martedì 31 maggio 2022

Ascensione del Signore Gesù - Anno C - 29 maggio 2022

 

Dal libro degli Atti 1,1-11

Nel mio primo libro ho già trattato, o Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre “quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni”. Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”. Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n’andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.

 

Salmo 46 - Ascende il Signore tra canti di gioia.
Popoli tutti, battete le mani! 
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo. 

 

Dalla lettera agli Ebrei 9,24-28; 10,19-23

Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore. 
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, 
fino alla fine del mondo. 
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo di Luca 24,46-53

“Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, festeggiamo oggi l’Ascensione del Signore Gesù al cielo, festa che si pone in relazione stretta con il Natale, perché essa si sancisce il compimento perfetto dell’incarnazione di Dio. Egli infatti non ha disdegnato la carne umana accettandola come parte della sua vita. Egli non l’ha solo “usata”, come si fa con uno strumento esterno, per essere in mezzo a noi, ma l’ha assunta definitivamente come un proprio attributo costitutivo. Da quel giorno Gesù è diventato non più solo il Figlio di Dio, ma anche il Figlio dell’uomo, pienamente divino e pienamente umano allo stesso tempo. Questa grande novità ha imposto una svolta nella storia e se a Natale ci commuove perché vediamo l’amore così grande di Dio nei nostri confronti, tale da non disdegnare un così grande abbassamento, con l’Ascensione questo processo, inaugurato con il Natale, raggiunge il suo pieno compimento. Sì, perché Gesù una volta risorto non abbandona sulla terra il suo corpo, come fosse uno strumento che ormai è diventato inutile al momento di lasciare la terra, ma vuole che esso rimanga con lui in maniera definitiva come una parte essenziale di sé. La fisicità materiale del corpo per il Signore non è un accidente da cui liberarsi appena possibile, una parte pesante e inutile di sé trascurabile e passeggera. Il corpo di Gesù è e sarà per sempre con lui e condivide la gloria attuale del Risorto tornato al Padre dopo il suo tempo terreno.

Questo ci insegna che se da un lato Gesù ha voluto umiliare se stesso fino ad assumere la nostra stessa natura umana, così fortemente caratterizzata dalla sua fisicità limitata e limitante, allo stesso tempo proprio con essa egli ci precede e ci attende perché noi siamo a nostra volta elevati fino alla sua altezza, e non solo spiritualmente, ma, alla fine dei tempi, con tutto il nostro corpo.

A questo siamo destinati, ci ricorda l’apostolo Paolo, come abbiamo ascoltato: “per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne … accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.” Pertanto la vita cristiana non ha solo lo scopo di purificare il nostro cuore, percorrendo la via del Vangelo che Gesù ci ha aperto davanti, ma anche il nostro corpo va vivificato con quella forza di resurrezione che Gesù ha ricevuto e donato a noi suoi discepoli. Troppe volte invece la spiritualità cristiana ha svilito la dimensione materiale della nostra esistenza, dando importanza solo alla parte spirituale.

Questo, fratelli e sorelle, ha implicazioni di grande rilevanza, perché sta a significare che nessuna realtà storica, materiale, fisica è disprezzabile, perché essa è rappresentata in cielo da quel corpo che ha vissuto qui con noi e che porta ancora in sé i segni della passione. Il Vangelo infatti sottolinea come la resurrezione non ha cancellato i segni della sua fatica dell’amore per gli uomini, tanto che Tommaso può toccarli con mano, ma ne ha eliminati gli effetti di morte. Per questo quando papa Francesco afferma che nei poveri tocchiamo la carne di Cristo, non utilizza una metafora simbolica per indicare una realtà spirituale e spingerci a perfezionare i nostri sentimenti. L’identificazione di Gesù nei più piccoli, l’affamato, l’assetato, il nudo, ecc… non è solo morale e non richiede a noi solo uno sforzo morale. Il suo corpo fisicamente rimasto con sé oggi è affamato, assetato, nudo e sofferente assieme a quello di tutti i poveri della terra. Allo stesso modo il nostro corpo, per quanto imperfetto e fonte di sofferenza, non è un peso inutile, ma è chiamato ad essere usato, nella sua fisicità di fatica, azione, lavoro, energie ed anche sofferenza come Gesù ha fatto con il suo, tanto da mantenerne, come dicevo, i segni profondamente impressi nella carne. Non solo il nostro spirito deve assomigliare a quello di Gesù, ma anche il nostro corpo, come il suo, deve portare i segni della fatica dell’amore per gli altri.

Nel libro degli Atti Luca ci riporta la domanda che i discepoli rivolgono a Gesù durante l’ultimo loro incontro con lui, poco prima che lui li lasciasse definitivamente col suo corpo. Essi si aspettano che ora che egli è risorto l’ordine del mondo venga ristabilito definitivamente come Dio lo ha progettato, riportando la giustizia, la pace e il bene. Gesù non nega che questo sia il traguardo verso il quale tende la storia dell’umanità, ma consegna tutta intera agli apostoli la responsabilità di condurla alla meta: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra.” Ancora una volta è la fatica dei discepoli che porta alla realizzazione del Regno, che non prescinde né è al di là della dimensione storica personale e collettiva, sostenuta e fortificata dallo Spirito.

Cari fratelli e care sorelle, oggi anche a noi è di nuovo consegnata questa responsabilità che è innanzitutto di tenere lo sguardo fisso verso la meta, nutrendo quella speranza fiduciosa di cui ci parla la Lettera agli Ebrei: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso.” Questa speranza non delude perché è fondata sulla promessa di colui che non viene meno al suo impegno di donarci la forza di trasformazione e rinnovamento della vita che attendiamo a Pentecoste. Ma poi la nostra responsabilità consiste anche nel lavorare concretamente per la realizzazione del Regno di pace attraverso la guarigione delle piaghe e il ristabilimento della giustizia. Nell’attesa invochiamo fin da ora il dono dello Spirito perché con potenza venga a rafforzare non solo il nostro spirito ma anche a vivificare di energie rinnovate il nostro corpo con il quale siamo chiamati ad agire nella storia e a portare con decisione la forza della resurrezione negli inferni della terra.


 

Omelia per le prime comunioni

 

Cari fratelli e care sorelle, festeggiamo oggi l’Ascensione del Signore Gesù al cielo, festa che si pone in relazione stretta con il Natale, perché essa si sancisce il compimento perfetto dell’incarnazione di Dio. Egli infatti non ha disdegnato la carne umana accettandola come parte della sua vita. Egli non l’ha solo “usata”, come si fa con uno strumento esterno, per essere in mezzo a noi, ma l’ha assunta definitivamente come un proprio attributo costitutivo. Da quel giorno Gesù è diventato non più solo il Figlio di Dio, ma anche il Figlio dell’uomo, pienamente divino e pienamente umano allo stesso tempo. Questa grande novità ha imposto una svolta nella storia e se a Natale ci commuove perché vediamo l’amore così grande di Dio nei nostri confronti, tale da non disdegnare un così grande abbassamento, con l’Ascensione questo processo, inaugurato con il Natale, raggiunge il suo pieno compimento. Sì, perché Gesù una volta risorto non abbandona sulla terra il suo corpo, come fosse uno strumento che ormai è diventato inutile al momento di lasciare la terra, ma vuole che esso rimanga con lui in maniera definitiva come una parte essenziale di sé. La fisicità materiale del corpo per il Signore non è un accidente da cui liberarsi appena possibile, una parte pesante e inutile di sé trascurabile e passeggera. Il corpo di Gesù è e sarà per sempre con lui e condivide la gloria attuale del Risorto tornato al Padre dopo il suo tempo terreno.

Questo ci insegna che se da un lato Gesù ha voluto umiliare se stesso fino ad assumere la nostra stessa natura umana, così fortemente caratterizzata dalla sua fisicità limitata e limitante, allo stesso tempo proprio con essa egli ci precede e ci attende perché noi siamo a nostra volta elevati fino alla sua altezza, e non solo spiritualmente, ma, alla fine dei tempi, con tutto il nostro corpo.

 

Ma d’altronde, cari fratelli e care sorelle, Il Signore aveva già lasciato ai suoi un segno grande dell’importanza che aveva il suo corpo. Infatti, nel momento più intenso e grave che ha trascorso con i suoi, cioè l’ultima cena poche ore prima della sua passione, morte e resurrezione, proprio per significare che lui non abbandonava i suoi amici gli lascia il suo corpo e sangue, il dono più grande che poteva affidargli.

Oggi voi ragazzi riceverete questo dono per la prima volta, è un grande privilegio. Infatti con esso Gesù vuole dirci che non resterà per sempre con noi come uno spirito. La sua presenza non è solo morale, con il suo insegnamento, non è solo una dottrina da imparare e applicare, ma è la vicinanza di una persona, il Figlio del Padre, vero uomo e vero Dio, che non ha disdegnato di farsi come noi, di parlare la nostra lingua e di voler bene con il nostro stesso amore, per poterci attirare a divenire anche noi come lui.

Pertanto la vita cristiana non ha solo lo scopo di purificare il nostro cuore, ma anche il nostro corpo va vivificato con quella forza di resurrezione che Gesù ha ricevuto e donato a noi suoi discepoli e che continua a trasmetterci alimentandoci e dissetandoci proprio con la Santa Eucarestia.

Questo, fratelli e sorelle, sta a significare che nessuna realtà storica, materiale, fisica è disprezzabile, perché essa è presente in cielo con quel corpo di Gesù che ha vissuto qui con noi e che porta ancora in sé i segni della passione. Il Vangelo infatti sottolinea come la resurrezione non ha cancellato i segni della sua fatica dell’amore per gli uomini, tanto che Tommaso può toccarli con mano, ma ne ha eliminati gli effetti di morte. Per questo quando papa Francesco afferma che nei poveri tocchiamo la carne di Cristo, non utilizza una metafora simbolica per indicare una realtà spirituale e spingerci a perfezionare i nostri sentimenti. L’identificazione di Gesù nei più piccoli, l’affamato, l’assetato, il nudo, ecc… non è solo morale e non richiede a noi solo uno sforzo morale. Il suo corpo fisicamente rimasto con sé oggi è affamato, assetato, nudo e sofferente assieme a quello di tutti i poveri della terra. Allo stesso modo il nostro corpo, per quanto imperfetto e fonte di sofferenza, non è un peso inutile, ma è chiamato ad essere usato, nella sua fisicità di fatica, azione, lavoro, energie ed anche sofferenza come Gesù ha fatto con il suo. Non solo il nostro spirito deve assomigliare a quello di Gesù, ma anche il nostro corpo, come il suo, deve portare i segni della fatica dell’amore per gli altri.

Nel libro degli Atti Luca ci riporta la domanda che i discepoli rivolgono a Gesù durante l’ultimo loro incontro con lui, poco prima che lui li lasciasse definitivamente col suo corpo. Essi si aspettano che ora che egli è risorto l’ordine del mondo venga ristabilito definitivamente come Dio lo ha progettato, riportando la giustizia, la pace e il bene. Gesù non nega che questo sia il traguardo verso il quale tende la storia dell’umanità, ma è degli apostoli la responsabilità di condurla alla meta: “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra.” Ancora una volta è la fatica dei discepoli che porta alla realizzazione del Regno, che non è al di là della dimensione storica personale e collettiva, sostenuta e fortificata dallo Spirito.

Cari fratelli e care sorelle, oggi a voi cari ragazzi che fate la prima Comunione, e ad ognuno di noi ogni domenica, è affidata questa responsabilità di tenere lo sguardo fisso verso la meta, che è la realizzazione del regno di pace e giustizia che Dio ha promesso, ma poi è nostra responsabilità nel lavorare concretamente per la sua realizzazione attraverso la guarigione delle piaghe e il ristabilimento della giustizia. Nell’attesa invochiamo fin da ora il dono dello Spirito perché con potenza venga a rafforzare non solo il nostro spirito ma anche a vivificare di energie rinnovate il nostro corpo con il quale siamo chiamati ad agire nella storia e a portare con decisione la forza della resurrezione negli inferni della terra.


 Preghiere 

  

O Signore Gesù ti invochiamo: resta con noi, affinché il tuo amore ci unisca in un unico corpo, fratelli e sorelle figli di un unico Padre,

Noi ti preghiamo

  

Ti preghiamo o Dio per i ragazzi che oggi ricevono il tuo Corpo e Sangue per la prima volta.  Colma la distanza che li separa da te e fa’ che essi vivano con fiducia e fedeltà il vangelo,

Noi ti preghiamo

 

Ti preghiamo o Signore per le famiglie, che il tuo Spirito le illumini e scaldi i cuori, perché tu sia sempre compagno e guida della loro vita rendendole luogo di accoglienza e di comunione con te,

Noi ti preghiamo

  

Fa’ o Signore che ti riconosciamo ogni giorno vivo e presente nel mondo, dove il tuo nome è amato e invocato, dove l’amore dei fratelli li unisce e il tuo aiuto è concesso con abbondanza,

Noi ti preghiamo

  

Ti invochiamo o Dio, fa’ che presto tutti gli uomini ascoltino l’annuncio del Vangelo, perché nessuno sia escluso dalla possibilità di conoscerti e amarti,

Noi ti preghiamo

 

Sostieni, o Padre buono, tutti coloro che sono in difficoltà: i malati, i sofferenti, i prigionieri, chi è solo, senza casa e sostegno. Fa’ che il tuo amore li raggiunga presto,

Noi ti preghiamo.

 

Ti preghiamo o Dio, fa’ cessare la violenza che uccide e semina terrore. Ti preghiamo per le vittime delle guerre e del terrorismo, per i loro cari, per chi è vinto dal dolore. Donaci o Dio la tua pace, perché ovunque torni a regnare presto umanità e concordia

Noi ti preghiamo

 

O Signore nostro Dio, sostieni e proteggi il nostro papa Francesco perché il suo impegno ad annunciare e testimoniare il Vangelo porti un nuovo spirito di solidarietà e accoglienza in Europa e nel mondo intero,

Noi ti preghiamo

 

sabato 21 maggio 2022

VI domenica del tempo di Pasqua - Anno C - 22 maggio 2022


 

Dagli Atti degli Apostoli 15, 1-2. 22-29

In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

 

Salmo 66 - Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.

 

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino, +
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo 21, 10-14. 22-23

L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello.

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Se uno mi ama, osserva la mia parola

e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Giovanni 14, 23-29

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, la liturgia oggi ci riporta all’ultima cena propo­nendoci un brano tratto dal grande discorso fatto da Gesù ai suoi nel cenacolo. Gesù dice ai suoi amici alcune parole semplici e concrete che fa bene anche a noi capire e ricordare sempre.

La prima è: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola.

Gesù sta che sta per lasciare i suoi, in un modo così drammatico che rischiano di perdere fiducia in lui, di lasciarsi sopraffare da un senso di sconfitta e di fine irreparabile. Per questo vuole indicare loro la via per non perdersi: amarlo e vivere il Vangelo. Il suo modo di dirlo non esprime una gradualità, o un passaggio logico da una cosa all’altra. Noi siamo abituati a pensare così: prima impariamo una cosa e solo quando l’abbiamo compresa possiamo passare al grado successivo. Ma nella vita spirituale cristiana non è lo stesso. Questa espressione di Gesù ci dice che per amare bisogna conoscere e fidarsi delle sue parole, tanto da essere disposti a metterle in pratica e non lasciare scorrere via senza dargli peso. Ma allo stesso tempo ci dicono che per far proprie le parole di Gesù bisogna volergli bene: infatti solo le parole di un amico, di una persona cara hanno un “peso specifico” tutto speciale che non le fanno passare inosservate. Una cosa non viene prima dell’altra, sono intrecciate: più vado in profondità, mi fido delle sue parole e più mi rendo conto di quanto gli voglio bene, e più mi lego a lui più le sue parole sono significative per me.

Ma poi Gesù aggiunge: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”, cioè anche se obbedisce alle leggi e le applica in maniera scrupolosa, se non le vive con lo stesso amore con cui Gesù ha vissuto, “non osserva le sue parole”. È il paradosso di una osservanza formale e solo esteriore, fatta di abitudini o di vuota ritualità, che anche se raggiunge una apparente perfezione è vuota e senza valore perché priva dell’amore, che è come l’anima per un corpo, senza si spegne.

Seconda cosa importante che abbiamo ascoltato è che se lo amiamo e osserviamo la sua parola il Padre ci amerà e assieme a Gesù verrà da ciascuno di noi e prenderà dimora presso di noi: “il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.

Gesù, come sappiamo bene, è venuto nel mondo circa 2000 anni fa e ha parlato e incontrato tanti, ma poi è tornato al Padre. Noi potremmo pensare: “che peccato che non siamo nati al suo tempo, magari lo avessimo incontrato!” Certo, questo è vero, sarebbe stato bello ascoltarlo e vederlo, ma oggi possiamo fare la stessa cosa: ascoltarlo dal Vangelo e vederlo, anzi possiamo fare ancora di più: nutrirci del suo corpo e sangue. Non tutti quelli che lo incontrarono ebbero questa possibilità, anzi solo pochi: i dodici nell’ultima cena. Tutte le folle e i singoli che lo incontrarono non ricevettero come nutrimento il suo corpo e sangue! Allora a noi è dato un regalo ancora più grande di quello che ricevettero la gente che lo incontrò di persona in Palestina 2000 anni fa.

Ma ancora di più: Gesù offrendoci tutto se stesso come nutrimento fisico e spirituale promette non solo di restarci accanto, che già è molto, ma di abitare dentro di noi, di divenire parte di noi stessi. Cioè se lo accogliamo il nostro amore sarà il suo amore, il nostro coraggio e forza saranno i suoi, le nostre parole saranno le sue parole. Cioè agiremo e vivremo come lui, la nostra vita parlerà con la sua voce. Allora ecco che volergli bene e ascoltarlo ci fa vivere con Gesù dentro di noi, cioè capace di parlare con la nostra bocca e andare incontro a tutti con le nostre gambe, di abbracciare con le nostre braccia, di voler bene con il nostro cuore. È molto di più di un semplice imparare qualche dottrina o applicare qualche legge. Il nostro rapporto con Gesù, attraverso un ascolto del Vangelo pieno di amore per lui, ce lo fa diventare così intimo da essere tutt’uno con lui, da confonderci con il suo stesso modo di vivere e di essere.

Tutto questo forse ci potrebbe sembrare troppo alto, troppo difficile per gente come noi. Ma non cediamo alla tentazione di ripararci dietro queste motivazioni apparentemente nobili per nascondere la verità che è la nostra indisponibilità a voler bene al Signore e ai fratelli. Gesù continua dicendo: “lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.” Affidiamoci allo Spirito e tutto diverrà possibile. Lo Spirito ci insegna il come e il quando agire, ci dà le parole giuste e i sentimenti migliori, fa di noi creature rinnovate dalla forza del suo amore. Non c’è tecnica da imparare o dottrina da studiare, ma amore da vivere, e noi resi forti da esso vivremo quella pace vera che lui ci dona e che non è un pigro farci da parte ma la certezza profonda che docili al soffio dello Spirito saremo resi capaci di quello che da soli non saremmo mai in grado di compiere e di vivere.

 

Preghiere 

O Signore nostro Dio ti ringraziamo perché torni ogni domenica a visitarci e resti assieme a noi. Aiutaci ad accoglierti con cuore aperto e disponibilità ascoltando la tua Parola e nutrendoci del tuo Corpo e Sangue.

Noi ti preghiamo

 

 O Padre del cielo che hai accompagnato con il tuo Spirito la vita degli uomini fin dal primo giorno, mandalo su di noi in questo tempo difficile perché porti pace dove ora c’è la guerra e tutti possiamo vivere la forza del tuo amore.

Noi ti preghiamo

 

Ti preghiamo o Signore Gesù per i nostri ragazzi che hanno ricevuto la cresima domenica scorsa e per quelli che presto riceveranno per la prima volta il tuo Corpo e Sangue. Dona loro di essere sempre tuoi figli docili e discepoli fedeli.

Noi ti preghiamo

  

Perdona o Dio la durezza del nostro cuore ogni volta che rifiutiamo di seguire il tuo insegnamento. Aiutaci ad ascoltare il Vangelo con attenzione e a viverlo con umiltà.

Noi ti preghiamo

 

Aiuta o Padre misericordioso tutti gli uomini che ti invocano nel momento del bisogno: per gli ammalati, gli anziani, per chi è senza casa e famiglia, per chi è prigioniero, per chi è straniero, per le vittime della guerra e della violenza. Sostienili nella difficoltà,

Noi ti preghiamo

  

Guida e proteggi o Signore quanti annunciano e vivono il Vangelo. Fa’ che presto ogni uomo e ogni donna della terra possa ascoltare l’annuncio della salvezza che sei venuto a portare al mondo.

Noi ti preghiamo.

  

Ti preghiamo o Padre del cielo per tutti i tuoi figli. Guida chi è disperso, incoraggia chi è confuso e incerto, sostieni chi ha bisogno del tuo conforto,

Noi ti preghiamo

 

 

Sostieni o Spirito di Dio il Santo Padre Francesco, perché con l’umiltà e la semplicità delle sue parole e azioni ispiri in tutti i cristiani il desiderio di esserti più vicini,

Noi ti preghiamo

domenica 8 maggio 2022

IV domenica del tempo di Pasqua - Anno C - 8 maggio 2022



Dagli Atti degli Apostoli 13, 14. 43-52

In quei giorni, Paolo e Barnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiochia in Pisidia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero. Molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Barnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio. Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”». Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Iconio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

 

Salmo 99 - Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.
Acclamate il Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.

Perché buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo 7, 9. 14-17

Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

 

Alleluia, alleluia alleluia.
Io sono il buon pastore, dice il Signore;
conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me.
Alleluia, alleluia alleluia.

 

Dal vangelo secondo Giovanni 10, 27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, le letture che abbiamo appena ascoltato convergono tutte e tre su di un tema comune che è il “dono della vita eterna”, cioè la salvezza alla quale il Signore ci invita a partecipare fidandoci di lui. Ne parla il brano degli Atti nel quale viene descritta la predicazione degli Apostoli ad Antiochia, e le difficoltà incontrate, e a questo proposito si dice: “tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero.” Poi, nella seconda lettura, dall’Apocalisse di S. Giovanni, si descrive la visione di una moltitudine in vesti bianche, dei quali viene detto: “Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.” Infine nel Vangelo di Giovanni Gesù parla di sé come il buon pastore: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.

Tutti e tre i brani parlano di un destino di “vita eterna” che attende i credenti, coloro che si fidano dell’annuncio del Vangelo e seguono come discepoli il Signore Gesù, ma cosa vuol dire vita eterna? La vita dell’uomo, lo sappiamo, ha una durata limitata, e questo è naturale, e spesso gli uomini sono stati ossessionati dal desiderio di rendere duraturo il ricordo del proprio passaggio attraverso azioni straordinarie, nell’aspirazione di rendere eterna la propria memoria. A volte questo sforzo ha avuto un risultato, altre volte è stato illusorio. Ci si è affidati a realizzazioni grandiose e a volte, purtroppo, persino ad eventi drammatici, quali le guerre. Ma non è certo a questo che si riferisce il Signore.

La vita eterna di cui ci parla Luca innanzitutto non è qualcosa di riservato a personaggi eccezionali, quelli di cui si parla nei libri di storia, ma piuttosto è, si direbbe con un’espressione moderna, un “fenomeno di massa” comune a tutti coloro che credono nel Signore, cioè si fidano del suo Vangelo, in modo particolare di quell’annuncio della resurrezione che proclama la vittoria della vita sulla morte. Giovanni nell’Apocalisse parla di una folla di persone e gli Atti ci dicono che “quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore.” Cioè per salvarsi bisogna far parta di un popolo, non distinguersi da esso. La fede in Gesù è sì personale ma si esprime in un movimento di popolo, in un’esperienza di comunità che segue il Signore assieme, che prega, vive e spera un destino di salvezza comune, come stiamo facendo qui oggi e ogni domenica nella Messa. Il segreto di questo popolo credente è l’amore vicendevole, e questo non può essere vissuto da solo.

Vivere questa esperienza di popolo credente e che vuol bene permette a ciascuno di acquisire una prospettiva di vita che non si esaurisce nel breve volgere della propria singola esistenza ma dà avvio a un processo lungo e duraturo nel tempo, perché si fonda sulla forza dell’amore di Dio. Questa forza è l’unica che non conosce erosione e usura, e non solo si mantiene efficace nella lunghezza del tempo, ma suscita a catena reazioni di amore che ne ampliano la portata. Tanto che questa “ondata” supera persino la barriera della morte e straripa in un tempo futuro nel quale, confluendo nel mare infinito dell’amore di Dio, essa è preservata e resa eterna.

È quello che afferma papa Francesco quando dice che lo scopo della vita cristiana non è tanto quello di conquistare degli spazi alla fede e impossessarsene difendendoli strenuamente, quanto piuttosto di avviare processi di realizzazione del bene che aprono prospettive future che magari non subito producono i frutti sperati, ma ne pongono le radici e si tramandano alle generazioni future. È quello che anche un altro papa santo, Giovanni XXIII, intendeva quando parlava di segni dei tempi da imparare a leggere nella storia, come le correnti profonde dello Spirito che animano la storia e ne determinano il corso, alimentate dall’amore dei cristiani che le “abitano”.

Il brano dell’Apocalisse aggiunge un altro elemento a questa nostra riflessione, e cioè che a questa vita eterna si giunge sotto la guida di un pastore che porta alle fonti di acqua buona. Sì, c’è bisogno di sottomettersi alla guida del Signore per giungere all’acqua che disseta l’aspirazione a un “destino di vita eterna”. Solo lui infatti ci può condurre ad apprendere quel modo di voler bene disinteressato e paziente, non smanioso di risultati immediati, ma tenace e intenso che disseta l’arsura di amore che non è mai spenta dai pallidi surrogati del mondo.

Spesso, ci ricorda sia l’Apocalisse che il libro degli Atti, il cammino verso questa fonte è piena di ostacoli e faticosa, e per questo bisogna combattere contro le tentazioni della ricerca di comodità, del conformismo e dell’abitudine, della sottomissione al volere della mentalità mondana, imparando ad avere presente il traguardo più che fissarci sul percorso.

Infine, l’evangelista Giovanni aggiunge che la sequela delle pecore al loro pastore è dovuta al fatto che lui le conosce, ed anche esse lo conoscono. La conoscenza di cui parla Giovanni non è intellettuale e astratta, o l’abitudine a qualcuno. No, conoscere vuol dire entrare in un rapporto di intimità profonda. È questo il rapporto che Gesù, buon pastore, vuole avere con ciascuno di noi, conoscerci e farsi conoscere “per nome” cioè uno ad uno ciascuno con le proprie caratteristiche personali, perché possiamo divenire capaci di un voler bene che non finisce e apre un processo che non si lascia imbrigliare da argini e barriere. L’amore dei cristiani è così, capace di travolgere gli ostacoli, di sommergere ogni persona che incontra e di trascinarla in una corrente di amore verso il Signore, unico vero e buon pastore della vita degli uomini.

Sia dunque questa la nostra aspirazione in questo tempo dopo Pasqua, ad una vita cioè capace di suscitare una ondata di amore che non si esaurisce ma, andando avanti aumenta e travolge tutto.

 

Preghiere 

 

O Signore, ti ringraziamo perché torni ad annunciarci la resurrezione di Cristo, potente forza di cambiamento della vita e di salvezza per l’umanità. Aiutaci ad accoglierla nella nostra vita con fede e disponibilità.

Noi ti preghiamo

  

O Dio fa’ che crediamo con convinzione che la resurrezione possa cambiare la vita del mondo, abbattendo le montagne di male che tengono in schiavitù troppi uomini. Dona loro la salvezza che libera e dona a tutti la vita che non finisce.

Noi ti preghiamo

 

Ti preghiamo o Signore, per chi è oppresso dal male che schiaccia e umilia. Salva chi è vittima della violenza e della guerra, i malati, i poveri, i disprezzati, i prigionieri, fa’ che tutti trovino salvezza.

Noi ti preghiamo

  

Dona o Signore a tutti i tuoi discepoli il coraggio e l’audacia della fede. Perché la loro testimonianza di una vita rinnovata dal vangelo comunichi a tanti la forza della resurrezione.

Noi ti preghiamo

 

Fa’ o Signore che siamo liberati dai vincoli del peccato che ci tengono in schiavitù. Aiutaci a chiederti il perdono che riconcilia i fratelli e le sorelle fra loro e con Dio,

Noi ti preghiamo

  

Ti preghiamo o Dio del cielo di consolare tutti coloro che affrontano un viaggio difficile e pericoloso per fuggire da guerre e miseria. Fa’ che trovino accoglienza e aiuto. Aiuta l’Europa ad essere porto accogliente e sicuro per tanti disperati,

Noi ti preghiamo.

 

Guarda con amore o Dio questa città. Aiuta tutti i suoi abitanti a vivere con senso umano e solidale l’accoglienza a chi è straniero e senza casa. Fa’ che nessuno sia escluso e viva nell’incertezza per il domani.

Noi ti preghiamo

  

Sostieni o Padre di misericordia il papa Francesco e tutti coloro che guidano le comunità di credenti nel mondo. Dona loro la capacità di indicare nel vangelo la risposta alle grandi domande di senso e di futuro delle società di oggi.

Noi ti preghiamo