domenica 27 gennaio 2013

III domenica del tempo ordinario - 27 gennaio 2013


Dal libro di Neemìa 8,2-4.5-6.8-10

In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura. Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge. Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

 

Salmo 18 - Le tue parole, Signore, sono spirito e vita.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.


Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12,12-30

[ Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. ] Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. [ Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. ] Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

 

Alleluia, alleluia alleluia.

Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione.
Alleluia, alleluia alleluia.

 

Dal vangelo secondo Luca 1,1-4; 4,14-21

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, Il libro di Neemia ci riporta al tempo in cui Israele tornò in Palestina dopo avere subito la lunga schiavitù e deportazione a Babilonia. Siamo circa nel 400 avanti Cristo e gli ebrei, tornando a Gerusalemme, trovano una città in completa rovina. Le distruzioni della guerra e l’abbandono l’hanno resa inabitabile. Per questo iniziò un lavoro di riedificazione della città, a partire dal tempio e dalle mura di cinta. Una città senza mura infatti era in balia di tutti quelli che volevano conquistarla e farne preda, ma anche senza tempio, per Israele, la città era come privata del suo centro propulsore.

Terminati questi lavori, così impegnativi, avviene una pubblica lettura della Scrittura, alla quale partecipa tutto il popolo. È un momento importante e pieno di commozione. Tutti sono toccati in profondità dall’ascolto della Parola che per tanto tempo era rimasta muta. È un evento che ristabilisce il legame forte e profondo del popolo con Dio che aveva caratterizzato le sue origini stesse e che nemmeno la distanza fisica, la deportazione e il senso di abbandono che aveva accompagnato questi eventi così duri era riuscito a rompere definitivamente.

Se pensiamo anche a noi, alla nostra società e al mondo di oggi, è facile notare un senso di estraneità di esso da Dio. Il vero problema della fede oggi, infatti, non è tanto la negazione di Dio. Difficilmente infatti oggi si trova chi affermi e predichi l’ateismo. Sono fenomeni marginali, e questo o perché si ritiene che la questione della fede sia cosa personale e di cui non sia il caso, qualsiasi sia la nostra posizione, parlarne pubblicamente. Oppure, e questo mi sembra il caso più frequente, si ritiene inutile la fatica intellettuale di affermare che Dio non esiste e di dimostrarlo in qualche modo, e fuori luogo affrontare la responsabilità di una presa di posizione così impegnativa e netta. Si preferisce non negare l’esistenza di Dio, purché questi non abbia nulla da dirci e da chiederci. È il modo comune di pensare e di credere e non credere oggi.

Questo però crea nell’uomo e nella donna un senso di insicurezza, come fluttuasse a mezz’aria, senza un appoggio sicuro e un terreno solido su cui camminare. L’esito di questa insicurezza è che si cerca disperatamente ciò che possa darcene almeno un po’: successo, soldi, ammirazione degli altri, ruoli sociali, ecc… Sono un po’ come quelle mura che si costruiscono attorno a Gerusalemme, per difendersi dagli attacchi e dall’insicurezza di una città senza risorse, ma anche come quel tempio, che ci si affretta a ricostruire, perché ridia una identità e restituisca alla religione il suo ruolo di rassicurante continuità con la tradizione.

Neemia però intuisce che non bastano mura solide e un tempio in piena efficienza per ridare vita al popolo, per restituirgli quell’anima che anni de deportazione e schiavitù hanno così umiliato. Egli sente che c’è bisogno che Dio parli al popolo, non basta che risieda nella sua sede terrena, il tempio, ma deve uscire, entrare nelle vite, rivolgersi agli ebrei come aveva fatto fin dai tempi di Abramo, dei patriarchi e dei profeti. Per questo è così toccante quella scena del popolo raccolto in silenzio, commosso dal risuonare delle parole che Dio gli ha rivolto nella storia: “Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. … Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.” Sì, quando l’uomo presta ascolto alla Parola di Dio che risuona vengono toccate le corde profonde della sua anima, e quelle che a prima vista sembrano storie antiche e racconti di un tempo che non c’è più diventano l’oggi di chi le ascolta.

È quello che avvenne anche a Gesù. L’evangelista Luca ce lo presenta mentre si reca in sinagoga e legge la Scrittura all’interno della preghiera comune. Legge le parole lasciate dal profeta Isaia, un uomo che era vissuto ben settecento anni prima di lui (e duemila settecento prima di noi). Luca sottolinea la profondità del clima meditativo che accompagna quella lettura: “Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui.” Come per Israele al tempo di Esdra, le parole risuonate nella sinagoga di Nazareth non scivolano via senza lasciare segno, ma anzi aprono un senso di attesa e di domanda. Gesù dà l’unica risposta vera a questa domanda e aspettativa, dicendo: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Sì, Gesù afferma una verità profonda: ogni volta che la Parola di Dio risuona ed entra nei cuori essa realizza l’oggi della salvezza, ricostruendo l’integrità dell’uomo che lo ascolta e restituendogli la pienezza di vita che lo rende felice.

Lo ha ben chiaro Esdra che afferma: “Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”. Cioè l’ascolto della Parola apre il tempo della pienezza della vita che dà gioia, e questa gioia frutto dell’ascolto e causa della reintegrazione della nostra piena umanità è la nostra unica e vera forza. Non le mura difensive, non l’edificio sacro e l’osservanza delle tradizioni rituali, ma l’ascolto della Parola difende Gerusalemme e il popolo dall’insicurezza e dai pericoli.

Noi oggi allora interroghiamoci sul nostro ascolto. Il risuonare della Parola suscita in noi quella commozione e quel turbamento del popolo riunito davanti a Esdra? Provoca la gioia di sentirsi pienamente umani e non più fluttuanti nel vuoto e sballottati dagli eventi subiti o cavalcati con la mutevolezza di un vento capriccioso, che oggi deprime e domani ci esalta?

Cari fratelli e care sorelle, uniamoci anche noi al popolo commosso degli ascoltatori della Parola di Dio, facciamo silenzio dentro di noi, facendo tacere le tante parole che rumoreggiano e che ci confondono e basta. Scopriremo che nell’oggi della nostra vita essa si realizza perché ci restituisce lo spessore di una vita fatta solo di sensazioni psicologiche e reazioni istintive; ci ridona i sentimenti forti e appassionati, al posto del gioco delle soddisfazioni e insoddisfazioni che girano come una banderuola a seconda di quanto successo riscuoto; restituisce un senso della vita autentico, che ha un peso e uno spessore più reale del senso di leggerezza e vacuità che accompagna tante nostre decisioni e scelte. Insomma, la Parola ci restituisce l’oggi perché ci collega ad una storia che non inizia e finisce con noi, ma raccoglie i tanti che ci circondano, le generazioni passate e quelle davanti alle quali abbiamo la responsabilità di trasmettere un mondo migliore.

E allora non possiamo mai uscire dalla Messa domenicale senza poter pronunciare per noi le parole di Gesù: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Sì, oggi, e non domani, chissà quando, oggi e non quando mi va o mi sento pronto. Liberiamoci dalla schiavitù del nostro protagonismo psicologico e vago per assumerci la responsabilità di un mondo da vivere e un futuro da costruire nell’oggi delle nostre vite.

 
Preghiere

Donaci o Signore un ascolto attento e profondo della tua Parola, perché essa entri nei nostri cuori e risuoni con forza nelle nostre vite,

Noi ti preghiamo


Fa’ o Padre nostro che nessuna delle tue parole cada nel vuoto, ma rimanga in noi e ci turbi in profondità. Donaci la gioia autentica che viene dall’ascolto e che porta alla conversione della nostra vita

Noi ti preghiamo

 
Fa’ o Signore Gesù che ad ogni popolo sia proclamato il Vangelo di salvezza. Perché chiunque abbia presto la possibilità di udirne le parole e trovare in esse la speranza e il senso della propria vita,

Noi ti preghiamo

Sostieni in ogni luogo o Dio il lavoro di quanti comunicano il Vangelo e lo testimoniano come Parola efficace nell’oggi del nostro mondo,

Noi ti preghiamo
 

Perdona o Padre la durezza dei nostri cuori e la distrazione che fa scivolare via le tue Parole e le rende inutili e scontate. Manda il tuo Spirito nei nostri cuori perché siano attenti e docili,

Noi ti preghiamo

Concedi o Padre misericordioso a ciascuno di noi di giungere presto alla pienezza di vita che tu ci doni, perché senza dispersioni e vanità diveniamo discepoli della tua parola e esecutori docili dei tuoi comandi,

Noi ti preghiamo.


Salva o Dio tutti coloro che vivono nella guerra e la violenza, dona la tua pace a chi oggi è preda dell’odio, consola chi soffre per l’ingiustizia e la sopraffazione,

Noi ti preghiamo


Guarda o Padre misericordioso con amore a questo nostro mondo e suscita in esso uomini che vivano il coraggio e la fedeltà del tuo amore, perché ovunque nel mondo la Chiesa guidi a te chi è disperso e senza meta,

Noi ti preghiamo

 

II domenica del tempo ordinario - 20 gennaio 2013


 

Dal libro del profeta Isaia 62,1-5

Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te.

 

Salmo 95 - Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.
Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.


In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.
Date al Signore, o famiglie dei popoli, +
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12,4-11

Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

 

Alleluia, alleluia alleluia.

Dio ci ha chiamati mediante il Vangelo,
per entrare in possesso della gloria del Signore.
Alleluia, alleluia alleluia.

 

Dal vangelo secondo Giovanni 2,1-12

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato il racconto di Giovanni di quel giorno in cui Gesù compì il segno miracoloso del mutamento dell’acqua in vino a Cana. Nel passo subito precedente troviamo il racconto di quando Gesù chiamò i suoi primi discepoli a seguirlo, e poi, nell’episodio di Cana, è come se il Vangelo volesse indicare, con rapidi ma precisi tratti, chi è il discepolo e cosa è chiamato a fare.

La figura centrale dell’episodio infatti, quella che risalta maggiormente, non è tanto Gesù, quanto Maria. E’ lei infatti il motivo della presenza di Gesù al banchetto: “vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli” ed è lei che si accorge del bisogno sopravvenuto all’improvviso in quella festa: “Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino».

Queste due notazioni dell’evangelista ci fanno subito capire che Maria è il modello del discepolo e la sua grandezza viene subito rappresentata nel suo saper essere al fianco di Gesù con sensibilità e preoccupazione per chi si trova di fronte. E’ un po’ come nelle icone orientali in cui Maria non è mai raffigurata senza Gesù, per dire che dal suo rapporto stretto col Figlio deriva la sua grandezza.

È il discepolo infatti che Può far emergere con forza la presenza del Signore Gesù in un contesto, in una situazione ed è sempre il discepolo che si accorge di come Gesù sia l’unica risposta possibile ai bisogni che emergono.

All’inizio Gesù resiste alla richiesta di Maria di intervenire. Egli dice: “Non è ancora giunta la mia ora”, ma sua madre sembra non ascoltarlo e invita i servi a eseguire i suoi comandi. Maria non ha dubbi sul fatto che Gesù intervenga ed esaudisca la sua preghiera.

L’episodio vuol dirci che non è sempre l’ora dell’intervento del Signore, ovvero che questo non è scontato né banale, ma c’è bisogno che qualcuno prepari con la sua fede, a volte anche insistente e tenace, la realizzazione di quell’ora. E’ la fiducia cieca di Maria nell’intervento di Gesù che fa sì che l’ora giunga e il Figlio dia ascolto alla sua richiesta.

Ancora una volta si rivela un altro tratto del discepolo: la sua fiducia piena e incondizionata nel Signore è indispensabile perché si raggiunga “l’ora” in cui Gesù manifesti la sua potenza. Le parole di Maria infatti sono chiare: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”, e indicano un affidamento senza incertezze né dubbio. Il discepolo provoca l’intervento del Signore, affretta l’ora della manifestazione della sua potenza, ma anche suscita altri che si mettano al servizio della sua Parola, come i servi a cui Maria si rivolge. Quel “Qualsiasi cosa vi dica” mette in conto che il comando di Gesù possa apparire strano o illogico. Allo stesso tempo però esprime la convinzione che non si deve tanto dare importanza alla nostra impressione, quanto piuttosto eseguire fedelmente ogni sua indicazione.

Anche a noi spesso la Parola di Dio ci sembra illogica o irrealizzabile, inadatta alle situazioni e da attutire in alcuni suoi eccessi. Quel “qualsiasi cosa” ci solleva dal dover interpretare e mediare con la nostra sapienza pratica e pronta agli aggiustamenti, per essere invece strumenti disponibili e pronti ad eseguire, anche senza capire.

I servi eseguono il comando di Gesù, che veramente sembra ridicolo: manca il vino e lui ordina di travasare acqua da un contenitore all’altro, dai secchi agli orci, dagli orci alle brocche. Che senso ha tutto ciò? Cari fratelli e care sorelle, il Signore usa quello che trova nella nostra vita, e spesso non c’è molto più che semplice acqua: parole, gesti, decisioni poco saporite e che non sanno scaldare il cuore. Lui però sa trasformare la povera acqua delle nostre vite in vino, anzi nel vino migliore, più gustoso di qualunque altro noi avremmo saputo fare da noi stessi.

Quella festa continua, anzi diventa ancora più bella e felice dopo che il Signore è stato forzato dalla fede della discepola Maria a trasformare le povere cose a disposizione in qualcosa di prezioso. Ancora una volta, come a Natale, come nell’Epifania, Gesù ci si presenta non come un uomo forte e capace di operare segni portentosi che stupiscono tutti. A Cana infatti il Signore ha bisogno della fede di Maria e dell’aiuto dei servi, ha bisogno delle giare vuote e dell’acqua di una fonte. E’ questo suo mischiarsi alle cose della vita di tutti i giorni, questo suo non disprezzare la dimensione umile e banale delle piccole vite di quella famiglia di campagna a rendere gli uomini felici con il miracolo.

Il vangelo nota come pochi si accorsero di quello che era accaduto (Maria, i discepoli, i servi),e nemmeno erano le persone più importanti in quella circostanza, ma tanti godettero della bontà di quel vino e della gioia che seppe suscitare nei cuori. Noi, tante volte, cerchiamo che siano subito evidenti i risultati e che venga il riconoscimento per quel poco di buono che sappiamo fare, ma i discepoli di Gesù hanno imparato a gioire del bene non quando si riverbera su di loro stessi, ma quando sono gli altri a goderne, assieme a loro. E’ quella gratuità con la quale Gesù ha attraversato e continua a beneficare il mondo, operando miracoli di bene ovunque un discepolo con fede, senza stancarsi e tenacemente lo invita a colmare il vuoto di gioia e di vita. Impariamo a godere di miracoli dei quali noi non siamo i protagonisti o i realizzatori. Spesso se non è opera nostra non diamo importanza agli avvenimenti e nemmeno ce ne accorgiamo. Come quei sposi ignari e quegli ospiti goderono del vino buono meravigliandosi della sua qualità, così, anche noi impariamo a farci servi dell’opera salvatrice di Dio che lavora per rendere più umana e felice la vita di tutti.  siamo a conoscenza o dei quali noi non siamo che umili e inutili servitori. Probabilmente nessuno ci individuerà come cooperatori di quel miglioramento, ma non importa, impariamo a goderne e a ringraziarne il Signore. Anche noi infatti potremo gustare di quel vino buono che non si esaurisce ma disseta e rende felice la vita.

 
Preghiere

O Padre misericordioso, fa’ che come Maria sappiamo farci tuoi discepoli attenti alla mancanza di felicità dei luoghi in cui ci troviamo. Con fede insegnaci a invocare il tuo aiuto perché la potenza del tuo amore li trasformi.

Noi ti preghiamo


Signore Gesù fa’ che giunga presto la tua ora e che la vita degli uomini sia trasformata. Fa’ che l’insistenza della nostra preghiera e la fiducia in te possano trasfigurare l’acqua della nostra vita in vino buono.

Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Signore per tutte le vittime delle guerre e del terrorismo che insanguinano la terra. Accogli nel tuo amore coloro che muoiono e consola i feriti e chi ha perso tutto. 

Noi ti preghiamo

O Padre, Dio del cielo ti preghiamo per tutti coloro che hanno bisogno del tuo aiuto. Per i malati, i sofferenti nel corpo e nello spirito, i prigionieri, le vittime dell’odio e dell’ingiustizia. Sostienili e dona loro guarigione e salvezza.

Noi ti preghiamo


O Dio che non disprezzi le nostre povere vite ma hai mandato il tuo Figlio Unigenito a salvarle, fa’ che accogliamo con gioia le parole che egli ci dice e le mettiamo in pratica con coraggio ed umiltà.

Noi ti preghiamo

Come i discepoli furono testimoni e partecipi del miracolo di Cana, così, o Signore, fa’ che anche noi siamo attenti ai segni che tu operi nel mondo, per saperne gioire e godere con gratitudine.

Noi ti preghiamo.


In questo settimana che si apre di preghiera per l’unità di tutti i cristiani ti invochiamo o Dio perché noi tutti tuoi discepoli sappiamo essere una sola cosa, come tu ci inviti a fare.

Noi ti preghiamo

 

 

 

Fa o Signore che non manchi mai il tuo sostegno a tutti coloro che testimoniano il tuo amore e annunciano il Vangelo ovunque nel mondo. In modo particolare ti affidiamo i cristiani di tutti i Paesi in cui la vita è difficile e pericolosa.

Noi ti preghiamo

 

 

 

 

 

Preghiera del 23 gennaio 2013


Michea 6,6-8

"Con che cosa mi presenterò al Signore,

mi prostrerò al Dio altissimo?

Mi presenterò a lui con olocausti,

con vitelli di un anno?

Gradirà il Signore

migliaia di montoni

e torrenti di olio a miriadi?

Gli offrirò forse il mio primogenito

per la mia colpa,

il frutto delle mie viscere

per il mio peccato?".

8Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono

e ciò che richiede il Signore da te:

praticare la giustizia,

amare la bontà,

camminare umilmente con il tuo Dio.

 

Commento

Il brano si apre con la domanda dell’uomo: cosa mi chiede Dio?

È la domanda dell’uomo di fede, per il quale Dio ha spazio e rilevanza. L’uomo si pone la domanda del proprio debito nei confronti di Dio.

La risposta immediata che gli viene è quella del culto tradizionale di Israele, che prevedeva una serie di offerte e azioni per riconoscere la propria sottomissione al Signore. Potremmo dire che anche per noi la risposta più scontata è l’offerta del culto, o dell’osservanza delle prescrizioni.

Dio risponde a questo interrogativo con una proposta triplice:

praticare la giustizia,

amare la bontà,

camminare umilmente con il tuo Dio.

Sono le priorità, cioè quello che sta particolarmente a cuore a Dio. Non basta un “qualcosa”, dice Dio, non c’è un gesto da compiere o un obbligo da osservare, ma un “come” essere: giusto, buono, umile.

La giustizia consiste nel porre il proprio interesse sullo stesso piano di quello degli altri nostri simili, e resistere alla tentazione così spontanea di far prevalere il proprio su quello degli altri.

L’amore per il bene significa porre l’interesse degli altri nostri simili al di sopra del nostro, al di là del dovuto e dell’obbligo, come ad esempio quello fra parenti.

Infine camminare umilmente con Dio significa mettere l’interesse di Dio sopra quello nostro e degli altri.

C’è come una gradualità in salita: Dio ci richiama alla pedagogia con cui ci tratta e che non chiede più di quello che sa che siamo in grado di dare, ma  allo stesso tempo non si accontenta e non rinuncia a chiedere il massimo, accettando la gradualità e la fatica del rapporto con noi.

Oggi noi preghiamo in una settimana che in tutto il mondo è dedicata all’invocazione da Dio del dono dell’unità di tutti i cristiani. Questo dono non è qualcosa che si ottiene per via politica. Non è frutto di una trattativa per giungere ad un compromesso onorevole per tutti. L’unione viene dal farci tutti più vicini a Dio. Ed allora il triplice invito che il Signore rivolge al suo popolo attraverso il profeta Michea oggi è anche una indicazione di una via per l’unità. Iniziamo a vivere l’impegno per far nostri i tre gradini dell’amore così come ci sono presentati e ci ritroveremo sempre più vicini ai santi di tutti i tempi e di tutte le comunità cristiane che ascoltano la sua Parola e invocano il suo nome.

martedì 15 gennaio 2013

preghiera del 16 gennaio 2013


Mc 1, 14-20

 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo".

Passando lungo il mare di Galilea, Gesù vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: "Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini". E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Commento

Il vangelo di Marco che abbiamo ascoltato ci presenta gli inizi della vita pubblica di Gesù.

Dopo la sua manifestazione sul Giordano nella quale il cielo si aprì e la voce del Padre lo presentò come il suo figlio prediletto, Gesù inizia a realizzare la missione per la quale era nato. Il suo primo gesto è radunare attorno a sé un gruppo di amici con i quali condividere tutto della sua vita. Con questa scelta Gesù sembra voler dire come la vita dell’uomo non è l’opera di un singolo isolato, persino se questo è il Signore stesso, ma richiede di vivere una dimensione allargata, di comunità, di gruppo. La presenza degli altri nella mia vita è condizione indispensabile per vivere la fede, e quindi per comunicarla ad altri, per divenire suo testimone credibile.

Questo ci interroga profondamente e interroga le idee che abbiamo di noi stessi e della vita. Noi infatti in genere a fatica ci accorgiamo che gli altri hanno bisogno di noi, e ancora più difficilmente ci facciamo forzare a dare il nostro aiuto, e già questo è un livello alto di coscienza, visto che in genere l’idea normalmente condivisa è che non siamo tenuti a fare qualcosa per gli altri e possiamo farne a meno anche di accorgercene. Ma ancora più difficilmente riusciamo a credere che siamo noi i primi ad aver bisogno degli altri.

Eppure Dio stesso non si vergogna a mostrarsi desideroso dell’incontro con l’uomo, tanto da suscitare lo stupore del salmista: “che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,5) e addirittura da proporre ad alcuni di farsi suoi compagni stabili. A quante seccature, delusioni, problemi andava incontro? Non sarebbe stato più tranquillo e più libero di dedicarsi alla missione senza quei dodici, così litigiosi, ingrati, paurosi e poco generosi?

La sua chiamata dei primi discepoli, che abbiamo letto poco fa, ha qualcosa di incredibile: perché quei pescatori dovevano credere opportuno lasciare tutto per divenire “pescatori di uomini”? Che cosa c’è di tanto attraente nel divenire pescatori di uomini. Noi onestamente non ne sentiamo il bisogno. Non ci sembra una prospettiva allettante, tanto da lasciare qualcosa della nostra vita, ma anzi andare incontro a grane e difficoltà a non finire.

Quale fu la differenza per quei pescatori colti nel pieno della loro abituale attività? La differenza è sintetizzata proprio in quella semplice ed essenziale prima predicazione che Gesù indirizzò a chi lo ascoltava: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo".

Sì, un tempo è finito, dice Gesù, e se ne apre un altro. C’è una frattura, un prima e un dopo nella mia vita, e questo passaggio non è un piccolo aggiustamento o una semplice evoluzione, ma una “conversione”, cioè un rivoluzionamento dei modi di pensare e di vivere, che viene dal credere, cioè fidarsi, dare credito, ad una buona notizia che ci viene proposta: la vita ha valore se donata agli altri. È questa la buona notizia, Vangelo, che Gesù non solo è venuto a dire, ma ha incarnato, fin da quel primo momento in cui decise che valeva la pena lasciare il cielo per assumere la natura umana, con tutto il peso e la durezza di questa condizione. E l’ha incarnato quando ha chinato il capo per ricevere il battesimo da Giovanni, lui che era senza peccato e senza bisogno di perdono, per mostrare a tutti che Dio è umile e disposto a umiliarsi per farsi vicino a noi e conquistarsi la nostra fiducia. Ma poi ha incarnato il Vangelo quando mostrò che non era sconveniente abbassarsi a chiedere ad altri uomini di stare con lui ed aiutarlo, chiamando i dodici.

Insomma quei pescatori capirono che la buona notizia che quel giovane Maestro era venuto a portare era innanzitutto se stesso, la sua vita, il suo modo di essere e di voler bene, che si sintetizzava in quel suo radicale mettere sopra a tutto gli altri e il loro bene, nel suo far di tutto perché gli altri stessero bene e fossero felici.   

Per questo accolgono con gioia la prospettiva di raccogliere tanti, come erano abituati a fare con i pesci nelle reti. Cioè a gettare la rete del proprio voler bene cercando così di raggiungere più persone possibile e di attrarle a far parte di quella strana e affascinante famiglia di discepoli e amici del Signore Gesù.

Noi conosciamo molto di Gesù, sicuramente più dei pescatori raggiunti dalla sua predicazione in riva la lago di Galilea. Abbiamo ascoltato tante sue parole, abbiamo riflettuto sui suoi gesti, fino a quello estremo del dono della vita sulla croce e alla sua resurrezione. Abbiamo ricevuto tante volte quello stesso invito: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Ma abbiamo eretto come un muro nel nostro cuore che ci impedisce di credere che è ora di chiudere un tempo passato, di aprirne un altro, di cambiare radicalmente e sovvertire i nostri modi di pensare e vivere, di credere che il modo di vivere di Gesù è anche per noi la buona notizia, Vangelo, che la nostra vita non è condannata a perdersi nel nulla, ma si può salvare.

Fratelli e sorelle, dopo che Gesù ci si è manifestato come figlio di Dio, cominciamo anche noi come cominciò Gesù, e cioè facendoci pescatori di uomini e vivendo con passione il desiderio di radunarne tanti attorno e dentro di noi, nelle nostre preoccupazioni, nelle nostre preghiere, nei nostri impegni. Di stringere le maglie del nostro voler bene perché nemmeno i piccoli, che non si notano, come i poveri, sfuggano dalla rete del nostro affetto. Di non sentire eccessivo, esagerato il bisogno di nessuno, ma casomai troppo angusto e limitato il nostro desiderio di rispondervi. Di non cercare la nostra pace e la nostra soddisfazione nel dedicarci a noi stessi, ma nel lasciarci spossessare da tutto ciò che ci rinchiude nell’orizzonte angusto della nostra piccola vita che esclude gli altri.

Se vivremo così, cominciando dall’imparare a dare nuove priorità e a sentire gli altri decisivi per la nostra salvezza, scopriremo la pesantezza di quelle reti a cui oggi siamo legati e che ci rendono ricurvi su noi stessi nella fatica e proveremo il sollievo di caricarci di quel giogo soave a cui Gesù ci invita a legare la nostra vita.

Battesimo del Signore - 13 gennaio 2013


Dal libro del profeta Isaia 40,1-5.9-11

«Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio. - Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».

 

Salmo Responsoriale Dal Salmo 103 - Benedici il Signore, anima mia.

Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Sei rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto,
tu che distendi i cieli come una tenda.

Costruisci sulle acque le tue alte dimore, +
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento,
fai dei venti i tuoi messaggeri
e dei fulmini i tuoi ministri.

Quante sono le tue opere, Signore! +
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.
Ecco il mare spazioso e vasto: +
là rettili e pesci senza numero,
animali piccoli e grandi.

 

Tutti da te aspettano
che tu dia loro cibo a tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;
apri la tua mano, si saziano di beni.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito 2,11-14; 3,4-7

Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta sal­vezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l'em­pietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo. Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli ap­partenga, pieno di zelo per le opere buone. Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore no­stro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua mise­ricordia, con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spi­rito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella spe­ranza, eredi della vita eterna.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Viene colui che è più forte di me, disse Giovanni;
egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 3,15-16.21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, viviamo un tempo di grande incertezza ed è forte l’attesa di qualcosa o qualcuno che cambi  con decisione il corso degli avvenimenti. Nel campo socio-politico ciò si fa particolarmente evidente: chi avrà la ricetta giusta per farci uscire dalla crisi e ridare prospettive alla nostra società? In piena campagna elettorale riceviamo numerose sollecitazioni ad aver fiducia in questo o quell’orientamento, in uno o nell’altro candidato, in una o nell’altra proposta politica. Ma anche a livello personale il clima di crisi che viviamo ci porta, soprattutto i più giovani, a sentire decisivo riuscire a cogliere l’occasione buona, l’opportunità che possa garantirci un presente meno angosciato e un futuro più sereno. 

Le parole del Vangelo di Luca che riferiscono lo stato d’animo delle folle che andavano da Giovanni sembra un po’ descrivere anche questa nostra situazione odierna: “il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo” cioè colui che avrebbe salvato il popolo restaurando un tempo di libertà, pace e benessere generale, come era stato profetizzato. La gente riconosce nel battista un uomo retto, austero e giusto, le sue parole propongono di scegliere per la giustizia e il bene, di abbandonare la sopraffazione, il malcostume, le ipocrisie: "Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto", "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato", "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe" (Lc 3,10-14).

Giovanni il retto, Giovanni il giusto, Giovanni il saggio sembra il modello di uomo che ci voleva a quel tempo per riscattare la condizione umiliata del popolo, ma incarna forse un po’ anche le nostre aspirazioni, o almeno di coloro che non sopportano il degrado umano che spesso vediamo, attorno a noi, caratterizzare i comportamenti.

Giovanni però rifiuta questa identificazione. “Non sono io colui che salva” afferma con umiltà, “viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali”. Egli presenta se stesso come colui che ha solamente il compito di preparare la strada alla venuta del vero salvatore. La rettitudine, l’onestà, il rispetto per il bene altrui che Giovanni predica impartendo il “battesimo di acqua”, come lo chiama, sono cioè quel lavoro di apertura di una strada, di abbassamento dei colli e di riempimento di vallate, di raddrizzamento delle tortuosità e di spianamento di asperità di cui aveva già parlato in antichità il profeta Isaia, come abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato».

Ma il battista afferma che questo esercizio onesto e corretto delle virtù umane non basta. È quello che afferma l’apostolo a Tito: “egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua mise­ricordia”. Certo, essere giusti è la premessa perché il vero Salvatore che è il Signore Gesù Cristo possa giungere a noi, sennò le montagne di iniquità gli sbarreranno la strada, ma c’è bisogno che avvenga quell’incontro personale con lui, che si rompa l’ultimo diaframma che ci divide da lui e che diveniamo suoi amici e discepoli.

È quanto accadde quel giorno sul Giordano, quando Gesù si presentò da Giovanni per ricevere il battesimo. Egli era lì in mezzo alla folla, aveva compiuto quell’ultimo tratto di strada che lo divideva dall’uomo, nascendo come noi e annullando ogni distanza, ma non bastava. Rimaneva una distanza che non era geografica o temporale, ma passava dentro il cuore dell’uomo. La vera distanza che separa Dio da noi non è che Gesù è nato tanto tempo fa, o che Dio non lo possiamo vedere e toccare, ma è la sordità a quella manifestazione che aprì il cielo per far scendere lo Spirito di Dio e la voce del Padre. Dio ha rotto il diaframma, è nato fra di noi, ci ha parlato, ci ha donato uno spirito di amore che non è quello di questo mondo. È quel “battesimo di Spirito Santo e fuoco” di cui parla Giovanni. ma Dio non ci potrà mai raggiungere, nonostante tutto il suo sforzo, se non siamo noi ad abbattere quell’ultimo muro che divide ciò che sappiamo di lui, ed è molto, da ciò che viviamo. È un muro che solo noi possiamo abbattere perché si trova dentro il nostro cuore. In questo Giovanni ci è di esempio: egli riconobbe in Gesù il Cristo di Dio e chiese da lui il battesimo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te” (Mt 3,13).

Ma in cosa consiste questo “battesimo di Spirito Santo e fuoco”?

Significa lasciarsi sommergere dallo Spirito che è l’amore di Dio, fidarsi che egli ci vuol bene  attraverso la voce della sua Parola che ci indica la strada mediante la quale salvarci. Ma l’unico modo per capirlo e sperimentarlo è abbattere il muro che dentro di noi separa la nostra vita dallo Spirito che soffia in noi attraverso la sua Parola. Da questa fonte inesauribile del voler bene scaturisce la possibilità per noi di voler bene e di trasfigurare la nostra umile e fragile umanità, così incapace di amare. In qualche modo questa è la vera prova che Dio esiste e agisce nel mondo, quella che i filosofi cercano nelle dimostrazioni astratte: se uno come me, così meschino e freddo riesce a compiere gesti di amore, a provare pietà davanti a chi sta male, a farsi umile e piccolo nel servizio gratuito ad un fratello che ne ha bisogno, a fare qualcosa per un altro non perché mi conviene o sperando di ricevere altrettanto, vuol dire che lo Spirito di Dio soffia ed ha trovato anche in me uno spiraglio aperto per farsi strada.

Fratelli e sorelle, il cielo si è aperto, Dio si è fatto uomo, il suo Spirito che è l’amore è stato mandato a noi, la sua voce parla con forza e autorità: accogliamolo. Rompiamo il muro di diffidenza e di sordità, non accontentiamoci di essere solo onesti e giusti, ma viviamo l’amore che Dio vuole suscitare in noi, immergendoci nel battesimo di fuoco che con il calore del suo amore brucia ogni nostra resistenza a divenire simili a lui, cioè capaci di voler bene.

 

Preghiere
 
O Dio che hai aperto il cielo sopra di noi perché potessimo vederti e incontrarti, aiutaci a non chiudere noi stessi al soffio dello Spirito, perché l’amore che ci doni entri nei nostri cuori e trasformi le nostre vite,

Noi ti preghiamo

Signore Gesù che ti chini umilmente davanti a  Giovanni per ricevere il suo battesimo di acqua, effondi su di noi il battesimo di fuoco, manda il tuo Spirito Santo a scaldarci i cuori e ad illuminarci la via che conduce verso i fratelli e verso di te,

Noi ti preghiamo

 

O Padre misericordioso che hai guardato con gioia il tuo Figlio sul fiume Giordano e hai fatto udire con forza la tua voce, fa’ che noi ascoltiamo con attenzione le Parole che ci rivolgi, perché divengano la nostra vita,

Noi ti preghiamo


Aiutaci o Signore a non perdere nessuna occasione per mettere in pratica e aderire agli inviti che ci rivolgi nel Vangelo. Aiutaci ad essere tuoi discepoli docili,

Noi ti preghiamo

Ti preghiamo o Signore per il nostro paese, disorientato e confuso, fa’ che troviamo tutti la strada per vivere la giustizia e la solidarietà ed aprire un tempo nuovo migliore e più sereno,

Noi ti preghiamo
 

Sostieni o Dio gli sforzi di quanti, nell’incertezza attuale, annunciano e testimoniano il Vangelo, unica via di salvezza dell’uomo. Fa’ che le parole e le azioni dei discepoli di Cristo trovino cuori aperti pronti a riconoscerti,

Noi ti preghiamo.

 
Sostieni, o Padre misericordioso, quanti sono nel bisogno e invocano il tuo aiuto: i poveri, i malati, gli anziani, chi è straniero e oppresso dal dolore. Dona a tutti guarigione e salvezza,

Noi ti preghiamo

Proteggi o Dio la tua Chiesa ovunque diffusa, specialmente dove è perseguitata e ostacolata. Fa’ che l’annuncio della nascita di Cristo risuoni presto in ogni luogo e raggiunga ogni popolo,

Noi ti preghiamo

 

martedì 8 gennaio 2013

Preghiera del 9 gennaio 2013


Lc 9,10-17


Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: "Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta". Gesù disse loro: "Voi stessi date loro da mangiare". Ma essi risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: "Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa". Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato un brano del Vangelo che ci è molto noto. Esso parla del miracolo che Gesù fece moltiplicando pane e pesce per la folla affamata. Il fatto che ci è noto però, come purtroppo capita spesso con la Scrittura, non ci aiuta ad andare in profondità nella comprensione di queste parole evangeliche. È infatti facile subire la tentazione, in questo come in altri casi, di ritenere scontato e  già noto quanto il Vangelo vuole dirci. Ma esso, dimentichiamo, è parola di Dio, e in quanto tale non è un testo letterario  che appartiene al passato, ma qualcosa di vivo, che vive con noi e interpreta la nostra vita mentre essa si svolge. È quello che dice il papa Gregorio Magno: “La Bibbia cresce assieme a chi la legge”.

In questo senso mi sembra particolarmente significativo leggere questo brano a pochi giorni di distanza dalla celebrazione della grande festa di Natale con i poveri che ci ha visti partecipi, in modi diversi, qui in una chiesa inconsuetamente imbandita a festa.

Il miracolo di Gesù infatti nasce dalla compassione per la folla desiderosa di ascoltarlo al punto da trascurare persino la preoccupazione per sé di mangiare e riposare. Il bisogno di ascoltare di quella gente è davvero grande! Non si parla nel Vangelo di richieste di guarigioni, come in altre pagine evangeliche, o di altre domande concrete. La folla ha desiderio di sentire da Gesù l’annuncio della buona notizia per il quale egli è nato fra di noi. Così, allo stesso modo, le tante persone venute giovedì scorso erano desiderose di ricevere un invito, di essere desiderati e considerati in un tempo, quello delle festività natalizie, nel quale paradossalmente chi è fuori dai normali circuiti sociali sente ancora più forte l’esclusione e la mancanza di un ambiente familiare che li accolga.

A questa piccola folla che abbiamo incontrato noi abbiamo riferito la buona notizia di un invito non nostro, ma di Gesù a farsi adottare come figli da Dio. Sì, le folle dei poveri sono come folle di orfani in cerca di adozione, di qualcuno che li chiami per nome, che ricordi il loro volto, che  gli voglia bene come figli, e noi siamo chiamati a riferire loro la buona notizia che c’è un Dio così desideroso di adottarli da nascere e farsi piccolo come un bambino, pur di stare loro accanto. È il Vangelo del Natale che diviene carne e vita vissuta e raggiunge gli umili e i poveri prima di tutti, come avvenne con i pastori nella notte di Betlemme.

Ma non solo questa festa rivela il gran bisogno dei poveri di un invito e un annuncio gioioso, ma, in qualche modo, mette a nudo anche un nostro bisogno. Sì, perché di quegli stessi pani e pesci moltiplicati si nutrirono anche i discepoli. Cinque pani e due pesci non sono grande cosa per saziare nemmeno i soli discepoli, e anche loro furono beneficati dello stesso miracolo e della stessa misericordia compassionevole di Gesù. Anche noi siamo stati nutriti alla mensa del servizio, che ci ha restituito la dignità di una umanità che, come dicevamo domenica scorsa riferendoci ai magi, rivela tutta la sua preziosità e bellezza solo quando si china il ginocchio e il capo in atteggiamento dell’umile servo. Sì, la festa con i poveri ci ha resi partecipi della stessa gioia e ha ridato anche a noi la dignità che spesso nella vita quotidiana risulta appannata e come messa da parte, e cioè quella di far parte della famiglia dei figli adottivi di Dio.

Troppo facilmente infatti noi cerchiamo di recidere questo legame che ci unisce a Dio, rivendicando autonomia e autosufficienza. Il vestito del figlio adottivo ci sta stretto, preferiamo quello del figlio cresciuto che guarda con un po’ di superiorità, se non commiserazione, un padre invecchiato e ormai privo di autorità su di noi.  

Fratelli e sorelle, non dimentichiamo quello che abbiamo vissuto in quell’occasione privilegiata, non facciamoci rirendere dalla consueta routine della normalità quotidiana. Ricordiamo la gioia di essere stati servi e portavoce dell’invito di Dio a far parte della sua famiglia. È l’invito che riceviamo ogni domenica, seduti alla mensa dell’eucarestia sulla quale il Signore Gesù ci offre tutto se stesso perché noi impariamo a fare lo stesso. Da quella mensa impariamo il valore e la bellezza di essere servi umili dei poveri e familiari di Dio, la dignità più alta a cui un uomo possa aspirare.