sabato 26 maggio 2018

Festa della Ss.ma Trinità - Anno B - 27 maggio 2018





Dal libro del Deuteronomio 4, 32-34. 39-40
Mosè parlò al popolo dicendo: «Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te: dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli, vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi? Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre». 

Salmo 32 - Beato il popolo scelto dal Signore.
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Dalla
parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
Perché egli parlò e tutto fu creato,
comandò e tutto fu compiuto.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 14-17
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!» Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. 

Alleluia, alleluia alleluia.
Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo:
a Dio che è, che era e che viene.
Alleluia, alleluia alleluia.
 
Dal vangelo secondo Matteo 28, 16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.  Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io so­no con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato nella prima lettura dal libro del Deuteronomio queste parole che Mosè riferisce al popolo da parte di Dio: “Osserva dunque le sue leggi e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te e perché tu resti a lungo nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà per sempre.” Nel Vangelo invece abbiamo ascoltato queste parole di Gesù ai discepoli: “ecco, io so­no con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.” In entrambe i casi Dio fa cenno alla dimensione senza limiti del suo rapporto con noi: per sempre, senza fine.
È una dimensione che noi facciamo fatica a fare nostra, e non solo perché la nostra esistenza è per natura finita, ma perché i nostri sentimenti e i nostri rapporti sono temporanei e volubili.
Per Dio però invece non è così. La sua scelta per noi è definitiva, come tutte le scelte che si fondano sull’amore vero. Non c’è spazio per rinunce e ripensamenti, perché per Dio il bene una volta offerto è come un ponte gettato e continuamente rafforzato e reso più solido.
Con ciascuno di noi, dal momento del battesimo, Dio ha gettato un ponte, dalle fondamenta solide e durature, resistente all’attacco del tempo e delle forze naturali. Il ponte c’è, ma dobbiamo chiederci, Noi lo attraversiamo? A volte lo diamo così per scontato che non ci preoccupiamo di usarlo per il motivo per il quale è stato gettato, e cioè perché andiamo verso di Lui e Lo incontriamo.
Nel brano del Deuteronomio Mosè esprime tutto lo stupore per l’interesse di Dio per l’uomo: “vi fu mai cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo? O ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso e grandi terrori, come fece per voi il Signore, vostro Dio, in Egitto, sotto i tuoi occhi?” Sono innumerevoli i segni di questo desiderio di Dio di comunicare colla sua gente, con noi espressi fin dall’inizio della storia. Addirittura è nato fra noi, gettando quel ponte mai visto prima che è la sua incarnazione. Ma poi, lo abbiamo visto domenica scorsa, a Pentecoste torna da noi con la forza potente del suo Spirito, si fa presente, ne possiamo avere esperienza diretta e concreta, come i discepoli riuniti nel cenacolo.
Ma se questo è lo sforzo di Dio per creare ponti di comunicazione con noi, che ne è di noi? Lo vediamo nella notazione del Vangelo. Gli apostoli, dopo aver saputo della resurrezione del Signore si recano al luogo che lui aveva loro indicato per rincontrarlo, ma, dice Matteo: “Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.” Ancora dubitano! Non basta che sia morto in croce e che sia pure tornato vivo dalla morte perché venga vinta la loro durezza di cuore e compiano quel passo ulteriore che è la fede. Sì, è vero si prostrano, ma non si fidano di lui.
Cari fratelli e care sorelle, anche noi troppo spesso stiamo davanti al ponte che Dio ha gettato sulla nostra vita incerti sul da farsi. Troppi calcoli: fidarsi o non fidarsi? lasciarsi andare o resistere? Andare verso l’altra sponda o restare fermi sulla nostra? Troppe paure ci bloccano, il ponte sembra farci allontanare eccessivamente da noi stessi, farci uscire dal conosciuto verso l’ignoto. Questo blocco è ciò che impedisce di godere fino in fondo dell’amore di Dio e di gioirne a pieno. Ci fa intravedere un tempo diverso, una realtà nuova, senza però sperimentarla, ci fa restare sulla soglia come estranei, senza entrare nella festa che Dio prepara per i suoi figli.
È tempo di compiere il passo, e, come dice l’Apostolo: “voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!»” non più paurosi e timidi, ma felicemente adottati a figli dal Padre, coeredi del suo amore assieme a Cristo, animati dalla forza dello Spirito che dona l’audacia della fiducia in lui.
Oggi in questa festa della Ss.ma Trinità vediamo come Dio Padre, Gesù e il suo Spirito agiscano incessantemente nella nostra vita per far sì che attraversiamo quel ponte per stare con lui. Come possiamo concretamente farlo?
Innanzitutto vincendo la paura che ci fa pensare che dei consigli del Vangelo ci si può fidare fino a un certo punto e che bisogna sempre fare la tara, smussare, depotenziare. “Ama il prossimo tuo come te stesso” significa “ama il prossimo tuo come te stesso”, e non “sii un po’ più gentile”. “Non uccidere” significa “non uccidere”, e non “vediamo caso per caso, l’autodifesa, la pena di morte, ecc…”. “Ero straniero e mi avete ospitato” significa “ero straniero e mi avete ospitato”, e non “se se lo merita, se non sono troppi, aiutiamoli a casa loro, ecc…” Attraversiamo quel ponte ogni volta che prendiamo una parola del Vangelo e la viviamo integralmente, cioè ci fidiamo che ci è stata detta per il nostro bene e che viverla ci rende felici.
Poi attraversiamo quel ponte ogni volta che partecipiamo con gioioso coinvolgimento alla Santa Liturgia, una sintesi dei gesti e delle parole che il Signore ci chiede di rivivere assieme. Essi sono un ponte gettato che noi possiamo ripercorrere fino a lui, rafforzati nelle nostre scelte dai sacramenti che ci donano la grazia, cioè l’entusiasmo di stare non lui.
Avanziamo senza indugio e utilizziamo quel ponte che ci è stato donato con generosità e misericordia, scopriremo che veramente il Padre, suo Figlio Gesù e lo Spirito desiderano ardentemente restare con noi e che in ciò è la nostra gioia piena.
  
Preghiere 

O Santissima Trinità, insegnaci l’amore che ci unisce tutti come una famiglia di veri fratelli e sorelle.
Noi ti preghiamo


O Padre che sei nei cieli, aiutaci a condividere con i nostri fratelli e sorelle il dolore e la gioia della vita, perché incontriamo la consolazione che tu doni a chi ti cerca,
Noi ti preghiamo


O Signore Gesù, Figlio del Padre, vieni in soccorso di tutti quelli che ti invocano, perché siamo guidati a conoscerti ed amarti con tutto il nostro cuore,
Noi ti preghiamo


O Spirito Santo, riempi la nostra vita cancellando ogni freddezza e timore. Aiutaci a vivere come figli di Dio, fratelli e sorelle di tutti gli uomini,
Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Dio per tutti coloro che sono colpiti dalla guerra e dalla violenza e vivono nel timore e nell’insicurezza. Consola chi è ferito, sostieni chi ha perso tutto e dona loro la possibilità di vivere nella pace,
Noi ti preghiamo


O Santissima Trinità fa’ che nessun uomo soffra per la povertà e l’abbandono. Sostieni chi soffre e consola chi è nel dolore, perché tutti siamo una sola famiglia,
Noi ti preghiamo.


Ti preghiamo o Padre per tutti i cristiani nel mondo che tu chiami ad annunciare il Vangelo di liberazione e salvezza.  Fa’ che non vincano i propri limiti angusti vinca la larghezza di un amore che abbatte ogni frontiera,
Noi ti preghiamo


Sostieni o Padre del cielo coloro che testimoniano con le loro azioni un amore che vince il male e sconfigge la morte. Fa’ che ogni uomo possa ascoltare presto la lieta notizia della salvezza che il Figlio ha portato all’umanità,
Noi ti preghiamo

venerdì 18 maggio 2018

Pentecoste - 20 maggio 2018


 
 
 
Dal libro della Genesi 11,1-9

Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono.  Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

 

Salmo 32 - Su tutti i popoli regna il Signore.
Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli.
Ma il disegno del Signore sussiste per sempre,
i progetti del suo cuore per tutte le generazioni.

Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
Il Signore guarda dal cielo:
egli vede tutti gli uomini.

Dal trono dove siede
scruta tutti gli abitanti della terra,
lui, che di ognuno ha plasmato il cuore
e ne comprende tutte le opere.  


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8,22-27

Fratelli, sappiamo che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Vieni, Santo Spirito,
riempi i cuori dei tuoi fedeli,
e accendi in essi il fuoco del tuo amore.

Alleluia, alleluia alleluia.


Dal vangelo secondo Giovanni 7,37-39

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato.  

 
Commento

Cari fratelli e care sorelle, domenica scorsa abbiamo ricordato che Gesù disse ai discepoli: “riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra.” (At 1,8) Detto questo egli ascese al cielo e affidò agli uomini stessi la missione per la quale era stato mandato nel mondo dal Padre: “Come il Padre ha mandato me, così anche io mando voi” (Gv 20,21). È un passaggio decisivo di cui dobbiamo essere ben coscienti. Infatti spesso siamo tentati di mettere la vicenda terrena di Gesù, le sue parole così profonde, i suoi gesti così straordinari, le sue guarigioni e i miracoli narrati dai Vangeli fra due grandi parentesi, come una storia che si è aperta e si è conclusa con la sua ascensione al cielo.



In realtà Gesù ci affida il Vangelo tutto intero, e non una versione depotenziata o resa vana dai compromessi. Gesù non chiede ai discepoli solo di fare il loro meglio, di essere “quasi come lui”, ma di farsi animare dallo Spirito e divenire presenza e azione di Dio stesso fra gli uomini. Il racconto contenuto nei Vangeli inaugura un tempo nuovo, ma non lo conclude! L’irrompere sulla terra dello Spirito determina la continuazione di quella storia e qualifica il nuovo modo di essere di tutti gli uomini che lo accolgono.

Anche i discepoli, come noi, facevano fatica a rendersi conto di cosa poteva voler dire continuare la missione del Signore, e all’inizio restarono con il naso all’insù, aspettandosi dal cielo quello che erano abituati a ricevere da Gesù, ma obbedirono al suo invito a restare a Gerusalemme in attesa dello Spirito Santo, il quale li rese capaci di parole e gesti straordinari, tali da raggiungere il cuore di tanti, gente diversa, estranei, anche ostili. Proprio come faceva Gesù! D’altronde il Signore gliel’aveva detto: “In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.” (Gv 14,12)

La stessa missione riceviamo anche noi oggi, lo stesso invito è rivolto a noi, lo stesso Spirito Santo ci è offerto, ma noi ce ne rendiamo conto?

Papa Francesco recentemente ha scritto un’esortazione apostolica che si intitola “Gioite ed esultate” sul tema della santità nel mondo attuale, cioè come ciascun uomo e ciascuna donna, normale e semplice, può farsi riempire dallo Spirito Santo per far sua la vita stessa di Gesù.

Egli ha scritto: “Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. … Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cfr Gal 5,22-23). … Non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia.

Il papa descrive bene come il dono della santità che lo Spirito ci offre non è un di più per gente speciale, ma la vita nuova alla quale Gesù chiama ogni cristiano battezzato. Davanti a questo è facile restare scettici: proprio io, così fragile, poco convinto, distratto, senza talenti speciali?

Quanto orgoglio nasconde questa falsa umiltà!

Abbiamo ascoltato nella prima lettura come gli uomini avevano orgogliosamente deciso di costruire una torre che li portasse allo stesso livello di Dio. Anche oggi tante volte le straordinarie capacità tecnologiche raggiunte ci fanno sentire padroni della vita e del nostro destino. È facile sentirci in grado di divenire finalmente il Dio di noi stessi. Ma paradossalmente, allo stesso tempo, davanti alla complessità tumultuosa del mondo siamo portati a sentirci piccoli, ininfluenti difronte a eventi e situazioni che ci sovrastano: davanti alla forza divisiva del male, al potere che esercita su di noi mettendoci gli uni contro gli altri, isolati, spaesati, cosa possiamo fare? come possiamo intervenire? cosa conta il nostro volere? E ciò avviene non solo davanti ai grandi drammi del mondo, ma anche nei conflitti di vicinato o in famiglia, davanti alla povertà di chi ci sta accanto, ai fatti che ci accadono quotidianamente e per i quali viviamo lo stesso identico senso di impotenza. Idea di avere possibilità illimitate e senso di impotenza: entrambi questi atteggiamenti, apparentemente così contraddittori, sono figli dello stesso orgoglio, quello di contare solo sulle proprie capacità.

Ma oggi ci viene offerta una risorsa che va oltre noi stessi e permette anche a chi è piccolo e semplice di valere molto e di cambiare la realtà, perché non conta solo su se stesso: la forza dello Spirito che scende su di noi. È forza degli umili, di quelli cioè che non contano sulle proprie capacità, ma su Dio, che non ci lascia impotenti davanti alla forza del male.

Cari fratelli e care sorelle, proviamo ad operare in noi quella rivoluzione dello Spirito che i dodici vissero a Pentecoste, lasciamolo agire dentro di noi, senza opporgli resistenza, senza sfuggire intimoriti, senza mettere davanti le nostre ragioni e interessi. Teniamo il cuore aperto e sensibile alle domande degli altri, quelli vicini e quelli più lontani; facciamoci colpire dolorosamente dai loro drammi; soffriamo con essi; speriamo con essi in un domani migliore; fatichiamo con essi per costruirlo. Sarà lo Spirito a donarci la forza necessaria per ottenere ciò che speriamo, per compiere parole e gesti straordinari. Apriamo spazi accoglienti, rendiamoci vulnerabili, incontriamo con cuore aperto e sensibile i volti e le storie degli altri e scopriremo che realizzare il bene è possibile, che siamo capaci di quello che non pensavamo di saper fare, non per nostro merito, ma per la forza dello Spirito che ci illumina, scalda e rafforza. Ciascuno di noi può scriverne nell’oggi nuove pagine di Vangelo se si lascia forzare dallo Spirito a divenire suo testimone “a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra.


Preghiere

O Signore manda il tuo Spirito a scaldare i cuori e ad illuminare le menti, perché ci renda capaci di comunicare al mondo il tuo amore,

Noi ti preghiamo
 

O Dio dona a tutti di lasciarsi ispirare da uno Spirito diverso da quello del mondo: spirito di amore e di pace, di perdono e di generosità, di condivisione e solidarietà,

Noi ti preghiamo

 
O Spirito di Dio riempi ogni luogo, anche quelli dimenticati da tutti, dove oggi c’è sofferenza, violenza e ingiustizia, perché ovunque regni il bene,

Noi ti preghiamo


Dona il tuo Spirito o Padre a tutti i tuoi discepoli, perché ovunque sono riuniti nel tuo nome siano testimoni audaci del Vangelo,

Noi ti preghiamo
 
 

Sostieni o Dio quanti sono colpiti dalla violenza della guerra e del terrorismo, proteggili dal male e scampali dalla morte. Fa che l’odio sia vinto dalla forza del perdono e della riconciliazione,

Noi ti preghiamo
 


Sostieni o Padre del cielo il nostro papa Francesco e quanti con lui annunciano il Vangelo nel mondo, specialmente coloro che sono perseguitati e ostacolati. Dai loro il coraggio e la forza dello Spirito santo,

Noi ti preghiamo

 

sabato 12 maggio 2018

Ascensione del Signore - Anno B - 13 maggio 2018





Dagli atti degli apostoli 1,1-11
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

Salmo 46 - Ascende il Signore tra canti di gioia.
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio
tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini. 4, 1-13
Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell'amore, avendo a cuore di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose. Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.

Alleluia, alleluia alleluia.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni,
fino alla fine del mondo.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 16, 15-20
In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Commento
Cari fratelli e care sorelle, il brano del Vangelo di Marco che abbiamo appena ascoltato conclude il libro con il quale l’evangelista narra le vicende terrene di Gesù. Questo ultimo capitolo, il 16 del Vangelo di Marco, ha un andamento un po’ paradossale. Inizia con il racconto della venuta delle donne al sepolcro il giorno dopo la sepoltura per ungere di oli aromatici il corpo del Signore. Mentre andavano si dicevano: “Chi ci rotolerà la pietra pesante” ma poi divengono testimoni dell’evento straordinario della resurrezione, ma per paura non dicono niente a nessuno. Poi Gesù appare a Maria di Magdala, la quale lo dice agli undici, ma questi “udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.” (Mc 16,11). Di nuovo Gesù appare ai due discepoli che andavano vero Emmaus, i quali riportano l’accaduto, “ma non credettero neppure a loro.” Finalmente Gesù appare agli undici e “li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto.” Ma subito dopo questo rimprovero disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.” 
Non è un po’ strano che Gesù affidi addirittura la salvezza dell’umanità proprio a quelli che fino a poco prima si erano rifiutati di credere alla sua resurrezione, nonostante le numerose testimonianze che accreditavano la realizzazione di quanto Gesù stesso aveva già in precedenza detto loro? Attraverso gente incredula come i discepoli potrà mai passare l’annuncio del Vangelo e il battesimo che dona salvezza?
Subito dopo queste parole Gesù ascende al cielo, come abbiamo ascoltato, e lascia agli undici con Maria la grande responsabilità della missione dell’annuncio della sua salvezza al mondo intero, non era meglio restare ancora un po’, istruirli meglio, renderli più capaci di farlo?
Questo paradosso evangelico, come capita spesso nelle pagine della Scrittura, ci comunica delle verità profonde e decisive: primo, che l’annuncio del Vangelo non è un compito adatto solo ai perfetti, ma per tutti, anche chi ha una fede incerta; secondo, che il cristiano è sempre un uomo dalla fede imperfetta e la sua vita è un cammino che non giunge mai al traguardo, ma proseguirà sempre; terzo, l’imperfezione della fede degli undici al momento del loro invio al mondo da parte di Gesù ci dice che il Vangelo che dobbiamo e possiamo comunicare non si avvale solo delle nostre capacità personali, ma anche e soprattutto della forza dello Spirito, che Gesù invita gli undici ad attendere per riceverne il potente aiuto, a Pentecoste.
Ecco che dunque quella scelta di Gesù, apparentemente arrischiata, si rivela una dimostrazione ulteriore della forza invincibile di un Vangelo che, sì, è comunicato dagli uomini, ma non esclusivamente con mezzi umani.
Riprendiamo con ordine quanto detto.
Primo, la missione compito di tutti e non solo dei perfetti. Esiste un’idea scontata: solo un esperto può parlare di fede, convincere con la forza del ragionamento, resistere ad ogni obiezione e risultare vincente. Diceva un parroco del Nord Italia negli anni ’30, don Primo Mazzolari: “La Chiesa non è solo una meravigliosa organizzazione: essa porta Cristo al mondo soprattutto nella misura in cui Cristo vive nei suoi membri. Volere una Chiesa che si imponga  … per l’equilibrio della sua organizzazione o del suo governo, è voler scristianizzare la Chiesa, rinnegare la redenzione, favorire in definitiva l’opera della laicizzazione moderna.” (La Parola che non passa, p. 276). Cioè, la forza evangelizzatrice e comunicativa di un cristiano non viene dalle sue abilità umane, fossero culturali od organizzative, ma dallo spazio che lascia nella sua vita a Cristo stesso, e chi ne lascerà di più di chi è cosciente della piccolezza della propria fede? Chi è convinto di saperne già abbastanza chiude il cuore e Cristo non vi può più entrare.
Questo introduce al secondo punto: la fede è sempre imperfetta. Sempre don Mazzolari diceva a proposito: “nessun uomo, nemmeno il più illuminato e purificato dalla fede, può sentirsi un arrivato. ‘Credo Signore, ma tu aiuta la mia incredulità’ (cfr. Mc 9,25)” (Della fede, p. 78). Il vero credente cioè non è colui che ha raggiunto la perfezione che gli da l’autosufficienza, ma chi riconosce, proprio perché limitato, la propria totale dipendenza da Dio e la necessità di progredire nella fiducia in lui. Se prendiamo la parabola del padre misericordioso, il giovane che se ne va via non ha problemi ad essere accolto e amato dal padre, anche se il suo abito è logoro e sporco, perché quando torna il padre lo riveste e lo introduce alla festa della fede. Il più grande invece, pur credendosi rimasto sempre in casa è un estraneo, e il suo abito, apparentemente irreprensibile, non è adatto alla festa, anzi è fatto di amara recriminazione e distanza dal Padre.
Infine, terzo, proprio questa realtà imperfetta della fede dei discepoli rivela come il Vangelo che essi annunceranno non è sapienza di questo mondo che convince con argomenti di questo mondo, cioè convenienza, risultati, vantaggio, sicurezza e confortevolezza, ma con quelli paradossali e rivoluzionari dello Spirito, cioè le ragioni dell’amore, spesso assurde per il ragionamento umano. Sempre Mazzolari diceva: “si crede perché si ama (credere senza amare sarebbe l’inferno) e il nostro amore, che fa da sostegno alla fede, non è che una risposta: la risposta ad un appello, a un’iniziativa di Dio che, sotto il dolce e misterioso nome di grazia, dispone l’uomo alla “novità” (Della fede, p. 44-45). Annunciare il Vangelo allora non è esibire la propria capacità di fede, ma far presente a tutti l’iniziativa dell’amore di Dio alla quale per primi noi ci stiamo dando da fare per rispondere con altrettanto amore.
È quanto dimostra la conclusione del Vangelo di oggi: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.” I discepoli, pur ancora così imperfetti nella loro fede, come Gesù li ha appena rimproverati, accettano l’invito e divengono annunciatori del suo Vangelo, e il “Signore agiva insieme con loro” rendendo le loro parole efficaci e trasformatrici della realtà, così come solo l’amore di Dio, il suo Spirito Santo può e sa fare.
 
Preghiere 


O Signore Gesù vieni in mezzo a noi, affinché il tuo amore vissuto ci unisca in un unico corpo, fratelli e sorelle figli di un unico Padre,
Noi ti preghiamo


Aiutaci o Dio a colmare quella distanza che troppo spesso ci separa da te vivendo con fiducia e fedeltà il vangelo,
Noi ti preghiamo



Manda o Dio il tuo Spirito a illuminare e scaldare i cuori, perché tu sia sempre compagno della nostra vita,
Noi ti preghiamo


Fa’ o Signore che ti riconosciamo ogni giorno vivo e presente nel mondo, dove il tuo nome è amato e invocato, dove l’amore dei fratelli li unisce e il tuo aiuto è concesso con abbondanza,
Noi ti preghiamo



Ti invochiamo o Dio, fa’ che presto tutti gli uomini ascoltino l’annuncio del Vangelo, perché nessuno sia escluso dalla possibilità di conoscerti e amarti,
Noi ti preghiamo



Sostieni, o Padre buono, tutti coloro che sono in difficoltà: i malati, i sofferenti, i prigionieri, chi è senza casa e sostegno. Fa’ che il tuo amore li raggiunga presto,
Noi ti preghiamo.



Ti preghiamo o Dio, fa’ cessare la violenza che uccide e semina terrore. Ti preghiamo per le vittime delle guerre e del terrorismo, per i loro cari, per chi è vinto dal dolore,
Noi ti preghiamo


Donaci o Dio la tua pace, perché dove oggi vince l’odio e la violenza torni a regnare umanità e concordia,
Noi ti preghiamo





mercoledì 9 maggio 2018

Incontro con i genitori del catechismo - 5 maggio 2018




Incontro con i genitori del catechismo

Sabato 28 aprile 2018


Ci incontriamo oggi per interrogarci su un tema di grande importanza e cioè come aiutare i nostri ragazzi a crescere nel modo migliore.

So che questa è una preoccupazione che abbiamo particolarmente a cuore. Infatti ci preoccupiamo della loro salute, della loro istruzione, dell’educazione e, qui a Santa Croce, della loro crescita spirituale. Sono tutti elementi importanti e nessuno di essi va trascurato per il loro bene.

In modo particolare oggi vorrei riflettere con voi su un aspetto di questo impegno, e cioè come accompagnare i nostri ragazzi alla consapevolezza della forza che il male esercita nel mondo in tante forme: la guerra, la violenza, la miseria dei popoli, l’ingiustizia, la malattia, fino all’estrema sua conseguenza che è la morte.

Istintivamente ci viene da dire che è meglio che non ne sappiano molto, che proteggerli significa innanzitutto evitare che vedano, che sappiano. Ma oggi questo è praticamente impossibile, ammesso che sia la soluzione giusta.

La Scrittura in questo nostro compito così serio ci può essere di grande aiuto. In essa infatti è racchiusa una sapienza profonda che viene direttamente da Dio, il quale ci vuole comunicare proprio attraverso le sue parole il senso ultimo della vita e come raggiungere la felicità che viene da esso.

Per riflettere su questo tema vorrei oggi introdurre una figura particolare, il profeta Giona. È un profeta un po’ bizzoso e restio a prendersi responsabilità.

Leggiamo la prima parte della sua storia:

 

Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: "Alzati, va' a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me".

Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore.

Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che cosa fai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo".

Quindi dissero fra di loro: "Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura". Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: "Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?". Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra". Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: "Che cosa hai fatto?". Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato.

Essi gli dissero: "Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?". Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: "Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia".

Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: "Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di quest'uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere". Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.

Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio.

 

Il racconta inizia con Dio che si rivolge a Giona e gli indica quanto male c’è nella città di Ninive.

Dio non gli chiede di manifestare agli abitanti di Ninive il suo giudizio, né tantomeno la sua condanna e minaccia di castighi. Il suo intervento è essenzialmente limitato ad aprire gli occhi dei cittadini della grande città sul male che c’è in essa. Cioè la prima preoccupazione di Dio sembra che le persone non se ne rendano nemmeno più conto e rischino piuttosto di vivere questa situazione con un senso di normalità. A Dio però interessa che gli uomini siano felici e non facciano una brutta fine, cioè non siano né operatori di violenza e di male, né vittime. Infatti il male ha questa capacità distruttiva di rovinare la vita sia di chi lo fa che di chi lo subisce, anche se a volte non ci sembra, e abbiamo come l’impressione che si possa accettare il male come una dimensione normale della vita, nostra e degli altri. Non per Dio, che vede nel male che entra dentro la vita degli uomini, e la città è il luogo dove gli uomini stanno insieme, il problema più grande e il dramma più urgente.

Dio ne parla a Giona, come per fare una confidenza all’amico, ma questi per tutta risposta scappa via da lui. Giona condivide con gli abitanti della città il giudizio sulla normalità del male, non vuole vederlo, preferisce ignorarlo.

Dio sperava che Giona se ne sentisse interrogato, ma invece il profeta scappa la domanda e cerca rifugio lontano, dove non può sentire Dio che gli mette questo tarlo fastidioso in testa. Il modo che sceglie Giona per fuggire non è molto originale: si butta a capofitto in un viaggio, vuole mettere la massima distanza fra sé e Dio. Il viaggio nella Scrittura è spesso un’immagine della vita. Giona pensa che il viaggio riesca a nasconderlo a Dio e a non fargli più sentire quelle parole sul male della città così fastidiose.

Anche noi spesso cerchiamo nell’affanno di una vita piena di cose il modo per ignorare Dio e il male.  Certo, la vita di oggi ci impone di stare dietro a numerosi impegni e spesso essi si accavallano con un ritmo incessante: lavoro, faccende domestiche, burocrazia, responsabilità familiari, ecc… a volte sembra che una giornata non abbia sufficienti ore per farci entrare tutto quello che si ha da fare.

Ma se facciamo un piccolo esame di coscienza, è vero che non c’è un angoletto libero? È vero che non c’è un tempo vuoto che noi ci affanniamo di riempire con qualcosa da fare, perché sennò ci sentiamo male?  Io credo che noi usiamo tutto il tempo che abbiamo a disposizione, proprio perché non vi sia spazio per pensare e per lasciarsi raggiungere dalla voce di Dio.

E nel viaggio si incontra anche la tempesta. Difficile che si possa sfuggire dalla tempesta, ciascuno di noi lo sa. Davanti ad essa siamo presi dal panico e cominciamo a fare fuori tutto quello che ci sembra possa essere la sua causa, come facevano i marinai. Togliamo quello, chiudiamo quello, smettiamo l’altro, ecc… nella speranza di riuscire a eliminare la causa della tempesta.

Ma siamo sicuri che la tempesta venga da fuori di noi?

Giona sceglie invece un’altra via possibile, si estranea e si mette a dormire in un angoletto tranquillo aspettando che passi, ma quella non passa.

Questi dei atteggiamenti descrivono anche noi, come ci muoviamo davanti alle difficoltà e ai problemi della vita.

Giona però viene svegliato dagli altri e ammette che la causa della tempesta sta dentro di lui, in quel suo essersi fatto complice del male della città, chiudendo le orecchie alla parola di Dio che glielo indicava chiedendogli di provare a fare qualcosa.

Finalmente Giona si assume la responsabilità del male, e tutto cambia. La nave trova la salvezza, i marinai sono pieni di felicità. Certo per fare questo Giona deve andare fino infondo e affrontare la fatica di nuotare in mezzo ad acque difficili. Prima se ne stava tranquillo a dormire, ma la tempesta lo stava facendo finire a fondo, ora si deve dare da fare, le cose si fanno più complicate, ma si intravede una via di uscita.

Soprattutto Dio non lascia solo Giona ad affrontare le onde del mare quando egli finalmente decide di assumersi la propria responsabilità davanti al male. Finalmente le ha affrontate senza fuggirle come se non lo riguardassero, e per questo Dio lo aiuta e lo avvolge nella sua protezione, il ventre di quel pesce. In questo momento. Giona riscopre la paternità buona di Dio e impara a pregare, cioè gusta la bellezza di starsene a tu per tu con Dio, senza fuggire, senza riempirsi di mille cose da fare, senza fare finta che non ci sia.

La messa della domenica è un po’ questo momento in cui gustiamo la protezione avvolgente di Dio che ci prende in disparte, ci risolleva dalle onde fra le quali ci affatichiamo a navigare durante tutta la settimana, e ci fa riscoprire la bellezza di non fuggire da lui e dagli altri.

Però per gustare tutto questo dobbiamo respingere le due tentazioni che dicevo: quella di pensare che il male sta solo fuori di noi e quella di cercare di sfuggirlo standosene in un angoletto tranquillo, a dormire il sonno del pensare a se stessi.

La liturgia domenicale ci tuffa nel mare del mondo, ma non per farci morire affogati, ma per farci trovare la vera protezione di Dio dai pericoli. Finché ce ne stiamo in disparte senza sentirci interrogati dal male del mondo, siamo agitati dalle tempeste senza riuscire a capire come uscirne, ma se ascoltiamo Dio senza scappare via la tempesta si placa perché non siamo più soli ad affrontarla.

Che cosa c’entra tutto questo con i nostri ragazzi?

Noi rischiamo di comunicare loro questo nostro modo di vivere, senza aiutarli a maturare invece un senso di responsabilità verso gli altri, cioè verso la Ninive della Bibbia. Tante volte, con l’intento di proteggerli dal male, noi gli comunichiamo che per essere felici bisogna trovarsi un angoletto dove mettersi al riparo, come Giona, dormendo al coperto mentre fuori c’è la tempesta, oppure a dare la colpa agli altri, pensando che il male sta sempre fuori di noi.

Purtroppo però facendo così non li aiutiamo a crescere bene, anzi, si troveranno impreparati ad affrontare la tempesta e navigare solo per scappare non fa arrivare da nessuna parte.

Per questo io vi consiglio, di cuore e spassionatamente, di assomigliare al Giona della fine del brano, che si assume la responsabilità del male che si abbatte su lui e i suoi compagni e ne affronta la fatica personale di farsene carico, scoprendo così anche la bellezza della compagnia di Dio. Così facendo darete l’esempio migliore di come vivere felici, e questo è veramente il regalo più bello e importante che possiamo fare loro.

Noi abbiamo cercato di comunicare ai vostri figli questo senso di responsabilità davanti al mondo accompagnandoli davanti ai suoi drammi: le iniziative di incontro con i poveri, come il pranzo con le persone senza dimora o la messa nell’istituto degli anziani. Proteggere i nostri ragazzi dal male non significa nasconderglielo, ma fargli vedere che esiste e che si può combatterlo con la forza del voler bene.

Allo stesso tempo vogliamo che i ragazzi si facciano portavoce di questo portandone il messaggio all’esterno. È quello che faremo nei giorni di ritiro per le prime comunioni e per le cresime, fra pochi giorni.

 

venerdì 4 maggio 2018

VI domenica el tempo di Pasqua - Anno B - 6 maggio 2018


 
 
Dagli Atti degli Apostoli 10, 25-27. 34-35. 44-48

Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Alzati: anch'io sono un uomo!». Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto». Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni. 

 

Salmo 97 - Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

 

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 4, 7-10

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. 

 

Alleluia, alleluia, alleluia.
Se uno mi ama e osserva la mia parola
il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia, alleluia, alleluia.


Dal vangelo secondo Giovanni 15, 9-17

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, il Vangelo ascoltato oggi prosegue quello di domenica scorsa: Gesù continua a rivolgere ai suoi discepoli parole piene di amore proprio poco prima che inizi la sua passione. È un testamento attraverso il quale Gesù vuole trasmetterci quanto di più importante ha da lasciare ai suoi.

Nelle parole ascoltate oggi il Signore parla di un comandamento. Non è una cosa nuova per i discepoli che lo ascoltavano. Gli ebrei fondavano la propria fede sul decalogo, cioè le dieci leggi che sancivano l’alleanza di Dio col suo popolo, una sorta di codice di comportamento con divieti e prescrizioni semplici e chiare. Questo era rivoluzionario per il suo tempo, perché voleva dire che far parte del popolo chiamato alla salvezza non era un privilegio per pochi iniziati ammessi a complesse dottrine, ma un compito che ciascuno poteva capire e mettere in pratica quotidianamente. Rispetto a tante altre religioni contemporanee allargava l’orizzonte della salvezza a un popolo intero, dai più semplici ai più dotti, nessuno era escluso. Ancora oggi conosciamo e apprezziamo quei “dieci comandamenti” che nella loro essenzialità costituiscono una base importante per il proprio comportamento.

Ascoltando Gesù forse i discepoli pensarono che egli avrebbe aggiunto un divieto più stretto, un obbligo in più. Ma invece il comandamento di Gesù è qualcosa di completamente diverso da quelli ai quali erano abituati: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.” Che significa? Mille obiezioni forse sorsero nella mente dei discepoli, e anche nella nostra oggi. Come si può “comandare” l’amore, non è un sentimento sorgivo e spontaneo? E poi cosa significa amare, ognuno ha il suo modo personale, chi può giudicare?  E così via.

Proviamo allora a entrare dentro questo nuovo comandamento di Gesù perché anche noi possiamo essere messi a parte di un’eredità così importante.

Prima di tutto il fatto che l’amore divenga un comandamento significa che non è un “di più” che può indifferentemente esserci o non esserci. Non possiamo più pensare: ho fatto tutto onestamente, sono corretto, leale, irreprensibile, ho obbedito a tutti i divieti e ottemperato agli obblighi, questo basta. Possiamo aver rispettato gli obblighi ed evitato ciò che è proibito, ma se non abbiamo voluto bene, anzi, se non abbiamo fatto tutto ciò per amore, a nulla è valso. Pensiamo all’episodio del giovane ricco che chiede a Gesù come può salvarsi. Sapeva di aver osservato tutte le leggi e adempiuto agli obblighi, ma evidentemente sentiva che la salvezza chiamava ad un di più che gli sfuggiva, per questo interroga Gesù. Il Signore gli indica questo di più: voler bene ai fratelli e sorelle a partire dai più bisognosi, voler bene a lui e seguirlo. In una parola: amare! Ma il giovane ricco, come sappiamo, non accettò di sottomettersi a un comandamento così inusuale e rinunciò deluso.

Sì, davanti al comandamento dell’amore è facile restare infastiditi, delusi, senza capirne la necessità. Va bene andare a messa e assolvere all’obbligo di santificare le feste, ma perché dovrei pure voler bene a chi prega accanto a me, sentirmi con loro una famiglia anche se non li conosco o magari mi stanno pure antipatici, non basta che dico le mie preghiere? Va bene essere generoso e magari fare anche l’elemosina, ma perché dovrei pure voler bene a quel mendicante, non basta che gli ho dato qualcosa? Va bene non insultare, non sparlare di chi si comporta male, ma perché dovrei pure preoccuparmi che il suo peccato lo condanna e provare a vincere il suo attaccamento al male, non basta tenermi alla larga da lui?

Potremmo fare infiniti esempi di come “comportarsi bene” non comporta di per sé l’amore, questo è sempre un “di più” che si aggiunge al nostro agire, ma che non è scontato e va aggiunto di proposito, se vogliamo vivere secondo il Vangelo e per la salvezza nostra e del mondo.

Per fare una similitudine possiamo dire che il comportamento corretto e giusto è come uno scheletro, sul quale l’amore stende la carne del voler bene. È evidente, ci dice oggi Gesù, che l’uno non può stare senza l’altro. Lo scheletro dà solidità, sorregge il nostro vivere, senza ossa non potremmo fare nulla. Così la correttezza, l’onestà, la sincerità, l’agire bene sono l’ossatura di una vita sana, ma senza amore è come uno scheletro di ossa aride e senza vita. La carne dona la bellezza al corpo, la sua fisionomia che comunica ed esprime sentimenti e vicinanza, ma senza la robusta impalcatura delle ossa è senza consistenza. Così l’amore, senza l’impalcatura delle azioni concrete risulta un sentimentalismo romantico, fatto di parole, sguardi, sospiri, ma smorto ed esausto in sé.

Cari fratelli e care sorelle Gesù ci dà questo nuovo comandamento perché ci vuole uomini e donne completi, pieni, veri, e non a metà, solo ossa o solo carne. Anzi, ci mostra lui stesso per primo in cosa esso consiste: “come io vi ho amato”. Gesù per primo si è preoccupato che le sue non fossero solo parole o azioni giuste, ma che attraverso di esse passasse un amore che suscita e domanda amore in chi gli sta difronte. Sì, perché il voler bene suscita amore in chi lo riceve, innesca una reazione a catena che cambia il mondo, allargando attorno a sé ondate di amore. È quello che dice Gesù: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49) il fuoco si espande e appicca un incendio grande, se lasciato libero e non soffocato o circoscritto. Così il nostro voler bene, accende un fuoco che allarga attorno a noi la forza del bene.

Tutto ciò comunica la conoscenza di Dio, perché “Dio è amore”, ci dice Giovanni, e non c’è annuncio del Vangelo e della sua salvezza se non attraverso un amore vissuto, proprio, lo ripeto, come ha fatto Gesù stesso.

Preoccupiamoci sempre, fratelli e sorelle, che il nostro agire non sia solo fatto di ossa disarticolate, ma mettiamoci sempre la carne del nostro voler bene, anche quando sembra un di più superfluo. Le parole se pronunciate con affetto sincero, le azioni se compiute con premura e solidarietà sono Vangelo, comunicano la salvezza del Signore e rendono i cuori disponibili ad accoglierlo.

 
Preghiere

 O Padre di eterna bontà che mandi il tuo Spirito su di noi, perdonaci quando non accogliamo il tuo amore con animo grato e pronti a restituirlo ai fratelli e alle sorelle,

Noi ti preghiamo



  
Signore Gesù che ti fai trovare da chi ti cerca, aiutaci nel cammino che ci porta verso di te. Sostienici quando ci sentiamo scoraggiati o tristi, consola chi è nello sconforto.


Noi ti preghiamo

 

Padre buono, ti preghiamo per quanti non hanno ancora ascoltato l’annuncio del Vangelo. Fa’ che presto scoprano con gioia la bellezza di essere adottati da te come figli.

Noi ti preghiamo

 

Signore Gesù, fa’ che sappiamo testimoniare al mondo il tuo amore. Aiutaci a non essere freddi e insensibili, ma a farci vicini a tutti quelli che ne hanno bisogno

Noi ti preghiamo
 
 

Ti preghiamo o Signore Gesù per il mondo intero. Dona presto ai suoi abitanti pace e sicurezza, placa le guerre e ispira sentimenti di riconciliazione in tutti gli uomini,

Noi ti preghiamo


Gesù che sei stato profugo in Egitto quando la minaccia di morte pendeva sul tuo capo, proteggi quanti affrontano viaggi lunghi e pericolosi per sfuggire dalla violenza e dalla miseria. Fa’ che tutti trovino accoglienza.

Noi ti preghiamo.

 

Padre misericordioso ti preghiamo per la gioia e la salute di tutti gli uomini. Guarisci gli ammalati, consola gli afflitti, libera chi è schiavo dell’odio e del rancore.

Noi ti preghiamo

  

In attesa della pentecoste ti preghiamo oggi o Signore di donarci il tuo Spirito Santo perché i nostri cuori siano caldi e gli occhi aperti davanti al bisogno di amore di tanti.

Noi ti preghiamo