venerdì 1 febbraio 2013

IV domenica del tempo ordinario - 3 febbraio 2013


Dal libro del profeta Geremia 1,4-5.17-19

Nei giorni del re Giosìa, mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, alzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».


Salmo 70 - La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza.

In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio e salvami.

Sii tu la mia roccia, una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!
Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio.

Sei tu, mio Signore, la mia speranza,
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno.

La mia bocca racconterà la tua giustizia,
ogni giorno la tua salvezza.
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 12,31-13,13

Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino. Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!

 Alleluia, alleluia alleluia.

Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione.

Alleluia, alleluia alleluia

 Dal vangelo secondo Luca 4,21-30

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarèpta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, l’episodio che ci ha raccontato dall’evangelista Luca ci porta a Nazareth, il villaggio in cui era nato e cresciuto Gesù. In quel luogo egli era ben noto, tutti lo conoscevano fin da quando era piccolo, si può dire che sapevano tutto di lui. Ma ora egli vi tornava dopo un po’ di tempo, ci dice Luca, ed è preceduto da una grande fama. Gesù è diventato famoso, si parla di lui ovunque e con ammirazione: “la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano gloria.” Potremmo dire che Gesù entra nel suo villaggio come un uomo arrivato: ha raggiunto successo e notorietà, non gli mancheranno i mezzi per vivere una vita agiata, se sa usare bene ciò che ha ottenuto.

Questo avrà pensato la gente di Nazareth ascoltando il loro compaesano. Tutti infatti sono pieni di ammirazione per lui, magari anche con una punta di invidia. Infatti ciò a cui egli è arrivato era quello che ciascuno di loro avrebbe desiderato per sé. È quella spontanea invidia che si prova per tutti quelli che hanno raggiunto fama e successo, nonché un certo benessere: egli sicuramente è felice, perché non si deve più preoccupare di niente, può fare a meno di tutti. Non è forse quello che sogniamo anche noi, l’augurio che ci facciamo o anche la preghiera che rivolgiamo a Dio?

Gesù intuisce questi sentimenti nelle persone che ha davanti e infatti dice: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: Medico cura te stesso”. Gesù da’ voce a un’idea molto semplice e comune: beato te che ora puoi pensare a te stesso senza doverti preoccupare degli altri. Si pensa che questa infatti sia la felicità e il traguardo della vita: essere autosufficienti, e i suoi compaesani potevano desiderare che lui si degnasse di condividere con loro un po’ del suo successo e fortuna: “Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria”. Dopo quello dell’ammirazione per chi ha successo, questo è il secondo pensiero comune che Gesù svela, e cioè il fatto che innanzitutto bisogna pensare ai propri, siano essi i parenti, i vicini, i compaesani, quelli più simili e naturalmente affini a sé.

Gesù fa emergere questi pensieri che nessuno aveva espresso, pur avendoli tutti nel proprio cuore, perché, allora come oggi, sono così scontati che ci sembrano naturali e quasi necessari.

La parola di Dio infatti, per chi la ascolta con attenzione, ha questa forza di svelarci il nostro pensiero, di porlo davanti a noi nella sua crudezza, a volte anche un po’ banale. Ma tanti pensieri che ci vengono naturali e spontanei perdono la loro ingenuità innocua se messi a confronto con la parola di Dio e rivelano la loro natura figlia del male che si fa strada dentro di noi in modo nascosto. Così è di questi due pensieri che Gesù rivela: l’ammirazione e l’invidia per il successo e il pensare innanzitutto a sé e ai suoi.

Gesù esprime chiaramente il fatto che lui non condivide questi pensieri, anzi, il suo modo di vedere è quello espresso nel brano di Isaia che aveva appena letto nella sinagoga e che, egli afferma, si compie nella sua vita. Esso è esattamente il contrario di quello della gente che ha difronte. Il profeta parla dell’inaugurazione di un tempo nuovo, tempo dello Spirito, cioè dell’amore, tempo della pienezza e della realizzazione del massimo a cui ciascuno può aspirare. Ma al contrario dell’idea di successo personale, esso si caratterizza per il fatto che centro della vita e dell’azione non sono io, ma gli altri, e non “i miei”, quelli del mio gruppo e della mia famiglia, ma quelli che hanno più bisogno di essere liberati dal giogo della povertà, di tornare a vedere un futuro per sé in una esistenza schiacciata dall’oppressione. È quel primato della carità di cui parla anche san Paolo, che viene prima di tutto perché realizza la pienezza della vita: “E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe”.

Ma quello che appare ancora più rivoluzionario, e che i compaesani di Gesù non sopportano, è la proclamazione che queste non sono solo parole, un programma bello ma irrealizzabile. Finché è così infatti nessuno si rifiuterebbe di sottoscriverlo, non costa nulla e si fa bella figura. No, Gesù sottolinea che questo tempo nuovo si è inaugurato ed è realizzato nella sua persona, cioè che si può vivere veramente così e c’è qualcuno che già lo fa. E’ questa la forza dirompente delle parole di Gesù che provocano la reazione sdegnata di quelli che lo ascoltavano.

Anche noi restiamo turbati da questa affermazione che il vangelo non è solo un’utopia bella ma troppo difficile, bensì qualcosa che è alla portata di chiunque lo voglia vivere.

Questo fastidio fa sì che il Signore Gesù se ne vada dalla nostra vita, come fece a Nazareth, vi passa in mezzo, ma è come se non ci fosse, se ne va oltre, non si piega ad una riduzione minimalista, non accetta compromessi facili. La Parola di Dio è libera, scende su di noi ma non è prigioniera, ci vuole attrarre a sé ma non a tutti i costi.

Ma chi invece accetta di vivere la priorità della carità di cui parla Paolo fa sì che il Signore non passi via dalla propria vita, ma si fermi e ci apra alla fede che, sempre secondo l’apostolo, è come il frutto della pratica dell’amore per il fratello e la sorella, specialmente i più deboli.

Accogliamo allora l’invito che ci giunge oggi dalle parole di Gesù a non lasciarci scoraggiare dalla difficoltà di vivere il Vangelo, ma a seguire con semplicità e fedeltà il suo esempio che ci dice che è possibile farlo perché lui per primo percorre la via dell’amore attirandoci a seguirlo.

 
 

Preghiere

 
O Signore che vieni e visiti la nostra vita, non ti sdegnare per la scarsa accoglienza che diamo alle tue parole, ma aiutaci ad essere discepoli fedeli del Vangelo.

Noi ti preghiamo

  

O Padre che hai mandato tuo figlio per la salvezza di tutti gli uomini, fa’ che impariamo a seguirlo senza incertezza, perché vivendo la carità con i fratelli impariamo anche a vivere la fiducia in lui.

Noi ti preghiamo

 
Signore ti preghiamo per tutti coloro per i quali tu annunci un tempo nuovo di perdono e salvezza: per i malati, i sofferenti, i poveri. Fa’ che giunga presto la guarigione e la consolazione che tanti invocano da te.

Noi ti preghiamo

  

Signore Gesù che non hai scelto di amare solo la piccola cerchia dei tuoi ma che hai allargato l’orizzonte della salvezza all’umanità intera, aiutaci a imitarti divenendo capaci di voler bene a tanti e di desiderare un futuro migliore per tutti.

Noi ti preghiamo

 

Manda il tuo Spirito o Signore perché il mondo sia liberato dall’odio e dall’egoismo ed ogni uomo e donna sappia essere fratello e sorella di chi gli sta accanto.

Noi ti preghiamo

 

Ti preghiamo o Signore di sostenere la fatica di coloro che annunciano il Vangelo. Aiutali a continuare con perseveranza e fa’ di noi testimoni credibili che è possibile vivere il vangelo e cambiare la vita.

Noi ti preghiamo.

 

Ti invochiamo o Signore, manda il dono della pace in tutti quei luoghi in cui infuria la violenza della guerra: in Siria, in Mali, e ovunque. Soccorri le vittime della mano violenta che si alza sul fratello.

Noi ti preghiamo

 
O Padre ti chiediamo di sostenere tutti coloro che ti cercano anche senza sapere come trovarti. Fa’ che l’annuncio del Vangelo e la testimonianza dei discepoli li attirino a te unico e vero amico di tutti gli uomini.

Noi ti preghiamo

 

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