sabato 24 settembre 2016

XXVI domenica del tempo ordinario - anno C - 25 settembre 2016




Dal libro del profeta Amos 6, 1.4-7
Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, come Davide improvvisano su strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti. 

Salmo 145 - Loda il Signore, anima mia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 6, 11-16
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio, il beato e unico Sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile: nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo. A lui onore e potenza per sempre. Amen. 

Alleluia, alleluia, alleluia.
Gesù Cristo da ricco che era,
si è fatto povero per noi
Alleluia, alleluia, alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 16, 19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, la voce del profeta Amos oggi fa risuonare alto il suo grido: “Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria ! è un’affermazione, quella di Amos, che ci turba: che male c’è ad essere spensierati e a sentirsi al sicuro? Anzi non è forse questa un’invidiabile situazione nella quale tutti noi vorremmo trovarci? Evitare le preoccupazioni, poter godere di ciò che più ci dà soddisfazione senza temere che qualcuno ce lo porti via, vivere in santa pace, non è un nostro diritto?
Eppure Amos mette in guardia chi si trova in questa situazione, e così li descrive: “sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, … bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti.” Che male c’è a godere di ciò che, onestamente, abbiamo a nostra disposizione; non è furto né rapina, quello che abbiamo non possiamo godercelo?
È un pensiero molto normale, direi naturale, e su di esso si basa l’organizzazione sociale nella quale siamo abituati a vivere sentendoci a nostro agio.
Perché allora tanto scandalo da parte di Amos? Egli lo dice chiaramente: “…ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.” Sì, lo scandalo del profeta nasce non dalla serenità e dal benessere della gente di Gerusalemme, ma per il fatto che si disinteressano di quanti, al contrario di loro, si trovano in una situazione di miseria e sono minacciati.
In ogni tempo ci sono state, e ci sono tuttora, situazioni nelle quali interi popoli, o parte di essi, sono colpiti duramente dalla povertà e dai conflitti. Domenica scorsa papa Francesco ad Assisi, in occasione dell’incontro interreligioso di preghiera per la pace, ce lo ha ricordato: “In molti Paesi si soffre per guerre, spesso dimenticate, ma sempre causa di sofferenza e povertà. … abbiamo visto negli occhi dei rifugiati il dolore della guerra, l’angoscia di popoli assetati di pace. Penso a famiglie, la cui vita è stata sconvolta; ai bambini, che non hanno conosciuto nella vita nient’altro che violenza; ad anziani, costretti a lasciare le loro terre.
Eppure buona parte del mondo, la nostra parte, continua a vivere come descrive Amos: spensierata, intenda a godersi il molto che ha a disposizione, rafforzando la propria sicurezza a discapito proprio di quanti stanno peggio. Come è possibile? Non dovrebbe essere spontaneo per un uomo prestare soccorso al proprio simile che versa in situazione di bisogno e grave necessità?
L’Evangelista Luca ce lo spiega bene: una porta pesante e ben chiusa divide chi gode del benessere da chi, fuori, sulle strade del mondo, all’aperto da ogni riparo subisce i colpi pesanti della miseria e della violenza. Quella porta rende quei due mondi incomunicanti, non fa vedere chi c’è dietro né sentire il grido di aiuto di quanti sono chiusi fuori. Sì, le nostre vite troppo spesso sono ben riparate da una porta chiusa che ci evita preoccupazioni e ansie.
Pensiamo alla città di Aleppo, due milioni di abitanti, sotto assedio da quattro anni, senza cibo né acqua né cure mediche, circa centomila morti, altre centinaia di migliaia fuggiti in cerca di salvezza. Eppure una porta pesante cerca di tenerli lontani da noi, erigendo muri, fili spinati, barriere che trasformano sempre più l’Europa in una fortezza inespugnabile.
Ma anche pensiamo a quanti vivono sulle nostre strade e che non trovano rifugio né riparo, e tanto spesso sono evitati e scansati da chi li incontra per la via.
Sempre ad Assisi papa Francesco ha detto: “Dio ci chiede di affrontare la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza. E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza.”
Cari fratelli e care sorelle, apriamo quella porta sbarrata e usciamo dalla prigione della nostra paura. Essa, è vero, condanna tanti a restare nella loro penosa condizione, ma condanna anche chi si sente al sicuro dietro di essa al morbo temibile dell’indifferenza e all’autodistruzione della propria umanità. La parabola del vangelo di Luca ci fa vedere che una rovina definitiva e inappellabile attende il ricco che ha tenuto chiusa la porta sentendosi in diritto di ignorare chi fuori bramava non il suo posto, ma gli avanzi del suo pasto. Eppure il benestante banchettatore era stato messo in guardia, così come noi siamo messi in guardia: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.” Sì, la Parola di Dio ci mette in guardia e oggi ci invita ad aprire la porta sbarrata, a guarire dal morbo dell’indifferenza che ci rende ciechi e sordi. Essa ci mostra la via della fraternità e della sollecitudine concreta e premurosa per chi sta male come l’unica medicina in grado di risanarci. Accogliamo con gratitudine la preoccupazione paterna di Dio, il quale, nonostante tutto, ha così a cuore la nostra parte del mondo che si autodistrugge nell’indurimento del cuore e nella perdita della propria umanità e che anche a noi continua a rivolgere l’invito a prenderci cura del povero come di noi stessi.


Preghiere 
  
O Signore fa’ che non chiudiamo la porta per escludere te e i fratelli dalla nostra vita, ma aiutaci invece a mettere al centro chi ha più bisogno del nostro aiuto.
Noi ti preghiamo


O Cristo che hai donato tutta la tua vita per la salvezza nostra, liberaci dalla prigione dell’egoismo per essere tuoi figli e discepoli.
Noi ti preghiamo



O Padre del cielo guarda con amore a tutti coloro che danno valore solo a ciò che è materiale ed esteriore, fa’ che scoprano presto che ciò che conta veramente è l’amore e la compassione.
Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Signore perché liberi le nostre società occidentali dai mali che le affliggono: l’indifferenza per chi è debole, la perdita di senso, la xenofobia, la chiusura. Fa’ che riscoprano presto la vocazione ad essere luogo di incontro e di accoglienza.
Noi ti preghiamo




Perdona Signore tutte le volte che abbiamo considerato gli altri solo per la loro utilità a noi. Fa’ che impariamo a conoscere e apprezzare sempre più il valore dell’amicizia gratuita e senza interesse.
Noi ti preghiamo


Aiuta e proteggi o padre santo i nostri fratelli e  sorelle più piccoli che riprendono da oggi la catechesi per imparare ad essere tuoi discepoli e amici. Fa’ che tutti noi sappiamo accompagnarli col nostro affetto e preghiera.
Noi ti preghiamo.



Sostieni o Padre misericordioso tutti coloro che hanno bisogno del tuo aiuto: i malati, gli anziani, i senza casa, i prigionieri, i sofferenti. Fa’ che la loro vita sia consolata e liberata dal male.
Noi ti preghiamo



Proteggi o Signore tutti i tuoi discepoli ovunque dispersi. Fa’ che l’annuncio del vangelo raggiunga coloro che ancora non ti conoscono e cambi la loro vita.

Noi ti preghiamo

sabato 10 settembre 2016

XXIV domenica del tempo ordinario - anno C - 11 agosto 2016


Dal libro dell'Esodo 32, 7-11. 13-14
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Salmo 50 - Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; +
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 1, 12-17
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Alleluia, alleluia alleluia.
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;
non son più degno di essere chiamato tuo figlio.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 15, 1-3
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, le letture di questa domenica ci offrono un quadro meraviglioso ed esaustivo della misericordia di Dio. Nella prima lettura vediamo Dio che si sdegna perché il popolo che lui ha liberato dalla schiavitù in Egitto e ha indirizzato sul cammino verso la terra della libertà e dell’abbondanza, lo ha dimenticato, preferendo a lui l’idolo del vitello d’oro. Dio dice a Mosè che intende accettare questa sfida e di abbandonare il popolo che aveva privilegiato su tutti gli altri per lasciarlo in balia dei suoi idoli, ma Mosè intercede invoca la misericordia di Dio, il quale mostrandosi umile e pronto a cambiare idea, si lascia convincere al perdono. Umiltà di non cercare soddisfazione o giustizia, ma di mostrare ancora un volta il volto misericordioso.
Nella seconda lettura l’Apostolo esprime il suo stupore perché il Signore si è degnato di usare lui come un suo strumento, nonostante la sua indegnità e il peccato che lo aveva portato al punto di farsi persecutore dei discepoli. Paolo sottolinea come il fatto di essere stato perdonato e inviato come Apostolo per costruire le comunità dei discepoli in tante città non è certo un suo merito, ma è un segno che Dio vuole dare a tutti della possibilità di ricevere la misericordia di Dio che trasforma così radicalmente la vita degli uomini che l’accolgono, cosa per la quale Paolo manifesta tutta la sua gratitudine.
Infine il Vangelo di Luca ci riporta la reazione di Gesù allo scandalo suscitato nei farisei e negli scribi perbenisti dal fatto che lui frequenta gente così disdicevole come i pubblicani e altri peccatori. Questi ultimi lo giudicano complice perché non si scaglia contro di loro, ma sembra avere con essi un atteggiamento accogliente e benevolo. Il Signore risponde a tutto questo scandalo raccontando tre parabole nelle quali, partendo da situazioni concrete della vita quotidiana di un pastore, di una massaia e di un padre di famiglia, fa emergere come la natura più profonda e vera di Dio, così umana, emerga proprio nella sua misericordia con i peccatori. Per essa egli è innanzitutto pronto a correre rischi, come quel pastore che lascia le 99 pecore per cercare la perduta. Ma poi Dio si manifesta anche tenace nel suo attaccamento a quello che ritiene qualcosa di un grande valore per sé, e cioè anche il più umile dei suoi figli, come la donna che passa ore a cercare la moneta perduta. Infine per Dio essere misericordiosi è fonte di una grande gioia, per la quale vale la pena fare una grande festa, perché essa rigenera i legami che si erano rotti e restituisce la dignità più grande che c’è, quella di figli di Dio, a chi, col suo peccato, l’aveva rifiutata.
Insomma: umiltà, stupore e gratitudine, disponibilità a rischiare, tenacia, gioia. Ecco gli elementi che costituiscono, secondo il Vangelo, l’essenza della misericordia e i sentimenti di chi la accoglie e a sua volta la vive.
Questa liturgia ci coglie verso la fine di un anno giubilare dedicato alla misericordia di Dio e alla domanda di misericordia che Dio stesso e i fratelli rivolgono a noi. Ne abbiamo parlato più volte durante l’anno, il papa Francesco ce l’ha ricordata in molte occasioni, con le sue parole e i suoi gesti. Abbiamo compiuto il pellegrinaggio alla porta santa di Roma e della cattedrale di Terni. È forse il momento di chiederci se e quanto il dono della misericordia di Dio è entrato nella nostra vita e quanto abbiamo colto la domanda che ci viene rivolta e gli abbiamo risposto.
Sì perché la tendenza a giudicare senza misericordia è così forte in noi. Quanto assomigliamo a quel secondo figlio rimasto in casa. Egli ci appare così ragionevole e di buon senso. Il suo recriminare ci fa stare istintivamente dalla sua parte. Non ha forse ragione ad irritarsi per tutta quella festa in onore di una persona che non lo meritava e ha fatto così tanto male a tutta la famiglia?
Si forse quel giovane è nel giusto, il fratello è in torto marcio e il padre è troppo sentimentale nel suo entusiasmo esagerato per il figlio ritrovato. Ma proviamo a vedere le cose dal punto di vista dei risultati del diverso agire dei due. Il padre ritrova un figlio, nonostante quello ritornava da lui non per riessere accolto come tale, ma per fare il servo in una casa non più sua (“andrò da mio padre e gli dirò:…non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”). L’incontro è occasione per una grande festa, per celebrare e rinsaldare la forza dei legami che unisce quella famiglia e i servi stessi (“Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa”). L’altro figlio invece forse, come dicevo, ha ragione, è nel giusto, ma intanto se ne resta fuori casa, lontano e isolato da tutti. È stizzito e offeso, freddo con il fratello e il padre, cova rancore perché si sente non capito e non apprezzato.
Da questa semplice constatazione possiamo capire perché Dio sceglie per la misericordia e non per la giustizia e il suo giudizio non è mai una condanna, ma è per salvare e perdonare.
Fratelli e sorelle, questo anno della misericordia ci è stato offerto come un’occasione per rivedere tanti nostri atteggiamenti e per scegliere se vivere come quel figlio triste e solo o come il padre in festa. I frutti della misericordia infatti sono la gioia e la pace che non passa, il suo contrario ci getta invece in un abisso di angoscia e infelicità.



Preghiere  

O Signore ti ringraziamo perché ci hai donato un anno dedicato alla misericordia. Aiutaci a renderci sempre conto del nostro bisogno della tua misericordia e della bellezza di viverla nei confronti dei fratelli e delle sorelle che incontriamo,
Noi ti preghiamo


O Padre del cielo, perdona quando ci riteniamo giusti e nella ragione, quando accampiamo diritti e vediamo negli altri torti e colpe. Donaci di essere capaci di vivere la misericordia con tutti.
Noi ti preghiamo




Aiutaci o Signore a trovare sempre con umiltà la via del ravvedimento e della richiesta di perdono, perché sappiamo tornare a Te quando ci allontaniamo orgogliosi e pieni di noi stessi.
Noi ti preghiamo


Insegna anche a noi o Padre misericordioso a fare grande festa ogni volta che il bene vince sul male, che il perdono cancella il peccato e che la misericordia supera il desiderio di rivalsa.
Noi ti preghiamo


Ti ringraziamo o Dio per le parole e i gesti di papa Francesco che ci invitano a convertire il nostro cuore al Vangelo e a seguire la via della misericordia. Sostieni il suo ministero e proteggilo dal male.
Noi ti preghiamo



Guida o Dio la Chiesa perché sia sempre famiglia feconda che genera tuoi figli. Fa’ che ciascuno di noi cresca in essa e partecipi alla sua missione di vivere ovunque nel mondo l’amore del Vangelo.
Noi ti preghiamo.



Proteggi o Padre del cielo ogni popolo che è vittima della violenza: per la Siria, l’Afghanistan, il Libano, l’Iraq e ogni Paese dove vince la forza della guerra e del terrorismo.
Noi ti preghiamo


Suscita in noi, o Signore Gesù, sentimenti di pace e gesti di riconciliazione, perché diveniamo operatori di bene capaci di sostenere con affetto tutti quelli che hanno bisogno di aiuto e consolazione.

Noi ti preghiamo

XXIV domenica del tempo ordinario - anno C - 11 settembre 2016


Dal libro dell'Esodo 32, 7-11. 13-14
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

Salmo 50 - Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; +
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 1, 12-17
Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Alleluia, alleluia alleluia.
Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te;
non son più degno di essere chiamato tuo figlio.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 15, 1-3
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, le letture di questa domenica ci offrono un quadro meraviglioso ed esaustivo della misericordia di Dio. Nella prima lettura vediamo Dio che si sdegna perché il popolo che lui ha liberato dalla schiavitù in Egitto e ha indirizzato sul cammino verso la terra della libertà e dell’abbondanza, lo ha dimenticato, preferendo a lui l’idolo del vitello d’oro. Dio dice a Mosè che intende accettare questa sfida e di abbandonare il popolo che aveva privilegiato su tutti gli altri per lasciarlo in balia dei suoi idoli, ma Mosè intercede invoca la misericordia di Dio, il quale mostrandosi umile e pronto a cambiare idea, si lascia convincere al perdono. Umiltà di non cercare soddisfazione o giustizia, ma di mostrare ancora un volta il volto misericordioso.
Nella seconda lettura l’Apostolo esprime il suo stupore perché il Signore si è degnato di usare lui come un suo strumento, nonostante la sua indegnità e il peccato che lo aveva portato al punto di farsi persecutore dei discepoli. Paolo sottolinea come il fatto di essere stato perdonato e inviato come Apostolo per costruire le comunità dei discepoli in tante città non è certo un suo merito, ma è un segno che Dio vuole dare a tutti della possibilità di ricevere la misericordia di Dio che trasforma così radicalmente la vita degli uomini che l’accolgono, cosa per la quale Paolo manifesta tutta la sua gratitudine.
Infine il Vangelo di Luca ci riporta la reazione di Gesù allo scandalo suscitato nei farisei e negli scribi perbenisti dal fatto che lui frequenta gente così disdicevole come i pubblicani e altri peccatori. Questi ultimi lo giudicano complice perché non si scaglia contro di loro, ma sembra avere con essi un atteggiamento accogliente e benevolo. Il Signore risponde a tutto questo scandalo raccontando tre parabole nelle quali, partendo da situazioni concrete della vita quotidiana di un pastore, di una massaia e di un padre di famiglia, fa emergere come la natura più profonda e vera di Dio, così umana, emerga proprio nella sua misericordia con i peccatori. Per essa egli è innanzitutto pronto a correre rischi, come quel pastore che lascia le 99 pecore per cercare la perduta. Ma poi Dio si manifesta anche tenace nel suo attaccamento a quello che ritiene qualcosa di un grande valore per sé, e cioè anche il più umile dei suoi figli, come la donna che passa ore a cercare la moneta perduta. Infine per Dio essere misericordiosi è fonte di una grande gioia, per la quale vale la pena fare una grande festa, perché essa rigenera i legami che si erano rotti e restituisce la dignità più grande che c’è, quella di figli di Dio, a chi, col suo peccato, l’aveva rifiutata.
Insomma: umiltà, stupore e gratitudine, disponibilità a rischiare, tenacia, gioia. Ecco gli elementi che costituiscono, secondo il Vangelo, l’essenza della misericordia e i sentimenti di chi la accoglie e a sua volta la vive.
Questa liturgia ci coglie verso la fine di un anno giubilare dedicato alla misericordia di Dio e alla domanda di misericordia che Dio stesso e i fratelli rivolgono a noi. Ne abbiamo parlato più volte durante l’anno, il papa Francesco ce l’ha ricordata in molte occasioni, con le sue parole e i suoi gesti. Abbiamo compiuto il pellegrinaggio alla porta santa di Roma e della cattedrale di Terni. È forse il momento di chiederci se e quanto il dono della misericordia di Dio è entrato nella nostra vita e quanto abbiamo colto la domanda che ci viene rivolta e gli abbiamo risposto.
Sì perché la tendenza a giudicare senza misericordia è così forte in noi. Quanto assomigliamo a quel secondo figlio rimasto in casa. Egli ci appare così ragionevole e di buon senso. Il suo recriminare ci fa stare istintivamente dalla sua parte. Non ha forse ragione ad irritarsi per tutta quella festa in onore di una persona che non lo meritava e ha fatto così tanto male a tutta la famiglia?
Si forse quel giovane è nel giusto, il fratello è in torto marcio e il padre è troppo sentimentale nel suo entusiasmo esagerato per il figlio ritrovato. Ma proviamo a vedere le cose dal punto di vista dei risultati del diverso agire dei due. Il padre ritrova un figlio, nonostante quello ritornava da lui non per riessere accolto come tale, ma per fare il servo in una casa non più sua (“andrò da mio padre e gli dirò:…non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”). L’incontro è occasione per una grande festa, per celebrare e rinsaldare la forza dei legami che unisce quella famiglia e i servi stessi (“Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa”). L’altro figlio invece forse, come dicevo, ha ragione, è nel giusto, ma intanto se ne resta fuori casa, lontano e isolato da tutti. È stizzito e offeso, freddo con il fratello e il padre, cova rancore perché si sente non capito e non apprezzato.
Da questa semplice constatazione possiamo capire perché Dio sceglie per la misericordia e non per la giustizia e il suo giudizio non è mai una condanna, ma è per salvare e perdonare.
Fratelli e sorelle, questo anno della misericordia ci è stato offerto come un’occasione per rivedere tanti nostri atteggiamenti e per scegliere se vivere come quel figlio triste e solo o come il padre in festa. I frutti della misericordia infatti sono la gioia e la pace che non passa, il suo contrario ci getta invece in un abisso di angoscia e infelicità.



Preghiere  

O Signore ti ringraziamo perché ci hai donato un anno dedicato alla misericordia. Aiutaci a renderci sempre conto del nostro bisogno della tua misericordia e della bellezza di viverla nei confronti dei fratelli e delle sorelle che incontriamo,
Noi ti preghiamo


O Padre del cielo, perdona quando ci riteniamo giusti e nella ragione, quando accampiamo diritti e vediamo negli altri torti e colpe. Donaci di essere capaci di vivere la misericordia con tutti.
Noi ti preghiamo




Aiutaci o Signore a trovare sempre con umiltà la via del ravvedimento e della richiesta di perdono, perché sappiamo tornare a Te quando ci allontaniamo orgogliosi e pieni di noi stessi.
Noi ti preghiamo


Insegna anche a noi o Padre misericordioso a fare grande festa ogni volta che il bene vince sul male, che il perdono cancella il peccato e che la misericordia supera il desiderio di rivalsa.
Noi ti preghiamo


Ti ringraziamo o Dio per le parole e i gesti di papa Francesco che ci invitano a convertire il nostro cuore al Vangelo e a seguire la via della misericordia. Sostieni il suo ministero e proteggilo dal male.
Noi ti preghiamo



Guida o Dio la Chiesa perché sia sempre famiglia feconda che genera tuoi figli. Fa’ che ciascuno di noi cresca in essa e partecipi alla sua missione di vivere ovunque nel mondo l’amore del Vangelo.
Noi ti preghiamo.



Proteggi o Padre del cielo ogni popolo che è vittima della violenza: per la Siria, l’Afghanistan, il Libano, l’Iraq e ogni Paese dove vince la forza della guerra e del terrorismo.
Noi ti preghiamo


Suscita in noi, o Signore Gesù, sentimenti di pace e gesti di riconciliazione, perché diveniamo operatori di bene capaci di sostenere con affetto tutti quelli che hanno bisogno di aiuto e consolazione.

Noi ti preghiamo

domenica 4 settembre 2016

XXIII domenica del tempo ordinario - Anno C - 4 settembre 2016

Madre Teresa di Calcutta sarà santa il 4 settembre. Vita e miracoli di chi si prese cura dei “più poveri dei poveri”

Dal libro della Sapienza 9, 13-18
Quale, uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza». 

Salmo 89 - Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.
Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi, +
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia; +
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni
E acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: +
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. 

Dalla lettera a Filèmone. 9b-10. 12-17
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso. 

Alleluia, alleluia alleluia.
Fa’ risplendere il tuo volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi decreti.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 14, 25-33
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo». 
Commento
Cari fratelli e care sorelle, il Vangelo che abbiamo ascoltato oggi ci riporta le parole di Gesù con le quali il maestro mette bene in luce la differenza fra essere parte della massa dei seguaci di Gesù (“una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro”) ed essere discepoli. Gesù lo fa facendo degli esempi di come non si è discepoli (“Colui che non …. , non può essere mio discepolo.”) Innanzitutto, come già dicevamo domenica scorsa, il Signore vuole affermare come il seguace confuso nella folla, cioè il simpatizzante anonimo, colui che aderisce formalmente a una dottrina o sente una identità sociale di gruppo, da lontano, non è un discepolo. Esserlo è una scelta e un lavoro lungo e impegnativo, come Gesù indica chiaramente quando sceglie di fare come esempio del discepolo colui che decide di costruire una torre, decisione assai impegnativa, o chi arma un esercito per andare contro un nemico, cosa altrettanto complessa e onerosa, o chi trascina sulle proprie spalle una croce. Ma di tutte queste opere complesse Gesù mette in luce non tanto la faticosità o la difficoltà, così come a noi viene spontaneo se pensiamo a tali imprese, ma il fatto che bisogna prepararsi bene ad affrontare una scelta così impegnativa. Dice infatti: “Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? …  Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?” Il discepolo cioè è per Gesù colui che, compiuta la scelta impegnativa di divenire tale, non si getta nella mischia a casaccio, usando quello che gli capita in mano, le conoscenze, gli strumenti che già possiede, ma cerca di procacciarsi quello che veramente gli è utile a portare a termine con successo questo impegno. Sì perché nella folla si ha l’impressione di seguire Gesù, in realtà si segue la corrente, il vicino, la moda, le abitudini, ciò che è scontato, ovvio, banale. Gesù nemmeno lo si sente o lo si vede più da in mezzo alla folla. Si è facilmente distratti da se stessi, dai nostri umori, le nostre preoccupazioni e tutti i comportamenti si giustificano facilmente: nella folla ci si pesta i piedi facilmente e bisogna difendersi dai malintenzionati. Bisogna pur campare e magari ogni tanto si fa qualche deviazione, tanto poi il gruppo lo si raggiunge lo stesso o lo si segue da lontano certi che prima o dopo ci uniremo anche noi. Insomma ci si illude di fare molta strada dietro a Gesù, ma invece ci si ritrova sempre uguali a se stessi a girare attorno a sé. 
Ma allora come si può divenire discepoli, cioè quali sono quegli strumenti necessari sui quali bisogna fermarsi a riflettere bene prima per evitare il rischio di fallire? Gesù indica soprattutto due cose: la prima è amarlo più di tutti, persino più di quelli che naturalmente siamo portati ad amare più intensamente, come i nostri genitori, figli, parenti, ecc… e poi rinunciare a fare affidamento ai propri beni.
In queste stesse ore a Roma papa Francesco sta celebrando la solenne liturgia della canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta. In questa piccola-grande donna possiamo vedere, e capire meglio, l’esempio di una persona che è uscita dalla folla per seguire Gesù come una vera discepola. Madre Teresa era una giovane religiosa e divenne suora a 18 anni. Per 20 anni continuò il suo impegno in India come insegnante e superiora di un convento di religiose con scuola. Sì può dire che il suo era un itinerario di cristiana seria che l’aveva portata ad un impegno radicale ed esigente, come appunto quello di lasciare tutto, andare in India e dedicarsi alla vita religiosa. Eppure, ad un certo momento si rese conto che la sua non era una vita da discepola e uscì dalla Congregazione e di dedicò all’incontro personale, e non nella folla, con il Signore nella preghiera e nel servizio ai poveri.
Madre Teresa trovò la risposta alla domanda che ci siamo posti prima, “come si può divenire discepoli?” imparando ad amare Gesù nei poveri prima di ogni altra cosa. Per poter fare questo uscì dalla Congregazione e iniziò il suo nuovo cammino. Una volta ha detto: “Come possiamo amare Dio che non vediamo se non amiamo i nostri vicini che vediamo, tocchiamo e con i quali viviamo?” parafrasando 1Gv 4,20: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.” Madre Teresa cominciò ad amare Dio prima di tutto e tutti accogliendo e aiutando i più poveri fra i poveri, i moribondi abbandonati per strada a morire da soli e senza cure, e poi tante altre persone povere in tutto il mondo.
Potremmo dire che queste sono azioni eroiche, possibili sono a persone eccezionali e uniche nel loro genere. A questo proposito Madre Teresa ha detto alle sue suore: “Fate non delle grandi cose, delle piccole cose ma con grande amore. La sofferenza in sé e per sé non è nulla, ma la sofferenza condivisa è gioia, è un dono meraviglioso.” Mi sembra che queste parole semplici e molto chiare dicano molto di cosa significhi essere discepolo: non è una scelta eroica, ma impegnativa di compiere cose piccole, anche la vita ordinaria, ma amando molto, soprattutto coloro che soffrono. È questa la via, ci dice oggi Madre Teresa, per incontrare Gesù, stare vicino a lui e accompagnarlo in un rapporto personale; in questo sta la vera gioia del discepolo: gustare quella vita evangelica che è un dono per chi si fa vicino a Gesù, lo ascolta in prima persona e prende sul serio ciò che ascolta vivendolo in modo concreto. È un messaggio semplice e pratico col quale siamo chiamati a misurarci per imparare a uscire dalla folla confusa e pigra per divenire veramente discepoli del Signore.




Preghiere

O Dio del cielo donaci il desiderio e la tenacia di venirti incontro, perché sappiamo innalzarci dalla banalità e dalla piccolezza del nostro poco amore verso la forza trascinante del tuo voler bene.
Noi ti preghiamo


Insegnaci o Signore ad amare come tu hai fatto. Fa’ che non ci spaventiamo della profondità e tenacia di un voler bene che ci porta lontano da noi stessi.
Noi ti preghiamo




Sostieni, o Dio di misericordia, i nostri passi incerti nella costruzione di noi come discepoli fedeli e docili al Vangelo. Fa’ che usciamo dalla folla confusa per incontrarti come un amico.
Noi ti preghiamo


Apri i nostri occhi e i nostri cuori perché sappiamo sempre riconoscere in chi incontriamo un fratello da amare e una sorella da sostenere. Unisci anche noi a tutta l’umanità sofferente col vincolo santo della fraternità cristiana.
Noi ti preghiamo




Ti ringraziamo Signore per il dono della vita e dell’esempio di Santa Madre Teresa. Fa’ che ognuno di noi faccia sua la scelta di essere discepolo nell’amore per i poveri e nell’incontro con Dio nella preghiera.
Noi ti preghiamo


Accogli o Padre misericordioso tutti quelli che oggi si rivolgono a te per implorare il tuo aiuto e sostegno. Guarisci i malati, sostieni i deboli, guida tutti verso di te.
Noi ti preghiamo.


Concedi o Dio al mondo il dono della pace, e specialmente alla Siria, l’Iraq, la Libia martoriate da anni di guerra. Consola le vittime del conflitto e fa’ che cessi al più presto il sinistro rumore delle armi e risuoni alto il ringraziamento dei tuoi figli per la concordia ritrovata.
Noi ti preghiamo


Guida o Padre buono il nostro papa Francesco perché con le sue parole e il suo esempio accompagni l’umanità sulla via della vera pace.

Noi ti preghiamo