sabato 30 giugno 2018

XIII domenica del tempo ordinario - Anno B - 1 luglio 2018





Dal libro della Sapienza 1,13-15; 2,23-24
Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono.

Salmo 29 - Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.

Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 8,7.9.13-15
Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa.  Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.  Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».

Alleluia, alleluia alleluia.
Cristo Gesù ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 5, 21-43
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando [dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: alzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato dal vangelo di Marco un episodio della vita di Gesù che racchiude due grandi miracoli: la guarigione della donna emorroissa e la resurrezione della giovane figlia di Giairo. Sono due situazioni molto diverse da tanti punti di vista, ma all’origine di tutti e due gli episodi c’è la fiducia ingenua di due persone. Nel primo caso si tratta di un padre, una persona importante che rivestiva il ruolo prestigioso di capo della sinagoga, il quale non ha vergogna di gettarsi ai piedi di Gesù, di farsi piccolo e umile per implorare il suo aiuto per la figlia gravemente malata. Nel secondo caso invece una donna malata cerca di toccare il lembo del mantello di Gesù, nemmeno spera di potergli parlare, ma è convinta che questo la farà guarire. Tutte e due queste persone rivelano una grande umiltà: non pretendono di essere ascoltate per la loro importanza, o perché ne hanno diritto ma implorano come mendicanti l’attenzione di Gesù. Il vangelo ci propone il loro atteggiamento come quello del vero credente e discepolo. San Paolo nella lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato dice come Gesù lui per primo è stato umile: “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.” Con queste parole l’apostolo ci aiuta a capire il vero significato dell’umiltà di Gesù. Il suo non è l’atteggiamento di chi si fa piccolo davanti a chi è importante o potente per ricavarne un vantaggio. L’umiltà del Signore è frutto dell’amore per gli uomini, è un chinarsi verso di noi per farsi vicino a noi. Il capo della sinagoga e la donna malata si chinano davanti a Gesù non per paura di un Signore potente ma anzi, proprio perché hanno fiducia in lui non hanno vergogna di mostrare il loro bisogno, la loro piccolezza e miseria. Essi ci insegnano l’atteggiamento con il quale stare davanti al Signore. Tante volte noi, al contrario, nascondiamo agli altri il nostro bisogno, ci mostriamo forti e indipendenti da tuti. Non ci piace essere umili perché ci sembra di perdere di autorevolezza e di esporci al rischio di essere prevaricati. Nei nostri rapporti con la gente stiamo attenti a non fare più di quanto siamo tenuti a fare e a non mostrarci remissivi. Ma il Signore ha detto “siate come me che sono mite e umile di cuore”. L’umiltà ci rende simili a Gesù, è segno di vicinanza a lui che è modello di umanità perfetta.
A questo loro atteggiamento fa riscontro l’irrisione e lo scetticismo di chi sta loro  attorno. Il vangelo la definisce col nome di “folla”, cioè massa confusa, senza nome né volto. Dentro la folla non si sa essere umile, perché si è attenti a non lasciarsi superare dall’altro, ci si fa strada sgomitando e si resta a galla come in un mare agitato. Per questo irridono il capo della sinagoga e gli dicono impietosamente: ormai tua figlia è morta, che stai ad agitarti tanto, ci perdi anche di dignità. A Gesù che cerca la donna che lo ha toccato i discepoli rispondono ironici dicendo che è inutile cercare perché nella calca vincono sempre l’anonimato e la confusione. Ma né Gesù, né Giairo e neppure la donna malata si lasciano assorbire dalla confusione anonima della folla, ma si incontrano e parlano, si guardano, vivono un rapporto di amicizia e interesse reciproco sincero.
È quello che succede anche a noi ogniqualvolta usciamo dalla confusione anonima della folla per incontrare Gesù personalmente, faccia a faccia, e questo diventa possibile solo se siamo umili.
Il miracolo della guarigione della donna e della resurrezione della giovane figlia di Giairo avvengono senza che la folla se ne accorga, per loro le cose vanno come devono andare, come sempre. Infatti ad essa non interessa notare il bene che si realizza, ignorano persino il miracolo che si realizza. Solo chi è umile e non si fa grande orgogliosamente si accorge del bene che c’è e sa farsene coinvolgere. Anche noi troppo spesso viviamo avvolti nella folla e non ci accorgiamo dei piccoli e grandi miracoli di amore. Avvengono accanto a noi, ci sfiorano, ma noi siamo troppo presi dallo spintonarci a vicenda nella folla da accorgercene.
Uscire dalla folla non è impossibile: basta umilmente cercare Gesù, ascoltarlo, accostarsi al lembo del suo mantello che sono i poveri, la parte più bassa della società, sfiorare la loro vita. Ci accorgeremo così della forza di bene che promana da lui, della guarigione e della gioia che riempie chi lo incontra, della vita nuova che è donata a quella fanciulla di cui tutti dicevano: è inutile fare niente, tanto è morta.
Fratelli e sorelle, ogni domenica il Signore passa accanto a noi, si fa vicino e disponibile. A noi sta non restare confusi nella folla distratta e agitata dai suoi pensieri, a noi sta non restarcene per conto nostro, isolati, a noi sta chinarci umilmente ai suoi piedi, come Maria, per ascoltare le sue parole e farci guarire da lui le ferite del nostro egoismo e indifferenza. Non ci preoccupiamo se qualcuno accanto a noi può ironizzare o sentirsi superiore, perché quello che conta è che il nostro cuore sarà rinnovato dalla forza buona di una nuova vita che Gesù ci dona.


Preghiere 

O Signore Gesù che ti sei chinato fino a noi facendoti uomo per la nostra salvezza, aiutaci a non vivere orgogliosamente pieni di noi stessi, ma umilmente e con mitezza.
Noi ti preghiamo


O Padre che ci ami di infinita bontà, accogli noi tuoi figli nonostante il peccato, la freddezza e la distanza da te. Aiutaci ad essere umili discepoli del vangelo per incontrarti vivo e pronto a soccorrere ogni uomo.
Noi ti preghiamo




Gesù ti chiediamo di guarire le infermità della nostra vita: la durezza di cuore, l’egoismo, l’infedeltà, il poco amore. Fa’ che accostandoci a te umilmente la nostra vita sia trasformata.
Noi ti preghiamo


Ti ringraziamo Signore per tutti i miracoli di amore che compi accanto a noi: per la consolazione che doni agli afflitti, la guarigione dei malati, il perdono dei peccati e il sostegno ai deboli. Fa’ che tutti sappiamo esserti grati per ognuno di essi.
Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Signore Gesù per i cristiani del Medio Oriente e per i loro rappresentanti che si riuniranno con papa Francesco a Bari per pregare e riflettere su quella parte del mondo così travagliata da guerre e violenza.. Dona loro la protezione del tuo amore che scioglie ogni difficoltà.
Noi ti preghiamo


Ti invochiamo o Signore per la salute dei malati. Guarisci il cuore e il corpo di chi soffre perché la forza del tuo amore sia proclamata in ogni luogo dove la morte e il dolore sembrano vincere.
Noi ti preghiamo.

sabato 23 giugno 2018

Festa natività di Giovanni Battista - Anno B - 24 giugno 2018





Dal libro del profeta Isaia 49,1-6
Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all’ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio». Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele – poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza – e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». 

Salmo 138 - Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda. 
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie.

Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre.
Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda.

Meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l’anima mia.
Non ti erano nascoste le mie ossa +
quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.

Dagli Atti degli Apostoli 13,22-26
In quei giorni, [ nella sinagoga di Antiochia di Pisidia, ] Paolo diceva: «Dio suscitò per i nostri padri Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri”. Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele. Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”. Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza».

Alleluia, alleluia alleluia.
Dice Gesù: fra i nati da donna,
nessuno è più grande di Giovanni
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Luca 1, 57-66. 80
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante si aprirono la sua bocca e la sua lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Commento

Cari fratelli e care sorelle, celebriamo oggi la festa della nascita di Giovanni Battista, persona di grande importanza nella storia di Gesù, che segna per certi versi il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Infatti la sua nascita, così come ci viene raccontata nel brano del Vangelo di Luca appena ascoltato, richiama le vocazioni dei profeti, e tale Gesù stesso lo considera (Mt 11,9); anche il rito del battesimo con acqua che Giovanni propose alle folle sulle rive del Giordano richiama i riti di purificazione già presenti nell’ebraismo contemporaneo; persino il suo stile di vita, austero e lontano dai centri abitati, lo accosta ai personaggi dell’Antico Testamento, quali ad esempio il profeta Elia (Lc 1,17).
Allo stesso tempo però Giovanni è il primo che riconosce in Gesù il Messia tanto atteso da Israele e ha coscienza che il suo ruolo è quello di semplice preparatore di un tempo nuovo che è inaugurato dalla persona del Maestro di Galilea.
Giovanni dunque è allo stesso tempo profondamente inserito nello spirito e nella fede di Israele, ma questa sua identità così forte non gli impedisce di aprirsi alla novità sconvolgente della fede cristiana. È questo forse il primo elemento che ci fa riflettere nella vicenda narrata nel Vangelo di oggi. Il radicamento nella propria tradizione di fede è vero proprio nel momento in cui sa andare oltre il già conosciuto e l’abituale, proprio perché è docile alle indicazioni dello Spirito che schiude nuovi orizzonti e nuove prospettive. È quello che il Vangelo ci chiede ogni volta che viene proclamato o semplicemente che viene messo a confronto con la realtà storica che cambia.
È quello che avviene nel racconto della scelta del nome da dare al neonato, Giovanni: tutti sono stupiti, perché i genitori non gli attribuiscono, come era consuetudine, un nome “di famiglia” ma uno estraneo alla cerchia tradizionale. La scelta non è stata facile. Sappiamo che l’arcangelo Gabriele era apparso al padre di Giovanni, Zaccaria, e glielo aveva proposto, ma proprio la novità di una nascita così inattesa e “impossibile” secondo i canoni della legge naturale, per via dell’età avanzata dei genitori, aveva suscitato la diffidenza di Zaccaria stesso, che per questo era rimasto muto. Un tradizionalismo che non sa accogliere la novità che il Signore porta nella vita degli uomini rende muti, cioè incapaci di comunicare la gioia della fede ad alcuno. Perché il tradizionalismo porta a chiudere il cuore e a scegliere per la sottomissione rassegnata alla forza “naturale” del corso degli eventi. Ma Dio ha dimostrato come la sua presenza rende tutto possibile, anche ciò che è naturalmente impossibile e fuori dagli schemi. È quello che vediamo accadere quando alcune esperienze di fede, sia personali che comunitarie, si rinchiudono in una ripetizione scontata e abitudinaria del passato e di se stesse: proprio per questo esse divengono incapaci di comunicare la vera bellezza della fede che è sempre portatrice di un vento di novità nella storia e che rende possibile trasformarla. Dio infatti è re della storia e non suo prigioniero, e tale vuole che sia anche l’uomo.
Alla fine, quando Zaccaria diviene docile al soffio dello Spirito e accetta la novità di quella nascita così straordinaria, ecco che ridiviene capace di comunicare e prorompe nel canto di gioia: “Zaccaria, suo padre, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo: "Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi un Salvatore potente nella casa di Davide, suo servo” (Lc 1, 67-68). La storia appare ai suoi occhi trasformata radicalmente dalla volontà di salvezza di Dio che agisce in essa con la libertà e la forza del suo amore.
Cari fratelli e care sorelle, Giovanni oggi vuole nascere nella vita di ciascuno di noi e darci il suo nome: che significa “Dio ha avuto misericordia" o anche "dono del Signore", perché la misericordia di Dio si manifesti anche nel nuovo corso della vita che il Signore sogna per ciascuno di noi. Non più prigionieri delle tradizioni individuali, delle scontatezze, del “si è sempre fatto così”, ma docili al soffio dello Spirito che suscita il desiderio di vedere la realtà cambiare.
Chi sa far suo il nome di Giovanni e il suo spirito suscita interesse e stupore in chi sta accanto, come avvenne per i fatti descritti nel vangelo di oggi, tanto che “Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?»” Sì, l’atteggiamento, lo sguardo, le parole del cristiano che accoglie la novità del Vangelo suscita attenzione e stupore in tutti, perché porta la nascita di una novità di vita. È ancora bambina, debole e fragile, ma viva. È quello a cui ciascuno di noi è chiamato e il Battista incarnò con tutta la sua esistenza questo saper essere segno della vera novità che veniva, Cristo, e proprio per questo con il suo esempio e parola seppe prepararne la venuta nei cuori di molti.

Preghiere 

O Signore Gesù che hai scelto Giovanni perché aprisse la strada alla tua venuta nel mondo, rendi anche noi capaci di aprire alla tua Parola i cuori di chi incontriamo.
Noi ti preghiamo.


O Dio che mandi il tuo Spirito a fare nuove tutte le cose, rinnova le nostre vite, rendile feconde, capaci di parlare di te e di compiere le opere che hai preparato per noi.
Noi ti preghiamo.



O Signore Gesù che hai chinato il capo per ricevere da Giovanni il battesimo, rendici umili e miti di cuore, pronti a seguire la via che tu ci indichi.
Noi ti preghiamo


O Padre del cielo, benedici quanti agiscono nel mondo per realizzare la pace e la fraternità fra gli uomini. Proteggili dal male e guidali fino alla realizzazione del tuo Regno di giustizia e amore.
Noi ti preghiamo



Ti preghiamo o Signore, suscita in noi uno spirito di coraggiosa audacia perché sappiamo sempre essere testimoni del tuo amore per tutti, specialmente i più deboli, gli stranieri, i dimenticati, i sofferenti.
Noi ti preghiamo


O Dio, guida i passi del nostro papa Francesco, proteggilo da chi vuole confonderlo e indebolirlo, rafforza la sua testimonianza della gioia irresistibile del Vangelo vissuto.
Noi ti preghiamo.

Preghiera - Matteo 8,5-13





Gesù lasciata Nazareth sceglie di fermarsi a Cafarnao, capitale della Galilea, e di qui annuncia che il regno di Dio è vicino. Proprio per dare forza a queste sue parole egli compie una serie di miracoli, di cui uno è raccontato nel brano che abbiamo appena ascoltato.
Si avvicina a lui un centurione, un uomo che incarna in sé stesso il massimo dell’estraneità: come indole e modo di vita, infatti è un soldato abituato alla violenza; politicamente, poiché è parte della potenza colonizzatrice che opprimeva Israele; dal punto di vista religioso, è un pagano estraneo al culto e alle tradizioni d’Israele. Un muro separa il centurione da Gesù, ed è forse proprio quello che la gente pensa vedendo avvicinarsi il soldato al Signore: ecco arriva un nemico di cui diffidare, da cui difendersi.
Ma il racconto di Matteo descrive qualcosa di imprevedibile e inatteso: quello che si realizza non è uno scontro, né un evitarsi, ma un vero e proprio incontro, profondo e personale. Infatti il centurione cerca Gesù e gli va incontro per primo, ma anche Gesù esprime l’intenzione di andare incontro a lui e al suo mondo, affermando: “Io verrò” a casa tua. E il punto verso cui l’interesse di entrambi converge e che sconvolge ogni legge sociale e religiosa abbattendo impedimenti di carattere culturale e legale è un umile letto dove giace un servo, paralizzato e sofferente “terribilmente”, come tiene a specificare Matteo. Ancora una volta il fuoco di tutta la vicenda è costituito da una persona che è un estraneo a tutti gli altri protagonisti: non è un parente, non è una persona importante, non ha apparentemente niente che giustifichi tanto interesse da parte di un così grande capo militare e di un altrettanto grande capo religioso.
Quel letto di dolore è il luogo dal quale il soldato romano aveva tratto la forza interiore per superare tutte quelle differenze, ed è anche lo stesso a cui Gesù vuole arrivare. Senza quel letto il centurione non avrebbe mai intrapreso il cammino verso Gesù, non gli avrebbe parlato, non lo avrebbe incontrato e conosciuto. La fragilità di un debole malato, il suo dolore “terribile”, è il fulcro da cui si sprigiona un’energia che mette in moto un uomo potente, e Dio stesso. E questa energia che stravolge la realtà così come normalmente è, piena di distanze ed impedimenti, e piega la volontà dell’uomo e di Dio è la compassione per la debolezza. Questo è il primo miracolo! Ogni differenza, ogni diffidenza, ogni impossibilità è spazzata via dalla compassione.
Da questo primo miracolo sgorga il secondo fatto straordinario: la nascita della fede in una persona che non l’ha mai conosciuta e, in qualche modo, neanche cercata. Molto probabilmente quel romano sapeva assai poco della fede di Israele, ma ne ha ugualmente fatto suo il messaggio più profondo, e cioè: lasciarsi piegare dalla compassione per un debole e affidarsi alla compassione di Dio per il debole che ciascuno di noi è. Il centurione esprime questa sua fede nel suo dialogo con Gesù, un discorso che, apparentemente, non ha molto a che vedere con la religione, ma che rende evidente la comprensione profonda che il centurione matura di sé e di chi ha difronte.
Infatti, se l’incontro con il dolore del servo ha spalancato al centurione la coscienza della propria impotenza e debolezza davanti al male, nonostante il rilevante ruolo sociale e militare, il suo affetto per quel malato gli fa cercare Dio, anche senza saperlo. È quanto accade anche nel racconto del giudizio finale in Matteo 25. C’è un grande stupore da parte sia di quelli che Gesù chiama alla sua destra, come di quelli che pone alla sua sinistra: “Signore, ma quando mai ti abbiamo visto..?” È il paradosso di una fede che prima d'essere adesione a una verità, è amore praticato verso una persona fragile. Ed è quella compassione piena di affetto che fa nascere la fede, e senza di essa la fede è morta (cfr Gc 2,26). Possiamo dire che l’amore per quel servo ha reso il centurione familiare di Dio prima ancora di incontrarlo in Gesù, ed ora il fatto che il Maestro abbia accettato di recarsi a casa sua e di guarire il servo suscita in lui il desiderio che anche la propria debolezza e impotenza davanti al male sia sanata. Per questo riconosce con umile ammissione, davanti a tutti, la propria indegnità, senza temere di vedere diminuito il proprio ruolo sociale. “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.” Questa espressione è esemplare dell’atteggiamento di fede di chi, cosciente dei propri limiti e del proprio peccato, si prepara a ricevere Gesù nella propria esistenza perché operi il miracolo della guarigione, tanto che nella liturgia latina sono ripetute da tutti subito prima di ricevere il corpo di Cristo.
Gesù esprime il proprio stupore davanti alla fede del centurione, che non solo ha avuto compassione di un semplice servo sofferente, non solo si è fatto incontro a lui chiedendone la guarigione, ma ha messo tutta la propria esistenza nella mani del Signore, scoprendosi debole e bisognoso. Per Gesù è uno squarcio di regno di Dio che si è manifestato: “presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. … molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli.
Cari fratelli e care sorelle, quel Regno che Gesù è venuto ad inaugurare, è piccolo come un seme, dirà poco oltre Gesù, ma germoglia ogni volta che la debolezza di un povero ci muove a compassione e ci fa scoprire la nostra stessa personale debolezza e il nostro comune bisogno che sia Dio a guarirci entrambi. Facciamo nostri l’atteggiamento e le parole di quel centurione perché il Signore venendo a casa nostra guarisca i poveri e salvi la nostra vita.

sabato 16 giugno 2018

XI domenica del tempo ordinario - Anno B - 17 giugno 2018





Dal libro del profeta Ezechiele 17, 22-24
Così dice il Signore Dio: «Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò». 

Salmo 91/92 - È bello rendere grazie al Signore.
È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.

I1 giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.

Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità. 

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 5, 6-10
Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione - siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.

Alleluia, alleluia, alleluia.
Il seme è la parola di Dio, il seminatore è Cristo:
chiunque trova lui, ha la vita eterna
Alleluia, alleluia, alleluia.
   
Dal vangelo secondo Marco 4, 26-34
In quel tempo, Gesù diceva alla folla: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.   

Commento

Cari fratelli e care sorelle, l’Apostolo Paolo parla della nostra condizione attuale definendola un “esilio lontano dal Signore, finché abitiamo nel corpo”. Sì la nostra realtà è di persone appesantite da un attaccamento alla realtà fisica che ci frena nel nostro cammino verso Dio. Ma con l’espressione “abitare nel corpo” Paolo non indica solo la realtà fisiologica del nostro essere in vita in carne ed ossa, ma più in generale un modo di vivere  e di pensare che segue le leggi del vivere fisico.
Sono le abitudini e i modi di essere che hanno tutta la concretezza della materialità perché ci vengono da una mentalità che mette al primo posto le cose. È per esempio quell’istinto a difendere il proprio spazio fisico dalla presenza dell’altro, visto come un disturbo e un’intrusione, quando non addirittura un’indebita invadenza. Pensiamo a quanto si dice in questi giorni riguardo alla presenza degli immigrati fra di noi. Se ne giudicano i corpi ingombranti e fastidiosi perché occupano i giardini pubblici, forse anche oscuramente minacciosi, ma quanto ci è difficile andare oltre quella fisicità materiale per intuire dietro quei volti storie di dolore, sogni, umiliazione, speranza! Sì, siamo istintivamente portati a dare valore e peso solo alla fisicità materiale, tutto il resto non conta. Oppure pensiamo, per fare un altro esempio, a quanta attenzione diamo al nostro corpo: cure mediche, diete, attività fisica, cura dell’estetica e dell’abbigliamento, ecc… e, a confronto, quanta cura diamo alla nostra interiorità. Lo squilibrio è evidente, non c’è bisogno di quantificare. Il fisico, il materiale, il corporeo ha una rilevanza enorme, le sue leggi, le sue esigenze sono giudicate prioritarie su tutto il resto.
È questo che ci rende lontani da Dio, come “in esilio”, dice Paolo. Non perché per lui abbia valore solo lo spirito, opposto al nostro corpo. Sappiamo infatti che Dio si è fatto uomo e non ha disdegnato di assumere la carne e con la carne Gesù “è salito al cielo e siede alla destra del Padre”, come recita il Credo. E infatti Paolo non esorta i Corinzi a cui scrive a lasciare il corpo e aspirare ad una morte imminente. Non c’è bisogno di morire per staccarsi dalla legge pesante del corpo, basta fare spazio nel proprio vivere quotidiano alle ragioni e alle leggi dello spirito per riemergere da questo esilio da Dio e tornare in sua compagnia.
Scrive infatti Paolo: “camminiamo nella fede e non nella visione”, cioè il nostro andare verso Dio, trattenuto dalla pesantezza del nostro attaccamento alla materialità, può avere due modi di procedere: nella fede o nella visione. Dobbiamo chiederci cioè se per noi conta solo quello che vedo e tocco, quel realismo che ci sembra così ragionevole e convincente, ma che in realtà contiene tutto il peso della legge del corpo, o conta invece la fede, cioè quello che gli occhi ancora non possono vedere, ma che con uno sguardo interiore fiducioso in Dio intuiamo come speranza, prospettiva ideale, progetto da realizzare, possibile mondo diverso? La realizzazione di tutto ciò, cioè il traguardo del “cammino della fede”, viene chiamata dalla Scrittura “Regno di Dio”. Un Regno, cioè un tempo e un luogo reali, non astratti, ma che non appartengono al dominio delle cose di questo mondo, materiali, fisiche e contingenti, ma nel quale ha piena realizzazione il sogno di Dio per gli uomini.
La Scrittura ce ne dà descrizioni evocative, ed oggi ne abbiamo ascoltate alcune dal Vangelo di Marco: una spiga di grano che cresce e dà frutto, un albero di senape che cresce e ospita molti uccelli, un tesoro nascosto che arricchisce chi lo trova, un lievito che fermenta la pasta, una perla preziosa, un banchetto nunziale che dà gioia, ecc… Sono tutte immagini che ci trasmettono principalmente tre idee: da un lato la crescita progressiva (non è tutto al presente), dall’altra la necessità di un lavoro paziente da parte nostra (ci vuole chi se ne faccia carico), ed infine la bellezza di una prospettiva così diversa da quella che possiamo sperimentare nella vita ordinaria.
Per tornare al caso che facevo prima, proviamo a pensare alla realtà odierna dell’immigrazione dal sud del mondo con lo sguardo e la prospettiva del Regno di Dio. In essa ci sono semi di un tempo nuovo da coltivare e vedere germogliare e fruttificare! Ne vediamo alcuni: la forza dell’aspirazione alla pace di gente che ha sperimentato il dramma della guerra e a volte ne porta le ferite; il desiderio di un futuro migliore sul quale investire le propri energie giovani e creative; la bellezza di una vita al plurale, con il contributo di culture diverse, visioni della vita che si confrontano e arricchiscono reciprocamente di prospettive diverse. Ma poi, per noi cristiani, la presenza di tanti fratelli immigrati non è forse una bella provocazione ad approfondire le ragioni della nostra fede, così stanca e sterile nella vecchia Europa, a metterla in discussione davanti a domande esistenziali così forti, a forzarsi ad una coerenza maggiore con gli insegnamenti del Vangelo e a cercare strade nuove di testimonianza con le persone che bussano alla nostra porta?
In fondo nel loro rivolgerci una domanda di futuro migliore non c’è anche la dimostrazione di una grande fiducia nei nostri confronti, nella benevolenza e disponibilità ad aiutarli a costruirlo insieme? I tanti bambini che li accompagnano, nonostante le difficoltà enormi, non ci insegnano un senso della fecondità che noi abbiamo smarrito? Le donne così forti nella loro volontà di dare futuro ai loro figli non ci spingono a ripensare una stanchezza grigia e rassegnata che non riesce a vedere oltre la soddisfazione dei propri bisogni individuali e rifiuta per questo di dare vita ad altri?
Certo, la legge del corpo ci fa vedere anche tante difficoltà, gli ostacoli, i pericoli, e ci getta nella paura di un esilio perenne dal sogno del Vangelo. C’è bisogno di riprendere la marcia per uscire da un esilio che ci imprigiona nella palude della delusione dell’insoddisfazione.
Fratelli e sorelle, il seme del Regno anche attraverso la venuta dei migranti è gettato nei nostri cuori e nella storia di questa Europa stanca e invecchiata, senza visioni e sogni. Sta a noi coltivarlo, proteggerlo, con fatica e perseveranza, e insieme gioire nel constatare la bellezza di una perla preziosa, di un tesoro, della gioia della festa di nozze che la prospettiva del Regno ci fa gustare fin da subito.

Preghiere 

O Signore Gesù, mostraci con le parole del Vangelo la visione del Regno a cui ci chiami. Fa’ che i nostri passi si facciano veloci e decisi sul cammino della fiducia in te, Noi ti preghiamo

O Dio nostro Padre, liberaci dal dominio della carne e delle abitudini, donaci la libertà di essere figli e costruttori di un tempo nuovo, Noi ti preghiamo


O Spirito di amore, riempi i nostri cuori perché non vinca la paura e la rassegnazione, ma prevalga il desiderio di vivere il sogno del tuo Regno, Noi ti preghiamo


O Dio manda dal cielo la tua benedizione su quanti affrontano rischi e fatica per raggiungere un approdo di pace e serenità. Proteggi i migranti che sono in viaggio, salvali dalla cattiveria degli uomini e dai pericoli della natura, Noi ti preghiamo


Proteggi o Padre buono gli uomini e le donne che vivono in guerra. Per i paesi sconvolti dalla violenza e schiacciati dal terrorismo, Noi ti preghiamo


Ascolta o Dio l’invocazione di papa Francesco e di quanti ti chiedono il dono della conversione e del perdono. Fa’ che nessuno resti deluso, Noi ti preghiamo






giovedì 7 giugno 2018

X domenica del tempo ordinario - Anno B - 10 giugno 2018




Dal libro della Genesi 3, 9-15
Dopo che Adamo ebbe mangiato dell’albero, il Signore Dio lo chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
 
Salmo 129 - Il Signore è bontà e misericordia.
 
Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia preghiera.

Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi potrà sussistere?
Ma presso di te è il perdono:
e avremo il tuo timore.

Io spero nel Signore,
l’anima mia spera nella sua parola.
L’anima mia attende il Signore
più che le sentinelle l’aurora.

Israele attenda il Signore,
perché presso il Signore è la misericordia
e grande presso di lui la redenzione.
Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe. 

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 4, 13 -5,1
Fratelli, animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: "Ho creduto, perciò ho parlato", anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad opera di un maggior numero, moltiplichi l’inno di lode alla gloria di Dio. Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne. Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli.
 
Alleluia, alleluia alleluia.
tutto ciò che ho udito dal Padre, dice il Signore,
io ve l’ho fatto conoscere.

Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 3, 20-35
In quel tempo, Gesù venne con i suoi discepoli in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé». Gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del principe dei demoni». Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l’uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito immondo». Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre».
 
Commento
 
«È fuori di sé», «È posseduto da uno spirito immondo». Così definiscono Gesù quelli che lo vedono attorniato da una folla incontenibile, impegnato a insegnare e guarire tanto da non avere nemmeno tempo e modo di mangiare. Sì, il Signore è giudicato esagerato nel suo concedersi totalmente al bisogno di chi lo cerca e si accalca attorno a lui.
Chi sono questi che lo giudicano in tale modo? Il Vangelo ci parla di due gruppi di persone: i “suoi”, parenti, gente della famiglia, e gli scribi. Apparentemente sono le persone che dovrebbero capire meglio di tutte il comportamento di Gesù: i primi perché lo conoscono da sempre, gli altri perché hanno gli strumenti per interpretare il significato religioso del comportamento di Gesù. Eppure entrambi i gruppi non solo non lo comprendono, ma nemmeno si sforzano di farlo, e infatti l’evangelista Marco sottolinea come mentre Gesù con la folla erano in casa, gli altri restano fuori. Non lo vedono, non lo sentono, non si rendono conto del bisogno di chi si accalca attorno a lui, ma si sentono ugualmente in grado di giudicarlo.
È l’atteggiamento di chi pensa già di sapere, di aver capito, di “possedere” un quadro già completo senza bisogno di interrogarsi su quello che Gesù dice e fa. Quante volte anche noi davanti al suo Vangelo crediamo di sapere già, di aver già capito, e non ci sforziamo di chiederci il perché del suo comportamento, sempre così diverso dal prevedibile. È facile così sentirsi superiori, estranei alla “casa” del Signore, quella cerchia che si affolla attorno a lui. Essi sono gli unici che lo cercano, lo ascoltano e ricevono da lui salvezza e guarigione.
È questo, possiamo dire, il terzo gruppo che il Vangelo ci presenta e che è composto da discepoli e bisognosi. In esso i primi, che lo seguono da tanto, non si distinguono dai secondi che magari non lo hanno mai nemmeno visto, ne hanno solo vagamente sentito parlare, o si trovano per caso e si fanno trascinare dall’interesse per quel nuovo maestro così diverso da tutti. Discepoli e bisognosi, nonostante queste sostanziali differenze, sono un unico “popolo”, quello composto da coloro che, a differenza dei primi due gruppi, sentono il bisogno di stare a stretto contatto con lui, di non perderne una parola, un gesto, un segno, sperando che, magari, sia quello che mi salva, che guarisce la mia malattia, che risponde al mio bisogno più profondo.
Discepoli e bisognosi sono una sola cosa. Non conta da quanto tempo si segua Gesù, se lo si è cercato lungamente e faticosamente, conta che ci si sente così bisognosi di lui da non poter fare a meno di accalcarsi attorno a lui e di non perderne una parola e un gesto. Essi non giudicano con distacco e senso di superiorità, piuttosto cercano il contatto personale, di vedere, di toccare Gesù.
È lo stesso paradosso che tante volte si vede ancora oggi. Chi è più familiare di Gesù, chi è religioso e potrebbe comprenderlo meglio, così spesso si rivela estraneo a lui, pronto a giudicare con superiorità. Ma chi è umile, povero, bisognoso, ha una comprensione profonda del Vangelo di Gesù, che non viene dalla conoscenza intellettuale, ma affettiva, spirituale. E chi lo conosce così non si stacca da lui, gli rimane accanto e rimane in quella casa che è la chiesa di quanti si fanno discepoli e cercatori di Dio. È il paradosso che evidenzia Gesù: si è suoi parenti non per nascita o per diritto di status, ma per scelta. La sua famiglia è composta da quanti sono “nella casa” e non cercano di farlo uscire fuori, per venire loro incontro, adattarsi alle loro esigenze, scendere a patti col loro giudizio sprezzante: «È fuori di sé».
Non è un caso che al centro dell’episodio che abbiamo ascoltato Gesù pronuncia quelle parole così dure sul peccato che non potrà mai essere perdonato. Sì, perché quel peccato è l’estraneità voluta e costruita con lo Spirito di amore che permette a chi se ne lascia contagiare di entrare nella famiglia di Gesù, di restare con lui nella sua casa. È un peccato che non trova perdono perché corrode la fiducia e la speranza nella sua misericordia, ne fa volentieri a meno perché crede di non averne bisogno.
Cari fratelli e care sorelle, lasciamoci toccare da quel soffio delicato e potente dell’amore di Dio che ci fa desiderare di ascoltare da vicino Gesù, cioè con un cuore attento e docile. Dentro la sua casa, che è la Chiesa, accanto a lui troviamo il perdono e la via per la nostra salvezza.
 
 
Preghiere
 
O Signore che ti sei abbassato fino alla nostra condizione umana per guidarci verso il Padre, fa’ che ascoltando il Vangelo e osservando i tuoi insegnamenti possiamo riconoscerti compagno fedele e amico della nostra vita,
Noi ti preghiamo
 
O Padre onnipotente sostieni la nostra poca fede che ci fa restare lontani, sicuri di noi stessi e appagati. Aiutaci a confonderci col popolo di quanti non possono fare a meno dei tuoi insegnamenti e cercano la guarigione della loro vita.
Noi ti preghiamo
 
 
 
O Gesù, ti preghiamo manda il dono della riconciliazione dove oggi c’è conflitto, suscita comprensione dove oggi c’è odio e inimicizia. Dona la pace a quanti sono in guerra.
Noi ti preghiamo
 
Dio Padre di eterna bontà, aiuta quanti sono nel dolore e soffrono per la miseria, l’ingiustizia, la persecuzione. Libera chi è prigioniero del male e se ne fa strumento.
Noi ti preghiamo
 
 
 
Accogli o Signore quanti affidano a te la propria vita. Ti preghiamo per chi è morto nella speranza della resurrezione e per chi non ti ha conosciuto in vita e gode ora della tua amicizia senza limiti.
Noi ti preghiamo.
 
 
Guida o Santo Spirito i passi del papa Francesco perché conducano a Dio quanti sono disorientati e sfiduciati. Fa’ che con la testimonianza e le parole sappia vincere ogni resistenza dei nostri cuori,
Noi ti preghiamo.