martedì 15 febbraio 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XIV incontro: Gesù e le folle



Come la folla reagisce alle parole e alle opere di Gesù


Dopo aver visto l’altro giorno come le folle cercano l’incontro col Signore e lo seguono numerose, continuiamo oggi chiedendoci come esse reagivano alle parole e alle opere di Gesù.

Venti volte circa i Vangeli ce le mostrano reagire in modo positivo e dodici negativamente (ovvamente è un conteggio approssimativo e ha valore solo relativo). Assai raramente la reazione è indifferente o fredda. E questo è il caso in cui Gesù esprime la sua condanna più dura, per la gente che non reagisce alle sue parole:

Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere”.
Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. E tu, Cafarnao,sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!».
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.”
(Mt 11,16-26).

Gesù pronuncia queste parole durissime dopo aver parlato alla folla di Giovanni il battista e della sua missione di preparazione di una strada al Signore che veniva. Giovanni si trova in carcere, la sua voce è messa a tacere, e Gesù sembra voler sottolineare, con questo suo giudizio, come l’invito del battista a convertirsi sia stato respinto dai suoi ascoltatori, rimasti freddi e insensibili: “È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio.” Gesù accomuna subito dopo anche la sua predicazione a quella di Giovanni, unite dallo stesso insuccesso: “È venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori.”

Le due reazioni pur essendo apparentemente opposte, la prima contro l’eccessivo rigorismo di Giovanni, la seconda scandalizzata dal lassismo di Gesù, sono entrambe espressione del desiderio di non confrontarsi con le parole rivolte a sé e di restare pertanto indifferenti ad esse, come è espresso dal detto popolare che viene citato da Gesù: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”. Segue la condanna durissima contro coloro che hanno un tale comportamento indifferente: “Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. E tu, Cafarnao, … [Sodoma] Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!” Ricordiamo che Sodoma era stata distrutta da Dio con una pioggia di fuoco poiché era inospitale allo straniero. Cafarnao dimostra di meritare lo stesso giudizio di Dio perché non accoglie le parole di Gesù, che suonano alle loro orecchie ‘straniere’ alla loro cultura e modo di pensare.

Sembra l’ammissione del fallimento totale: né Giovanni né Gesù, pur con un modo di predicare così diverso, sono riusciti a far breccia nelle vite dei loro ascoltatori.

Gesù però prosegue con un’affermazione che non si accorda con un senso di fallimento: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.” Gesù dà lode al Padre perché la predicazione è stata sì rifiutata, ma solo da coloro che si ritengono sapienti e intelligenti, mentre è stata accolta dai piccoli, gli umili che non si credono già sapienti. Riecheggiano le parole del Magnificat (Lc 1, 51-53):

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote
.”

Ecco allora un primo elemento con cui confrontarci: l’annuncio del Vangelo raggiunge le folle, ma poi solo una parte di esse lo accoglie e il motivo è interiore e personale, cioè se si è “piccoli” e non “sapienti e intelligenti”, se si è affamati della sua Parola e non ricchi e sazi.

Questo costituisce un’indicazione preziosa anche per noi oggi. E cioè che nel parlare del Vangelo e di Gesù non conta tanto cercare il “successo”, accattivandosi la simpatia della gente o annacquando il messaggio con qualcosa di attraente, ma è essenziale l’autenticità di una comunicazione diretta e fedele della Parola di Gesù. È quanto afferma di avere fatto Paolo:

Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.” (1Cor 2,1-5)

Certo parlare di Gesù non vuol dire solo proclamare il Vangelo come uno slogan, ma richiede necessariamente uno sforzo di comunicatività che significa trovare un linguaggio comprensibile agli interlocutori, creare le situazioni più adatte per parlargliene, ecc… Che è ben diverso però dal cercare argomenti più facilmente accettabili.
Come reagiscono le folle
La maggior parte delle volte la folla manifesta stupore nell’incontrare Gesù:

La folla udendo ciò era stupita dal suo insegnamento” (Mt 22,33);

Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore” (Lc 11,14);

Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento” (Mc 11,18) ecc…

Bisogna subito sottolineare come lo stupore non sia solo per i miracoli come in Lc 11,14, che sarebbe già più comprensibile, ma anche per le parole di Gesù (cf. Mt 22,33), e non si tratta solamente di una reazione superficiale e istintiva davanti a qualcosa che non ci si aspettava, perché è accompagnata da parole e cambia le persone e le situazioni. Questo stupore è qualcosa di profondo, di interiore, e rivela in chi lo prova quell’essere “piccolo” di cui parlavamo prima. Chi è sapiente e intelligente, come i capi dei sacerdoti e gli scribi di Mc 11,18, non si stupisce, rimane scettico e banalizza sminuendo, vuole togliere di mezzo quella Parola che suscita stupore nella folla. È interessante il passo di Marco perché ci mostra come i sapienti del mondo hanno paura che la gente si stupisca, perché lo stupore mette in crisi il sistema su cui si regge il loro potere e il controllo che hanno sulla gente e la realtà. Chi si stupisce è interiormente libero dagli schemi che incasellano tutto e lo rendono scontato, è capace di fermarsi e commuoversi, di avere pietà. Per questo vogliono uccidere Gesù che suscita così tanto stupore.

Lo stupore è destabilizzante, infatti sottintende la capacità di accorgersi della novità e di accoglierla come qualcosa di positivo, di cui gioire. È questo ciò che rende lo stupore di quelle folle qualcosa di così significativo: il Vangelo infatti viene sempre a portare un elemento di novità nella vita, non lascia niente come prima, o almeno ci prova. Cambia la realtà, con i miracoli, ma anche cambia gli uomini che lo ascoltano, con le parole. Stupirsi vuol dire accorgersene e accettare che la novità della vita proposta dal Signore ci coinvolga. Al contrario non stupirsi vuol dire che la novità è ignorata, o guardata con fastidio e rifiutata, cioè chiudersi al Vangelo.
Si potrebbe dire che esistono anche novità negative e non sempre il nuovo è cosa buona. Certamente, ma anche in questo caso l'indifferenza vuol dire accettarlo acriticamente, farsene spettatori indifferenti e lasciare libero il campo al male per il suo diffondersi. Anche in questo caso bisogna stupirsi, e fronteggiare la novità negativa.

Per questo anche oggi la cultura dominante ha fastidio che ci si stupisca per le parole e le opere buone e vuole sminuirle o eliminarle, svolgendo il ruolo “normalizzante” e banalizzante: si cerca il male anche nel bene, cosa c’è dietro, ci si compiace a mostrare che anche ciò che sembra buono nasconde qualcosa di negativo, si critica di “buonismo” come se essere buoni o fare cose buone sia una colpa, ecc… Lo stupore è segno che la Parola ha toccato il cuore. Chi non si stupisce è refrattario a tutto e non si fa toccare dal Vangelo. Stupirsi fa parte di quel “tornare bambini” di cui parla Gesù, condizione necessaria per entrare nel Regno dei cieli:
Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come l'accoglie un bambino, non entrerà in esso". (Lc 18,16-17)
La cultura contemporanea giudica negativamente l’ingenuità infantile capace di stupirsi, perché ha paura di essa in quanto segno di debolezza; al contrario ci vuole tutti un po’ scettici e saccenti, sapienti che hanno già capito tutto, che sanno spiegare tutto, che la sanno lunga e non si fanno ingannare facilmente, che non restano mai senza sapere che dire.

Anche la folla stupita non resta muta, ma in modo diverso dai sapienti. Parla, ma non di sé o delle proprie convinzioni. Non spiega, ma dà testimonianza, rende lode a Dio, acclama Gesù profeta e maestro buono:

Allora la gente, visto il segno che aveva compiuto [la moltiplicazione dei pani e dei pesci] diceva: ‘Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!’” (Gv 6,14);
E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano “è buono!” (Gv 7,12);
La folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi guariti, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E lodava il Dio d’Israele” (Mt 15,31);

La folla rispondeva: ‘Questi è il profeta Gesù, da Nazareth di Galilea’” (Mt 21,11);
Tutta la folla era sbalordita e diceva: ‘Che non sia costui il figlio di Davide?’” (Mt 12,23).
Cioè lo stupore della folla è il primo passo che porta al desiderio di confermare e rafforzare la propria fede in Dio e di comunicarla: “Intanto la folla, che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo resuscitò dai morti, gli dava testimonianza” (Gv 12,17). Nelle parole e nei segni compiuti da Gesù chi ha un animo da “piccolo”, cioè è umile e ingenuo, trova la manifestazione di qualcosa che trascende le semplici forze naturali e le capacità umane, e cioè la grandezza di Dio, e di questo si rallegra.

Ci chiediamo allora: quanto noi siamo interiormente “piccoli” davanti alla Parola e ai segni che Dio opera in mezzo a noi. Ce ne accorgiamo? Li notiamo con stupore e gioia? O non preferiamo piuttosto un tono grigio in cui tutto scorre con scontata banalità e nulla più suscita meraviglia?
E poi chiediamoci se noi mostriamo ad altri i segni e le parole di Gesù perché anche altri possano stupirsi.

Infine un ultimo brano di Matteo ci fa comprendere meglio come dobbiamo imparare a non aver paura della nostra piccolezza perché è solo a partire da essa che possiamo scoprire la grandezza di Dio che ci dà forza: “Le folle vedendo questo [la guarigione di un paralitico] furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.” (Mt 9,8).

Sì, perché è vero che scoprirci “piccoli” ci fa’ paura, e viene istintivo negarlo e pensarci piuttosto come “grandi”. Ma accettare la nostra vera dimensione è anche la nostra salvezza, perché ci fa scoprire da dove possiamo trarre la nostra vera forza e grandezza. Al contrario chi è grande non ha bisogno né cerca altra forza che non sia la propria, come dice bene Paolo: “Il Signore mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,9-10).

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