sabato 28 aprile 2018

V domenica del tempo di Pasqua - Anno B - 29 aprile 2018





Dagli Atti degli Apostoli 9, 26-31
In quei giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Barnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.

Salmo 21 - A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea.
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!

Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.

A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.

Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!».

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 3, 18-24
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. In questo conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.

Alleluia, alleluia alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore;
chi rimane in me porta molto frutto.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 15, 1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Commento
L’evangelista Giovanni, a differenza degli altri tre, ci riporta il lungo discorso che Gesù rivolse agli apostoli durante quell’incontro intenso e commovente che è l’ultima cena. È un momento decisivo. Gesù sa che sta per essere catturato e messo a morte e sa anche che i discepoli, spaventati e disorientati, si disperderanno. Per questo si dilunga a parlare con loro, per lasciare ai suoi amici quel lungo testamento spirituale, di cui oggi abbiamo ascoltato un passaggio nel quale Gesù parla di se stesso come una vite e dei discepoli come i suoi tralci. È un’immagine bella, piena di significati, ed è un chiaro esempio del modo di parlare di Gesù. Egli infatti usava le immagini della vita concreta di cui facevano esperienza i suoi ascoltatori, proprio per dire che il suo insegnamento non era una dottrina astratta da accogliere con la mente, ma un messaggio che doveva passare nella concreta. Per questo la gente che lo ascoltava sentiva che nelle sue parole c’era qualcosa di autentico e le accoglievano come autorevoli e da mettere in pratica. Anche a noi oggi esse ci si presentano con un pensiero che convince non perché è logico, ma perché spinge ad essere vissuto.
La prima cosa che Gesù afferma è che c’è bisogno di un legame concreto, visibile e reale con lui perché un uomo e una donna possa dirsi un discepolo, un cristiano, e per esprimere questo concetto usa l’immagine del legame che unisce un ramo alla pianta. Gesù vuole dire che non basta sentirsi vicini, avere un senso d’identità, essere simpatizzanti. Non basta un’adesione intellettuale, dirsi convinti. Ci vuole piuttosto un legame concreto e visibile. Per questo abbiamo bisogno di venire qui la domenica: esserci, fisicamente e col cuore, è la condizione minima per dirsi cristiani, discepoli del Signore.
Ma poi, quel legame concreto, espresso nella partecipazione al banchetto della Parola ed eucaristico, deve essere riconoscibile anche attraverso il nostro agire quotidiano, deve essere cioè quello di un cristiano: un ramo di un albero di mele si riconosce sì anche dalle foglie o dal colore dei fiori, ma soprattutto dai frutti. Non è un caso che molte piante traggano il loro nome dal frutto che producono: melo, pero, arancio, pesco, limone, banano, ecc… Se al tempo debito compare il frutto, allora sì che siamo sicuri che quel ramo è veramente parte di quella pianta. Al contrario se il frutto non corrisponde ad essa, ebbene significa che ha perso la natura dalla quale era nato.
Un’altra cosa ci insegna questa similitudine del Signore: il frutto è qualcosa che essenzialmente non è utile alla pianta stessa, ma è un dono che essa fa alle altre creature. Un albero non ha bisogno dei suoi frutti per vivere, gli basta il nutrimento che trae dal terreno, i raggi del sole, l’acqua del cielo, l’aria, ecc. La stessa cosa è dell’uomo: non è necessario per vivere portare frutti utili agli altri, basta avere accesso a tutto ciò che è necessario per sopravvivere: aria, cibo, acqua, salute, risorse materiali, ecc.
Ma la pianta produce i frutti perché essi in sé stessi contengono il bene, e sono pertanto un modo per restituire il bene a loro volta ricevuto. Anzi possiamo dire che nei frutti vi sia un duplice bene: il nutrimento per le altre creature e il gusto che essi danno alla loro vita, e poi, attraverso questo primo risultato deriva un secondo bene, perché permettono alla pianta di comunicare la vita mediante i semi che vengono così dispersi ovunque da chi ha mangiato i frutti.
La natura ha immesso nelle piante il segreto di una vita alla quale non basta auto-conservarsi, ma ambisce moltiplicarsi, dare sostentamento ad altri, uscire cioè dal circolo cieco del puro essere utili solo a se stessi ed esaurirsi in ciò.
Quanto più questo è vero per gli uomini!
Il frutto buono delle nostre azioni non solo riversa sugli altri la benedizione di un bene che si diffonde, nutre e da’ gusto, ma ha anche il potere di suscitare germogli di vita nuova, che a loro volta cresceranno per dare altri frutti buoni. Un albero sterile non muore, ma non ha vita da comunicare, niente oltre l’auto-mantenimento. Che tristi sono le vite che, al loro termine, non hanno frutti da ricordare, ma badate bene, i frutti non sono quelli che si vedono, i veri frutti sono quelli che sono stati mangiati da altri, hanno nutrito la loro vita e l’hanno resa a loro volta feconda, come, dove e quando non sappiamo.
La vera gioia non sta nell’aver prodotto e accumulato molto, ma nell’aver fruttificato e distribuito molto. Beato chi termina la sua vita senza nulla perché ha dato tutto. Triste agli occhi del Signore chi è rimasto sterile e senza nulla da poter offrire, o ha tenuto il frutto nascosto.
Ed ecco che allora anche la potatura perde quella sensazione di perdita e sofferenza che istintivamente ci suscita, anzi, la pianta ne giova e sa che i rami sterili o parassitari consumano la vita senza dare frutti ed è meglio perderli.
Cari fratelli e care sorelle, se vogliamo che la nostra vita dia frutti, che la nostra sia fede vera e non solo formalismo, lasciamoci potare dal Signore. Lasciamoci togliere le amarezze di una vita scontenta e pessimista; lasciamoci portare via lo sguardo sempre rivolto su di noi, pronto a rilevare i presunti torti subiti; lasciamoci potare dell’amore per noi stessi, dell’egoismo, dall’indifferenza, dall’orgoglio. Non è doloroso né un sacrificio, è la scoperta che si può essere uomini e donne vere, i cui sentimenti abbiano il sapore e il colore di frutti buoni prodotti e regalati con generosità per il nutrimento di tanti.






Preghiere n. 1


Ti preghiamo o Signore perché restiamo uniti a te come tralci di un’unica vite. Perdona il nostro istinto a isolarci e separarci da te per disperderci nei sentieri del nostro individualismo.
Noi ti preghiamo


O Padre, ispiraci le opere buone perché noi le compiamo. Fa’ che viviamo una vita ricca di buoni frutti e piena di misericordia e di pietà per i deboli.
Noi ti preghiamo


Preghiere n. 2



O Signore Gesù che hai dato tutto te stesso per la salvezza del mondo, ti preghiamo perché sappiamo imitarti e usare il nostro tempo e le nostre risorse per compiere il bene.
Noi ti preghiamo


Cristo Gesù, tu che hai sempre vissuto in unità con il Padre, insegnaci a restare fedeli all’amicizia che per primo ci hai mostrato. Aiutaci a non credere di poter fare a meno di te e a vivere con gratitudine per i doni che riceviamo.
Noi ti preghiamo



Preghiere n. 3


Padre santo, ti preghiamo per tutti coloro che ti invocano nel mondo: per i malati e i sofferenti; per i prigionieri e le vittime della violenza; per chi è solo e disperato.
Noi ti preghiamo


O Cristo che ci hai annunciato che non ci avresti mai lasciato soli, manda presto il tuo Spirito su di noi e su tutto il mondo, perché i cuori siano scaldati e gli occhi aperti a guardare la bellezza delle tue opere.
Noi ti preghiamo


Preghiere n. 4


O Signore Gesù che torni a parlarci con amore, fa’ che ti ascoltiamo sempre con cuore aperto, perché la linfa del vangelo entri in noi e nutra ogni nostro giorno.
Noi ti preghiamo


Guida e proteggi o Padre buono tutti gli uomini che nel mondo ti seguono. Benedici lo sforzo di quanti si affidano a te e annunciano il tuo amore,
Noi ti preghiamo



venerdì 20 aprile 2018

IV domenica del tempo di Pasqua - Anno B - 22 aprile 2018


 Gesù buon pastore prende Giuda sulle sue spalle

Dagli Atti degli Apostoli 4, 8-12

In quei giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».


Salmo 117 - Benedetto colui che viene nel nome del Signore

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.


È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.
Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.


La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.


Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio Dio e ti esalto.


Dalla prima lettera di san Giovanni Apostolo 1Gv 3,1-2

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.


Alleluia, alleluia, alleluia.
Io sono il buon pastore, dice il Signore;
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.

Alleluia, alleluia, alleluia.



Dal vangelo secondo Giovanni 10, 11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».


Commento


Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato nel Vangelo oggi Gesù definirsi come “il buon pastore”, cioè quello che ha cura e guida le pecore del gregge. Ad esso il Signore contrappone il mercenario, falso pastore, che non ha cura delle pecore e non esita, nel pericolo, ad abbandonarle. La caratteristica che Gesù mette più in evidenza del pastore è quella di rischiare anche la vita per il suo gregge: “Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.” Lo ripete ben cinque volte, proprio per sottolineare come questa sia la caratteristica più importante del vero pastore del gregge. In queste parole possiamo rileggere quello che è accaduto a Gerusalemme, quando il Signore accettò di sottomettersi alla persecuzione dura e feroce dei poteri forti: quello dei dominatori militari, i romani; quello dei capi religiosi e politici; quello della folla degli ebrei, tutti e tre uniti nel volere e causare la morte di Gesù.
Tutti quelli che contano, che hanno voce in capitolo e possono decidere hanno scelto contro di lui; chi non contava è fuggito e si è nascosto. In quelle ore drammatiche della passione e morte di Gesù sembra delinearsi definitivo il fallimento della sua missione: tutto è finito, i sogni, le aspettative, le speranze si sono infrante davanti alla forza dei poteri che possono decidere il corso della storia. 
Davanti a questo tragico epilogo sorge spontanea la domanda sul perché della scelta di Gesù di andare fino a Gerusalemme, dove sapeva cosa sarebbe accaduto, ma il Vangelo di oggi ci offre una risposta.
La passione del Signore infatti realizza proprio quello che Gesù aveva detto di sé paragonandosi ad un pastore buono del suo gregge: egli non fugge davanti al lupo che vuole fare razzia del gregge. Glielo avevano consigliato: “Evita i luoghi dove i poteri forti spadroneggiano, dove hanno più forza, mantieniti alla larga da essi” gli avevano detto i discepoli col buon senso di chi sa come va la vita. Ma Gesù non lascia solo il gregge proprio dove esso è dominato dai poteri forti che lo minacciano come un lupo feroce: “ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare” e per questo non evita Gerusalemme, capitale e cuore religioso di Israele.
Gesù definisce il suo rapporto con le sue pecore col verbo conoscere: “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me…” e questo rapporto di conoscenza è modellato su quello che lui stesso ha con il Padre: “…così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Cioè Gesù ama quelle pecore come il Padre ama lui, e vuole che anch’esse lo amino come i figli un padre. Il Signore ama anche quelle pecore lontane ed estranee, addirittura minacciose, e non gli basta avere attorno un piccolo gruppo di amici fedeli o avere un po’ di successo in qualche villaggio, il suo gregge è vasto e non può lasciarlo in balia dei poteri malvagi del mondo, per questo va a Gerusalemme.
Come dicevamo già le scorse domeniche, Gesù non ha un atteggiamento prudente che mira a risparmiare la sua vita. Affronta il male andandogli incontro, come un vero pastore fa col lupo, perché sa che mettersi in salvo evitandolo lascia il lupo libero di sbranare il gregge. Il mercenario, cioè chi non ama le sue pecore, fugge, e così facendo si mette in salvo, ma il padre non ha cuore di lasciare i propri figli in balia dei poteri forti che sono complici del male e impongono un ordine malvagio, e non risparmia di andare loro contro.
Questo permette a Gesù di vincere il male, e non solo di evitarlo. Infatti anche durante la passione quel gregge è sì disperso e sconvolto, ma almeno non è sbranato dai lupi. Gesù stesso lo protegge e a quelli che sono venuti ad arrestarlo dice: “Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano” (Gv 18,8). I dodici fuggono, ma Pietro lo segue da vicino, anche se non ha la forza di non rinnegarlo. E soprattutto, dopo la morte, restano riuniti, così Gesù li ritrova dopo la resurrezione. Insomma il gregge è salvo ed ora non ci sarà più nessun potere forte che potrà avere la meglio su di loro. È la storia degli Atti nei quali si descrive il crescere del gruppo dei discepoli che hanno fede in Gesù. Pietro, abbiamo ascoltato, proprio perché è passato attraverso la prova del tradimento e del perdono di Gesù e lo ha incontrato risorto è ora capace di farsi lui pastore del gregge che Gesù ha lasciato loro da radunare, e proclama: “Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati.”
Cari fratelli e care sorelle, anche oggi i poteri forti di questo mondo cercano di imporre il dominio del male e come lupi feroci sbranano la vita degli uomini. Sono poteri temibili, come le mafie e i terrorismi, o poteri più suadenti e accattivanti, come la cultura materialista che promette benessere e successo, a scapito però dei deboli e dei poveri. Come a Gerusalemme tanti secoli fa, i poteri forti si alleano per cercare di togliere di mezzo l’unico pastore buono che vuole radunare e condurre su un pascolo buono le pecore che egli ama profondamente. Le vuole salvare dai morsi dei lupi che diffondono il contagio di odi ed egoismi, delle passioni nazionalistiche e xenofobe, del virus della violenza fisica, verbale, psicologica, economica e finanziaria, ecc… Affidiamoci al vero e unico pastore buono che è il Signore. Egli ha affrontato anche per noi la forza dei lupi e il Padre gli ha ridato la vita che lui non ha temuto di mettere a repentaglio. Anche noi, come i discepoli, siamo tentati e spaventati, tradiamo e rinneghiamo, ma torniamo a lui, pentiti e coscienti che, come dice Pietro, solo da lui possiamo trarre la nostra salvezza.

Ci vuole la docilità di sottomettersi ad un pastore e l’umiltà di far parte di un gregge, due cose che sono così lontane dalla cultura di oggi che esalta autonomia e individualismo, ma saremo salvati dai morsi pericolosi dei lupi, quelli temibili e quelli accattivanti, quelli più subdoli e meno evidenti ma che, tutti, vogliono rubarci la vita.



Preghiere


Signore, ti preghiamo, aiutaci a vivere secondo gl’insegnamenti del Vangelo. Aiutaci ad essere ascoltatori attenti della tua Parola senza essere distratti da altro,

Noi ti preghiamo



O Gesù che raduni l’umanità intera in un’unica famiglia e la conduci al sicuro aiutaci a non sentirci estranei da essa, isolati nell’orgoglio dell’autosufficienza e dell’individualismo.

Noi ti preghiamo


Ti ringraziamo o Signore perché la domenica ci raduni per essere fisicamente vicini fra noi e attorno alla tua presenza che ci unisce in un unico gregge. Fa’ che non disdegniamo l’invito a seguirti come pecore docili,

Noi ti preghiamo


O Signore che hai dato la vita per il tuo gregge e che conosci una ad una le tue pecore, resta vicino a ciascun uomo e donna perché chiamati da te per nome entrino a far parte dell’unica grande famiglia dei figli di Dio,

Noi ti preghiamo



Ti vogliamo ringraziare oggi, o Signore, per il dono di essere protetti e guidati da te. Fa’ che ognuno incontri in te il compagno fedele della propria vita a cui affidarsi fiduciosi,

Noi ti preghiamo

  
O Dio proteggi quanti hanno particolare bisogno del tuo sostegno: i malati, i poveri, gli stranieri, chi è debole e nel dolore. Salvali dal male,

Noi ti preghiamo.


O Padre ispira il nostro papa Francesco perché guidi la Chiesa sulle vie del mondo ad annunciare con audacia a tutti gli uomini la misericordia e l’amore del tuo Figlio risorto,

Noi ti preghiamo


O Signore insegnaci ad amarci l’uno con l’altro nei momenti difficili, testimoniando con le parole e con la vita il vangelo di pace e fraternità che abbiamo ricevuto.

Noi ti preghiamo



giovedì 12 aprile 2018

III domenica del tempo di Pasqua - Anno B - 15 aprile 2018



 
 
 

Dagli Atti degli Apostoli 3, 13-15. 17-19

In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».

 

Salmo 4 - Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.

Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia! +

Nell’angoscia mi hai dato sollievo;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.

Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele;
il Signore mi ascolta quando lo invoco.
Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene,
se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?».

In pace mi corico e subito mi addormento,
perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.

 

Dalla prima Lettera dell’Apostolo Giovanni  2, 1-5

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paraclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Signore Gesù, facci comprendere le Scritture;
arde il nostro cuore mentre ci parli.

Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Luca 24, 35-48

In quel tempo, i due discepoli che erano ritornati da Emmaus narravano agli Undici e a quelli che erano con loro ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, il vangelo di oggi ci presenta i discepoli intenti a parlare di Gesù dopo la sua resurrezione. Si raccontano le loro esperienze e sentimenti. Cioè, nonostante la fatica a credere alla resurrezione e la cecità dei loro occhi nel riconoscerlo, essi non cessano di ricordarlo, parlarne, sentirlo presente. È quello che facciamo noi ogni domenica, giorno in cui celebriamo la resurrezione del Signore. Anche noi facciamo fatica a riconoscerlo vivo, a sentirne la presenza piena di sollecitudine e a ricordarlo nella nostra vita di tutti i giorni; anche i nostri occhi sono come velati dall’abitudine che rende la persona di Gesù lontana e sfocata, e proprio per questo abbiamo bisogno di tornare qui ogni domenica per ascoltarne parlare, per dirci l’un l’altro: l’ho incontrato, è risorto, è vivo fra di noi!

Ma, dice l’evangelista Luca, “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».” Sì, quando si parla di Gesù egli si fa presente in persona, concretamente e fisicamente. Gesù lo aveva detto: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Ogni volta che ci riuniamo la domenica per “parlare di lui” egli si fa presente: la Messa non è come una commemorazione di un assente, ma è rivivere fatti e parole che ci rendono contemporanei e commensali di Gesù oggi.

Eppure anche quando si fa presente in mezzo a noi fatichiamo a riconoscerlo, come i discepoli: “Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma”; ma perché tanta paura? Perché Gesù risorto ci mostra che ciò che crediamo impossibile, contro l’ordine naturale, è invece reso possibile dalla forza dell’amore di Dio. Noi siamo abituati all’ordine naturale delle cose, l’esperienza ce l’ha insegnato. Questo ordine viene sconvolto e rivoluzionato dalla resurrezione di Gesù, e questo crea timore. Non è più scontato che il male prevalga e che sia una condanna irrevocabile, c’è una forza più grande: l’amore di Dio. Questo viene ad affermare con forza la resurrezione, ma questo ci fa paura perché mette in discussione le nostre certezze, l’ordine a cui siamo abituati e ci restituisce una grande libertà, ma anche una grande responsabilità. Sì, noi istintivamente preferiamo che le cose restino come già le conosciamo, come siamo abituati che siano, come ci sembra più facile che scorrano senza novità. Paradossalmente, per abitudine e pigrizia preferiamo che sia confermato il potere della morte sulla vita, che la tomba dove giaceva il corpo senza vita di Gesù resti chiusa. Se essa invece può essere spalancata da un amore più grande perché non lo viviamo anche noi ogni giorno? Ce lo chiede la realtà del mondo di oggi, le espressioni di sofferenza vicine e lontane, il grido di dolore di persone e di popoli interi, la condizione di quanti sono schiacciati dalla forza del male. Perché di fronte a tutto ciò i cristiani non esercitano il potere dell’amore che vince il male e si mostrano invece rassegnati e impotenti?

Gesù conosce i suoi discepoli, come anche noi, e davanti alla paura che fa tirare indietro non rinuncia a combattere la loro e la nostra incredulità e rassegnazione. Egli lo fa in un modo che ci appare paradossale: mostra le piaghe della sua passione: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!” (Lc 24,38)

Ma come, non era meglio, per rassicurarli e vincere in loro la paura, nascondere le tracce del dolore patito?

Noi crediamo che salvarci dal male e dalla morte significhi evitarli, farla franca, perché Gesù invece ce ne mostra le tracce evidenti sul suo corpo? Perché la resurrezione, unica vera liberazione dalla schiavitù del male, non rimuove la forza del male, la sconfigge con una forza più grande che è l’amore. Noi abbiamo paura di guardare e toccare le piaghe del mondo, le sofferenze dei poveri e la forza del male che spadroneggia in tanti modi, perché non crediamo che voler bene come insegna Gesù ci renda vincitori su di esso.

Per questo la Chiesa, in questi tempi difficili per tanti cristiani nel mondo, non ha paura a mostrarsi con il corpo piagato dalla persecuzione che la colpisce con violenza fino alla morte e al martirio. Apparentemente questa è una manifestazione di debolezza e sconfitta davanti all’aggressività dei propri nemici, e in quanto tale andrebbe dissimulata. Oppure andrebbe usata per rivendicare il proprio diritto a difendersi e a reagire con altrettanta violenza. In realtà le piaghe della persecuzione sul corpo della Chiesa sono altrettante dimostrazioni della sua forza di resurrezione, perché nonostante i colpi inferti e le sofferenze patite niente riesce a sconfiggere la sua infinita misericordia e il desiderio di rispondere col perdono e il bene al male ricevuto. Per questo il corpo della “Chiesa dei martiri” è, come quello di Cristo risorto che torna dai suoi, un corpo glorioso e vittorioso sul male, piagato ma vivo e che non cessa di amare e non si fa prendere da sentimenti di odio e desiderio di vendetta.

Cari fratelli e care sorelle, facciamoci anche noi parte di questo corpo della Chiesa, facciamo nostro il dolore delle sue ferite e delle piaghe ancora aperte, in tante realtà a noi vicine, perché col nostro voler bene ed essere misericordiosi ne aumentiamo la gloria e la forza di resurrezione, affinché essa si comunichi al mondo intero.

 

 

 Preghiere

 

 

O Signore Gesù che torni fra noi con i segni della passione, fa che incontrandoti riconosciamo in te l’amore che vince la morte,

Noi ti preghiamo

 

 

Perdona o Signore la nostra incredulità. Cancella il peccato che chiude gli occhi del nostro cuore e non ci fa credere alla forza della resurrezione che vince il male e sconfigge la morte,

Noi ti preghiamo

 

 

O Dio che non hai abbandonato il corpo del tuo Figlio Gesù in potere della morte ma lo hai fatto risorgere, proteggi i corpi deboli e sofferenti dell’umanità, perché siano liberati con lui dalla prigionia del male,

Noi ti preghiamo

 

 

Accogli o Dio le preghiere di chi è nel dolore ed esaudisci la domanda del debole. Fa che la tua resurrezione sia per essi inizio di vita nuova,

Noi ti preghiamo

 

 

O Padre misericordioso, accogli tutti quelli che si presentano a te da questo mondo, perché nulla li separi dal tuo amore e sia cancellata in essi ogni ombra di male e di peccato,

Noi ti preghiamo

 

 

Guida i nostri passi o Signore, perché incontrandoti povero e malato sappiamo sempre riconoscerti e vincere con l’amore la forza del male,

Noi ti preghiamo.

 

 

Proteggi o Padre del cielo tutti coloro che sono minacciati e nel pericolo a causa del tuo nome. Dona pace e salvezza dove oggi c’è violenza e vita piena dove essa è offesa e umiliata,

Noi ti preghiamo

 

 

Benedici o Dio, la famiglia dei tuoi discepoli che ogni domenica si riunisce nel tuo nome. Donaci la grazia di incontrarti ogni volta risorto ed essere così rafforzati nella fede,

Noi ti preghiamo

 

sabato 7 aprile 2018

II domenica del tempo di Pasqua, festa della Divina misericordia - Anno B - 8 aprile 2018





Dagli Atti degli Apostoli 4,32-35
La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.

Salmo 117 – Lodiamo il Signore: il suo amore è per sempre.
Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne: «Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

La destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.

Il Signore mi ha castigato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 5, 1-6
Carissimi, chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità.

Alleluia, alleluia alleluia.
Perché mi hai visto, Tommaso, hai creduto;
beati quelli che crederanno senza aver visto
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 20, 19-31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, oggi, prima domenica dopo la Pasqua, celebriamo la Misericordia di Dio. Ne abbiamo parlato spesso due anni fa, durante il Giubileo dedicato proprio alla misericordia, ed è bello una volta l’anno riprendere questo tema che ci aiuta a vivere meglio e con più pienezza la gioia della Pasqua del Signore. Infatti la misericordia altro non è che il modo tutto particolare di voler bene di Dio. Un amore gratuito, immeritato, senza presupposti né pretese, offerto generosamente senza pretendere o aspettarsi nulla in cambio. È l’amore della passione, morte e resurrezione di Gesù, vissuto così intensamente e seriamente da non esaurirsi nemmeno difronte al tradimento e all’abbandono dei suoi discepoli.
La Pasqua degli ebrei, sappiamo, ricordava la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. La Resurrezione del Signore avviene in quello stesso giorno perché con la sua misericordia Gesù ci libera dal falso amore basato sul calcolo e la convenienza. Chiediamoci in questa Pasqua se siamo riusciti a farci liberare dalla ricerca di un guadagno pure dall’amore. Certo a tutti noi fa piacere essere amati, ma non può essere una condizione per volere bene a nostra volta! L’amore non può mai essere merce di scambio. Non a caso Dio fin dai tempi più antichi ha usato come immagine del suo rapporto con il popolo d’Israele quello di una madre o un padre col proprio figlio piccolo. Lo ama, protegge, cura e circonda di attenzioni senza aspettarsi da lui niente in cambio; cosa può un neonato offrire al proprio genitore? Così deve essere il nostro rapporto con chiunque altro: generoso e gratuito, come quello di Gesù, lo ripeto, nella passione morte e resurrezione.
Gesù, abbiamo ascoltato oggi nel Vangelo, non si scandalizza dell’amore calcolatore dei suoi, che una volta visto che non gli conviene non indugiano ad abbandonarlo, e torna da loro dopo essere risorto, offrendo ad essi la pace che non hanno. Infatti possiamo ben immaginarci il loro cuore: impaurito, forse da rimorsi, dispiaciuto per il proprio comportamento; col rimpianto di non aver capito in profondità le parole che Gesù aveva detto loro su quello che sarebbe accaduto. Ma soprattutto un cuore che, ora che sanno che il Signore è risorto, non è capace di vincere tutte le titubanze e incertezze con uno slancio di amore per colui che li aveva amati così tanto, fino alla fine, fino a lavare loro i piedi, fino a offrire il proprio copro e sangue, fino a perdonare chi lo stava uccidendo. Per questo Gesù offre loro come prima cosa la pace che viene dal suo perdono, dal suo voler loro bene nonostante tutto. È la forza pacificante della misericordia di Dio che in questa domenica vogliamo sperimentare, accogliendolo anche noi il risorto che ci offre il suo amore, nonostante tutto quello che siamo e che facciamo.
Il brano evangelico di oggi ci riporta il famoso episodio dell’incredulità di Tommaso. Egli, davanti all’annuncio gioioso degli altri dieci apostoli che avevano visto Gesù risorto, pretende di incontrarlo, anzi di toccarlo fisicamente, per convincersi che è veramente vivo. È vero, Tommaso è diffidente e, se vogliamo, duro di cuore, eppure anche lui giunge alla fede che confessa con una grande esplicitezza: “Mio Signore, mio Dio”, ma solo passando attraverso la constatazione diretta e personale della grande sofferenza della passione di Gesù, nelle sue ferite fisiche. Sì, perché per credere alla resurrezione, cioè per coglierne il valore grande di un amore estremo e definitivo che libera l’uomo dalla schiavitù del male, bisogna essere convinti della forza che il male esercita sulla vita dell’uomo. Tommaso sa cosa è successo a Gesù, ma è come se, finché non fa esperienza diretta, la passione e morte resti irreale, senza concretezza. Egli davanti ad essa è fuggito, come tutti gli altri, e per questo ora neanche la resurrezione gli sembra credibile.
Fratelli e sorelle, anche noi siamo simili a Tommaso. Davanti al male fuggiamo, ci voltiamo dall’altra parte, o lo giustifichiamo, come una conseguenza meritata dalle colpe di chi ha la sorte di subirlo. Le conseguenze della forza del male, anche quando chi ne porta i segni ci è vicino, ci sembrano evanescenti, irreali. Pensiamo al dolore della guerra, o della miseria. Chi di noi si è mai sentito interpellato da esso vedendo i segni che ne portano nel corpo e nell’animo gli immigrati che giungono a noi? Chi ha voluto entrare in contatto diretto con questa forza del male ascoltando la storia di chi ne ha fatto così dolorosa esperienza. È meglio fuggire, pensano i più, facendo finta che quel male non esista, o sia una scusa, un’invenzione.
Ma se, come Tommaso, toccassimo con le nostre mani le piaghe di quei dolori, allora sì che la forza di liberazione dal male che è la resurrezione acquisterebbe anche per noi la realtà e concretezza di una ferita risanata.
Il Signore non si ritrae alla richiesta di Tommaso, anzi torna e si offre per essere toccato da lui proprio nelle ferite. Così i poveri sono fra noi e ci mostrano le piaghe che il male del disprezzo, della violenza, della solitudine, della miseria, ha inferto nel loro vissuto. Abbiamo il coraggio come Tommaso di toccarle, di non far finta di niente, di non girarci dall’altra parte.
Fratelli e sorelle il Signore risorto non si impone e non obbliga nessuno a credere. Egli si offre come risposta al male, come libertà dal poco amore e vittoria su tutto ciò che imprigiona l’uomo e lo rende schiavo. Forse anche noi, come Tommaso, facciamo fatica a credere ai testimoni della forza di liberazione del Vangelo e ce ne comunicano la gioia profonda. Ma almeno, coscienti dei nostri limiti e pochezza d’animo, accettiamo come Tommaso di mettere le mani nel dolore altrui, perché sentiamo il bisogno di trovare nel risorto la risposta ad esso e, rivestiti della sua forza, diveniamo testimoni e operatori della pace vera che Gesù dona ai suoi discepoli.


Preghiere 

O Signore Gesù, ti preghiamo, torna in mezzo a noi perché riconoscendo i segni della tua sofferenza capiamo meglio la forza del tuo amore. 
Noi ti preghiamo


Gesù, tu che dalla croce non hai maledetto chi ti faceva dal male e non sei fuggito davanti al dolore, insegnaci a vivere con tenacia l’amore dove il male è più forte,
Noi ti preghiamo


Come Tommaso anche noi restiamo sfiduciati e freddi davanti all’annuncio della resurrezione. Donaci o Signore la pace vera che placa gli animi e suscita in noi uno spirito di amore per riconoscerti risorto e vivo in mezzo a noi,
Noi ti preghiamo


Gesù, sciogli i vincoli della paura che ci fa’ rinchiudere in noi stessi, apri il nostro cuore ad uno spirito di fiduciosa disponibilità a voler bene ai fratelli e a lasciarci amare da te
Noi ti preghiamo



Come i discepoli incerti e dubbiosi anche noi viviamo spesso senza incontrarti. Donaci o Signore Gesù di riconoscerti ogni volta che il bene vince e l’amore abbatte le mura che circondano chi soffre,
Noi ti preghiamo
  

Ti invochiamo o Dio nostro padre per tutti coloro che sono schiacciati dal dolore: i malati, gli anziani, i prigionieri, i profughi, chi è in guerra. Liberali dal male,
Noi ti preghiamo.


Sciogli o Signore i legacci del dubbio e dell’incertezza che ci frena dal voler bene con larghezza a chi abbiamo accanto. Suscita fra tutti i tuoi figli uno spirito di amore fraterno che abbracci il mondo intero,
Noi ti preghiamo



Proteggi o Padre misericordioso chi è nel pericolo per la sua fede, chi testimonia la forza del tuo amore in situazioni di difficoltà e chi crede nella resurrezione della vita dove essa è disprezzata e perseguitata,
Noi ti preghiamo