Sabato 28 aprile 2018
Ci incontriamo oggi per interrogarci su un tema di grande importanza e cioè come aiutare i nostri ragazzi a crescere nel modo migliore.
So che questa è una preoccupazione che
abbiamo particolarmente a cuore. Infatti ci preoccupiamo della loro salute,
della loro istruzione, dell’educazione e, qui a Santa Croce, della loro
crescita spirituale. Sono tutti elementi importanti e nessuno di essi va
trascurato per il loro bene.
In modo particolare oggi vorrei
riflettere con voi su un aspetto di questo impegno, e cioè come accompagnare i
nostri ragazzi alla consapevolezza della forza che il male esercita nel mondo
in tante forme: la guerra, la violenza, la miseria dei popoli, l’ingiustizia, la
malattia, fino all’estrema sua conseguenza che è la morte.
Istintivamente ci viene da dire che è
meglio che non ne sappiano molto, che proteggerli significa innanzitutto
evitare che vedano, che sappiano. Ma oggi questo è praticamente impossibile,
ammesso che sia la soluzione giusta.
La Scrittura in questo nostro compito
così serio ci può essere di grande aiuto. In essa infatti è racchiusa una
sapienza profonda che viene direttamente da Dio, il quale ci vuole comunicare
proprio attraverso le sue parole il senso ultimo della vita e come raggiungere
la felicità che viene da esso.
Per riflettere su questo tema vorrei
oggi introdurre una figura particolare, il profeta Giona. È un profeta un po’
bizzoso e restio a prendersi responsabilità.
Leggiamo la prima parte della sua
storia:
Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài,
questa parola del Signore: "Alzati, va' a Ninive, la grande città, e in
essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me".
Giona invece si mise in cammino per
fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave
diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per
Tarsis, lontano dal Signore.
Ma il Signore scatenò sul mare un forte
vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi.
I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare
quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più
in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò
il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che cosa fai così addormentato?
Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non
periremo".
Quindi dissero fra di
loro: "Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa
sciagura". Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono:
"Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo
mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?".
Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto
il mare e la terra". Quegli uomini furono presi da grande timore e gli
domandarono: "Che cosa hai fatto?". Infatti erano venuti a sapere che
egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato.
Essi gli dissero: "Che cosa
dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?".
Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: "Prendetemi e
gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so
che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia".
Quegli uomini cercavano a forza di remi
di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre
più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero:
"Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di quest'uomo e non
imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo
volere". Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua
furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici
al Signore e gli fecero promesse.
Ma il Signore dispose che un grosso
pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre
notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio.
Il racconta inizia con Dio che si
rivolge a Giona e gli indica quanto male c’è nella città di Ninive.
Dio non gli chiede di manifestare agli
abitanti di Ninive il suo giudizio, né tantomeno la sua condanna e minaccia di
castighi. Il suo intervento è essenzialmente limitato ad aprire gli occhi dei
cittadini della grande città sul male che c’è in essa. Cioè la prima
preoccupazione di Dio sembra che le persone non se ne rendano nemmeno più conto
e rischino piuttosto di vivere questa situazione con un senso di normalità. A
Dio però interessa che gli uomini siano felici e non facciano una brutta fine,
cioè non siano né operatori di violenza e di male, né vittime. Infatti il male
ha questa capacità distruttiva di rovinare la vita sia di chi lo fa che di chi
lo subisce, anche se a volte non ci sembra, e abbiamo come l’impressione che si
possa accettare il male come una dimensione normale della vita, nostra e degli
altri. Non per Dio, che vede nel male che entra dentro la vita degli uomini, e
la città è il luogo dove gli uomini stanno insieme, il problema più grande e il
dramma più urgente.
Dio ne parla a Giona, come per fare una
confidenza all’amico, ma questi per tutta risposta scappa via da lui. Giona
condivide con gli abitanti della città il giudizio sulla normalità del male, non
vuole vederlo, preferisce ignorarlo.
Dio sperava che Giona se ne sentisse
interrogato, ma invece il profeta scappa la domanda e cerca rifugio lontano,
dove non può sentire Dio che gli mette questo tarlo fastidioso in testa. Il
modo che sceglie Giona per fuggire non è molto originale: si butta a capofitto in
un viaggio, vuole mettere la massima distanza fra sé e Dio. Il viaggio nella
Scrittura è spesso un’immagine della vita. Giona pensa che il viaggio riesca a
nasconderlo a Dio e a non fargli più sentire quelle parole sul male della città
così fastidiose.
Anche noi spesso cerchiamo nell’affanno
di una vita piena di cose il modo per ignorare Dio e il male. Certo,
la vita di oggi ci impone di stare dietro a numerosi impegni e spesso essi si
accavallano con un ritmo incessante: lavoro, faccende domestiche, burocrazia,
responsabilità familiari, ecc… a volte sembra che una giornata non abbia
sufficienti ore per farci entrare tutto quello che si ha da fare.
Ma se facciamo un piccolo esame di
coscienza, è vero che non c’è un angoletto libero? È vero che non c’è un tempo
vuoto che noi ci affanniamo di riempire con qualcosa da fare, perché sennò ci
sentiamo male? Io credo che noi usiamo tutto il tempo che abbiamo a
disposizione, proprio perché non vi sia spazio per pensare e per lasciarsi
raggiungere dalla voce di Dio.
E nel viaggio si incontra anche la
tempesta. Difficile che si possa sfuggire dalla tempesta, ciascuno di noi lo
sa. Davanti ad essa siamo presi dal panico e cominciamo a fare fuori tutto
quello che ci sembra possa essere la sua causa, come facevano i marinai.
Togliamo quello, chiudiamo quello, smettiamo l’altro, ecc… nella speranza di
riuscire a eliminare la causa della tempesta.
Ma siamo sicuri che la tempesta venga da
fuori di noi?
Giona sceglie invece un’altra via
possibile, si estranea e si mette a dormire in un angoletto tranquillo
aspettando che passi, ma quella non passa.
Questi dei atteggiamenti descrivono
anche noi, come ci muoviamo davanti alle difficoltà e ai problemi della vita.
Giona però viene svegliato dagli altri e
ammette che la causa della tempesta sta dentro di lui, in quel suo essersi
fatto complice del male della città, chiudendo le orecchie alla parola di Dio
che glielo indicava chiedendogli di provare a fare qualcosa.
Finalmente Giona si assume la
responsabilità del male, e tutto cambia. La nave trova la salvezza, i marinai
sono pieni di felicità. Certo per fare questo Giona deve andare fino infondo e
affrontare la fatica di nuotare in mezzo ad acque difficili. Prima se ne stava
tranquillo a dormire, ma la tempesta lo stava facendo finire a fondo, ora si
deve dare da fare, le cose si fanno più complicate, ma si intravede una via di
uscita.
Soprattutto Dio non lascia solo Giona ad
affrontare le onde del mare quando egli finalmente decide di assumersi la
propria responsabilità davanti al male. Finalmente le ha affrontate senza
fuggirle come se non lo riguardassero, e per questo Dio lo aiuta e lo avvolge
nella sua protezione, il ventre di quel pesce. In questo momento. Giona
riscopre la paternità buona di Dio e impara a pregare, cioè gusta la bellezza
di starsene a tu per tu con Dio, senza fuggire, senza riempirsi di mille cose
da fare, senza fare finta che non ci sia.
La messa della domenica è un po’ questo
momento in cui gustiamo la protezione avvolgente di Dio che ci prende in
disparte, ci risolleva dalle onde fra le quali ci affatichiamo a navigare
durante tutta la settimana, e ci fa riscoprire la bellezza di non fuggire da
lui e dagli altri.
Però per gustare tutto questo dobbiamo respingere
le due tentazioni che dicevo: quella di pensare che il male sta solo fuori di
noi e quella di cercare di sfuggirlo standosene in un angoletto tranquillo, a
dormire il sonno del pensare a se stessi.
La liturgia domenicale ci tuffa nel mare
del mondo, ma non per farci morire affogati, ma per farci trovare la vera protezione
di Dio dai pericoli. Finché ce ne stiamo in disparte senza sentirci interrogati
dal male del mondo, siamo agitati dalle tempeste senza riuscire a capire come
uscirne, ma se ascoltiamo Dio senza scappare via la tempesta si placa perché
non siamo più soli ad affrontarla.
Che cosa c’entra tutto questo con i
nostri ragazzi?
Noi rischiamo di comunicare loro questo
nostro modo di vivere, senza aiutarli a maturare invece un senso di
responsabilità verso gli altri, cioè verso la Ninive della Bibbia. Tante volte,
con l’intento di proteggerli dal male, noi gli comunichiamo che per essere
felici bisogna trovarsi un angoletto dove mettersi al riparo, come Giona,
dormendo al coperto mentre fuori c’è la tempesta, oppure a dare la colpa agli
altri, pensando che il male sta sempre fuori di noi.
Purtroppo però facendo così non li
aiutiamo a crescere bene, anzi, si troveranno impreparati ad affrontare la
tempesta e navigare solo per scappare non fa arrivare da nessuna parte.
Per questo io vi consiglio, di cuore e
spassionatamente, di assomigliare al Giona della fine del brano, che si assume
la responsabilità del male che si abbatte su lui e i suoi compagni e ne
affronta la fatica personale di farsene carico, scoprendo così anche la
bellezza della compagnia di Dio. Così facendo darete l’esempio migliore di come
vivere felici, e questo è veramente il regalo più bello e importante che
possiamo fare loro.
Noi abbiamo cercato di comunicare ai
vostri figli questo senso di responsabilità davanti al mondo accompagnandoli
davanti ai suoi drammi: le iniziative di incontro con i poveri, come il pranzo
con le persone senza dimora o la messa nell’istituto degli anziani. Proteggere
i nostri ragazzi dal male non significa nasconderglielo, ma fargli vedere che
esiste e che si può combatterlo con la forza del voler bene.
Allo stesso tempo vogliamo che i ragazzi
si facciano portavoce di questo portandone il messaggio all’esterno. È quello
che faremo nei giorni di ritiro per le prime comunioni e per le cresime, fra
pochi giorni.
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