lunedì 26 settembre 2011

XXVI domenica del tempo ordinario


Dal libro del profeta Ezechiele 18, 25-28

Così dice il Signore: «Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».



Salmo 23 - Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, +
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
io spero in te tutto il giorno.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
I peccati della mia giovinezza
e le mie ribellioni, non li ricordare



Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi2, 1-11

Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi  obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.



Alleluia, alleluia, alleluia.
Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
io le conosco ed esse mi seguono.
Alleluia, alleluia, alleluia



Dal vangelo secondo Matteo 21, 28-32

In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, và oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. E` venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, i brani della Scrittura che abbiamo ascoltato oggi ci invitano in modo unanime e concorde a porci davanti alla necessità di vivere una maggiore autenticità. Il tempo moderno infatti, lo sappiamo, è caratterizzato dall’attribuire un grande valore all’esteriorità. Come appariamo e come gli altri ci giudicano spesso è ritenuto più importante di come siamo veramente. Essere apprezzati, considerati e magari anche ammirati sembra lo scopo principale del nostro agire, e lo stesso criterio applichiamo nel valutare le persone che abbiamo davanti: ci accontentiamo di come appaiono.

La Parola di Dio però oggi ci pone davanti alla necessità di dare importanza non a quello che sembra, ma a ciò che ciascuno di noi è veramente. Oggi vediamo a cosa ha portato, a livello globale, questa mentalità dell’apparire: il gonfiarsi di situazioni che, sembrando reali e anche apprezzate, hanno invece poi rivelato la loro inconsistenza provocando il proprio crollo. Questo è avvenuto a livello economico, dove le grandi ricchezze sembravano solide e sicure e si sono invece rivelate deboli davanti allo strapotere delle speculazioni; a livello politico ogni decisione è presa in base ai sondaggi, senza una direzione precisa, senza responsabilità e un obiettivo, con l’unico scopo di apparire persone di successo e spregiudicate, di avere consenso.

Il Signore oggi però ci chiede, al di là dell’apparenza e di ciò che sembra, quale è la verità della tua vita? Qual è l’autentico valore e consistenza delle tue azioni, quali gli scopi, i modelli verso cui dirigi i tuoi passi?

È la domanda profonda che è insita nell’esempio che Gesù presenta: due figli che apparentemente si dimostrano l’uno obbediente e l’altro riottoso, ma poi è il loro agire che rivela chi ciascuno è in verità.

Spesso si dice che per essere veramente se stessi bisogna esprimere con immediatezza i propri pensieri e la propria personalità. Se ciò fosse vero allora dobbiamo concludere che nessuno dei due figli è sincero. Entrambi dicono una cosa e ne fanno un’altra, a modo loro tutti e due sono parimenti falsi. Ma noi intuiamo chiaramente che il figlio che si pente e, dopo aver detto di non voler aiutare il padre nel lavoro, poi invece ci va è colui che si comporta da figlio, è il “vero” figlio. Non l’altro che pur mantenendo le forme esteriori e mostrandosi obbediente, poi, nella concretezza, si disinteressa del padre e della responsabilità che lo lega a lui. Questo ci fa capire come per noi cristiani essere “veri” non significa essere se stessi così come “ci viene” spontaneamente, è autentico chi infatti, indipendentemente dalla propria indole o istinto, accetta di assumere col suo agire il ruolo di figlio di Dio, cioè di obbedire alle richieste e ai “consigli” che egli ci  propone. È vero uomo e vera donna non chi da libero sfogo ai propri sentimenti sorgivi e naturali, ma chi invece si forza di modellarsi su un comportamento che, magari, non sente immediatamente suo, secondo i suoi desideri, ma che, alla fine, realizza in pienezza il proprio essere umano fino in fondo.

È un paradosso, ma il racconto di Gesù è convincente. Egli chiede: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” e gli dicono: “L’ultimo” anche se è colui che ha fatto la figura peggiore, poiché ha risposto senza rispetto al padre: “Non ne ho voglia”.

Gesù però sottolinea anche un altro importante elemento: fra la risposta istintiva di rifiuto e la decisione poi di andare a lavorare obbedendo al padre c’è qualcosa di decisivo: “ma poi, pentitosi, ci andò.” Il Signore sottolinea come il passaggio dalla risposta istintiva alla scelta di obbedire avviene perché dentro il figlio si muove qualcosa. Sentimenti, pensieri, ricordi di esempi passati, non sappiamo cosa spinse il figlio a cambiare idea, ma se non si fosse soffermato a riflettere e a maturare una decisione diversa sarebbe rimasto un antipatico fannullone ribelle. Il primo figlio non passa attraverso questo processo di riflessione e decisione: egli sa fin dall’inizio che non andrà, e si preoccupa solo di salvare le forme.

È questo passaggio, il movimento di pensieri e riflessioni che avviene dentro il nostro cuore, e che in termini cristiani chiamiamo conversione, che amplia lo spazio interiore nel quale può maturare in ciascuno di noi la decisione di diventare (perché non lo siamo di natura) figli di Dio, cioè lavoratori della sua vigna. È quello che dobbiamo cercare ogni volta che il Signore ci parla: che le sue parole non scorrano via senza provocare nulla, ma che mettano in movimento i nostri pensieri, il cuore, i sentimenti, perché maturi la decisione migliore. Ma siamo noi a dover “avviare” questo movimento e lasciare che la parola lavori dentro di noi e ci susciti dubbi, inquietudini e, infine, pentimento. Infatti possiamo essere sicuri che “istintivamente” saremo come quel primo figlio, magari formalmente ed esteriormente corretti, ma nella realtà estranei dal Padre e figli solo di noi stessi, dei nostri umori passeggeri e della mentalità del mondo.

Lo ribadisce in modo chiaro il profeta Ezechiele: “se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà”.

Fratelli e sorelle, non fidiamoci troppo dei nostri comportamenti e decisioni istintive, ogni volta dobbiamo fermarci  davanti al Signore e riflettere, convertire il cuore dalla sicurezza arrogante alla docilità del figlio, che magari non capisce tutto, ma si fida, allontanarci dalla scontatezza con cui agiamo, giudichiamo e decidiamo il nostro futuro. A chi accetta di essere veramente se stesso, cioè un figlio fedele, il Signore infatti assicura la sua benedizione: “egli certo vivrà e non morirà”.


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