sabato 31 ottobre 2020

Festa di Ognissanti - 1 novembre 2020

 


don Roberto Malgesini cura il piede di un povero per strada

 

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo 7,2-4.9-14

Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».

 

Salmo 23 - Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo 3,1-3

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Venite a me, voi tutti affaticati e oppressi,
e io vi darò ristoro.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 5,1-12a

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, un’antica tradizione ebraica afferma che l’esistenza del mondo è legata alla presenza sulla terra di 36 giusti in ogni generazione, i quali “accolgono la Shekhinah” cioè la Presenza Divina che si abbassa fino ad essere alla portata degli uomini (Trattato Sanhedrin 97b; Trattato Sukkah (Talmud) 45b). La loro presenza permette il fatto che l’umanità possa ancora esistere e non venga annientata, o piuttosto, non si autoannienti. Questi giusti, anonimi e sconosciuti, sostengono il peso di un mondo così carico di dolore e ingiustizia, come l’inizio della prima lettura dal libro dell’apocalisse oggi descrive bene: “un angelo, con il sigillo del Dio vivente … gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».”

La tradizione ebraica in qualche modo rievoca quando raccontato nella Genesi, quando l’angelo del Signore, in un dialogo serrato con Abramo, contratta con lui le condizioni per accettare che la città di Sodoma scampi alla distruzione meritata per il dilagare in essa della violenza: “se vi si troverà in essa 50, poi 45, 30 e infine 10 giusti?” implora Abramo in un crescendo.

Questa è la realtà anche oggi

Tanti segni ci fanno pensare che il nostro mondo è governato da forze autodistruttive che ne pregiudicano sempre più l’esistenza. Basti pensare al degrado dell’ambiente naturale che rischia sempre più, se non lo è già, di trovarsi in una condizione di irreversibile dissolvimento. Delicati equilibri sono stati rotti ma, quello che preoccupa di più, niente sembra convincere l’umanità del fatto che o essi vengono ristabiliti al più presto o sarà seriamente compromessa l’esistenza stessa dell’umanità sulla terra.

Oppure si pensi al fatto che nel periodo della prima pandemia, nei mesi di marzo - giugno scorsi, abbiamo assistito ad un aumento della ricchezza concentrata nelle mani dei pochissimi più facoltosi della terra e ad un conseguente impoverimento della parte già in sofferenza dell’umanità.

Come potremo chiamare tutto ciò se non un processo autodistruttivo dell’umanità?

La festa di oggi viene a dirci che esiste un argine possibile a questo processo che è la presenza di persone le quali, animate da una forza di segno contrario, sono in grado di accogliere la presenza di Dio fra gli uomini, di riattualizzare la Shekinà, e di dargli un posto sulla terra. Essi sono i santi. È la loro forza di cura del mondo e dell’umanità che ci permette di resistere agli assalti della foga autodistruttiva e di scorgere una speranza possibile per il nostro futuro.

Come per i 36 giusti della tradizione ebraica, questi santi del nostro tempo sono anonimi, cioè operano senza clamore né bisogno di megafoni, eppure la loro azione è decisiva e grandiosa, di portata cosmica. Questo fatto ha significati profondi: il primo è che la santità è una via possibile per tutti, non solo per pochi eroi eccezionali: ognuno può essere un argine alla forza autodistruttiva del male riaffermando le ragioni del bene lì dove egli si trova, sfidato a farsene carico. Il secondo significato è il fatto che è il bene ad essere “normale” e non una virtuosa eccezione. L’accettazione della “normalità” del male come dimensione naturale del vivere umano porta a pensare al bene come qualcosa che esula dalle possibilità ordinarie, isolandolo, appunto, nel caso straordinario. Questo giustifica la partecipazione di ciascuno all’opera del male e lo solleva dalla responsabilità di contrastarla.

A conferma di quanto detto vorrei proporvi la testimonianza di un santo dei nostri giorni, recentemente scomparso, don Roberto Malgesini. Un uomo mite e umile, che aveva come unico scopo del suo agire la lotta contro la normalità del male che si manifestava nella vita dei poveri senza casa della sua città di Como. Egli aveva scelto la via dell’azione concreta senza clamore: portare da mangiare, coperte, calore umano, sostegno ed amicizia, aiuto a fare le pratiche burocratiche e tutto quello che poteva essere utile ad alleviale la durezza della condizione dei suoi amici di strada. Per questo era stato multato dall’amministrazione comunale: perché favoriva con la sua azione quanti dovevano scomparire dalle strade. Don Roberto agiva senza far rumore, perché il suo scopo era che del suo impegno se ne accorgesse chi beneficiava, anche se tutti potevano vederlo e riconoscerlo, essendo sempre per strada e lavorando in pubblico e non certo di nascosto. L’azione di don Roberto cercava di ritessere un tessuto umano lacerato, attraverso i cui strappi tanti cadevano nell’abisso della povertà e della disperazione. Così facendo rendeva dinuovo umano il volto di una città che rischiava di perderne i tratti, all’inseguimento di modelli di efficienza e decoro che non lasciano scampo a chi è debole e non ce la fa più a restare a galla, affondando nella vergogna dell’”indecorosità”.

Di don Roberto non esistono interviste, filmati, conferenze, scritti, solo il laborioso affaccendarsi di mani pronte a distribuire aiuti, a stringere mani, a sostenere, ad accarezzare, a difendere.

Oggi festeggiando tutti i santi ci chiediamo: può esistere ancora a lungo il mondo senza uomini come don Roberto, giusti, umani, argine al dilagare scomposto del male autodistruttivo? Quanto ancora riusciremo ad andare avanti senza sbranarci l’uno con l’altro se non ci fosse il richiamo muto ma potente di persone che non cedono al male come la normalità del proprio vivere?

Cari fratelli e care sorelle, oggi ricordando tutti i santi non ricordiamo immagini oleografiche e distanti o eroi ineguagliabili, ma la vita di chi ha deciso che è il bene ad essere la normalità e che non si può continuare a distruggere se stessi, gli altri, il mondo e la natura tollerando che tutte le energie autodistruttive, dalla più banale dell’antipatia e dell’arroganza a quella più eclatante della guerra e del terrorismo, corrodano l’umanità e la umilino fino a rendervi irriconoscibile l’immagine che Dio ha voluto imprimervi, la sua. Preghiamo allora oggi perché ciascuno accolga la presenza di Dio fra gli uomini che trova nella generosità altruistica il marchio che gli angeli imprimono a salvezza di quanti, amati dal Padre, se ne fanno portavoce e testimoni.  

Preghiere 

 

Aiutaci o Dio, Signore nostro, ad aprire gli occhi sul destino di bene che tu desideri per l’umanità intera, affinché impariamo a non sfuggire la decisione di farcene fattivi collaboratori,

Noi ti preghiamo

 

 

Sostieni i nostri passi nelle difficoltà della vita, perché, come fanno i Santi in ogni tempo, sappiamo lottare contro il male e tenere viva la speranza fiduciosa nella forza del bene che in Te prevale,

Noi ti preghiamo

 


Perdona o Dio onnipotente tutti coloro che macchiano la propria vita con i compromessi con il male e l’orgoglio del volersi salvare da sé, fa’ che sappiamo essere discepoli tuoi, o maestro di mitezza e di misericordia,

Noi ti preghiamo

 

 

Ti preghiamo o Padre per tutti coloro che con fatica e impegno lavano la propria vita nel sangue del dolore dei fratelli e delle sorelle. Benedici la loro tribolazione perché produca frutti di bene per tutta l’umanità,

Noi ti preghiamo

 


Insegnaci o Signore Gesù a riconoscerti Signore e Salvatore della nostra vita, perché anche noi, accostandoci al trono della tua croce, impariamo la beatitudine dell’amore per gli altri,

Noi ti preghiamo

 

 

Dona o Dio pace al mondo intero, guarisci le piaghe della violenza e argina la corrente di odio che sovrasta i popoli e le nazioni. Rendi ciascuno di noi un operatore di riconciliazione e un costruttore di pace vera,

Noi ti preghiamo.

 

 

Ascolta o Dio il grido del povero, in modo particolare ti invochiamo per chi è malato e senza casa, per chi è umiliato dall’ingiustizia e schiacciato dal dolore. Dona a tutti guarigione e salvezza,

Noi ti preghiamo

 

 

Benedici e proteggi o Padre misericordioso tutti coloro che annunciano e testimoniano il tuo Vangelo. Rafforza il nostro papa Francesco, perché le sue parole entrino nei cuori e guidino i passi di chi è stanco e affaticato,

Noi ti preghiamo

sabato 24 ottobre 2020

XXX domenica del tempo ordinario - Anno A - 25 ottobre 2020

 


Dal libro dell’Esodo 22,20-26

Così dice il Signore: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso».

 

Salmo 17 - Ti amo, Signore, mia forza.
Ti amo, Signore, mia forza, +
Signore, mia roccia,
mia fortezza, mio liberatore.

Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio;
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo.
Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.

Viva il Signore e benedetta la mia roccia,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato. 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 1,5c-10

Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 22,34-40

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

 

Commento

Il Vangelo ascoltato ci presenta una scena frequente: Gesù che viene interrogato da uomini religiosi. Lo abbiamo già visto domenica scorsa, e anche questa volta l’evangelista Matteo sottolinea che vogliono “mettere alla prova” Gesù. Cioè vogliono vedere come se la cava messo davanti ad una difficoltà. Il loro atteggiamento cioè non è discepolare, non si fidano di Gesù, perché pensano di sapere già e di non aver bisogno di imparare da lui. È la grande differenza fra un uomo comune e un discepolo. Spesso anche noi crediamo di saperla lunga, abbastanza per saper vivere e pensiamo che non sarà certo Gesù a mettere in discussione i nostri pensieri. Quanta distanza ci separa da Maria che stava ai piedi di Gesù ad ascoltare, per imparare la vita. Quell’occasione era troppo importante per distrarsi con altre occupazioni, anche quelle utili e importanti, e Gesù conferma che è lei ad aver scelto la “parte migliore”, ciò che conta di più: imparare da Gesù. Interroghiamoci fratelli e sorelle se anche noi davanti a Gesù lo “mettiamo alla prova”, cioè studiamo come il vangelo sia troppo lontano dalle abitudini nostre e di tutti e pertanto non lo si può vivere integralmente, o invece mettiamo da parte quello che sappiamo già e ci disponiamo ad imparare tutto da lui.

Questa volta i farisei mettono alla prova Gesù interrogandolo su quale sia la norma più importante della Legge. Si intuisce la loro mentalità di spezzettare la Scrittura in leggi, prescrizioni, norme, tradizioni, culti, preghiere, una specie di armamentario sacro, catalogato e tenuto in buon ordine. È chiaro che così è più facile trasformare la fede in una dottrina da conoscere più che da vivere.

Gesù non si sottrae alla domanda, ma stravolge il fine per il quale era stata posta. Essa voleva limitarsi alla conoscenza delle leggi, Gesù invece pone in primo piano la necessità di viverla, per poterla comprendere e spiegare. La chiarezza della dottrina per Gesù non viene cioè dalla conoscenza teorica, dallo studio astratto, ma dall’esperienza che ne verifica la verità nella vita e la fa risplendere nella sua bellezza concreta. È quello che fa papa Francesco; tante volte lo accusano di essere “debole” teologicamente perché non è professore, non scrive libri di dottrina, ma la sua comunicazione del Vangelo fa trasparire una conoscenza diretta, personale, concreta del “modo di vedere di Dio” che è il contenuto della teologia. Non fa lezioni, ma insegna a vivere secondo il Vangelo.

Torniamo alla domanda rivolta a Gesù: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”

Nella tradizione biblica era chiaro quale fosse il primo precetto della Legge. Nel libro del Deuteronomio lo si dice chiaramente: “Ascolta, o Israele: il Signore è nostro Dio, il Signore è solo uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore” (Dt 6, 4-5). Come pure era noto il precetto di amare il prossimo, come ci ha ricordato la prima lettura dal libro dell’Esodo: “Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, ….  Non maltratterai la vedova o l'orfano” ecc… Quella domanda del fariseo allora aveva già una risposta, la dottrina era chiara.

Gesù però riesce a dare una risposta che è nuova, perché non spezzetta la Scrittura in tante norme da seguire, ma anzi la unifica facendone, appunto, un’unica esperienza vissuta. Con la sua risposta fonde l’amore dell’uomo per Dio e per i fratelli in un unico grande primato, quello del voler bene all’altro. La vita cristiana ci insegna infatti che non c’è amore per gli uomini se non si ama Dio e, allo stesso tempo, per poter amare Dio non si può non voler bene agli uomini. Ricordiamo quanto ci racconta la Scrittura circa Babele: in quella città gli uomini si erano impegnati in un gigantesco sforzo. Ma, perso il contatto con Dio a causa del loro orgoglio, ognuno ha perso anche la capacità di incontrare gli altri uomini, fino all’incomprensione totale. Babele è il luogo dell’incontro mancato, sia con Dio che con gli uomini e sembra un po’ anche il ritratto del nostro mondo attuale, dove l’egoismo e la durezza di cuore rendono difficile l’incontro sia con Dio che con gli altri.

Gesù torna a dirci che la strada per arrivare a Dio incrocia necessariamente quella che porta agli uomini. È, si può dire, il senso ultimo dell’incarnazione: non possiamo amare Dio che ci si fa vicino in Gesù, se non amiamo in lui anche l’uomo che egli fu. Ed è così frequente dimenticarlo! A volte preferiamo separare in Gesù l’uomo da Dio, come a farne un superuomo totalmente diverso da noi, tanto che si ritiene impossibile imitarlo e seguirne l’esempio.

Invece amando Gesù tutto intero, come Dio e come uomo, impariamo ad amare il fratello e la sorella e a scoprire in essi l’immagine stessa di Dio. Soprattutto chinarci sui deboli e i poveri, dei quali Gesù afferma in modo così speciale la somiglianza con lui: “tutto quello che avete fatto ad uno di questi piccoli lo avete fatto a me”.

Cari fratelli e care sorelle, accogliamo dunque l’invito di Gesù a farci suoi discepoli, ad imparare cioè da lui non la dottrina, ma a vivere come lui. Sì, perché aprire la porta del nostro cuore al fratello e amarlo ci apre la porta del cielo e ci fa incontrare in Dio quel padre misericordioso e benigno che ci ama e ci salva.

 

Preghiere 

 

O Dio che ci hai amato per primo, e ci accompagni fin dal seno di nostra madre nel cammino della vita, fa’ che ricambiamo il tuo affetto amando te e i fratelli,

Noi ti preghiamo

 

 

O Dio fa’ che impariamo a vivere il Vangelo testimoniando a tutti che è la via che porta alle felicità. Rendici discepoli attenti e pronti a mettere in pratica le tue parole,

Noi ti preghiamo

  

O Signore misericordioso, perdona la divisione che troppo spesso ci isola da tutti. Facci scoprire la bellezza di un amore che ci apre alla fraternità e ci fa incontrare in te il nostro Padre comune.

Noi ti preghiamo

 

 

O Signore Gesù salva quanti in questo tempo sono nel pericolo a causa della guerra e della violenza, dona pace ai paesi sconvolti dai conflitti,

Noi ti preghiamo

 


Proteggi o Dio quanti sono nel bisogno e insegnaci ad amarli come fratelli e sorelle, perché riconosciamo nel loro volto quello di Gesù umiliato e sofferente,

Noi ti preghiamo

 

 

 

Rafforza o Padre del cielo le mani di quanti operano per la pace fra gli uomini e vivono la solidarietà con quanti sono nel bisogno. Perché la loro opera provochi tanti a farsi operatori di bene,

Noi ti preghiamo.

 

 

Ti invochiamo o Dio, guida e proteggi papa Francesco da ogni male. Sostienilo nel compito di essere pastore e testimone del Vangelo, donagli parole che scaldino i cuori all’amore per te e per il prossimo,

Noi ti preghiamo

 

 

Proteggi o Dio la tua Chiesa ovunque diffusa nel mondo. Soprattutto dove i discepoli di Cristo sono perseguitati e dove la violenza li costringe alla fuga,

Noi ti preghiamo

sabato 17 ottobre 2020

XXIX domenica del tempo ordinario - Anno A -18 ottobre 2020



Dal libro del profeta Isaia 45,1.4-6

Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri».

 

Salmo 95 - Grande è il Signore e degno di ogni lode.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli.

Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri.

Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 1,1-5b

Paolo e Silvano e Timoteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace. Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.  Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Risplendete come astri nel mondo,
tenendo alta la parola di vita.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 22,15-21

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?» Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci mostra Gesù che insegna a Gerusalemme, mentre le autorità religiose non nascondono il loro fastidio per quell’uomo che pretendeva di avere un modo nuovo di insegnare la fede antica di Israele, diverso dal loro.

Alcune di quelle persone colte e autorevoli contestano Gesù cercando di coglierlo in contraddizione su di un tema spinoso, quello del tributo imposto dagli odiati romani, i potenti colonizzatori di quei tempi. Ogni possibile risposta conteneva un tranello: se avesse detto che non bisognava dare il tributo si sarebbe proposto come un rivoluzionario che istigava alla ribellione contro la legge; se invece diceva che era giusto darlo avrebbe offeso il desiderio di libertà dei giudei. Dare una risposta era veramente difficile.

In fondo quante volte anche noi ci sentiamo stretti fra scelte opposte e inconciliabili? È giusto fare qualcosa per gli altri, ma ci sono le responsabilità nei confronti dei miei. È giusto essere generosi, ma bisogna anche essere prudenti e limitarsi. Sappiamo cioè che bisognerebbe agire in un certo modo, ma motivi altrettanto seri ci consigliano di non farlo. È l’eterno dilemma che conduce alla conclusione che il Vangelo non lo si può vivere a pieno, che è qualcosa di impossibile da realizzare nella vita concreta, che bisogna accontentarsi di compromessi e aggiustamenti.

Gesù davanti al dilemma che gli viene proposto risponde non con un compromesso equilibrato che non scontenti nessuno, piuttosto, parte dalla constatazione che l’immagine che è impressa sulla moneta è quella di Cesare, simbolo del potere in quel tempo, e conclude che non vale la pena competere con il potere di questo mondo in ciò che lui stesso ha inventato per rafforzare il proprio dominio. La moneta, infatti, altro non è che un dischetto di metallo, oggi addirittura un pezzo di carta, che diventa uno straordinario strumento di potere perché ha impressa un’effigie. Attraverso di essa si esercitano il dominio, il possesso, l’asservimento, lo sfruttamento delle cose e delle persone. Grazie ad essa l’uomo ha la pretesa di affermare che tutto ha un prezzo, e che la vita è un mercato nel quale tutto si può comprare o vendere per guadagnare. Perciò Gesù dice che non vale la pena mettersi in concorrenza con questo potere di compravendita e passare la vita a cercare di contenderselo: lasciate a chi crede che la felicità sia in questo potere, cioè a Cesare, la falsa soddisfazione di esercitarlo mercanteggiando.

Aggiunge poi di rendere invece “a Dio quel che è di Dio.” Ma se ci è abbastanza chiaro cosa appartiene al regno di questo mondo, al potere dei “Cesare” di ogni tempo, che cosa è di Dio?

Nel sentire moderno tutto è dell’uomo: i suoi pensieri, le sue azioni, i suoi beni, le sue doti, le sue conquiste, le sue opere, ecc… possediamo le spiegazioni, i meccanismi, i processi con cui tutto si realizza, dal pensiero ai sentimenti, ai fenomeni naturali semplici e complessi, alle funzioni organiche. Possediamo persino i processi vitali, dato che la tecnologia li sta sempre più efficacemente controllando e surrogando. Tutto è in nostro possesso perché è sotto il nostro controllo, in nostro potere! Cosa resta di Dio?

Il libro della Genesi con le sue immagini semplici e chiare pone le basi di una diversa visione del mondo e dell’uomo. Nel suo racconto l’uomo e tutto quello che ha a sua disposizione non è propria opera o possesso, ma è una creazione di Dio che gli viene gratuitamente affidata in custodia. Dio ha impresso sul creato la propria immagine, come Cesare ha fatto sul denaro. L’immagine di Dio impressa sulla natura che egli ha creato è la bellezza, l’armonia, la bontà, e, dopo averla fatta esistere, Dio ce l’ha offerta. Attraverso questo dono Dio dimostra che non vuole esercitare un possesso geloso ma il potere generoso dell’amore gratuito.

Per questo niente della nostra vita e del creato è un possesso di cui l’uomo possa vantarsi di essere padrone assoluto, nemmeno i beni acquisiti, insegna la dottrina cattolica, perché tutto ha impresso l’immagine di Dio e l’uomo ne è solo il custode e l’amministratore per il bene di tutti. La vita di nessuno si compra e si vende, neppure con la somma più grande del mondo. Su di essa esercitiamo un potere relativo, è a nostra disposizione, possiamo usarla per il nostro bene comune, ma non la possediamo.

È quello che papa Fracesco spiega bene nella sua lettera enciclica “Laudato si’” chiamando il creato e l’uomo che vi abita “la nostra casa comune” in cui abitare con rispetto per trasmetterla alle generazioni future.

L’unica cosa che possiamo fare della nostra vita è donarla. Per questo Gesù dice “rendete a Dio”, cioè restituite a lui quello che lui vi ha donato, e questo lo facciamo regalando agli altri il dono ricevuto, cioè la nostra vita: il tempo e le energie, le capacità e i talenti. Come lui l’ha donata moltiplicandola per tutto il numero degli esseri viventi, così a noi è chiesto di moltiplicare la nostra vita facendola tornare a Dio aumentata nel dono agli altri. È il messaggio della parabola dei talenti: chi li nasconde e li sotterra per paura può ridare indietro solo quanto ha ricevuto, ma chi invece l’ha messi a frutto investendoli e usandoli per gli altri, li restituisce al Signore moltiplicati.

Ecco che allora questo brano del Vangelo, semplice e scarno, racchiude una grande verità. E cioè che della nostra vita dobbiamo rendere conto (e non solo alla fine, ma ogni giorno) su come l’ho spesa, se nel modo migliore, se l’ho sprecata, se l’ho resa inutile e l’ho umiliata, o altrimenti se l’ho esaltata nella sua bellezza più profonda e autentica, cioè nel suo essere un dono ricevuto gratuitamente per l’amore che Dio ha per me, e l’ho moltiplicata donandola a mia volta gratuitamente, come una fiamma che se comunicata aumenta la sua luce e il suo calore.

Il giudizio non è solo alla fine, quando non si può più fare niente. Il giudizio è quotidiano. Non fuggiamolo nascondendolo con l’illusione del potere di comprare e vendere tutto, riconosciamoci invece forti solo dell’unico grande potere che abbiamo, quello di donare la vita e, così facendo, di salvarla rendendola duratura per il resto del tempo.


 

Preghiere 

 

O Signore nostro, Dio onnipotente, ti ringraziamo per il dono della vita e di tutto quello che abbiamo a disposizione per mantenerla. Fa’ che non la sprechiamo per ciò che ha poco valore,

Noi ti preghiamo

 

 

O Signore Gesù, insegnaci a far fruttare il dono della vita spendendola per gli altri e a moltiplicarla rendendola utile a molti,

Noi ti preghiamo

 



 

Perdonaci o Signore per la tentazione di nascondere e trattenere per noi quello che abbiamo ricevuto. Fa’ crescere in noi un animo generoso e un cuore largo,

Noi ti preghiamo

 

 

 

Ti chiediamo, o Padre onnipotente, di farci ascoltare con disponibilità il Vangelo perché facendolo entrare nei nostri cuori e mettendolo in pratica salviamo la nostra vita,

Noi ti preghiamo

 



Ascolta o Dio la preghiera di chi è nel bisogno. Libera tutti quelli che in questi giorni sono colpiti dalla violenza. Dona a tutti una prospettiva serena per il proprio futuro,

Noi ti preghiamo

 

 

Dona o Padre del cielo la pace a tutti i popoli, perché mai più la guerra semini morte e dolore,

Noi ti preghiamo.

 

 


Guida o Signore gli uomini di buona volontà perché rendano il mondo più vivibile e giusto. Fa’ che la fiamma del tuo Spirito scaldi i cuori e illumini le menti dei tuoi discepoli,

Noi ti preghiamo

 

 

Proteggi o Padre onnipotente i tuoi figli ovunque dispersi, perché riuniti nel tuo nome rendano lode a te e con gioia ti celebrino risorto e vivo in mezzo a noi,

Noi ti preghiamo

 

 

sabato 10 ottobre 2020

XXVIII domenica del tempo ordinario - Anno A - 11 ottobre 2020

 

 


Dal libro del profeta Isaia 25,6-10

Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte». 

 

Salmo 22 - Abiterò per sempre nella casa del Signore.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare, +
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési 4,12-14.19-20

Fratelli, so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Il Signore illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.
Alleluia, alleluia alleluia.

 

Dal vangelo secondo Matteo 22,1-14

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nunziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nunziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, Gesù usa spesso l’immagine del banchetto per rappresentare il Regno dei cieli, cioè dove egli esercita la sua signoria, regola e determina la vita dei suoi abitanti. Il Regno dei cieli è pertanto, come descrive bene la prima lettura dal profeta Isaia che abbiamo ascoltato, un modo di vivere nel quale è eliminata “la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto”. Un Regno dunque dove il male non ha potere, non esercita più, come fa qui ora, la sua signoria su quanti si pongono alla sua mercé. Per questo è eliminata per sempre la morte, espressione suprema del potere del male sugli uomini, perché con la paura che incute la morte ha la capacità di renderli schiavi, ed esercitare il suo potere distruttivo: il dolore.

Da questo possiamo ben comprendere quanto sia forte oggi il dominio del male sul mondo, da quanto dolore vediamo nella vita di uomini, donne e popoli interi, e ogni qualvolta che esso si manifesta con forza possiamo riconoscere che il male agisce indisturbato.

Il Regno di Dio è dunque questa prospettiva verso la quale la storia dell’umanità si incammina, e la sua realizzazione sta proprio nella ribellione di ciascuno alla schiavitù del male che il Vangelo propone a ciascuno. Ogni azione, ogni decisione di ribellione al male è un passo in avanti in questo lento, faticoso, ma inarrestabile cammino.

Qualcuno potrebbe dire che questa è una pia illusione: quando mai gli uomini saranno in grado tutti e unanimi di eliminare la schiavitù del male? Troppo debole e fragile la nostra volontà, troppo dura una scelta che ci sembra quasi contro natura, tanto contraddice il normale flusso degli eventi umani. Proprio per questo Paolo afferma, come abbiamo ascoltato: “Tutto posso in colui che mi dà la forza.” Cioè il cammino dobbiamo sì compierlo noi, e desiderare di andare avanti, ma la forza per farlo ce la darà Dio se gliela chiediamo, e questo rende possibile la realizzazione del Regno o che noi, da soli con le nostre sole forze umane, non potremo mai darci.

Il brano evangelico ascoltato ci mostra Gesù che cerca di spiegare alla gente del suo tempo proprio questa realtà del Regno di Dio, e lo, appunto, fa con l’immagine di un banchetto. È subito chiaro che è il pranzo più ricco e sontuoso che potremmo mai immaginare: il banchetto di nozze che il re fa per suo figlio. È il massimo che si potrebbe sperare! Tutti sono invitati, ma molti ignorano l’invito. Colpisce la banalità delle giustificazioni: “quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”, non motivi eccezionali tali da giustificare il rifiuto, ma la banalità della vita quotidiana, le abitudini. Il re allora insiste con gli altri, ed ecco che finalmente la festa può iniziare. In un brano analogo del Vangelo di Luca il re dice al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi” (14,21) i quali accolgono volentieri l’invito e riempiono la sala.

Cari fratelli e care sorelle, la parabola del banchetto del Regno al quale Dio ci invita descrive bene anche le nostre reazioni. Quanto è facile infatti trattare con noncuranza Dio che ci invita a festeggiare la pace e la concordia ristabilite fra gli uomini che caratterizza la sua signoria quando è accolta, il suo Regno. E questo non avviene perché abbiamo da contrapporre nostri grandi progetti diversi, ma per piccole cose: le piccole cose della vita quotidiana, le abitudini, il campo, gli affari. Esse ci riempiono vita, occhi, cuore e mente, e non ci fanno vedere la prospettiva alla quale Dio ci chiama. Essa è un sogno da bambini, ma noi siamo ormai adulti; è un’utopia da ingenui, ma noi siamo ormai smaliziati; è una speranza che chiede di avere fiducia, ma noi abbiamo fiducia solo in noi stessi. Eccoci allora chini sui nostri campi, affannati, delusi e pieni di recriminazioni. Alcuni accusano addirittura Dio del proprio vivere male, quando sono stati loro a rifiutare l’invito alla festa.

Chi è che accoglie l’invito al banchetto? Chi non ha niente a cui aggrapparsi e dire: “sarà poco ma è il mio, e per questo mi basta”, cioè i poveri. Per loro la prospettiva del Regno è un’alternativa ricca a una vita misera, gioia al posto della tristezza, compagnia di Dio e dei fratelli invece della solitudine.

Cari fratelli e care sorelle, l’evangelista Matteo sottolinea come a quel banchetto parteciparono buoni e cattivi, proprio a significare che l’invito non è un merito, un diritto acquisito, ma un segno dell’amore gratuito di Dio. Egli ci vuole tutti partecipi della vita ricca e felice del suo modo di vivere, ma oltre a quelli che rifiutano ci sono altri i quali, pur partecipando ad esso, non fanno di quella festa il loro modo di vivere: ne godono, ma non vi partecipano pienamente. È l’esempio di quel convitato che non aveva trovato necessario vestirsi bene e partecipava al banchetto senza l’abito della festa. Quest’abito è la gratitudine: cioè il rendersi conto che senza quell’invito, senza quel cibo e quella festa, senza il re che nonostante tutto ti invita la tua esistenza sarebbe ben misera e triste. Rendiamoci conto, fratelli e sorelle, che siamo tutti dei poveracci, che se non ci incamminiamo con decisione verso la festa del Regno restiamo fermi, impantanati nella palude del male e non potremo fare altro che lamentosamente recriminare la pochezza di una vita senza gioie vere. Chiediamo invece a Dio la forza di incamminarci, ribellandoci al male che ci vuole fermi e infelici, concentrati su di sé e insoddisfatti, a contenderci aggressivi e rivali il poco che il male ci concede. Egli ci darà la forza di andare avanti e di giungere un giorno al banchetto dove il re in persona, sulla porta, attende e accoglie quanti si sottomettono alla sua signoria e non a quella del male.


 

Preghiere 

 

Ti ringraziamo o Signore per l’invito che ci fai a partecipare alla festa del Regno. Fa’ che con gioia celebriamo il banchetto del tuo amore per la nostra vita,

Noi ti preghiamo

 

Perdona o Dio la durezza del nostro cuore e l’indifferenza con cui disprezziamo l’invito a gioire del dono del Vangelo. Fa’ che sia sempre per noi motivo di grande gioia,

Noi ti preghiamo

 

Ti preghiamo o Dio del cielo perché non preferiamo la normalità banale della vita ordinaria alla straordinaria novità del Vangelo,

Noi ti preghiamo

 

Accogli o Dio nel banchetto della tua amicizia tutti noi, assieme ai poveri e a quelli che hanno bisogno di aiuto, perché in amicizia e solidarietà possiamo moltiplicare la gioia della condivisione del tuo amore,

Noi ti preghiamo

 

Proteggi o Padre buono tutti quelli che sono nel pericolo e nel dolore. Dona la pace ai popoli in guerra e consola chi è duramente colpito dalla forza della natura,

Noi ti preghiamo

 

Sostieni o Gesù in modo particolare quelli che vivono nelle strade delle nostre città, perché il freddo e la solitudine non li schiacci sotto un peso insopportabile e siano consolati dal calore dei fratelli e delle sorelle,

Noi ti preghiamo


Accompagna sempre con benevolenza o Padre gli sforzi degli operatori di pace, perché non manchi mai nel mondo chi fa’ il bene e lotta per la giustizia,

Noi ti preghiamo

sabato 3 ottobre 2020

Festa di San Francesco - 4 ottobre 2020

 




Dal libro del Siracide 50, 1.3-7

Ecco chi nella sua vita riparò il tempio, e nei suoi giorni fortificò il santuario. Ai suoi tempi fu scavato il deposito per le acque, un serbatoio ampio come il mare. Premuroso di impedire la caduta del suo popolo, fortificò la città contro un assedio. Come era stupendo quando si aggirava fra il popolo, quando usciva dal santuario dietro il velo. Come un astro mattutino fra le nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, come il sole sfolgorante così egli rifulse nel tempio di Dio.

 

Salmo 15 - Tu sei, Signore, mia parte di eredità.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Mi indicherai il sentiero della vita, +
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati 6,14-18

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.  

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Francesco, povero e umile,
entra ricco nel cielo,
onorato con inni celesti.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, ricorre oggi la festa del Santo Francesco di Assisi, uomo di queste nostre terre umbre che pur nascendo in un piccolo borgo periferico e quasi anonimo, seppe fare della sua vita un messaggio significativo per il mondo intero. Non a caso oggi il nostro papa ha scelto per sé il suo nome, rifacendosi all’esperienza del povero e umile santo di Assisi per un pontificato così marcatamente impegnato a raggiungere tutti con la testimonianza evangelica di un Dio buono, vicino, misericordioso e amico.

La storia di Francesco è fortemente radicata nella croce. Quando era giovane si mise in ricerca di un futuro diverso, incerto sulla direzione da dare alla sua vita. Era deluso da come la sua famiglia e la società del tempo gli proponevano come massima aspirazione possibile un futuro di benessere e di vuoto successo, egli voleva un fondamento più solido e significativo per il quale valesse la pena vivere. Aveva chiara una cosa: la vita è troppo importante per spenderla per quello che non vale niente. Non poteva accontentarsi di affari, spensieratezza, possesso dei beni e ruolo sociale, tutto misurato in base al numero di quanti erano sotto di lui.

Mentre girava per le campagne di Assisi vide in una piccola cappella un crocefisso dal quale udì provenire una voce. Francesco fu attratto da quell’immagine che rappresentava un Signore, un Re, anzi il più potente e grande dell’universo, che aveva trovato la sua gloria non nel benessere comodo e godereccio delle corti del suo tempo, come Francesco aveva fatto fino ad allora, ma nell’umiltà del servizio agli uomini che la croce rappresentava pienamente. Egli aveva come invertito il metro di giudizio normale: la vera gioia era quando lui poteva essere utile agli altri, e non quando tutti erano al suo servizio, sotto di lui.

Questo messaggio chiaro ed estremamente concreto racchiuso nel simbolo della croce divenne il modello di Francesco, che si fece un giovane annunciatore di questo Vangelo: la vera felicità sta nel farsi piccoli, umili servitori degli uomini, piuttosto che nel mettere al centro se stessi per farsi servire dagli altri.

La sua vita si spese dunque nel divenire imitatore di Gesù, nel mettere gli altri avanti a sé, nello spendere il proprio tempo, fatiche e risorse per aiutare che era più piccolo di lui.

La croce era il simbolo di questo modo di vivere e Francesco la assunse come modello per ogni suo gesto.

Si legge nella vita prima di Tommaso da Celano: “Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato «Verna», due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti, confitto ad una croce. ... A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. ... Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.”

La croce cioè lo plasmò fino a farlo diventare come Cristo Stesso: un Crocefisso con le sue stesse ferite. Esse sono il segno della vulnerabilità di chi è sensibile al bisogno e al dolore degli altri e lo assume su di sé. Non lo evita né lo fugge, non disprezza chi ne è colpito come uno sconfitto, un perdente, ma lo accoglie come una chiamata a farsene partecipe.

Cari fratelli e care sorelle, poche settimane fa abbiamo celebrato la festa della Santa Croce e dicevamo come essa è simbolo di una vita che poiché si è donata non è andata perduta, anzi si è salvata ed ha conosciuto la gloria della resurrezione. Così ha fatto Francesco e la sua vita è divenuta così significativa per tanti, fino ad oggi, un vero tesoro lasciatoci in eredità.

Egli ha così incarnato le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato, che invitano ad assumere su di sé il suo giogo, che è la croce, cioè di far suo il suo modo di essere umile servitore. Così, assicura Gesù, “troverete ristoro per la vostra vita” cioè quella pace rasserenata del cuore e della mente che rende felici.

Cari fratelli e care sorelle, ricorreva ieri 3 ottobre l’anniversario del tragico naufragio del 2013 nel quale 368 uomini, donne, bambini, trovarono la morte nel Mediterraneo nella ricerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie. Una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall'inizio del XXI secolo. Erano persone, come tante altre, schiacciate sotto il peso di una croce che non riescono a sopportare: guerra, violenza, miseria, morte. A noi è chiesto di farci vulnerabili al dolore di quelle croci, di scorgerne i segni sui corpi e sugli animi, di vedere in quelle stigmate una domanda di compassione e condivisione. Oggi Francesco ci invita a fare nostri questi segni, a vivere e agire cioè come se quel dolore fosse nostro, a combatterlo, a lenirlo, a non tollerare più che sia inferto ancora a tanti.

È un segno di come sia urgente farci toccare il cuore e assumere la croce di Gesù come la nostra attitudine, il nostro modo di essere e ragionare. Sarà il Signore a portarne il peso, cioè a darci la forza e le risorse, e sarà il Signore a guidarci assieme ai tanti crocifissi del mondo verso la vita vera che non passa e non finisce, che si rafforza perché è regalata, che viene restituita più bella e felice, risorta con lui.

 

Preghiere 

 

O Dio che hai scelto di manifestarti agli uomini nell’umiltà di un uomo al servizio degli altri fino all’estremo sacrificio sulla croce, dona anche a noi uno spirito di amore e semplicità che ci faccia vicini a tutti,

Noi ti preghiamo

  

O Padre di eterna bontà ti ringraziamo perché la testimonianza di Francesco ci aiuta a cercare ciò che conta veramente e a non accontentarci delle soddisfazioni effimere. Fa’ che come lui anche noi sappiamo vedere nella croce il modello da imitare.

Noi ti preghiamo

 

Signore ti preghiamo per quanti fuggono da guerra e miseria, proteggi il loro cammino e consola le loro sofferenza. Fa’ che trovino approdo sicuro e accoglienza.

Noi ti preghiamo

  

O Dio perdonaci quando viviamo alla ricerca del successo che ci allontana dagli altri e schiavi del miraggio di un benessere confortevole. Fa’ che la gioia del Vangelo divenga l’unica soddisfazione che ci appaga.

Noi ti preghiamo

 

Ti invochiamo o Padre misericordioso per quanti vivono nei conflitti e soffrono per la violenza. Dona la tua pace a mondo intero.

Noi ti preghiamo

  

Ti preghiamo o Dio per il nostro papa Francesco. Sostienilo nelle difficoltà di questo tempo difficile e aiutalo a perseverare nella ricerca di un volto buono e accogliente della Chiesa.

Noi ti preghiamo.