutare chi ha bisogno dell’olio, del grano, del tempo delle energie che noi abbiamo non ci impoverisce, come tanti pensano, ma invece ci prepara un futuro più ricco, ricco di amici e di protettori davanti a Dio. Sembra assurdo, ma l’amministratore scopre che proprio quelli che hanno bisogno di olio e di grano, i più poveri, costretti a mendicare da lui il cibo, sono loro la migliore garanzia per il suo futuro se li aiuta gratuitamente e senza pretendere un guadagno. Dice il Signore Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.” (Mt 10,8).

Potremmo dire che non è giusto quello che l’amministratore fa. In fondo usa beni non suoi per aiutare gli altri e farsi amare da tanti.

Il padrone però lo loda. Sì, perché il padrone, che è Dio, non ragiona con la logica dell’economia di mercato o dei ricchi del mondo. Per lui i beni danno frutto non quando ci fanno guadagnare soldi, ma quando sono donati a chi ne ha bisogno, così come il nostro tempo, le nostre capacità, i talenti. Lo abbiamo sperimentato anche noi, quando regaliamo gratuitamente il nostro amore a qualcuno, e così ce lo siamo sentiti crescere e moltiplicare nel cuore. Al contrario se ce lo teniamo stretto, solo per noi stessi, alla fine deperisce e muore, lasciandoci aridi di sentimenti. Per questo il proprietario non si adira con l’amministratore perché non gli procura un guadagno e non lo fa diventare più ricco, ma perché prima sciupava tutti quei beni, e in fine lo loda dicendo che è stato saggio, perché ha usato i beni che amministrava per accumularsi un tesoro di amore e di amicizia che non gli verrà tolto.

Fratelli e sorelle, oggi il vangelo ci pone la domanda su cosa facciamo della nostra vita. Forse possiamo far finta di non sentire, ma poi alla fine sarà posta in modo definitivo a tutti. Non aspettiamo il momento in cui sarà troppo tardi e non si potrà più porre rimedio. Il vangelo ci aiuta a prepararci fin da subito una risposta convincente, come fece quell’amministratore.


Preghiere

O Signore ti ringraziamo dei doni dei quali hai voluto che godessimo nella nostra vita: della vita, della pace, della salute, del benessere.

Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Dio per quanti soffrono per l’assenza di pace: per il popolo siriano, per la Terra Santa, il Centro Africa e tutti i paesi dove infuria la guerra. Dona pace al mondo intero,

Noi ti preghiamo


Aiutaci o Signore a usare le nostre risorse umane e i nostri beni per soccorrere chi è nel bisogno. Per i poveri, per chi è nel dolore, i malati, chi è senza casa. Dona a tutti consolazione e salvezza,

Noi ti preghiamo


Proteggi o Dio quanti sono colpiti dalla violenza a causa della loro fede, perché gli annunciatori e i testimoni del Vangelo siano protetti dal tuo amore,

Noi ti preghiamo


Insegnaci o Dio la generosità del tuo Figlio che spese ogni suo talento per il bene di noi uomini. Sul suo esempio fa’ che sappiamo donare gratuitamente come gratuitamente abbiamo ricevuto,

Noi ti preghiamo


Perdona o Signore la nostra debolezza ogni volta in cui evitiamo di compiere il bene che tu ci indichi e rifiutiamo di seguire i tuoi insegnamenti. Aiutaci a essere sempre docili discepoli del Vangelo,

Noi ti preghiamo.


Ti preghiamo o Dio per la tua Chiesa, perché sia testimone fedele del tuo vangelo e annunciatrice della salvezza che viene dall’essere tuoi amici,

Noi ti preghiamo

Sostieni o Signore Gesù il nostro papa Francesco con la forza del tuo Spirito, perché guidi tutti gli uomini di buona volontà verso il tuo Regno di pace e di giustizia,

Noi ti preghiamo

 

 

 

venerdì 13 settembre 2013

XXIV domenica del tempo ordinario - festa della Santa Croce - 14-15 settembre 2013


Dal libro dell'Esodo 32, 7-11. 13-14

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

 

Salmo 50 - Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; +
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 1, 12-17

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;

non son più degno di essere chiamato tuo figlio.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 15, 1-3

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, festeggiamo oggi la Santa Croce, a cui la nostra parrocchia è dedicata. È una festa antica che lega Oriente e Occidente attorno a questo simbolo così radicato nella nostra fede, come qualcosa da cui non si può prescindere. Papa Francesco lo ha detto nella sua prima omelia da papa: “Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore.” Ma cosa vuol dire camminare con la Croce? Essa rappresenta un modo di vivere che mette avanti e prima di sé il bene dell’altro, il bene di tutti. Le letture di oggi ce ne presentano due esempi.

Abbiamo udito nella prima lettura dal libro dell’Esodo le parole infuriate di Dio contro il popolo d’Israele che, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, per liberarlo dalla schiavitù e farlo giungere sano e salvo in una terra felice, aveva deciso di sottomettersi ad un altro Dio fatto con le proprie mani. Davanti a questo segno di ingratitudine e tradimento dell’amicizia Il Signore prova un grande sdegno: come non dargli ragione? Cos’altro poteva o doveva fare per meritare la fedeltà del popolo? Questo atteggiamento di Dio risponde ad un senso di giustizia evidente e nessuno potrebbe dare torto alle parole che egli pronuncia: “ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori.” Eppure all’interno di quel popolo c’è un solo uomo che non ha tradito la fiducia e l’amore di Dio, ma gli è restato fedele: Mosè. Dio lo sa e lo vuole ricompensare e gli dice: “Di te, invece, farò una grande nazione.” Di nuovo un segno della grande giustizia di Dio: infatti il giusto non deve subire le conseguenze del peccato di altri. Tutto sembra estremamente logico e normale. Però c’è qualcosa nel seguito di questa storia che dimostra che oltre alla giustizia c’è una forza superiore che anima la storia e cambia il suo normale corso. Mosè infatti, invece di essere soddisfatto della sua “bella figura” davanti a Dio e del futuro privilegiato che gli si prospetta si fa intercessore per la salvezza di tutto il popolo. Non mette al primo posto il piacere derivante dal riconoscimento del suo essere migliore degli altri, non si accontenta di essere in posizione di vantaggio e privilegio rispetto a tutti, ma invece decide che la sua salvezza è assieme a tutto il popolo. Davanti a questo atteggiamento il cuore di Dio si intenerisce e cambia idea: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.” Mosè fa cambiare idea a Dio! C’è una forza del voler bene agli altri prima e più di se stesso che riesce a sovvertire la forza “naturale” ed evidente della giustizia, persino quella di Dio, e che immette nella storia una forza superiore che è quella della misericordia e del perdono. Mosè non pensa prima a sé e al proprio vantaggio e privilegio, anche se questo è meritato e frutto della sua giustizia, ma cerca la salvezza di tutto il popolo, anche a discapito del suo personale interesse. È questa la logica della Croce!

È quello che non riesce a vivere il fratello maggiore della parabola di Luca. Anche lì un condivisibile senso di giustizia dà ragione a lui: perché festeggiare con una banchetto dispendioso un figlio disgraziato che prima ha sfidato il padre pretendendo la metà del suo patrimonio, poi lo ha dilapidato e ora ha la pretesa di tornare come niente fosse? Che giustizia è questa?

Fratelli e sorelle, noi siamo come quel fratello maggiore e il nostro massimo desiderio è quello di essere sempre dalla parte giusta, quella che ci mette in posizione di poter rivendicare diritti e non essere mai in debito verso nessuno. Ma qual è il frutto di questo atteggiamento? Lo immaginiamo per Mosè: ritrovarsi solo, senza popolo, salvo, sì, ma infelice perché senza più nessuno dei suoi. Lo vediamo concretamente nel figlio maggiore della parabola: resta fuori casa, mentre dentro si festeggia, stanco e sporco del lavoro nei campi, mentre tutti indossano l’abito della gioia e della festa. Ecco la situazione di tutti quelli che cercano solo di essere giusti, senza saper voler bene agli altri con la misericordia che va oltre la giustizia. Ecco la vita di quelli che camminano senza la Croce

Fratelli e sorelle, in questi giorni abbiamo visto verificarsi quello che abbiamo appena detto. Come tutti sappiamo c’è un regime dispotico e violento in Siria che sta causando un gran numero di vittime innocenti. Non sarebbe giusto fermarlo con ogni mezzo possibile? Non sarebbe forse giusto e anzi necessario annientare tutti i responsabili di quel regime? Una semplice logica di giustizia darebbe ragione alle intenzioni bellicose degli Stati Uniti che volevano, come è noto, attaccare e bombardare la Siria. Ma un uomo, Francesco, si è alzato e ha invitato tutti gli uomini di buona volontà a invocare la misericordia, quella forza della Croce di Cristo ben più forte delle armi e con una logica ben più potente della giustizia. La giornata di digiuno e di preghiera di sabato scorso ha coinvolto tutto il mondo che ha voluto invocare Dio per mettere in moto la forza della misericordia che supera ogni altra forza. Dio ha ascoltato la preghiera degli uomini di buona volontà e oggi vediamo che l’attacco militare sembra scongiurato e passi di trattative pacifiche si stanno intraprendendo.

Nella veglia di sabato il papa Francesco ha detto: “Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare … Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni?”

Questa è la domanda che la Scrittura ci pone in questa domenica: il mondo che vogliamo è governato solo dalla giustizia, dal conteggio dei torti e dei meriti, dal quale possiamo essere sicuri che, se siamo onesti, nessuno di noi esce bene, oppure il mondo nel quale è piantata al centro al Croce, simbolo della misericordia di Dio nella quale non conta solo la mia salvezza, anche a discapito degli altri, ma quella di tutti noi assieme? Questa è la logica di Dio, la logica della Croce, per la quale anche noi possiamo sperare di salvarci, non da soli, ma assieme a tutto il popolo che è l’umanità, della quale ciascuno si senta responsabile, come Mosè, con la forza della preghiera di intercessione e la forza della responsabilità del nostro agire, perché Dio si volga con misericordia verso noi tutti.  

 
Preghiere

O Signore ti ringraziamo perché hai ascoltato la voce del tuo popolo che invocava pace in nome della forza della Croce. Dona alla Siria e al mondo intero un futuro di pace e riconciliazione,

Noi ti preghiamo


O Padre del cielo, perdona quando ci riteniamo giusti e nella ragione, quando accampiamo diritti e ci sentiamo estranei al male del mondo. Donaci di essere sempre intercessori appassionati per la salvezza di tutti.

Noi ti preghiamo


Aiutaci o Signore a trovare sempre la via del ravvedimento e della richiesta di perdono, perché sappiamo tornare a Te quando ci allontaniamo orgogliosi e pieni di noi stessi.

Noi ti preghiamo

Insegna anche a noi o Padre misericordioso a fare grande festa ogni volta che il bene vince sul male, che il perdono cancella il peccato e che la misericordia supera il desiderio di rivalsa.

Noi ti preghiamo


Ti ringraziamo o Dio per le parole e i gesti di papa Francesco che ci invitano a convertire il nostro cuore al Vangelo e a seguire la via della Croce. Sostieni il suo ministero e proteggilo dal male.

Noi ti preghiamo

Guida o Dio la Chiesa perché sia sempre famiglia feconda che genera tuoi figli. Fa’ che ciascuno di noi cresciamo in essa e partecipiamo alla sua missione di vivere ovunque nel mondo la logica della Croce.

Noi ti preghiamo.
 

Proteggi o Padre del cielo ogni popolo che è in guerra e vittima della violenza: per la Siria, l’Afghanistan, il Libano e ovunque vince la forza delle armi e del terrorismo.

Noi ti preghiamo

Suscita in noi, o Signore Gesù, sentimenti di pace e gesti di riconciliazione, perché diveniamo operatori di bene capaci di sostenere con affetto tutti quelli che hanno bisogno di aiuto e consolazione.

Noi ti preghiamo

 

 

 

 

sabato 7 settembre 2013

XXIII domenica del tempo ordinario - 8 settembre 2013


 
Cupole di chiese della Siria
 
Dal libro della Sapienza 9, 13-18
Quale, uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza». 
 
Salmo 89 - Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.
Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi, +
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia; +
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni
E acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: +
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.


Dalla lettera a Filèmone. 9b-10. 12-17
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso. 
 
Alleluia, alleluia alleluia.
Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 14, 25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». 
Commento
Cari fratelli e care sorelle, dopo la pausa estiva oggi un po’ più numerosi riprendiamo il cammino di un anno con il Signore, cammino che è accompagnato fedelmente dalla sua Parola e dal dono della Santa Liturgia domenicale. Come una compagna amica questa ci indica la strada per vivere bene e non incamminarci per vie pericolose e perderci.
Per questo inizio d’anno l’evangelista Luca ci mostra Gesù che si rivolge alla folla numerosa che lo seguiva con un discorso di una certa durezza. Saremmo portati a pensare che con quella folla che dimostrava il suo interesse per Gesù seguendolo non era il caso di essere troppo esigenti, magari bastava qualche esortazione più benevola.
Gesù però a quella gente, proprio perché si mostra interessata a lui, desidera fin da subito mettere in chiaro cosa vuol dire seguirlo e farsi suo discepolo. Sì, non si può seguire Gesù nella folla, in una massa indistinta e senza volto, anonima e mutevole negli umori, ma come un discepolo nella famiglia degli amici di Gesù.
E la differenza fra le due cose sta proprio nell’essere raccolti non da un’abitudine, per quanto possa essere pia, o da un interesse comune, ma dall’amare una persona, Gesù. Neppure i vincoli naturali, quelli che i sembrano i più solidi proprio perché spontanei e connaturati, come quelli familiari, possono venire prima di quell’amore sincero, gratuito e incondizionato che ci fa discepoli. L’amore di Gesù e per Gesù è infatti un amore, come ci dice Paolo nel biglietto a Filemone, che sconvolge i vincoli sociali e familiari più consolidati, quelli che ci appaiono i più naturali e indiscutibili, per fondare una nuova famiglia, quella dei discepoli che vogliono bene a Gesù. L’Apostolo infatti rimanda a Filemone il suo schiavo fuggito per stare con lui e lo accompagna con queste parole: “Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.” Per l’epoca questa proposta di Paolo era del tutto rivoluzionaria e inimmaginabile: uno schiavo, che è una “cosa” posseduta, può diventare mio fratello, cioè sangue del mio sangue?
Ma la logica dell’amore di Gesù scavalca ogni convenzione e persino il vincolo familiare. Mette da parte ogni logica di contraccambio o di merito, rompe gli steccati e le barriere, rende possibile ciò che sembra assurdo: è la logica dell’amore rappresentato dalla croce: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.” La croce che Gesù ci invita a prendere su di noi quindi non rappresenta tanto la sofferenza da dover patire, quanto piuttosto la gratuità e la fedeltà fino all’estremo dell’amore da vivere. 
Davanti a questo invito di Gesù, così esigente, ci viene spontanea la domanda se ne saremo mai capaci. Ad essere onesti ci rendiamo conto subito della piccola misura del nostro voler bene, della facilità a dimenticare il fratello, della difficoltà a perdonare la sorella, del nostro poco interesse e disponibilità per gli altri, figurarci amarli fino alla croce!
Sapendo tutto ciò il Signore per questo prosegue dicendo come l’amore non è qualcosa di spontaneo, ma qualcosa che si costruisce, come una torre, ed ha bisogno del desiderio nostro di innalzarci verso l’alto, come una torre, appunto, ma anche di un progetto, per sapere da dove cominciare e come procedere, poi di tempo, risorse e fatica e, magari, dell’aiuto di  tanti altri compagni. Così è l’amore: prefiggiamoci lo scopo di imparare a voler bene e costruiamolo, gradualmente, con sforzi alla nostra portata, cominciando dal poco, con fatica, ma anche entusiasmo.  
Se cominciamo a farlo piano piano scopriremo che non siamo soli a farlo. Dio è con noi: ci da il materiale, ci sostiene nel desiderio di farcela, ci consiglia sui modi migliori per farlo. Così abbiamo ascoltato dal libro della Sapienza: “Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito”. Il volere di Dio è che diveniamo discepoli della famiglia del Signore Gesù, di questa Chiesa santa, umile e forte del suo amore. Chiediamogli allora di conoscere sempre meglio questo volere e la forza di realizzarlo, e lui non ci farà mancare il suo Spirito di sapienza e di amore.
Ecco che allora comprendiamo perché Gesù si rivolge in modo così severo alla folla che lo segue: se non usciamo dalla folla infatti non potremo mai divenire suoi discepoli. Saremo seguaci e simpatizzanti alla lontana, ma sempre tentati di tornare indietro a confonderci nella massa
In modo particolare oggi ci vogliamo unire alla preghiera che ieri ha collegato in un’unica famiglia tanti uomini nel mondo, anche di fedi diverse, per implorare da Dio la pace in Siria. Come sappiamo il papa Francesco aveva indetto questa giornata di digiuno e preghiera perché ciascuno assumesse la responsabilità della costruzione della pace e la rafforzasse con la forza umile e debole della preghiera. Ancora oggi insistiamo con il Padre misericordioso perché faccia cessare gli scontri fratricidi che dividono il popolo siriano e scacci le numi minacciose di tempesta che si addensano sul cielo di quel paese. Possa splendere il sole della pace che tutto illumina, scalda e vivifica. Amen.
 
Preghiere


O Dio del cielo donaci il desiderio e la tenacia di venirti incontro, perché sappiamo innalzarci dalla banalità e dalla piccolezza del nostro poco amore verso la forza trascinante del tuo voler bene.

Noi ti preghiamo


Insegnaci o Signore ad amare come tu hai fatto. Fa’ che non ci spaventiamo della profondità e tenacia di un voler bene che ci porta lontano da noi stessi.

Noi ti preghiamo

Sostieni, o Dio di misericordia, i nostri passi incerti nella costruzione di noi come discepoli fedeli e docili al Vangelo. Donaci la forza e indicaci il modo per non restare sempre uguali a noi stessi.

Noi ti preghiamo

Apri i nostri occhi e i nostri cuori perché sappiamo sempre riconoscere in chi incontriamo un fratello da amare e una sorella da sostenere. Unisci tutta l’umanità col vincolo santo della fraternità cristiana.

Noi ti preghiamo

Fa’ o Dio che in ogni luogo risuoni alta la voce del Vangelo e che il tuo nome sia sempre amato e onorato dai tuoi discepoli. Aiutaci ad essere fedeli ascoltatori della parola e annunciatori a tutti del tuo Vangelo.

Noi ti preghiamo


Accogli o Padre misericordioso tutti quelli che oggi si rivolgono a te per implorare il tuo aiuto e sostegno. Guarisci i malati, sostieni i deboli, guida tutti verso di te.

Noi ti preghiamo.

Concedi o Dio al mondo il dono della pace, e specialmente alla Siria, martoriata da anni di guerra. Consola le vittime del conflitto e fa’ che cessi al più presto il sinistro rumore delle armi e risuoni alto il ringraziamento dei tuoi figli per la concordia ritrovata.

Noi ti preghiamo

Guida o Padre buono il nostro papa Francesco perché con le sue parole e il suo esempio guidi l’umanità sulla via della pace.

Noi ti preghiamo