sabato 31 luglio 2021

XXVIII domenica del tempo ordinario - Anno B - 31 luglio 2021

 


 

Dal libro dell’Esodo 16,2-4.12-15

In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mose e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora il Signore disse a Mose: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà à raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”». La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mose disse loro: «è il pane che il Signore vi ha dato in cibo».

 

Salmo 77 - Donaci, Signore, il pane del cielo.

Ciò che abbiamo udito e conosciuto +
e i nostri padri ci hanno raccontato
non lo terremo nascosto ai nostri figli,

 

racconteremo alla generazione futura +
le azioni gloriose e potenti del Signore
e le meraviglie che egli ha compiuto.

 

Diede ordine alle nubi dall’alto

e aprì le porte del cielo;

fece piovere su di loro la manna per cibo

e diede loro pane del cielo.

 

L’uomo mangiò il pane dei forti;

diede loro cibo in abbondanza.

Li fece entrare nei confini del suo santuario,

questo monte che la sua destra si è acquistato.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 4, 17. 20-24

Fratelli, vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Alleluia, alleluia alleluia.

 

Dal vangelo secondo Giovanni 6, 24-35

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mose che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

 

Commento

 

I brani della Scrittura che abbiamo ascoltato oggi ci parlano della fame degli uomini. La prima lettura ci fa vedere il popolo d’Israele stremato dalla fame in mezzo al deserto. Dio non disprezza questo grido, e sfama il popolo con le quaglie e la manna.

Domenica scorsa nel Vangelo abbiamo ascoltato come Gesù, attorniato dalla folla che lo sta ad ascoltare per tutta una giornata, si preoccupa che questi hanno fame e non hanno cibo, e moltiplica per loro il poco pane e pesce che c’è, perché basti per tutti. Da quel momento, ci dice il Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato oggi, la folla lo segue e dice Gesù: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.” Gesù li rimprovera perché mentre prima lo seguivano per nutrirsi della sua parola, di cui erano veramente affamati, tanto da dimenticare la fame fisica e da restare con lui fino a tarda sera, ora invece cioè credono di aver capito Gesù e non cercano più la sua parola, ma i vantaggi che da lui possono ricavare. Lo seguono per abitudine o per convenienza. È spesso anche l’atteggiamento nostro, quando ci sentiamo “sazi” del cibo delle Parole di Gesù. Cioè crediamo di conoscerle già, di sapere già quello che ci vuol dire il Signore con il suo insistente ripeterci il Vangelo, ogni domenica. E noi, come quella gente, se qualche volta lo abbiamo ascoltato con interesse e passione, ormai non ne sentiamo più il bisogno, e lo facciamo per abitudine o per convenienza, senza che quelle parole ormai ci impensieriscano un po’ né ci stupiscano più.

Alcuni però della folla si lasciano colpire dal rimprovero di Gesù, e inizia un dialogo a botta e risposta che assomiglia un po’ a quello che Gesù ebbe con la samaritana al pozzo di Giacobbe. Incredulità, stupore, desiderio di contrapporsi spingono quella donna di Samaria, così come la gente del brano di oggi, a chiedere a Gesù il perché delle sue parole e non le lascia scorrere via invano. È un dialogo aspro, ma alla fine, in entrambi i casi, gli interlocutori di Gesù terminano con un’invocazione; dice la samaritana: “dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete” (Gv 4,16); concludono i galilei: “Signore, dacci sempre questo pane”. Il dialogo con il Signore, magari condotto male, con poco amore e senza rispetto, fa però riscoprire la fame e la sete del Vangelo, la paura di restarne senza. Chi invece crede di sapere già cosa Gesù ha da dire e cosa significhino le sue parole rimane sazio ed estraneo a lui, convinto che ne può fare a meno.

Bisogna lasciarsi interrogare, farsi allacciare dal dialogo con Gesù che è la preghiera, la riflessione sulle sue parole, perché noi, sazi e pieni delle nostre certezze e risposte pronte, ricominciamo a sentire fame delle Parole di Gesù delle quali, se lasciamo il nostro cuore aperto ad esse, non ci si sazia mai; facciamo nostre le parole dei discepoli che alla domanda di Gesù risposero: “Signore da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna.” (Gv 6,68) Sì, il discepolo del Signore è colui che non si stanca mai di ascoltarlo perché non solo ascolta con le orecchie, ma vive quelle parole e più le mette in pratica e più sente che ne ha bisogno perché sono il suo vero nutrimento. Questa è la vera differenza fra chi ascolta senza vivere e chi invece mette in pratica le Parole del Signore Gesù. Gesù non ci giudica male perché non sappiamo come chiedere a lui il “cibo” buono che solo lui sa darci, basta mettersi in ascolto, basta rispondergli con la nostra disponibilità, ed è lui ad offrircelo. Il cibo di Dio, cioè la su aParola, è qualcosa di grande, perché è il mezzo con cui noi possiamo diventare come Lui. Sì, nutrirci delle parole e dei segni del Signore ci fa crescere come suoi figli, carne della sua carne, sangue del suo sangue. 

Ma cosa significa aver fame della Parola e nutrirci di lei, cioè viverla e metterla in pratica? Si tratta di una cosa tutta spirituale, per mistici?

Gesù spiega cos’è questo pane che ci offre: “il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” cioè è Gesù stesso, e nutrirci delle sue Parole e del suo Corpo eucaristico fa sì che il suo spirito ci entri dentro e costruisca la nostra vita a sua somiglianza. Dio che è l’infinitamente grande e potente è disceso dal cielo per regalarci la sua vita, come un pane che nutre e sazia. Come dicevamo domenica scorsa, non è un’impresa superiore alle nostre forze: basta mettere a sua disposizione il poco che sappiamo fare ed essere perché lui lo moltiplichi e lo renda capace di saziare molti, come fece con i pochi pani e pesci che qualcuno gli offrì.

Fratelli e sorelle, Dio sa quanto siamo deboli e bisognosi del cibo del corpo, e per questo non ce ne fa mancare come fece con Israele nel deserto, ma altrettanto ci chiede di restare affamati della sua Parola e del suo corpo e si offre di nutrircene sempre.

 

Preghiere 

  

Ti ringraziamo Signore perché non lasci senza risposta la nostra fame e affidi a noi il dono della tua Parola, vero nutrimento della vita. Fa’ che siamo capaci di accoglierla e viverla,

Noi ti preghiamo

 

 

Perdona Signore la durezza del nostro cuore che ci rende sordi al Vangelo e indifferenti al bisogno dei fratelli. Donaci di essere come te capaci di donare tutto noi stessi agli altri,

Noi ti preghiamo

 

 

O Dio ti preghiamo per chi in questo tempo estivo soffre particolarmente per la durezza del clima e per la solitudine. Per gli anziani, gli ammalati, i carcerati, i migranti, i poveri. Proteggili e sostienili.

Noi ti preghiamo

 

 

Dona o Padre del cielo a noi tuoi discepoli di essere testimoni del Vangelo a chi ancora non lo ha conosciuto. Fa’ che nutrendoci della tua Parola e del tuo Corpo lo possiamo proclamare con tutta la nostra vita,

Noi ti preghiamo

 


Accogli con amore o Signore il grido di chi soffre per la guerra e la violenza. Per la Siria, l’Afganistan, la Terra Santa, e per tutti i paesi in cui le armi seminano morte e dolore,

Noi ti preghiamo

 

 

Proteggi e sostieni o Dio quanti annunciano il Vangelo e lo vivono con audacia. Per il papa Francesco e tutti i tuoi figli riuniti oggi attorno alla tavola dell’Eucarestia in ogni parte del mondo,

Noi ti preghiamo.

domenica 25 luglio 2021

XVII domenica del tempo ordinario - Anno B - 25 luglio 2021

 


Dal secondo libro dei Re 4, 42-44

In quei giorni, da Baal Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”». Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore. 

 

Salmo 144 - Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. 

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente. 

Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità. 

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 4, 1-6

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti. 

 

Alleluia, alleluia, alleluia. 
Un grande profeta è sorto tra noi,
Dio ha visitato il suo popolo.
Alleluia, alleluia, alleluia. 

Dal vangelo secondo Giovanni 6, 1-15

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!» Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, i brani scritturistici che oggi abbiamo ascoltato ci pongono davanti ad una dimensione umana che è molto presente nella nostra vita: il realismo. Essa è una virtù che acquisiamo con il passare del tempo. I bambini, infatti, non sono realisti, perché credono che tutto quello che pensano sia possibile. Se diciamo loro, ad esempio: “facciamoci una passeggiata sulle nuvole” saranno tutti contenti e verrebbero volentieri con noi a farlo. Oppure corrono dietro agli uccelli per prenderli, o provano a fare tante altre cose impossibili. Anche noi un tempo eravamo così, e l’esperienza e gli insegnamenti degli adulti ci hanno fatto diventare realisti ed ammettere che ci sono dei limiti per quello che si può o non si può fare, che non tutto quello che si vorrebbe è realizzabile. Tutto ciò ha un valore e serve anche a non mettere in pericolo la propria vita con azioni sconsiderate.

Ma l’apostolo Paolo ci mette in guardia: attenti a non usare questo criterio e principio di realismo per giudicare qual è il bene possibile per me e qual è il bene possibile per tutti gli altri. Infatti noi siamo portati a valutare con una speranza e aspettative molto larghe qual è il bene per noi stessi: una buona salute, un benessere crescente, compagnia e amicizie nei momenti di necessità, felicità, spensieratezza e assenza di gravi difficoltà, ecc… È naturale avere tali aspettative, forse, a volte, anche andando oltre il realismo che tiene conto dei limiti del possibile. Ma per gli altri abbiamo le stesse aspettative? Speriamo che la salute, il benessere, la felicità dell’altro sia la stessa che vorremmo per noi e ci impegniamo, come facciamo per noi stessi, affinché questa speranza si realizzi? A questo proposito Paolo scrive agli Efesini: “[abbiate] a cuore di conservare l’unità dello spirito ... Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione.” È un invito chiaro all’unità di spirito, di corpo e di speranza, perché tutti siamo chiamati ad una sola vocazione, cioè ad essere figli di Dio, discepoli del Signore Gesù, fratelli e sorelle fra noi.

Ma ecco che, davanti a questo invito, il nostro realismo si ribella: non è possibile sperare per tutti quello che io spero per me. Le risorse non basteranno mai, non ci potranno mai essere le stesse opportunità per tutti, ma solo per chi ce la fa, per chi è capace, per chi arriva prima, e così via. Insomma questa unità di corpo, di spirito, di speranza e di vocazione di cui parla Paolo è qualcosa per me e, forse, per pochi, non si può allargare troppo, addirittura a tutti!

È il ragionamento del realismo umano, davanti ad una realtà che la globalizzazione ci mette ormai quotidianamente davanti agli occhi, cioè che perché ci possa essere una parte di mondo che ha più del sufficiente ce ne deve essere un’altra che ha meno del necessario. Cioè, per fare un esempio, se ho una bottiglia piena e dieci bicchieri vuoti, se voglio versarne fino all’orlo forse arriverò a riempirne 5 o 6, poi i bicchieri successivi rimarranno vuoti.  Ma se ne versassi fino a metà tutti riceverebbero la stessa quantità. Questo è, se vogliamo, il ragionamento di Paolo: i discepoli di Cristo ricevono una vocazione a non volere il proprio bicchiere pieno fino all’orlo, come se al mondo esistesse solo il mio bicchiere e solo di questo mi dovessi preoccupare io, ma a vedere come un unico insieme tutti i bicchieri che ci sono e a desiderare con un’unica speranza che tutti ricevano quello che c’è a disposizione e, infine, a sentirsi contenti con un unico spirito che tutti abbiamo qualcosa.

Questo è quello che la giustizia umana ci chiede di realizzare. Paolo però va oltre, ed aggiunge: “[infatti abbiamo] Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.” Cioè, per usare l’esempio di prima, la misura da prendere in considerazione non è la bottiglia che abbiamo fra le mani, ma l’amore di Dio, che poiché è Padre di tutti ed ama tutti opera per mezzo di noi perché la bottiglia del suo amore non si esaurisca mai e riempia con sovrabbondanza i bicchieri di tutti, al di là di quello che sarebbe realisticamente possibile anche applicando la giustizia umana. Ma perché Dio possa operare per mezzo di tutti c’è bisogno che noi ci lasciamo coinvolgere nel suo stesso amore, che è sovrabbondante e oltre ogni realismo e ci mettiamo a versare nel bicchiere di tutti. Scopriremo che le risorse, le capacità, la gioia, i talenti di ciascuno si moltiplicano oltre ogni aspettativa, persino oltre quello che speravamo pensando solo a noi stessi.

È quello che avviene a Eliseo, il quale con dieci panini sfama a sazietà cento persone, quello che avviene a Gesù che con cinque pani d’orzo e due pesci sfama circa cinquemila uomini, ai quali bisogna aggiungere le donne e i bambini presenti.

Cari fratelli e care sorelle, il nostro realismo ci inganna, ha la misura dell’ambizione a soddisfare solo il nostro bisogno, per questo è pessimista, lamentoso, incapace di farsi toccare dal bisogno degli altri. Il realismo di Dio invece parte dalla fame della folla per moltiplicare le limitate risorse e capacità realisticamente a disposizione per far sì che esse divengano inesauribili e capaci di sfamare tutti. Ed allora applichiamo con generosità la giustizia umana e scopriremo che, lasciandoci andare all’amore di Dio che ci supera e ci stupisce sempre, non solo il bicchiere degli altri, ma anche il nostro sarà colmo fino all’orlo e traboccherà di gioia, pace, entusiasmo e felicità come nessun realismo umano mai potrebbe fare.


 

Preghiere 

 

O Signore Gesù, mostraci con le parole del Vangelo la visione del Regno a cui ci chiami. Fa’ che i nostri passi si facciano veloci e decisi sul cammino della fiducia in te,

Noi ti preghiamo

 

O Dio nostro Padre, liberaci dal dominio della preoccupazione per se stessi e del realismo pessimista e rassegnato, donaci la libertà di essere figli e costruttori di un nuovo modo di vivere secondo il Vangelo, Noi ti preghiamo

 

O Signore Gesù, riempi i nostri cuori perché non restiamo affamati di attenzione per noi stessi e di preoccupazione per il nostro benessere, saziaci per sempre con la forza delle tue Parole,

Noi ti preghiamo

  

O Dio manda dal cielo la tua benedizione su quanti affrontano rischi e fatica per raggiungere un approdo di pace e serenità. Proteggi quanti sono in un viaggio pericoloso, salvali dalla cattiveria degli uomini e dai pericoli della natura,

Noi ti preghiamo

 

Proteggi o Padre buono gli uomini e le donne che vivono in guerra. Per i paesi sconvolti dalla violenza e schiacciati dal terrorismo,

Noi ti preghiamo

 

Dona o Signore pace e salvezza al mondo intero, specialmente dove ora regna miseria e povertà. Fa’ che la giustizia regni nel mondo, dove oggi c’è disuguaglianza e sfruttamento, Noi ti preghiamo

giovedì 8 luglio 2021

XV domenica del tempo ordinario - Anno B - 11 luglio 2021

 



Dal libro del profeta Amos 7, 12-15

In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasìa e disse: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele».

 

Salmo 84 - Mostraci, Signore, la tua misericordia.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: +
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.

Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.

Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1, 3-14

Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Il Padre illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 6, 7-13

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.  E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

 

Commento

Domenica scorsa abbiamo ascoltato nel vangelo il fallimento della predicazione di Gesù nei luoghi in cui era nato. Lì dove lo avevano visto crescere la gente non è disposta ad ascoltarlo. Le sue parole infatti erano troppo diverse dal sapere comune e i suoi gesti erano troppo diversi dal modo di vivere di sempre! Subito dopo, abbiamo ascoltato oggi, Gesù va in giro per i villaggi ad annunciare il vangelo a chi non lo conosceva. Cioè il Signore non resta prigioniero del mondo già conosciuto, quello che gli è più familiare, ma esce da esso per incontrare il mondo più vasto, gli altri villaggi: è lì che lo incontriamo anche noi! Il Signore visse un’esistenza nomade. Lo incontriamo ovunque: è senza una casa stabile, va per le campagne e le città, fino ai confini della Palestina e anche oltre, a Tiro e Sidone. Egli non si fa imprigionare da un àmbito, da una famiglia, da una cultura e da un ambiente. Gesù si fa pellegrino alla ricerca degli uomini, negli angoli più nascosti ed incontra tanti. Oggi abbiamo ascoltato il suo invito, rivolto ai sui discepoli e a noi, a fare la stessa cosa: “Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli”.

Ma che significa? Che bisogna lasciare tutto e incamminarsi verso l’ignoto? A volte pensiamo al missionario che annuncia il vangelo come ad una persona molto diversa da noi, eccezionale.

Vediamo meglio come il Vangelo descrive i discepoli missionari. Innanzitutto Gesù li manda a due a due perché il loro non essere da soli sia la prima predicazione a chi li incontra: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). L’essere fratelli e non individui slegati l’uno dall’altro è infatti la prima buona notizia, un vero “vangelo”, che possiamo offrire a questo nostro mondo in cui spesso la vita è resa triste dalla solitudine, subita, ma spesso anche cercata attraverso il rifiuto dell’incontro fraterno con gli altri. Il cristiano anche quando è da solo, come nella vita talvolta accade, non è mai un individuo isolato ma è sempre un figlio, un fratello, una sorella, parte di una famiglia larga, di un “noi” plurale, e come nelle famiglie, conosce il nome di ciascuno dei membri della famiglia, chi sono, cosa fanno, come vivono. Questa è la prima testimonianza che rende “missionari del Vangelo”. Il primo passo che Gesù fa compiere ai suoi discepoli è l’uscita dall’ ”io” individuale, dal pensarsi come una persona che persegue i suo scopi, compie il suo itinerario come su un binario che non ne incrocia altri. Chi vive come un “io” può solo annunciare se stesso e non il vangelo di una vita che ama chi ha accanto.

Poi, come secondo elemento, Gesù invita a non portarsi dietro un bagaglio pesante: vestiti, cibo, proprietà, ingombranti ausili per il viaggio, ma solo un bastone, sandali e tunica. Ciò significa che spesso il nostro passo è lento e pesante perché siamo ingombri di giudizi, abitudini, modi di fare e di essere, pensieri che sono un pesante bagaglio che ci frena. Anzi, avere un bagaglio così ingombrante ci convince che è meglio non partire per niente, per non rischiare di perdere qualcosa nel viaggio, per la paura di sentire la mancanza di qualcosa durante il cammino. Lasciamoci dietro tutto questo inutile ciarpame, lasciamoci stupire dall’incontro con gli altri, senza credere di sapere già chi è colui che abbiamo difronte. Lasciamoci toccare e magari anche ferire dal bisogno del fratello, senza doverci coprire di corazze dure e pesanti per difenderci, di avere già spiegazioni e soluzioni pronte. Lasciamoci trascinare dove non pensavamo e non sapevamo, senza dover per forza fare solo strade conosciute e scontate. Solo una cosa ci serve, dice Gesù: un bastone. Questo era il segno dell’essere pellegrino, come Gesù, che sicuramente ne usava uno nel suo viaggiare. Sì, il bastone su cui possiamo poggiare con sicurezza nel nostro pellegrinaggio alla sequela di Gesù è la Scrittura, appoggio solido e infallibile. Poggiamoci ad essa e non alla sapienza del mondo per prendere le nostre decisioni, per fermarci davanti a chi chiede, per alzare lo sguardo su un orizzonte più vasto del nostro piccolo mondo, per non perdere mai la speranza di cieli e terre nuove che possano sostituire quelle attuali. Esso ci sostiene nei momenti difficili e ci evita di inciampare.

Gesù poi invita ad entrare nelle case, cioè a non sfuggire dal rapporto personale, intimo con gli altri. Questo ci fa paura, perché ci rende vulnerabili e ci fa scoprire la vulnerabilità degli altri. Noi restiamo sempre un po’ sulla soglia della casa, da dove possiamo gettare uno sguardo, ma senza entrare veramente dentro. C’è bisogno di sedersi accanto, parlare, restare a lungo con il fratello e la sorella, nel luogo della propria e della loro vita ordinaria, cioè la casa di ciascuno, perché possiamo trasmettere la bellezza della vita con il Vangelo. L’incontro fugace e superficiale, sulla porta, non comunica nulla e conferma agli altri che vogliamo restare estranei alla loro vita.

Infine Gesù raccomanda di non arrabbiarsi e non deprimersi per l’insuccesso: lui ne ha conosciuti tanti! Allo stesso tempo non ha perso mai la speranza che in futuro qualcosa potesse cambiare. Lo dimostra quell’ultimo gesto di scuotersi la polvere dai piedi, con cui lasciarsi con chi non ha voluto accogliere il Vangelo, almeno per adesso. Anche questo estremo gesto non è un segno di definitiva rinuncia, ma è “come testimonianza per loro” per lanciare un segnale che possa lasciare comunque un segno.

Insomma essere discepoli che annunciano il Vangelo non è un compito per gente speciale. È alla portata di tutti, anche nostra. Basta accettare di uscire da sé e farsi pellegrini, compagni dei fratelli, senza troppe sicurezze e pesanti pregiudizi, pronti a poggiarsi sulla Parola di Dio. Quante volte, chiediamoci ad esempio, parliamo del Vangelo con altre persone, o raccontiamo del nostro incontro col Signore? Siamo avari e timorosi di farlo, come fosse scortese e inopportuno, ma se siamo convinti che questo è veramente il cuore e il bello della nostra vita, come evitare di dirlo nelle situazioni “opportune e inopportune”, come ci invita a fare l’Apostolo?

Il racconto evangelico di oggi si conclude con la descrizione dei frutti dell’annuncio: cambiamento di vita, liberazione dal male, guarigione. Quei discepoli riuscirono a compiere genti straordinari perché erano portatori non di sé stessi, ma, come dice Paolo, si sono lasciati adottare da Dio e ne hanno ricevuto in eredità la potenza di una parola forte che cambia la realtà.

A noi, fratelli e sorelle, prendere sul serio l’invito di Gesù, uscire da noi stessi e compiere i miracoli di bene e di misericordia di cui quelli che incontriamo hanno spesso un bisogno grande.

  

Preghiere 

  

O Signore Gesù, accompagnaci sulle vie della vita perché possiamo seguire te e non la sapienza di questo mondo,

Noi ti preghiamo

  

O Dio fa’ che usciamo da noi stessi per farci pellegrini come Gesù. Aiutaci ad incontrare i fratelli e le sorelle con il desiderio di essere assieme a loro la tua famiglia,

Noi ti preghiamo

 


Aiutaci o Gesù a non disprezzare nessuna persona, per quanto umile o peccatrice sia, ma ad operare perché per ognuno si realizzi l’incontro con te che cambia e salva la vita, 

Noi ti preghiamo

  

Aiutaci o Dio ad essere testimoni credibili e autentici del vangelo, capaci di viverlo con semplicità e fiducia. Fa’ che vedendo come ci amiamo tutti comprendano che siamo tuoi discepoli,

Noi ti preghiamo

 

Aiuta o Signore chi è povero e indifeso: le vittime della guerra e della violenza, specialmente in Africa, Medio Oriente, Europa Orientale, chi è malato o anziano, chi è senza casa, prigioniero, debole. Dona a tutti la tua pace,

Noi ti preghiamo

  

Proteggi i cristiani ovunque nel mondo, specialmente in Nigeria, Pakistan, Iraq, Siria, e ovunque sono perseguitati e uccisi. Fa’ che il loro martirio sia come un seme da cui nasca un futuro di pace per tutti,

Noi ti preghiamo.

martedì 6 luglio 2021

XIV domenica del tempo ordinario - Anno B - 4 luglio 2021

 




Dal libro del profeta Ezechiele 2, 2-5

In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”. Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genia di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro».

 

Salmo 122 - -I nostri occhi sono rivolti al Signore.

A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.

 

Come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.

 

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12, 7-10

Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Lo Spirito del Signore è su di me:
mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 6, 1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci parla dello stupore, e ne presenta due aspetti diversi. Dapprima infatti espone l’atteggiamento stupito dei familiari e compaesani di Gesù davanti alle sue parole e ai segni che compie, e poi, al termine, lo stupore di Gesù davanti alla reazione incredula e diffidente di quelle stesse persone.

I compaesani di Gesù si stupiscono dell’insegnamento che lui espone alla gente radunata nella sinagoga, che probabilmente lo ha visto fin da bambino partecipare alla preghiera, ma il loro meravigliarsi è pieno di fastidio perché il suo pensiero e agire si discosta dalla tradizione del villaggio, dal modo di pensare condiviso da tutti.

È la reazione di fastidio per la novità del Vangelo che istintivamente coglie la gente e che spesso accompagna la sua predicazione. Anche noi a volte infatti ci stupiamo di un vangelo che si discosta così paradossalmente dal buon senso e da ciò che è scontato. Il Vangelo infatti non è mai una benedizione acquiescente del già esistente, né tantomeno un aggiustamento di compromesso, e davanti alla realtà esso si pone sempre come un segno di contraddizione e una domanda di cambiamento, e questo suscita stupore.

Ma poi quello stupore diventa fastidio per la pigrizia spirituale del conservatorismo; i compaesani di Gesù non riconoscono più quel figlio della loro terra, e non si riconoscono più nelle sue parole e comportamenti, ma questo è sempre vero per chi ascolta il Vangelo. Esso infatti non è lo specchio che riflette il mondo, la realtà così come è, ma piuttosto è come una lente che cambia la visuale, fa mettere a fuoco tanti dettagli che nella confusione sfuggono e restituisce la visione vera della realtà non più sfocata o deformata dal nostro individualismo egocentrico.

Questa immagine del mondo osservato attraverso la lente del vangelo è più vera di quella che noi sappiamo avere da noi stessi, perché è come Dio lo vede e come lo vorrebbe: migliore, abitato da gente più misericordiosa e umana, meno aspra ed egoista, ecc… Davanti a questa immagine però che il Vangelo ci offre del mondo reagiamo stupiti e infastiditi, non la riconosciamo, fino a rifiutarla.

Davanti a questo rifiuto anche Gesù si stupisce: “si meravigliava della loro incredulità.” È la meraviglia piena di tristezza davanti al rifiuto orgoglioso di chi non sa che farsene della salvezza che Gesù è venuto a portare. Sì, quella gente crede di sapere già di cosa ha bisogno, come va la vita e cosa desiderare. Ha la certezza delle proprie idee e convinzioni. Perché dovrebbe accettare un vangelo nuovo, quando ne ha uno che gli si adatta a pennello? Perché cambiare, quando la realtà così come è li soddisfa? A che scopo cambiare idea se si è convinti di sé? Eppure le prime parole della predicazione di Gesù: “Convertitevi e credete al Vangelo” hanno messo bene in chiaro che proprio il cambiare modo di vedere e pensare è la prima cosa che Gesù propone e chiede.

Il Signore è stupito davanti a tanta durezza e diffidenza, proprio da parte di coloro che per la familiarità che avevano con lui da lungo tempo avrebbero dovuto fidarsi e lasciarsi toccare dalle sue parole. Ma non basta la familiarità, dice Gesù: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua” Spesso anche per noi la familiarità con Gesù, col Vangelo e con le cose della fede ci portano a prenderle come conoscenze scontate che ormai non ci chiedono più di cambiare prospettiva e comportamento. Piuttosto le adattiamo perché assomiglino a noi, senza sforzarci invece di essere noi ad assomigliare a loro.

L’Apostolo Paolo nella seconda lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato riprende questo tema e fa un’affermazione che risuona paradossale: la debolezza è la sua vera forza. È il paradosso della fede cristiana: Gesù fatto uomo, umiliatosi cioè fino a perdere le prerogative divine, fino a farsi uccidere in croce, è salvezza del mondo, lui che non ha saputo nemmeno salvare se stesso! E la debolezza della carne, a cui Paolo fa cenno, lo rende più vulnerabile al vangelo, meno sicuro di sé e forte delle proprie certezze.

L’apostolo parla di una “spina” che lo punge nella carne e costituisce una memoria costante della sua debolezza. Anche noi in questo tempo segnato così pesantemente dalla malattia abbiamo imparato a convivere con la “spina” della pandemia, cioè con il segno della debolezza a cui ciascuno di noi è soggetto. Questa “spina” deve costituire una spinta a farci forti di un potere più grande che la malattia non può intaccare, che è quello del voler bene, della solidarietà e della cura reciproca, a partire dai più deboli, e a farne il fondamento di un nuovo modo di vivere. Infatti non possiamo sperare che tutto torni come prima, sarebbe irresponsabile e ingiusto. Bisogna invece sperare che la morte e la malattia di tanti abbia un senso, nella direzione cioè della rifondazione di una società più “sana” e giusta nelle sue fondamenta.

Invece di essere affezionati a come siamo, lasciamoci attrarre dal volto bello, umano e misericordioso che Dio vuol farci scoprire specchiandoci nel suo Vangelo. Accostandoci con fiducia a Gesù, alle sue parole e ai segni che compie nella storia, scopriamo la bellezza di cambiare e di divenire più simili a lui. Paolo parla di una forza, frutto del riconoscerci poveri e bisognosi e riempiti per questo dalla grazia del Signore che non si fonda su quanto già è noto e scontato, ma sul desiderio di essere discepoli suoi e non di se stessi.

 

 

Preghiere  

 

O Signore ti ringraziamo perché ci insegni a non confidare nella forza e nella grandezza degli uomini, ma ci inviti a farci come te: umili servitori e fratelli generosi,

Noi ti preghiamo

 

 Aiutaci o Dio a non disprezzare la novità del vangelo e a non preferire ciò che già conosciamo e sappiamo della vita. Aiutaci a cercare per tutta la vita,di essere discepoli che seguono te, e non noi stessi,

Noi ti preghiamo

 

O Padre onnipotente ti preghiamo per tutti coloro che sono nel dolore e soffrono per la durezza della vita: per chi è anziano e malato, per i prigionieri e i senza casa, per chi è profugo in terra straniera: salva e consola tutti,

Noi ti preghiamo

 

Suscita in noi o Signore un cuore di carne, capace di compassione e misericordia, perché sappiamo restituire il tanto ricevuto con generosità e affetto,

Noi ti preghiamo

 


Proteggi e guida o Dio tutte le famiglie dei tuoi discepoli che ogni domenica si riuniscono attorno alla mensa della parola e dell’eucarestia, perché siano testimoni di un vangelo che dà vita e speranza,

Noi ti preghiamo

 

 

Sostieni o Signore Gesù chi è abbattuto e senza speranza, fa che l’incontro con te risorto sia per ciascuno occasione di conversione e ritorno a Dio,

Noi ti preghiamo.

 

venerdì 2 luglio 2021

Preghiera del 1 luglio 2021 - Mc 1,12-13


Mc 1,12-13

"E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano."

Commento

L’evangelista Marco, a differenza del vangelo di Luca (cap. 4) descrive il passaggio di Gesù nel deserto all’inizio della sua vita pubblica di annuncio del Vangelo con due brevissimi versetti, sintetici ma molto densi di significato.

Per prima cosa Marco (ma anche Luca) sottolineano che Gesù va nel deserto “sospinto” dallo Spirito Santo. È un’espressione forte, direi fisica di un impulso irresistibile che lo Spirito imprime alla persona di Gesù. Questo significa che Gesù va nel deserto non per mettere alla prova se stesso, per dimostrare il suo valore, o per spavalderia o curiosità, ma ci va perché vi è irresistibilmente spinto dall’amore. Poteva evitarlo, ma lo Spirito, l’amore, gli impone di non risparmiarsi questa esperienza difficile, aspra. Il deserto infatti è il luogo inospitale per eccellenza, inadatto alla vita, per l’aridità e le temperature estreme, pericoloso, pieno di insidie per la vita, umana, vegetale e animale, senza punti di riferimento, privo di bellezza e attrattività, ecc… Ad esso si contrappone la terra fecondata dall’acqua, rigogliosa, nella quale si vive bene, dal clima mite e temperato, dove si è protetti e confortati, dove la vita è favorita e può sviluppare agevolmente tutte le proprie possibilità.

Le parole di Marco all’orecchio di un ebreo non potevano non risultare evocative: 40 giorni nel deserto richiamano immediatamente l’esperienza dell’esodo di Israele dalla schiavitù d’Egitto verso la terra promessa, ricca e ospitale. Come a dire che Gesù, come ogni uomo, non può sfuggire dalla schiavitù del male se non attraverso un passaggio lungo e difficile nel deserto. Esso infatti è terra di lotta con il male e per Gesù terra di vittoria su Satana. Il tentatore, il divisore da Dio e dagli uomini, infatti mette alla prova Gesù in vari modi (ce lo descrive bene Luca). Egli però non è presente solo nel deserto, ma scorrazza liberamente in ogni dove, ma nel deserto si vede, è facilmente individuabile, perché assume le sue forme estreme, si manifesta chiaramente e pienamente in tutta la sua forza. Altrove, nella terra confortevole, egli c’è e agisce ugualmente, ma è più mascherato, diventa accettabile, quasi banale, insinuato fra le pieghe della normalità del vivere quotidiano, nella banalità delle sue forme che divengono naturali, scontate, normali. Difficilmente lo individuiamo e lo isoliamo dalle sue lusinghe e maschere accattivanti. Nel deserto invece tutto è più netto: bene e male, luce e ombra, buono e cattivo. La luce è forte e le ombre nette, la precarietà della vita la rende ancora più sensibile a ciò che la favorisce e ciò che la ostacola. Per questo è nel deserto che si può combattere e vincere il male, dove esso si manifesta in tutta la sua crudezza e nudità. Altrove lo accettiamo come normale.

Nel deserto, dice Marco, ci sono le bestie selvatiche e gli angeli. Cioè il male è selvatico, come dicevo già, perfettamente adattato all’ambiente, ma anche il bene si vede e opera, attraverso gli angeli. Quanto detto del male infatti vale anche per il bene. Nel deserto gli angeli si vedono, operano, sono pronti al fianco di chi ha bisogno di soccorso. Nel resto del mondo anche essi sono banalizzati, come mascherati dalle illusioni della propria forza, capacità, astuzia ed esperienza. Si fa più facilmente ricorso alle proprie capacità che all’aiuto di Dio, ed anche quando questo è offerto si fa più fatica a riconoscerlo, perché sembra un diritto acquisito, qualcosa di scontato, nelle cose.

Cosa è il deserto? Dove lo viviamo? In alcune eccezionali situazioni estreme?

No, il deserto è la vita vera, così come essa è, spogliata dalle illusioni e mascheramenti che la rendono un’oasi confortata e sicura per pochi, che attutiscono i colpi, che attenuano le luci e le ombre, che stemperano le tinte forti in sfumature più o meno gradevoli, ma comunque accettabili, che mescolano il male e il bene in un modo tale che si fa fatica a distinguerli e a identificarli con chiarezza. Senza le illusioni e mascheramenti la vita si manifesta per quello che è: una lotta fra il bene e il male che chiede in ogni momento di prendere posizione, per non soccombere alla sua forza. Il deserto è la vita concreta, vera, nelle sue componenti autentiche e non filtrate dal proprio benessere che giustifica, dalla pigrizia che rende accettabile tutto, dalla sordità che stempera i toni e fa sentire solo la propria voce. Il deserto è la condizione continua della vita di Gesù. Gesù rimane nel deserto sempre, la sua vita è sempre di lotta, per stabilire la vittoria della vita contro tutto ciò che la minaccia e calpesta, per offrire guarigione, salvezza, perdono, in una terra opulenta per pochi e malata, disperata, maledetta per moltissimi.

È nel deserto che la parola di Gesù risuona netta e cristallina, autorevole e forte, piena dell’energia e della potenza di Dio e del suo Spirito di amore. Nella terra confortata e opulenta essa è attutita, ovattata dal brusio di fondo, dalle melodie accattivanti dell’ordinarietà. È nel deserto che i gesti di Gesù sviluppano tutta la loro forza salvifica perché agiscono direttamente contro il principe del male e lo sconfiggono, mentre nella terra confortata e opulenta esse sono continuamente ostacolate, deviate dalle mille eccezioni, i distinguo, il fastidio sordo e resistente che respinge tutto ciò che è eccessivo, fosse pure l’amore di Dio, il suo Spirito.

Gesù fuori dal deserto è impotente, è tacitato, esautorato. Nei palazzi del potere, quello di Erode e di Pilato, tace, è inerme e passivo. È nella terra arida del peccato che il suo potere recide le radici del male e dona la salvezza.

Le parole di Marco quindi risuonano per noi oggi come un invito a vivere nel deserto e a non indugiare nelle vie del mondo confortato e opulento, ovattato, difeso, protetto e privilegiato. Bisogna vivere nel deserto per conoscere Gesù e stare con lui, per far propria la sua lotta e il suo potere di guarigione, salvezza e perdono.