venerdì 25 ottobre 2013

XXX domenica del tempo ordinario - 27 ottobre 2013


Dal libro del Siràcide 35, 15-17.20-22

Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

Salmo 33 - Il povero grida e il Signore lo ascolta.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 4,6-8.16-18

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Alleluia, alleluia alleluia.
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 18, 9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 
Commento

Cari fratelli e care sorelle, Paolo scrive a Timoteo nel periodo finale della sua vita. L’apostolo confida al suo amico e collaboratore che si sente vicino alla fine della sua vita. Sono parole serie, ma non tristi, né tantomeno angosciate. Guarda indietro alla sua vita e la definisce come “una battaglia”. Anche a noi tante volte la vita sembra una lunga guerra. Bisogna farsi strada lottando e raramente si può evitare di difendersi dalle aggressioni altrui o di tenere alta la guardia per non soccombere. Oggi molti affermano che è inevitabile essere aggressivi, che bisogna abituarsi a vivere nella conflittualità e pronti a restituire i colpi che la vita ci fa subire in un’esistenza “tutti contro tutti”.

Ma Paolo parla di una battaglia diversa. Il suo scopo infatti non è farsi strada o prevalere, né assicurarsi le risorse che, specialmente in questo tempo di crisi, sono scarse e non bastano per tutti, ma è “conservare la fede”: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Sì, la battaglia di Paolo è innanzitutto contro sé stesso e l’istinto innato in ogni uomo a perdere quella disponibilità alla fiducia e quell’apertura all’altro che è il cuore profondo della fede. La battaglia ingaggiata dall’apostolo è quindi l’esatto contrario di quella che il mondo ci propone fin da piccoli: lotta contro l’indurimento del cuore, per restare vulnerabili; lotta contro l’arroganza, per conservarsi miti; lotta all’orgoglio per essere umili; lotta contro ogni forma di violenza e prevaricazione per essere sempre pronti ad aprire per primi le mani e il cuore al fratello e a Dio. L’aver vinto questa battaglia ha come conseguenza aver conservato la fede negli uomini e in Dio, e questo permette a Paolo di parlare della sua morte senza quell’amarezza e disperazione, come sarebbe normale.

Noi, in genere, sfuggiamo anche il solo pensiero della morte e nessuno ne vuole parlare, perché chi si è abituato a mostrare un volto duro e a combattere per tutta la vita teme ogni forma di debolezza e nega che essa fa parte della vita, e la morte è il massimo della debolezza dell’uomo. Paolo non ne ha paura perché sa che lo attende il Signore giusto: confidando in lui è vissuto, ed ora a lui si affida nel momento di maggior debolezza: “Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno”. Chi infatti ha vissuto fidando solo nelle proprie forze su cosa potrà fare affidamento quando queste vengono meno e la debolezza si fa strada?

E’ necessario che fin da subito decidiamo di intraprendere la buona battaglia contro l’istinto a diffidare e a contrapporci, e potremo vincerla, come Paolo, e mantenere fino alla fine la fiducia nei fratelli e in Dio. Le due cose infatti vanno insieme, non si può dire di avere fede in Dio se non siamo pronti a confidare nel prossimo. Lo testimonia sempre l’apostolo, il quale afferma che pur essendo stato abbandonato nel momento della difficoltà, non solo non desidera il male di chi non lo ha aiutato, ma questo non è divenuto nemmeno motivo per decidere di pensare solo a se stesso. Anzi anche nella difficoltà, con l’aiuto del Signore, ha continuato a portare l’annuncio del Vangelo a tutti, preoccupandosi più della loro salvezza che della propria. Amore per il prossimo e amore per Dio, fiducia nel fratello e affidamento a Dio sono le due facce di un’unica medaglia.

A questo proposito l’evangelista Luca ci riporta una parabola che Gesù ha raccontato a chi rifiutava di vivere un atteggiamento di amore e disponibilità al fratello: “Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.” Gesù sa che chi si sente superiore e disprezza gli altri non si pensa nemmeno figlio di Dio e gli si rivolge con arroganza e durezza, come fa appunto il fariseo della parabola. Per poter essere amici di Dio infatti bisogna partire dalla propria piccolezza di figli che da soli non possono fare nulla senza l’aiuto del padre. E’ la coscienza che esprime il pubblicano che, a differenza dell’orgoglioso fariseo, si avvicina con umiltà a Dio, riconosce il proprio peccato e invoca il suo aiuto con la fiducia del bambino.

Cari fratelli e care sorelle, il vangelo oggi ci indica come la via della nostra salvezza passi attraverso l’umiltà di riconoscere il proprio bisogno degli altri e la ricerca fiduciosa di essere amico con loro. Solo chi vive questo atteggiamento avrà la capacità di riconoscere la vicinanza di Dio e di invocare il suo aiuto. Ma chi al contrario coltiva in sé un senso orgogliosamente autosufficiente e diffidente non saprà riconoscersi figlio di Dio e bisognoso della sua salvezza.

Con animo umile dunque prepariamoci a vivere la dura battaglia contro noi stessi, coscienti che non solo il Signore starà al nostro fianco, ma che troveremo la salvezza di chi, riconciliato con tutti, vive una vita non spaventata e aggressiva ma fin da subito piena di gioia.


Preghiere

O Padre misericordioso, accoglici umili e peccatori. Perdonaci del male commesso e donaci la salvezza che viene dall’imitare te.

Noi ti preghiamo


O Dio fa’ che non viviamo orgogliosamente soddisfatti di noi stessi e convinti della superiorità sugli altri. Insegnaci a non temere la debolezza e a riconoscerci bisognosi dell’amore dei fratelli e del tuo perdono.

Noi ti preghiamo

O Signore Gesù che ti sei fatto umile servitore degli uomini, insegnaci a non difenderci dal tuo amore e a non allontanare i fratelli e le sorelle per paura di scoprirci bisognosi del loro affetto. Aiutaci ad essere sempre pronti a voler bene.

Noi ti preghiamo


Ti raccomandiamo o Padre misericordioso tutti coloro che camminano sulla via del male e perdono la vita propria e quella degli altri. Fa’ che con il nostro esempio comprendano la gioia che viene dalla lotta perché il bene vinca.

Noi ti preghiamo


O Signore del cielo aiutaci a combattere fin da ora la buona battaglia contro l’istinto ad allontanarci da te e a diffidare del prossimo. Fa’ che vittoriosi sul male conserviamo la fede.

Noi ti preghiamo


O Dio rendi il nostro cuore puro e umile, perché la nostra preghiera ti raggiunga oltre le nubi. Dona guarigione e salvezza a tutti coloro che ci sono a cuore, da’ pace e gioia a chi è nel dolore.

Noi ti preghiamo.


O Dio che sei il re della pace, fa’ cessare ogni guerra e ogni violenza perché con cuore riconciliato ognuno sappia costruire un destino comune in cui c’è posto per tutti.

Noi ti preghiamo


Proteggi o Signore tutti i tuoi discepoli ovunque dispersi. Fa’ che chi annuncia il tuo nome e vive come tu hai insegnato possa toccare il cuore di chi ancora non ti conosce.

Noi ti preghiamo

 

1 commento:

  1. Il fariseo era rigido nel corpo e nello spirito, il pubblicano flesso nella postura corporale e nell'anima.
    Il fariseo parlava a se, il pubblicano a Dio.
    Il Dio del fariseo era interno, quello del pubblicano esterno.
    Il fariseo pensava di possedere Dio, il pubblicano no.
    Il criterio di giudizio del fariseo era se stesso, quello del pubblicano era Dio.
    Il fariseo giudicava gli altri in generale e nel particolare il pubblicano, il pubblicano esaminava se stesso.
    Il fariseo stava nei primi posti, il pubblicano negli ultimi.
    Il fariseo elencava meriti inesistenti, il pubblicano si riconosceva peccatore.
    Il fariseo si esaltava, il pubblicano si umiliava.
    Il fariseo non tornò giustificato, il pubblicano sì.
    Entrambi tornarono a casa con convinzioni errate: il fariseo di essere a posto, il pubblicano di non aver ottenuto il perdono.
    Ambedue ottengono quello che chiedono: il fariseo è confermato nella diversità rispetto al pubblicano, (qui risiede l’aspetto ricorsivo), l’esattore delle tasse è perdonato delle proprie colpe.
    Cfr. Ebook di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo.

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