giovedì 31 ottobre 2013

Festa di Tutti i Santi - 1 novembre 2013


 
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo 7,2-4.9-14

Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».

 Salmo 23 - Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Dalla lettera prima lettera di san Giovanni apostolo Gv 3,1-3

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

 Alleluia, alleluia alleluia.
Venite a me,
voi tutti che siete affaticati e oppressi,
e io vi darò ristoro.
Alleluia, alleluia alleluia.

 Dal vangelo secondo Matteo 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, l’apostolo Giovanni erompe in un grido di gioia: “vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio”. È una esclamazione non banale né scontata perché sottolinea la necessità di non dimenticare mai che ci è continuamente fatto un grande dono, che è quello dell’amore di Dio, regalo che riceviamo senza merito alcuno continuamente.

La nostra natura ci porta a ritenere scontato quello che abbiamo e che siamo; col tempo ci abituiamo alla nostra condizione privilegiata rispetto a tanti altri, tanto da non ritenere più necessario tenere conto del fatto che il dono dell’amore di Dio continua ad esserci elargito, per sua iniziativa, per sua generosa bontà. Che tristezza! Con arroganza riteniamo nostro ciò che invece ci è regalato e un diritto quello che invece ci è dato senza nessun merito. Per questo nel nostro animo prevale spesso un senso di scontentezza, perché trascuriamo i motivi di gratitudine e di gioia, ed anzi amiamo coltivarci lo scontento, come tanti bambini capricciosi e viziati da genitori troppo generosi. Come quei bambini ci sentiamo vittima di ingiustizia ogni volta che la vita osa dirci un no, o quando incontriamo anche un semplice ostacolo, e tutto il resto non conta nulla.

Ma la cosa ancora più grave è che chi vive questa ingratitudine di fondo non sa essere figlio, perché è quell’amore che ci rende tali. Chiudendoci ad esso, ci impediamo da soli di avere un Padre da amare e rispettare, a cui fare riferimento e da cui ricevere aiuto. Preferiamo rivendicare la nostra solitudine di orfani, che porta spesso alla mancanza di ogni speranza.

Davanti a questa realtà così comune oggi, come ai tempi dell’apostolo, Giovanni rivendica che eppure “lo siamo realmente!” cioè non è figlio chi si umilia e si sottomette, come se dipendesse da una nostra ammissione. Basta guardare alla vita per ammettere come stanno veramente le cose. Basterebbe riconoscere la nostra fragilità e impotenza davanti alla vita, la nostra incapacità di voler bene con generosa disponibilità, il nostro spontaneo sfuggire dal fare il bene che pure è alla nostra portata, per ammettere che senza un padre siamo senza prospettive.

Eppure è così normale considerarsi figli solo di se stessi, lo fanno tutti. Chi rinuncia volentieri alla propria autonomia e desidera sottomettersi ad un padre? C’è un grande fascino ad essere orfani, perché ci sembra l’occasione propizia per dimostrare quanto valiamo. Ci sembra umiliante inserirci in una tradizione e una storia di bene che ci precede e che continuerà dopo di noi. Ci sembra che offusca la nostra unicità.

Oggi nel ricordare la presenza e la compagnia di tutti i santi, e cioè dei tanti che prima di noi e oggi stesso, nel nostro tempo, vivono come figli e non si vergognano a considerarsi umilmente debitori del padre per tutto quello che hanno e che sono, vogliamo proprio ricordarci questa nostra dimensione: siamo parte di una storia, un segmento di qualcosa che va oltre noi stessi. Eppure questo ci sembra troppo poco per gente del nostro valore! Ci sembra disconoscere quanto valiamo e quanto siamo originali e unici!

In realtà è vero il contrario. Dice Giovanni: “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.” Cioè, l’essere figli di Dio non significa essere ingabbiati in un destino preconfezionato che non ci appartiene, anzi, significa essere veramente liberi da tutti quei vincoli che l’orfano, per poter essere qualcuno, deve mettere fra sé e i suoi padroni. Chi è senza padre e rivendica la sua libertà assoluta in realtà si lega mani e piedi alle idee di successo, di forza, di potenza che sembrano le uniche a dare un senso alla vita. Venute meno loro, la vita si svuota di tutto.

Ma chi invece sa di essere figlio e sa che dal Padre può attendersi tutto, se chiede con cuore puro e accetta serenamente il suo consiglio, diventa libero di seguire il proprio voler bene e di costruirsi come figlio forte di una storia che lo precede e artefice di un futuro che verrà e che è in suo potere costruire. Tutto è possibile al figlio che si fa forte dell’amore del padre, anche vincere il male e sconfiggere la paura.

Cari fratelli e care sorelle, è questo il messaggio delle beatitudini che Gesù proclamò ai suoi discepoli e ripete alle folle di ogni tempo. Il figlio non è schiavo della paura delle contrarietà della vita, non segue timoroso la corrente per paura di essere accusato di sbagliare, non agisce come tutti per timore di essere riprovato. È libero perché è forte dell’amore del Padre su cui sa di poter contare. Per questo non lo vince il pianto, la persecuzione e l’insulto, ma non perché disprezza e si sente superiore, ma perché confida in una forza che niente può abbattere che è quella dell’amore. Chi può impedire di amare se io lo voglio? E chi ci separerà dall’amore di Dio, si chiede l’Apostolo Paolo, se non siamo noi a volercene allontanare (Rm 8,35)? Questo sono le beatitudini: il ritratto di chi è libero e forte, perché conta sulla forza del proprio legame di figlio con Dio, e non sulle illusioni di figliolanze deboli di se stesso o delle immagini vincenti di questo mondo.

Cari fratelli e care sorelle, questo hanno vissuto i santi, e per questo li ricordiamo oggi. Le loro storie ci dimostrano che non è impossibile vivere la libertà di essere figli di Dio, di accogliere con umiltà il suo amore e di non rivendicare con orgoglio e ingratitudine la nostra autonomia. È questo il messaggio che ci viene da una storia lunga alla quale siamo chiamati di entrare a far parte, perché dentro il popolo dei figli di Dio ci salviamo e così possiamo testimoniare la salvezza che viene al mondo da Dio.

   

Preghiere
 
O Dio nostro padre, aiutaci a non rinnegare mai di essere tuoi figli, ma di tornare a te con umile sottomissione, per riempirci del tuo amore,

Noi ti preghiamo

Sostieni o Dio chi si allontana da te e cerca con orgoglio l’illusione della forza dell’orfano. Aiuta ciascuno a ritrovare la via dell’umiltà e della sottomissione al tuo volere,

Noi ti preghiamo

Sostieni o Dio quanti annunciano e testimoniano il Vangelo che rende liberi di amare e di operare il bene,

Noi ti preghiamo

Sostieni o Signore quanti ti cercano nella via umile del servizio ai fratelli e alle sorelle più piccoli. Fa’ che ti incontrino come Signore della consolazione e Padre della speranza,

Noi ti preghiamo

 
Proteggi o Dio le comunità dei discepoli che si riuniscono nel tuo nome. Perché nessuno sia più perseguitato a causa del Vangelo e si realizzi l’incontro e il rispetto fra i popoli e le culture diverse,

Noi ti preghiamo

Consola o Padre misericordioso chi oggi è nel dolore: i profughi, i migranti, gli anziani, i malati, i senza casa e senza famiglia. Dona a tutti guarigione e salvezza,

Noi ti preghiamo.

Dona ad ogni popolo o Dio pace e prosperità. Perché cessino le guerre e la miseria non affligga più nessuno,

Noi ti preghiamo


O Dio, Proteggi e accompagna papa Francesco, perché con la parola e l’esempio sia guida e sostegno a chi ti cerca,

Noi ti preghiamo

 

 

 

 

venerdì 25 ottobre 2013

XXX domenica del tempo ordinario - 27 ottobre 2013


Dal libro del Siràcide 35, 15-17.20-22

Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

Salmo 33 - Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 4,6-8.16-18

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Alleluia, alleluia alleluia.
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 18, 9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 
Commento

Cari fratelli e care sorelle, Paolo scrive a Timoteo nel periodo finale della sua vita. L’apostolo confida al suo amico e collaboratore che si sente vicino alla fine della sua vita. Sono parole serie, ma non tristi, né tantomeno angosciate. Guarda indietro alla sua vita e la definisce come “una battaglia”. Anche a noi tante volte la vita sembra una lunga guerra. Bisogna farsi strada lottando e raramente si può evitare di difendersi dalle aggressioni altrui o di tenere alta la guardia per non soccombere. Oggi molti affermano che è inevitabile essere aggressivi, che bisogna abituarsi a vivere nella conflittualità e pronti a restituire i colpi che la vita ci fa subire in un’esistenza “tutti contro tutti”.

Ma Paolo parla di una battaglia diversa. Il suo scopo infatti non è farsi strada o prevalere, né assicurarsi le risorse che, specialmente in questo tempo di crisi, sono scarse e non bastano per tutti, ma è “conservare la fede”: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Sì, la battaglia di Paolo è innanzitutto contro sé stesso e l’istinto innato in ogni uomo a perdere quella disponibilità alla fiducia e quell’apertura all’altro che è il cuore profondo della fede. La battaglia ingaggiata dall’apostolo è quindi l’esatto contrario di quella che il mondo ci propone fin da piccoli: lotta contro l’indurimento del cuore, per restare vulnerabili; lotta contro l’arroganza, per conservarsi miti; lotta all’orgoglio per essere umili; lotta contro ogni forma di violenza e prevaricazione per essere sempre pronti ad aprire per primi le mani e il cuore al fratello e a Dio. L’aver vinto questa battaglia ha come conseguenza aver conservato la fede negli uomini e in Dio, e questo permette a Paolo di parlare della sua morte senza quell’amarezza e disperazione, come sarebbe normale.

Noi, in genere, sfuggiamo anche il solo pensiero della morte e nessuno ne vuole parlare, perché chi si è abituato a mostrare un volto duro e a combattere per tutta la vita teme ogni forma di debolezza e nega che essa fa parte della vita, e la morte è il massimo della debolezza dell’uomo. Paolo non ne ha paura perché sa che lo attende il Signore giusto: confidando in lui è vissuto, ed ora a lui si affida nel momento di maggior debolezza: “Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno”. Chi infatti ha vissuto fidando solo nelle proprie forze su cosa potrà fare affidamento quando queste vengono meno e la debolezza si fa strada?

E’ necessario che fin da subito decidiamo di intraprendere la buona battaglia contro l’istinto a diffidare e a contrapporci, e potremo vincerla, come Paolo, e mantenere fino alla fine la fiducia nei fratelli e in Dio. Le due cose infatti vanno insieme, non si può dire di avere fede in Dio se non siamo pronti a confidare nel prossimo. Lo testimonia sempre l’apostolo, il quale afferma che pur essendo stato abbandonato nel momento della difficoltà, non solo non desidera il male di chi non lo ha aiutato, ma questo non è divenuto nemmeno motivo per decidere di pensare solo a se stesso. Anzi anche nella difficoltà, con l’aiuto del Signore, ha continuato a portare l’annuncio del Vangelo a tutti, preoccupandosi più della loro salvezza che della propria. Amore per il prossimo e amore per Dio, fiducia nel fratello e affidamento a Dio sono le due facce di un’unica medaglia.

A questo proposito l’evangelista Luca ci riporta una parabola che Gesù ha raccontato a chi rifiutava di vivere un atteggiamento di amore e disponibilità al fratello: “Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.” Gesù sa che chi si sente superiore e disprezza gli altri non si pensa nemmeno figlio di Dio e gli si rivolge con arroganza e durezza, come fa appunto il fariseo della parabola. Per poter essere amici di Dio infatti bisogna partire dalla propria piccolezza di figli che da soli non possono fare nulla senza l’aiuto del padre. E’ la coscienza che esprime il pubblicano che, a differenza dell’orgoglioso fariseo, si avvicina con umiltà a Dio, riconosce il proprio peccato e invoca il suo aiuto con la fiducia del bambino.

Cari fratelli e care sorelle, il vangelo oggi ci indica come la via della nostra salvezza passi attraverso l’umiltà di riconoscere il proprio bisogno degli altri e la ricerca fiduciosa di essere amico con loro. Solo chi vive questo atteggiamento avrà la capacità di riconoscere la vicinanza di Dio e di invocare il suo aiuto. Ma chi al contrario coltiva in sé un senso orgogliosamente autosufficiente e diffidente non saprà riconoscersi figlio di Dio e bisognoso della sua salvezza.

Con animo umile dunque prepariamoci a vivere la dura battaglia contro noi stessi, coscienti che non solo il Signore starà al nostro fianco, ma che troveremo la salvezza di chi, riconciliato con tutti, vive una vita non spaventata e aggressiva ma fin da subito piena di gioia.


Preghiere

O Padre misericordioso, accoglici umili e peccatori. Perdonaci del male commesso e donaci la salvezza che viene dall’imitare te.

Noi ti preghiamo


O Dio fa’ che non viviamo orgogliosamente soddisfatti di noi stessi e convinti della superiorità sugli altri. Insegnaci a non temere la debolezza e a riconoscerci bisognosi dell’amore dei fratelli e del tuo perdono.

Noi ti preghiamo

O Signore Gesù che ti sei fatto umile servitore degli uomini, insegnaci a non difenderci dal tuo amore e a non allontanare i fratelli e le sorelle per paura di scoprirci bisognosi del loro affetto. Aiutaci ad essere sempre pronti a voler bene.

Noi ti preghiamo


Ti raccomandiamo o Padre misericordioso tutti coloro che camminano sulla via del male e perdono la vita propria e quella degli altri. Fa’ che con il nostro esempio comprendano la gioia che viene dalla lotta perché il bene vinca.

Noi ti preghiamo


O Signore del cielo aiutaci a combattere fin da ora la buona battaglia contro l’istinto ad allontanarci da te e a diffidare del prossimo. Fa’ che vittoriosi sul male conserviamo la fede.

Noi ti preghiamo


O Dio rendi il nostro cuore puro e umile, perché la nostra preghiera ti raggiunga oltre le nubi. Dona guarigione e salvezza a tutti coloro che ci sono a cuore, da’ pace e gioia a chi è nel dolore.

Noi ti preghiamo.


O Dio che sei il re della pace, fa’ cessare ogni guerra e ogni violenza perché con cuore riconciliato ognuno sappia costruire un destino comune in cui c’è posto per tutti.

Noi ti preghiamo


Proteggi o Signore tutti i tuoi discepoli ovunque dispersi. Fa’ che chi annuncia il tuo nome e vive come tu hai insegnato possa toccare il cuore di chi ancora non ti conosce.

Noi ti preghiamo

 

mercoledì 23 ottobre 2013

Preghiera del 23 ottobre 2013


 
Giona 2-3


Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, e disse:

"Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha risposto;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce.
Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare,
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
Io dicevo: "Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio".
Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l'abisso mi ha avvolto,
l'alga si è avvinta al mio capo.
Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre.
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore, mio Dio.
Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino al tuo santo tempio.
Quelli che servono idoli falsi
abbandonano il loro amore.
Ma io con voce di lode
offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore".

E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia.

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: "Àlzati, va' a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico". Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.

Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta".

I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: "Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!".

Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

 Commento

 La scorsa volta abbiamo ascoltato il racconto della fuga di Giona quando Dio gli parla del male che c’è nella grande città di Ninive.

Alla fine però Giona accetta di ammettere che quel male non può fuggirlo perché non è solo fuori di sé, ma anche dentro di sé. È quando ammette a tutti i suoi compagni di sventura che stavano per sua colpa subendo il naufragio, e a non nascondersi dalla tempesta della vita.

Dicevamo come il Signore nella tempesta si fa compagno di Giona e lo protegge accogliendolo nel pesce che lo salva dai flutti.

Lì nel pesce Giona conosce un momento di intimità con Dio, cioè si ferma a parlare con lui e ad ascoltarlo, in amicizia, leggendo la sua vita alla luce di quello che Dio ha da dirgli.

È quello che facciamo anche qui, in questa “pancia di balena” che è questo luogo: protetti da Dio, avvolti dalla sua misericordia, troviamo l’intimità con lui per aprire il nostro cuore e rileggere la nostra settimana alla luce della sua Parola.

La preghiera di Giona mette in luce innanzitutto la sua piccolezza, il suo essere in balia della vita che lo trascina, lo percuote e lo inabissa mettendo in pericolo la sua stessa vita. La sua descrizione ci ricorda il triste fatto di Lampedusa di quasi un mese fa, quando tanta gente è stata inghiottita dal mare. Noi non siamo diversi da quei poveri profughi. Anche noi siamo in balia di forze che ci illudiamo di controllare. Per questo la gente, credendosi forte, prende distanza da quelle persone anzi a volte le disprezza e le giudica. Noi però con la preghiera di mercoledì scorso abbiamo voluto proprio dire questo: anche noi siamo deboli e fragili e il fatto che siamo stati privilegiati da una vita agiata e senza pericoli non è un merito, ma un dono si Dio che ci rende creditori nei loro confronti. Abbiamo un debito nei confronti dei più poveri, ma facciamo così fatica ad ammetterlo e ad accorgerci. Ma proprio nel momento in cui ci rendiamo conto della nostra fragilità apprezziamo pure la protezione che Dio ci accorda e nasce il desiderio di ringraziarlo e stare con lui, cioè la preghiera.

Per la seconda volta Dio parla a Giona e ripete le stesse parole dell’inizio. Questa volta però Giona è cambiato e non fugge più. Ha capito che la tempesta del male travolge tutti e che c’è bisogno di far conoscere a chi si fa trascinare lontano da Dio che solo in lui troviamo la salvezza dal male.

Ma la città è grande, e anche noi fa paura: cosa penseranno? Cosa diremo? Cosa possiamo fare?

Ninive era città larga tre giorni di cammino, cioè assolutamente sproporzionata alle forze di un uomo solo. Ma Giona non è solo, con lui c’è Dio che lo ha mandato.

Anche a noi è proposta una sfida impari: parlare e testimoniare Dio a tanti, gente difficile, magari dura di cuore e diffidente. Come fare? Non sono le nostre forze a contare, ma Dio che agisce in noi. Lasciamo trasparire la sua parola dai nostri gesti e atteggiamenti e tutto sarà facile.

Un uomo solo riesce a cambiare il destino di una città. È il potere che viene dato a ogni discepolo di Cristo. Che ne facciamo di questo potere? Anche a noi è chiesto di essere profeti, di annunciare con tutta la nostra vita che la vera salvezza viene da Dio e non dalla forza di cui ci sentiamo dotati quando riusciamo a sovrastare gli altri. Giova vince su Ninive non con la forza delle armi o della ricchezza, ma con la debolezza della parola e della sua testimonianza personale: da uomo mezzo affogato a uomo salvato da Dio e salvatore di tanti.

È questo che anche a noi Dio propone anche oggi, sta a noi smettere di fuggire e prenderci la responsabilità di vivere per gli altri, per la salvezza della città grande.

 

sabato 19 ottobre 2013

Incontro con i genitori dei ragazzi del catechismo - domenica 20 ottobre 2013


Incontro con i genitori dei ragazzi del catechismo

Parrocchia di Santa Croce 20 ottobre 2013

 

Ci incontriamo oggi per provare ad interrogarci su un tema di grande importanza e cioè come aiutare i nostri ragazzi a crescere nel modo migliore.

So che questa è una preoccupazione che abbiamo particolarmente a cuore. Infatti ci preoccupiamo della loro salute, della loro istruzione, dell’educazione e, qui a Santa Croce, della loro crescita spirituale. Sono tutti elementi importanti e nessuno di essi va trascurato per il loro bene.

La Scrittura in questo nostro compito così serio ci può essere di grande aiuto. In essa infatti è racchiusa una sapienza profonda che viene direttamente da Dio, il quale ci vuole comunicare proprio attraverso le sue parole il senso ultimo della vita e come raggiungere la felicità che viene da esso.

Proviamo allora oggi insieme a interrogare la Scrittura per cogliere alcuni aspetti di come aiutare i nostri ragazzi a crescere bene.  

Vorrei oggi introdurvi ad una figura un po’ particolare, il profeta Giona. È un profeta un po’ bizzoso e così restio a prendersi la responsabilità del bene comune.

Leggiamo la prima parte della sua storia:

 

Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: "Alzati, va' a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me".

Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore.

Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che cosa fai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo".

Quindi dissero fra di loro: "Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura". Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: "Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?". Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra". Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: "Che cosa hai fatto?". Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato.

Essi gli dissero: "Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?". Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: "Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia".

Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: "Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di quest'uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere". Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.

Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio.

 

Il racconta inizia con Dio che si rivolge a Giona e gli indica quanto male c’è nella città di Ninive.

Dio si manifesta a lui non tanto per giudicarlo o per dirgli cosa deve fare e non deve fare. Il suo intervento è aprirgli gli occhi sul male della città. Dio fa questo perché a lui interessa che gli uomini siano felici e non facciano una brutta fine, cioè non siano né operatori di violenza e di male, né vittime. Infatti il male ha questa capacità distruttiva di rovinare la vita sia di chi lo fa che di chi lo subisce, anche se a volte non ci sembra, e abbiamo come l’impressione che si possa accettare il male come una dimensione normale della vita, nostra e degli altri.

Non per Dio, che vede nel male che entra nella vita degli uomini, e la città è il luogo dove gli uomini stanno insieme, il problema più grande e il dramma più urgente.

Per questo ne parla a Giona, come per fare una confidenza all’amico.

Giona però per tutta risposta scappa via da lui.

Non vuole vedere il male, preferisce ignorarlo.

Dio sperava che Giona si sentisse interrogato dal male che imperversava nella città, ma invece il profeta scappa la domanda e cerca rifugio lontano, dove non può sentire Dio che gli mette questo tarlo fastidioso in testa.

Il modo che sceglie Giona per fuggire non è molto originale: si butta a capofitto nel viaggio. Il viaggio nella Scrittura è spesso una immagine della vita. Giona pensa che il viaggio riesca a nasconderlo a Dio e a non fargli più sentire quelle parole sul male della città così fastidiose. Anche noi spesso cerchiamo nell’affanno di una vita piena di cose il modo per ignorare Dio e il male.  Certo, la vita di oggi ci impone tante cose da fare e spesso gli impegni si accavallano con un ritmo incessante: lavoro, faccende domestiche, burocrazia, responsabilità familiari, ecc… a volte sembra che una giornata non abbia sufficienti ore per farci entrare tutto quello che si ha da fare.

Ma se facciamo un piccolo esame di coscienza, è vero che non c’è un angoletto libero? È vero che non c’è un tempo vuoto che noi ci affanniamo di riempire con qualcosa da fare, perché sennò ci sentiamo male?  Io credo che noi usiamo anche tanto tempo in sciocchezze, proprio per riempirci la vita di cose perché non vi sia un vuoto per pensare e per lasciarsi raggiungere dalla voce di Dio.

E nel viaggio incontriamo anche la tempesta. Difficile che si possa sfuggire dalla tempesta, ciascuno di noi lo sa. Davanti ad essa siamo presi dal panico e cominciamo a fare fuori tutto quello che ci sembra possa essere la sua causa, come facevano i marinai. Togliamo quello, chiudiamo quello, smettiamo l’altro, ecc… nella speranza di riuscire a eliminare la causa della tempesta.

Ma siamo sicuri che essa sia fuori di noi?

Giova sceglie invece l’altra via possibile, si estranea e si mette a dormire in un angoletto tranquillo aspettando che passi, ma quella non passa.

Questi dei atteggiamenti descrivono anche noi, come ci muoviamo davanti alle difficoltà e ai problemi della vita.

Giona però viene svegliato dagli altri e ammette che la causa della tempesta sta dentro di lui, in quel suo essersi fatto complice del male della città, chiudendo le orecchie alla parola di Dio che glielo indicava chiedendogli di provare a fare qualcosa.

Finalmente Giona si assume la responsabilità del male, e tutto cambia. La nave trova la salvezza, i marinai sono pieni di felicità. Certo per fare questo Giona deve andare fino infondo e affrontare la fatica di nuotare in mezzo ad acque difficili. Prima se ne stava tranquillo a dormire, ma la tempesta lo stava facendo finire a fondo, ora si deve dare da fare, le cose fi fanno più complicate, ma si intravede una via di uscita.

Soprattutto Dio non lascia solo Giona ad affrontare le onde del mare. Finalmente le ha affrontate senza fuggirle come se non lo riguardassero, e per questo Dio lo aiuta e lo avvolge nella sua protezione, il ventre di quel pesce. Finalmente in questo momento. Giona riscopre la paternità buona di Dio e impara a pregare, cioè gusta la bellezza di starsene un po’ a tu per tu con Dio, senza fuggirlo, senza distrarsi in mille cose da fare, senza fare finta che non ci sia.

La messa della domenica è un po’ questo momento in cui gustiamo la protezione avvolgente di Dio che ci prende in disparte, ci risolleva dalle onde fra le quali ci affatichiamo a navigare durante tutta la settimana, e ci fa riscoprire la bellezza di non fuggire da lui.

Però per gustare tutto questo dobbiamo fuggire dalle due tentazioni che dicevo: quella di pensare che il male sta solo fuori di noi e quella di cercare di sfuggirlo standosene in un angoletto tranquillo, a dormire il sonno del pensare a se stessi.

La liturgia domenicale ci tuffa nel mare del mondo, ma non per farci morire affogati, ma per farci trovare la protezione di Dio dai pericoli. Finché ce ne stiamo in disparte senza sentirci interrogati dal male del mondo, siamo agitati dalle tempeste senza riuscire a capire come uscirne, ma se ascoltiamo Dio senza scappare via la tempesta si placa perché non siamo più soli ad affrontarla.

 Che cosa c’entra tutto questo con i nostri ragazzi?

Noi rischiamo di comunicare loro questo nostro modo di vivere, senza aiutarli a maturare invece un senso di responsabilità verso gli altri, cioè la Ninive della Bibbia. Tante volte, con l’intento di proteggerli dal male, noi gli comunichiamo che per essere felici bisogna trovarsi un angoletto dove mettersi al riparo, come Giona, dormendo al coperto mentre fuori c’è la tempesta, oppure a dare la colpa a gli altri, pensando che il male sta sempre fuori di noi.

Purtroppo però facendo così non li aiutiamo a crescere bene, anzi, si troveranno impreparati ad affrontare la tempesta e navigare solo per scappare non fa arrivare da nessuna parte.

Per questo io vi consiglio, di cuore e spassionatamente, di assomigliare al Giona della fine del brano, che si assume la responsabilità del male che si abbatte su lui e i suoi compagni e ne affronta la fatica personale di farsene carico, scoprendo così anche la bellezza della compagnia di Dio. Così facendo darete l’esempio migliore di come vivere felici, e questo è veramente il regalo più bello e importante che possiamo fare loro.

venerdì 18 ottobre 2013

XXIX domenica del tempo ordinario - 20 ottobre 2013

 
Dal libro dell'Èsodo 17, 8-13
In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada.
Salmo 120 - Il mio aiuto viene dal Signore.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.

Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.

Il Signore è il tuo custode, +
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.

Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 3, 14-4, 2
Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.
Alleluia, alleluia alleluia.
La parola di Dio è viva ed efficace,
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

Alleluia, alleluia alleluia.
Dal vangelo secondo Luca 18, 1-8
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.  Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».  E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
 
Commento
Oggi è un giorno speciale, come sempre è eccezionale e straordinaria la domenica, perché ci prende e ci porta lontano dall’abituale scorrere del tempo, fatto di lavoro, di studio (per chi è più giovane) di tante occupazioni che ci riempiono le giornate. La messa ci tira fuori dal groviglio dei mille affanni e ci accompagna su un monte, come fece Mosé in quella giornata di lotta fra il popolo d’Israele e Amalek, come abbiamo ascoltato nella prima lettura.
Sì, questo luogo dove ci troviamo oggi è un luogo alto, come un monte, perché è reso santo dalla presenza del Signore che ci parla. E’ vero è una piccola chiesa, eppure ogni domenica il Signore ci convoca a salire sull’alto colle di questa casa perché ci vuole parlare. Ecco che allora anche da un luogo piccolo, come la chiesa di Santa Croce, quasi nascosta nel centro di Terni, possiamo oggi abbracciare con lo sguardo del nostro cuore tutto il nostro quartiere, ma anche di più, la città e il mondo intero.
Mosé quella mattina dal colle sul quale era salito poteva vedere ai piedi dell’altura la lotta che si svolgeva fra i due eserciti in combattimento. Anche noi qui dall’alto possiamo vedere le tante guerre, piccole e grandi che dividono gli uomini e le donne attorno a noi. E questo è un dono del Signore, perché quando ci stiamo in mezzo neanche ce ne accorgiamo e troppo spesso diventiamo anche noi bellicosi combattenti. Anche noi infatti viviamo le nostre battaglie per far prevalere il nostro modo di vedere, per farci valere, per avere ragione, e così via. E’ così facile vivere infatti una cultura del nemico secondo la quale per sentirsi forti e contare qualcosa bisogna essere contro qualcuno. Per questo la Messa della domenica è un dono prezioso, perché ci fa salire in alto, ci fa smettere di sgomitare, e ci porta nel luogo santo dove possiamo incontrare il Signore che è la vera pace.
Mosè osservava quella battaglia non come chi vede le cose con distacco. E’ preoccupato perché vede gente soffrire, lottare gli uni contro gli altri, odiarsi, farsi del male. Da questa battaglia dipende il futuro del suo popolo. Per questo alza le braccia verso il Signore e invoca la sua protezione.
Anche noi, come Mosè, possiamo alzare le nostre braccia ed invocare la fine delle tante lotte che ci mettono gli uni contro gli altri. La fine della condanna che pesa sugli anziani, lasciati tante volte da soli. La fine della tristezza dei più giovani che non riescono più a credere nell’amicizia, delusi da noi adulti che non sappiamo voler bene con fedeltà. La fine della sofferenza dei tanti che sono colpiti dalla crisi, che non sanno come andare avanti, che hanno perso il lavoro o che non lo trovano. La fine delle lotte sanguinose che provocano la fuga di tanti attraverso il mare, con gli esiti tragici che tutti noi conosciamo. Ogni domenica, dall’alto del monte della messa domenicale, vediamo tutta questa sofferenza attorno a noi e come Mosè abbiamo il potere di alzare le nostre braccia e pregare il Signore che non è sordo alla nostra invocazione e combatte dalla parte di chi rischia di soccombere sotto il peso del male.
Tante volte noi invece preferiamo non fare la fatica di salire su questo monte, e nella confusione della vita quotidiana cerchiamo un angolo riparato e tranquillo in cui nasconderci nell’indifferenza. Un angolo nel quale ci illudiamo di sfuggire al male e di trovare la pace perché non vediamo quello che avviane attorno a noi e così non ce ne sentiamo coinvolti. Ma, fratelli e sorelle, questa è una falsa salvezza dal male, perché esso non viene solo da fuori, ma, anzi, il più delle volte sgorga proprio da dentro di noi. Per questo gli diamo meno peso e lo tolleriamo quasi con tenerezza, perché fa parte di noi. Eppure le sue conseguenze non sono meno sanguinose e terribili della violenza che ci circonda.
Restando avvolti dell’indifferenza e dell’egoismo sanciamo la nostra condanna ad essere per sempre imprigionati alla schiavitù del male. L’unico modo infatti per vincere il male non è ignorarlo, ma combatterlo, in sé e negli altri. Estirpare le radici della rivalità, dell’egoismo, del menefreghismo e della sopraffazione è infatti, paradossalmente, l’unico modo per vivere la pace, che è proprio la vittoria sul male. Lo abbiamo recentemente visto per quanto riguarda la realtà dell’emigrazione: i tragici risultati di morte in mezzo al mare sono il frutto di una mentalità di chiusura e paura che non ci è estranea. Non basta sentirsi a posto perché non si hanno responsabilità dirette in quei fatti, bisogna invece piuttosto assumersi il peso del male e combatterlo, come abbiamo fatto mercoledì scorso pregando in questa chiesa assieme a tanti nostri fratelli eritrei e nigeriani che quel dramma lo hanno vissuto sulla loro pelle. E’ il ruolo che Mosè assume sul monte della preghiera. Partecipa con fatica e sofferenza alla guerra che avviene e, proprio per questo, alzando le braccia e invocando l’aiuto di Dio, riesce a vincerla. Non confida infatti solo nelle sue forze, ma anzi ha bisogno di Aronne e Cur che sorreggano le sue mani. Mosè non è un eroe isolato e invincibile: è debole e bisognoso come noi, ma la sua forza è proprio nel farsi aiutare e nel coinvolgere altri nella sua battaglia contro il male.
Abbiamo bisogno del fratello e della sorella per vincere il male: la pace e la felicità a cui tutti giustamente aspiriamo non viene dall’isolamento nell’indifferenza, ma dall’alleanza con tanti che sorreggano le nostre mani nello sforzo di voler più bene fino a farci intercessori davanti a Dio.
Questa è l’eredità più preziosa che potremo lasciare ai nostri figli. Comunicargli l’umiltà di non credersi autosufficienti e bastanti a se stessi, la tenacia di non arrendersi davanti al male e la fiducia di rivolgersi a Dio per ricevere da lui l’aiuto necessario a vincerlo dentro di sé e attorno a sé.
Questa casa allora ogni domenica dilata le sue mura: non è più un luogo piccolo e insignificante, confuso nel caos della città, ma diventa un monte altro sul quale osservare il mondo, partecipare dei suoi dolori, avvertire con passione il suo bisogno di bene, e dove assieme ci sosteniamo per alzare le mani e chiedere a Dio la forza di fare nostra la battaglia contro il male del mondo.
 Care sorelle e cari fratelli con questo sogno negli occhi invochiamo l’aiuto del Signore e la nostra vita cambierà, il mondo attorno a noi sarà migliore, più umano e caldo di amore.
Preghiere
 
Ti ringraziamo o Dio misericordioso perché ci convochi sul monte santo della liturgia. Fa’ che usciamo dalla confusione della vita ordinaria per imparare a guardare al mondo con gli stessi tuoi occhi misericordiosi e buoni.
Noi ti preghiamo
Guida o Padre buono i nostri passi perché non ci disperdiamo su strade che ci allontanano da te e dai fratelli, ma, come una famiglia, ci incamminiamo assieme verso la domenica, luogo dell’incontro con te.
Noi ti preghiamo
O Signore Gesù, aiutaci a vincere le rivalità e le contrapposizioni che ci dividono dagli altri. Tu che sei mite e umile di cuore mostraci la via dell’amore che conduce alla gioia vera.
Noi ti preghiamo
Fa’ o Signore che tutti quelli che cercano un senso alla loro vita possano incontrarlo nell’amore che tu ci insegni. Guida i passi degli incerti perché incontrino fratelli e sorelle testimoni del vangelo e operatori di bene.    
Noi ti preghiamo
 
Dona o Signore la tua pace ai popoli in guerra, fa’ tacere le armi e aiuta tutti gli uomini a vivere con animo riconciliato, perché nessuno più muoia e soffra per mano del fratello.
Noi ti preghiamo
Sostieni o Padre misericordioso tutti coloro che sono nel bisogno: chi è senza casa, chi è solo e nel dolore, i malati e i sofferenti. Dona al mondo intero guarigione e salvezza.
Noi ti preghiamo.
Guida e proteggi o Dio i tuoi discepoli ovunque essi vivano. Fa’ che le loro parole e le loro azioni parlino di te a chi ancora non ti conosce.
Noi ti preghiamo
Ti preghiamo o Signore Gesù per tutti quelli che sono in pericolo per i viaggi alla ricerca della libertà e della pace. Proteggi il loro cammino e salvali dalla morte.
Noi ti preghiamo