mercoledì 31 ottobre 2018

Festa di Tutti i Santi - Anno B - 1 novembre 2018





Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo 7,2-4.9-14
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele. Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».

Salmo 23 - Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.
Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Dalla lettera prima lettera di san Giovanni apostolo Gv 3,1-3
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

Alleluia, alleluia alleluia.
Venite a me,
voi tutti che siete affaticati e oppressi,
e io vi darò ristoro.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, la Chiesa oggi con questa festa ci fa soffermare su una realtà molto importante per la nostra fede: la santità. Per Israele la “santità” del popolo derivava dal suo essere stato scelto da Dio per essere diverso da tutti gli altri. Israele era il “suo” popolo, gelosamente custodito da Dio con una pedagogia fatta di prescrizioni e modi di vivere che riaffermavano con forza l’unicità di Dio e la sua signoria assoluta. Nessun’altra forza, naturale o soprannaturale, nessun essere, umano o soprannaturale, poteva essere preso da Israele come guida, sostegno o signore. Proprio in questo consisteva la santità: nella diversità da tutti gli altri popoli e dal loro modo di vivere. Israele era un popolo a parte, unico nel suo genere, perché era il popolo di Dio, e gli episodi di infedeltà a questa appartenenza esclusiva sono caratterizzati proprio dal cedere alla tentazione di assomigliare a tutti gli altri popoli, nel modo di credere e di essere, nella fede.
Quante volte nella storia Israele sentì come un peso il proprio essere così diverso da tutti gli altri popoli che apparivano più civilizzati, potenti e ricchi, come ad esempio gli Egiziani, gli Assiri, ecc…. Specialmente quando i loro idoli sembravano aiutare quanti li servivano, assicurando loro una vita più facile e priva delle tante prescrizioni della fede di Israele. Non valeva la pena fare come loro?
Ma proprio quando Israele si confondeva con tutti gli altri popoli, assumendone i modi di fare, si rivelava tutta la sua debolezza e insignificanza. Chi era infatti senza Jaweh? Un piccolo popolo schiavo, senza identità e preda delle prepotenze di altri popoli più potenti.
La stessa esperienza è la nostra. Anche noi cristiani siamo chiamati alla santità, cioè ad un modo di vivere che non si confonde con quello ordinario di tutta la gente. E questo non certo per un capriccio di Dio, piuttosto perché egli ci conosce fino nel profondo, sa come è facile per noi affidarci a una idea di sicurezza, a certezze, a forme di potere che non valgono niente, anzi mettono in pericolo la nostra stessa salvezza. Spesso a noi sembra più opportuno seguire la corrente: se così fanno tutti forse è meglio, di sicuro è più facile. È la tentazione che accompagna fin dall’inizio i discepoli, che talvolta restano poco convinti che la novità del Vangelo, così diversa rispetto alla normalità ordinaria, sia una via sicura. È quello che, ad esempio, ci viene spontaneo pensare davanti alle parole del Vangelo di oggi. Le beatitudini infatti rappresentano bene la paradossalità della via di santità del Vangelo: ci dice Gesù che santi, cioè beati, sono quanti mettono davanti a tutto e prima di tutto alcune cose ben precise: la povertà di spirito, la mitezza, la fame e sete della giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, la pace. Fin qui sembra tutto ovvio, chi potrebbe dire il contrario, cioè che è preferibile la prepotenza, l’ingiustizia, la bellicosità, la malizia, l’assenza di misericordia, ecc…?
Ma la vera paradossalità delle beatitudini, quello che più ci sconvolge, sta nel presentare tutto ciò come una priorità assoluta, qualcosa che vale la pena vivere a qualunque costo, anche se provoca fatica, sofferenza, persecuzione, accuse, condanne, isolamento, ecc… questa è la santità: dare la priorità a quello che il Vangelo ci indica come migliore, in grado di rendere la vita degna di essere vissuta.
A queste priorità assolute del Vangelo spesso noi contrapponiamo un senso di prudenza, che si traduce nel compromesso, nel mercanteggiare di volta in volta cosa ci conviene, nel cercare la via di mezzo, pur di ottenere il nostro vantaggio. Ma la vera prudenza, quella che i cristiani considerano una virtù, cioè una via che porta alla santità, non è evitare i rischi, trattenersi dagli eccessi, non correre pericoli. La virtù della prudenza, insegna la dottrina cattolica, è “il retto discernimento delle azioni umane”, cioè la capacità di capire con attenzione cosa è bene, allo scopo poi di perseguirlo fino in fondo, anche a costo di correre pericoli e rischiare di rimetterci.
Gesù conclude l’elenco delle paradossali beatitudini, cioè delle priorità da non mercanteggiare mai, con un messaggio chiaro: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.” Cioè: sarete beati se, pur di non rinunciare alle priorità del Vangelo, sarete disposti a subire anche insulti, persecuzioni e calunnie. Siate felici di avere lo sguardo fisso su quello che conta veramente e non fatevi attrarre ogni volta dall’ultima cosa che vi sembra più conveniente. Vivere così vi farà conquistare quella felicità che è la più grande ricompensa possibile in terra e in cielo, la vera santità.
La grande visione dell’apocalisse, descritta nella prima lettura di oggi, ci porta davanti ad una schiera numerosa di gente dall’abito bianco, non perché non si sono mescolati alla vita, e non ne hanno sperimentato le contraddizioni e le sfide più dure, stando da parte, distanti dalla mischia della vita, ma perché: “vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello.
Cioè sono quelli che hanno patito e faticato per vivere le priorità del Vangelo, lottando e soffrendo, non restando al difuori della mischia, ma, ogni volta, sono tornati a lavarsi con il sangue dell’Agnello, cioè con quella potenza di amore che è il sangue versato da Gesù e donato a noi ogni domenica nell’Eucarestia. È questo che permette di mantenersi immacolati, puri e santi fino alla fine: lottare con il bene,  sporcandosi con la vita, ma tornando poi dal Signore e facendosi lavare dal suo amore infinito, che è il perdono, la misericordia, la generosità con i fratelli e le sorelle.

Cari fratelli e  care sorelle, la memoria di tuti i santi oggi sia per tutti noi dunque occasione per tenere fisso lo sguardo su quella vita del Vangelo, priorità assoluta, senza compromessi e accomodamenti per ritrovarci anche noi, alla fine dei nostri giorni con una veste bianca, cioè dalla quale l’amore di Dio ha cancellato i segni del male e del peccato.


Preghiere 


O Dio nostro padre, aiutaci a tornare sempre da te per essere lavati dal sangue del tuo amore infinito e riempire la nostra vita di esso,
Noi ti preghiamo


Sostieni o Dio chi si allontana da te e cerca con orgoglio l’illusione della forza di questo mondo. Aiuta ciascuno a ritrovare la via dell’umiltà e della docilità al tuo volere,
Noi ti preghiamo




Sostieni o Dio quanti annunciano e testimoniano il Vangelo che rende liberi di amare e di operare il bene,
Noi ti preghiamo


Sostieni o Signore quanti ti cercano nella via umile del servizio ai fratelli e alle sorelle più piccoli. Fa’ che ti incontrino come Signore della consolazione e Padre della speranza,
Noi ti preghiamo




Proteggi o Dio le comunità dei discepoli che si riuniscono nel tuo nome. Perché nessuno sia più perseguitato a causa del Vangelo e si realizzi l’incontro e il rispetto fra i popoli e le culture diverse,
Noi ti preghiamo


Consola o Padre misericordioso chi oggi è nel dolore: i profughi, i migranti, gli anziani, i malati, i senza casa e senza famiglia. Dona a tutti la salvezza,
Noi ti preghiamo.



Dona ad ogni popolo o Dio pace e prosperità. Perché cessino le guerre e la miseria non affligga più nessuno,
Noi ti preghiamo


O Dio, Proteggi e accompagna papa Francesco, perché con la parola e l’esempio sia guida e sostegno a chi ti cerca,
Noi ti preghiamo

giovedì 25 ottobre 2018

XXX domenica del tempo ordinario - Anno B - 28 ottobre 2018





Dal libro del profeta Geremia 31, 7-9
Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dalle estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla. Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito».

Salmo 125 - Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Négheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. 

Dalla lettera agli Ebrei 5, 1-6
Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo. Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek».

Alleluia, alleluia alleluia.
Cristo Gesù ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 10, 46-52
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, come già dicevamo domenica scorsa, il Vangelo ci descrive Gesù mentre cammina. È in partenza dopo una sosta a Gerico e lo accompagnano diverse persone che il Vangelo definisce con precisione: i discepoli e molta folla. Sono due gruppi diversi, come due cerchi che si stringono attorno a Gesù. Uno, quello più interno, è costituito da quanti seguono Gesù ovunque lui vada; l’altro, quello più esterno, è la folla radunatasi per l’occasione. Sono i curiosi, gente di passaggio, persone attratte dall’eccezionalità dell’incontro con quel Maestro così fuori dal comune, ma non lo seguono ovunque lui vada. Di lì a poco lo perderanno di vista e, forse, non sentiranno mai più parlare di lui, la loro vita si svolge su altri orizzonti.
Questa descrizione, sommaria ma efficace, dei diversi tipi di persone che incontrano e seguono Gesù descrive anche noi. Di quale cerchia facciamo parte, ci interroga oggi il Vangelo? Di quelli che seguono Gesù ovunque lui vada, ovunque lui li voglia condurre con sé, o di quelli che stanno a guardare lui che passa, magari con simpatia, anche con ammirazione, ma restando fermi su se stessi?
A volte dobbiamo interrogarci su questa differenza, profonda e significativa, fra il discepolo e lo spettatore che osserva da lontano.
A questi gruppi si aggiunge un terzo che non fa parte di nessuno dei due: Bartimeo. Anche lui sta fermo per strada, ma, racconta il Vangelo, appena si accorge che Gesù passa comincia a gridare e a invocare il suo aiuto. È un mendicante cieco, non vede, ma sente, avverte la sua presenza e si appassiona a lui, grida per raggiungerlo, fa tutto quello che può fare per farsi notare. Gli altri vedono, ma non fanno nulla per esprimere il loro attaccamento.
Ancora una volta questo ci pone una domanda: a volte “vedere”, cioè conoscere bene, sapere, essere informati, capire, avere chiare le dimensioni e le caratteristiche di un fenomeno e di una persona, non aiuta a farsi toccare in profondità. Così avviene anche per la nostra fede. Conoscere, sapere, essere informati ed esperti a che serve, se questo non ci porta a voler stare sempre con lui, a seguirlo? Il cieco non sa niente, ma sente la voce e sceglie per lui.
Qual è la differenza principale fra il cieco e la folla? Il primo non nasconde il suo bisogno, anzi ne fa il motivo per attrarre l’attenzione di Gesù. Strano! La folla, e noi con lei, crediamo che siano gli altri a doversi render conto di quanto valiamo e a desiderare la nostra compagnia. Per questo facciamo di tutto per mostrare il nostro lato migliore, attraente, per nascondere le magagne, se mai ammettiamo di averne. Invece Bartimeo sbatte in faccia a Gesù il proprio bisogno, la debolezza del suo stato, la mancanza di cui soffre di più e invoca la sua salvezza. Bartimeo si fa forte della sua debolezza, noi ci sentiamo forti della nostra presunta/pretesa forza. Il cieco fa’ quello che dice L’Apostolo Paolo, che ha capito in profondità Gesù: “quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).
Ma ecco che avviene qualcosa di inatteso: la folla dei simpatizzanti si frappone fra lui e Gesù, come una barriera. Eppure non è gente che ce l’ha con Gesù, che ne pensa male, solo disprezza queste espressioni eccessive e non sopporta che il proprio stato di bisogno venga esibito in modo così impudico. È la reazione normale che abbiamo davanti ai poveri che infastidiscono, sono molesti, senza dignità, ma in realtà la loro colpa principale è quella di metterci davanti alla realtà del bisogno materiale e spirituale, cosa che ci fa così male e paura che preferiamo alzare un muro pur di non vederli.
Ma Gesù sente e vede. Non resta indifferente, anzi raccoglie quel grido soffocato dalla folla come la cosa più preziosa. Dice il libro del Siracide: “La preghiera del povero attraversa le nubi” (Sir 35,21) e pure la muraglia umana dei benpensanti.
Con umiltà Gesù chiede a Bartimeo: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” e obbedisce alla sua richiesta, lo guarisce dalla cecità. Cos’è che rende Gesù così docile ad un cieco mendicante ed estraneo? La fede di quello: “Va’, la tua fede ti ha salvato.” Ma come, non è Gesù che ha compiuto il miracolo e lo ha guarito? L’incredulità rende Gesù impotente, non può “imporre” il bene a chi non lo chiede e non crede che lui possa darlo. D’altronde lo dice Gesù: la fede in lui può spostare una montagna (Lc 17,6), potrà allora anche guarire la cecità.
Cari fratelli e care sorelle, presentiamoci al Signore come siamo, poveri e malandati, carenti di tutto e pieni di difetti, ma soprattutto fidiamoci che l’incontro con lui ci cambia radicalmente. Una volta guarito il cieco, dice il Vangelo, “lo seguiva lungo la strada.” Ora anche lui è un discepolo e da Gesù si lascia condurre e lo segue, senza restare fermo su se stesso.


Preghiere 

O Signore Gesù, aiutaci a mantenere viva la speranza che il male possa essere vinto dal bene. Fa’ che non prevalga in noi il pessimismo realista di chi accetta come normale il mondo così com’è.
Noi ti preghiamo


Come il cieco Bartimeo, o Dio nostro salvatore, anche noi spesso siamo bloccati senza poter vedere un futuro migliore. Aiutaci ad avere come lui speranza in te e di invocarti come fece lui,
Noi ti preghiamo



Fa’ o Signore Gesù che siamo pronti a riconoscerti quando passi accanto alla nostra vita. Aiutaci a restarti vicino nonostante il timore e l’incertezza, per obbedire con prontezza all’invito a vivere il Vangelo.
Noi ti preghiamo



Perdona o Dio la rassegnazione dei nostri cuori. Guarisci la nostra cecità che non ci permette di riconoscerti,
Noi ti preghiamo


Sostieni o Padre misericordioso quanti sono nel bisogno: i malati, chi è senza casa e famiglia, gli anziani, gli stranieri e i profughi. Fa’ che sappiano trovare conforto da chi, imitandoti, si fa loro vicino,
Noi ti preghiamo


Perdona o Dio del cielo quando ci abituiamo al male e lo viviamo come normale. Fa’ che non cessiamo di invocarti per trovare la forza di combatterlo operando il bene.
Noi ti preghiamo.



Proteggi o Signore quanti sono in difficoltà per la loro fede in te, chi si affatica per il vangelo e chi rischia per costruire la pace fra i nemici.
Noi ti preghiamo


Sostieni o Dio la tua chiesa che riunisce tutti i tuoi figli dispersi per formare la famiglia dei discepoli. Aiutala a farsi annunciatrice audace e instancabile della Parola che salva,
Noi ti preghiamo

sabato 20 ottobre 2018

XXIX domenica del tempo ordinario - Anno B - 21 ottobre 2018





Dal libro del profeta Isaia 53,10-11
Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.

Salmo 32 - Donaci, Signore, il tuo amore
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. 

Dalla lettera agli Ebrei 4, 14-16
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.  

Alleluia, alleluia alleluia.
Il Figlio dell’uomo è venuto a servire
e dare la vita in riscatto per molti.
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 10, 35-45
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo appena ascoltato un passo del Vangelo di Marco in cui si descrive una scena assai comune: Gesù che cammina attorniato dai dodici. È la “normalità” della vita del gruppo degli amici del Signore e rappresenta bene la vita dei discepoli: assieme al Signore e ai fratelli e sorelle. L’uno e gli altri sono, nel Vangelo, i compagni inseparabili dei discepoli, i quali solo eccezionalmente sono descritti da soli o, al massimo, in coppia, come quando sono inviati a predicare nei villaggi. Il discepolo è, per definizione, colui che vive sempre nella compagnia del Signore e dei fratelli. È quello che sperimentiamo anche noi: il cristiano non può vivere lontano dalla compagnia del Signore, che si fa più concreta e reale proprio la domenica, da cui il “precetto” di partecipare alla Santa Liturgia, cioè il momento nel quale Gesù parla attraverso il Vangelo proclamato e si offre come nutrimento nel suo Corpo e Sangue. Ma sempre la domenica sperimentiamo anche la compagni dei fratelli e delle sorelle: la Liturgia infatti è un evento comunitario, mai individuale, e la presenza degli altri si fa ancora più concreta e direi travolge il nostro isolamento e solitudine.
Nel racconto dei Vangeli ci sono momenti in cui i discepoli sono da soli, senza il Signore e senza i fratelli e le sorelle: è il momento del tradimento e della dispersione, nella Passione del Signore: tutti fuggono, ciascuno per conto proprio.
Questa deve essere anche la nostra esperienza: anche nella separazione “forzata” della quotidianità cerchiamo di vivere sempre accanto al Signore e ai fratelli, ricordiamone le parole e facciamoci vicini a quanti incontriamo.
Camminando con i dodici, come avviene durante la Messa, Gesù parla, anzi sono proprio i momenti in cui sperimenta l’intimità che gli consente di rivolgersi a loro a cuore aperto e di manifestargli i propri sentimenti più profondi. In questo clima, nelle righe appena precedenti il brano che abbiamo ascoltato oggi, Gesù confida il destino che lo attende a Gerusalemme: persecuzione, arresto, morte e infine, dopo tre giorni, la resurrezione. Davanti a questo squarcio sul futuro che attende Gesù, Giacomo e Giovanni fanno a Gesù una richiesta: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra.” È una domanda ambigua e piena di insidie. Infatti da un lato sembra voler manifestare attaccamento al Signore, tanto da voler essere quelli che, in futuro, gli staranno più vicini, dall’altro però manifestano tutta l’ambizione di primeggiare sugli altri e di garantirsi posizioni di privilegio.
Gesù davanti a questa richiesta non si scandalizza eccessivamente. Non reagisce come davanti a Pietro che gli aveva detto di non pensare nemmeno che possano accadergli cose così tremende, al quale dice: “Vai dietro a me, Satana!” In qualche modo Gesù sembra accettare che Giacomo e Giovanni ambiscano a restargli per sempre vicino, nella gloria, ma nega che ciò possa passare attraverso quella che i due intendono come la concessione di un privilegio. Piuttosto spiega come ciò possa realizzarsi. Innanzitutto passando attraverso “il calice” e “il battesimo” che lui stesso sta per accogliere, cioè la passione e morte. In secondo luogo Gesù precisa che primeggiare, avere il posto più vicino a lui, significa farsi ultimi, umili servitori degli altri: “chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”, cioè esattamente come ha fatto lui: “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire.” Offrire la vita nel servizio degli altri, ecco il modo di vincere ogni distanza dal Signore, facendosi imitatori di lui, tanto da essergli uguali, pur in tempi, situazioni e modi diversi. È la storia della santità che ha visto in ogni luogo e in ogni tempo una folla di uomini e donne vivere così e, in questo modo, ritrovarsi nella gloria accanto a lui.
Cari fratelli e care sorelle, come è facile anche per noi sentirci i migliori, facendo il confronto con gli altri, i loro peccati ed errori. Ma non dimentichiamo mai che il modello con cui confrontarsi è il Signore. A lui dobbiamo guardare ed imitare, non basta contentarsi di non essere i peggiori di tutti o di non fare “niente di male”, Bisogna assumere il suo modo di vivere, a costo di faticare e subire insuccessi, essere giudicati male o anche ostacolati, pur di servire gli altri, specialmente i più piccoli.



Preghiere 


O Signore Gesù donaci un cuore pieno di compassione per te che vai a morire e per ogni uomo e donna nel dolore, perché vincendo la paura saremo rivestiti della forza della resurrezione,
Noi ti preghiamo


Aiutaci o Signore Gesù a restarti vicino e a non allontanarci mai da te. Fa’ che non vincano nel nostro cuore le preoccupazioni per noi stessi che chiudono il cuore all’ascolto del Vangelo,
Noi ti preghiamo
  

Ti preghiamo o Dio perché riconosciamo nella storia  i segni potenti del tuo amore e proclamiamo con le parole e la vita la potenza irresistibile della tua resurrezione,
Noi ti preghiamo


Vinci o Padre misericordioso i legacci che tengono avvinti i cuori di chi è nel peccato e collabora con il male. Fa’ che, liberi dalla schiavitù, tutti noi possiamo divenire operatori di bene e costruttori di pace,
Noi ti preghiamo



Proteggi o Signore Gesù coloro che sono minacciati dalla violenza e dalla guerra. Fa’ tacere le armi e concedi a tutti di vivere in un mondo di pace,
Noi ti preghiamo


Guarisci, o Dio medico buono, le malattie del corpo e della mente che colpiscono i nostri fratelli e sorelle. Dona  a tutti i malati sollievo nel dolore e consolazione, apri i loro cuori alla speranza,
Noi ti preghiamo.



Dona forza e coraggio a chi annuncia e testimonia il vangelo. Per tutti i cristiani dal cuore tiepido e le mani chiuse, perché il tuo santo Spirito li scaldi e li apra al tuo amore,
Noi ti preghiamo


Ti preghiamo o Signore per papa Francesco e tutti  pastori della chiesa, perché siano testimoni fedeli e annunciatori audaci del tuo vangelo di pace e misericordia nel mondo intero,
Noi ti preghiamo

sabato 6 ottobre 2018

XXVII domenica del tempo ordinario - Anno B - 7 ottobre 2018





Dal libro della Genesi 2, 18-24
Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno de­gli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.

Salmo 127 - Ci benedica il Signore tutti i giorni della nostra vita.
Beato chi teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice e avrai ogni bene.

La tua sposa come vite feconda
nell’intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno alla tua mensa.

Ecco com’è benedetto
l’uomo che teme il Signore.
Ti benedica il Signore da Sion.

Possa tu vedere il bene di Gerusalemme
tutti i giorni della tua vita!
Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!
Pace su Israele! 

Dalla lettera agli Ebrei 2, 9-11
Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Conveniva infatti che Dio - per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria - rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

Alleluia, alleluia alleluia.
Se ci amiamo gli uni gli altri,
Dio rimane in noi e l’amore è perfetto
Alleluia, alleluia alleluia.

Dal vangelo secondo Marco 10, 2-16
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione (Dio) li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.  

Commento

Cari fratelli e care sorelle, la liturgia di oggi ci fa incontrare Gesù mentre un gruppo di farisei gli fanno domande su come devono essere gestiti i rapporti umani, partendo dal caso del matrimonio e della possibilità che dava la legge di Mosè di ripudiare la moglie. Dietro quella domanda, maliziosa perché fatta per mettere in difficoltà, e non per un interesse sincero, si legge un’idea dei rapporti umani e coniugali che si ritiene scontata e che anche oggi sembra così comune da non dover essere nemmeno messa in discussione. È l’idea che un rapporto se non risponde più ai nostri desideri e bisogno di soddisfazioni non ha più senso di esistere. È una idea consumistica: quello che non mi serve più lo getto via, e magari compro un’altra cosa, finché dura. Questo, come dicevo, vale per tutti i tipi di rapporti umani: quelli coniugali, quelli fra amici e colleghi di lavoro, quelli familiari, di vicinato, ecc… Il rapporto, si pensa, è funzionale a me, quindi, se non mi serve più che me ne faccio? Diventa un peso inutile, anzi anche oppressivo perché non mi lascia la libertà di passare ad altri rapporti magari più soddisfacenti. Ed ecco allora che l’interesse di quei farisei si concentra su quali norme possono liberare l’uomo da questi impacci e fornire una via di uscita, come prevedeva la legge giudaica con l’atto di ripudio della moglie.
La risposta di Gesù a questa domanda, antica ma anche così attuale, si compone di due parti. Prima infatti afferma come il rapporto coniugale, come ogni altro rapporto umano, nasce sulla constatazione originaria di Dio che “non è buono che l’uomo sia da solo”. È questo il caposaldo antropologico, cioè l’idea fondamentale di uomo, su cui si fonda la concezione cristiana dei rapporti umani. Essi cioè si basano sulla natura stessa dell’uomo che se è da solo non è pienamente se stesso, rimane privo di qualcosa. L’uomo, dice Dio, è veramente uomo solo nell’essere con altri, nell’avere accanto altri uomini e donne che lo completano. Per questo, come fa Gesù, nella natura umana come Dio l’ha creata è scritto il rapporto fra uomo e donna come l’unione intima nel matrimonio, un aiuto perché non prevalga la tentazione malvagia di isolarsi e allontanare gli altri da sé.
Accanto a questa spiegazione teorica, per far meglio comprendere il bisogno che abbiamo di stringere legami con gli altri, Gesù compie un gesto significativo che esemplifica quello che ha detto. Alcuni bambini infatti gli si avvicinano. In quel gesto semplice e spontaneo possiamo leggere l’innato desiderio dell’essere umano di essere con altri. La curiosità un po’ sfacciata, a volte inopportuna dei bambini piccoli è un bell’esempio di come fin dall’inizio della vita l’uomo tende ad andare incontro all’altro e ad esserne attratto. Ma intervengono i discepoli e vogliono allontanare quei piccoli. Argomenti di opportunità, fastidio, antipatia, intervengono a impedire quel gesto di ingenuo interesse per Gesù. Il Signore rimprovera i discepoli, proprio perché con quel loro modo di fare confermano quella mentalità mondana a cui facevo cenno, cioè che il rapporto con altri ha senso e valore solo se e quando mi serve o mi conviene. I bambini certamente non portano nessun guadagno e possono essere facilmente considerati un inutile fastidio. Gesù insiste: non allontanate nessuno, tantomeno i bambini, perché in quel loro spontaneo “andare incontro” agli altri c’è il segreto della natura umana a cui tutti dobbiamo tendere ad assomigliare.
Davanti a queste parole e gesti di Gesù potremmo dire che sì, esse sono belle, ma la realtà è più difficile e complicata. Certo, nella realtà c’è la forza del male, nelle sue espressioni diverse, che opera con forza per dividere gli uomini e, se possibile, mettere gli uni contro gli altri. È forza divisiva, che contrasta l’unione e la concordia. Tutti ne abbiamo fatto esperienza, a volte anche dolorosamente. Come rispondere a questa forza?
Gesù ne parla, affermando che esiste una forza più forte della divisione perché è forza di unione, il perdono. Sì, quello che comunemente si considera un gesto di debolezza, è il realtà una grande forza, e proprio per questo il mondo la evita. Il perdono infatti crea un legame proprio dove il male operato e subito sembra aver creato una frattura insanabile. Il perdono non significa dimenticare e fare finta di niente, questo è falso perdono, ma significa assumersi la responsabilità di combattere il male quando questo si fa presente nella vita di un altro e siamo noi a subirne le conseguenze. È questa la grandezza del perdono, perché ci rende capaci di farci carico di un compito che, apparentemente, non ci spetta, ma che può avere la forza dirompente di liberazione per l’altro ma anche per noi. Subire un torto infatti, spesso significa coltivare desiderio di rivalsa, antipatia, odio, fino, addirittura, a giustificare il fatto che anche noi ci comportiamo in modo ingiusto. Perdonare significa combattere con le armi del bene perché sia sradicata la radice del male dal cuore del fratello, e così facendo, la sradichiamo anche dal nostro. Dimenticare e lasciar correre invece lascia la pianta continuare a fruttificare e, magari, a far cadere il seme della stessa cattiva erba anche nel nostro cuore.
Ecco allora la grande forza che Dio ci affida perché la divisione dagli altri, amici parenti o coniugi che siano, non venga accettata con fatalismo come un destino ineluttabile o come normale espressione dell’animo umano. È una sfida che dobbiamo far nostra.
A questo proposito oggi vogliamo ricordare una persona cara alla nostra terra e chiesa: S. Francesco di Assisi, del quale giovedì scorso abbiamo celebrato la festa. Egli iniziò la sua esperienza di fede proprio partendo dalla coscienza del proprio peccato e dalla necessità di ricevere e offrire il perdono. Il suo movimento infatti entrò a far parte del più vasto fenomeno dei “penitenti”, cioè di quei cristiani che facevano del riconoscimento del proprio peccato e della richiesta di perdono a Dio la chiave del proprio vivere cristiano.
I primi compagni di Francesco si presentano come uomini felici di vivere il vangelo e, proprio per questo, suscitavano in chi li incontrava una domanda di perdono.
Fratelli e sorelle, Francesco, uomo umile e pronto a riconoscersi bisognoso del perdono, ci insegna che chi non sa perdonare non conosce nemmeno il pentimento per il proprio peccato. Chi si sente già buono perché passa sopra e dimentica i torti subiti vorrebbe che Dio e i fratelli facessero finta di niente del proprio peccato e lo lasciassero così come è.
Dio però non ci lascia così come siamo, ma vuole la salvezza di ciascuno. Perciò ci invita a riconoscere il nostro peccato, a chiederne umilmente perdono e a prendersi la responsabilità anche del male che si manifesta negli altri.

  
Preghiere 
  
O Signore Gesù, aiutaci a legare la nostra vita ai fratelli e alle sorelle con il vincolo dell’amore invincibile della tua carità. Fa’ che nulla possa dividerci e allontanare dagli altri,
Noi ti preghiamo


Sostieni e rafforza o Dio del cielo l’amore che lega le famiglie, uniscile nel tuo nome da una generosità reciproca e dall’affetto che vince ogni male,
Noi ti preghiamo



O Signore Gesù che dalla croce hai perdonato chi ti stava uccidendo, raccogli anche noi ai tuoi piedi perché diveniamo la famiglia indissolubile dei tuoi figli,
Noi ti preghiamo


Solleva o Padre buono ogni uomo dal peso del suo peccato, perché ciascuno sia liberato dal male che lo divide da tutti e sia riaccolto con affetto nella famiglia dei tuoi figli,
Noi ti preghiamo



Guarda con amore o Dio tutti coloro che sono colpiti dalla mancanza di lavoro, dall’incertezza del futuro e dalla precarietà dei mezzi di sussistenza. Apri alla speranza i cuori sfiduciati e fa’ che ciascuno abbia l’opportunità di un futuro migliore,
Noi ti preghiamo


Libera dal male o Signore tutti quelli che sono schiacciati dalla miseria e dal dolore. Dona guarigione, pace e salvezza al mondo intero,
Noi ti preghiamo.



O Signore benedici il lavoro di chi vive e testimonia la forza del tuo amore, come il nostro papa Francesco. Fa’ che grazie al loro impegno vinca sempre nel mondo il bene sul male.
Noi ti preghiamo


Proteggi o Padre buono chi si affatica per l’annuncio del Vangelo, chi serve i poveri, chi opera per la pace e la giustizia. Dona ad essi il coraggio dell’amore e la forza del perdono,
Noi ti preghiamo