mercoledì 1 giugno 2011

Scuola del Vangelo 2010/11 - XXIV incontro (III del tempo di Pasqua) : Gesù e i suoi familiari






Per parlare del tema del rapporto di Gesù con i suoi familiari vorrei prima di tutto inquadrare questo tema nell’ambito più generale del significato che nel Vangelo viene dato alla categoria del “mondo” e che tipo di rapporto ha Gesù con esso.
Per affrontare questo tema partiamo dal prologo di Giovanni in cui il “mondo” è così presentato:



10 Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
11 Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l'hanno accolto.
12 A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13 i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
(Gv 1,10-13)



Il mondo è inteso da Giovanni come l’ambito nel quale Gesù è venuto a vivere con la sua incarnazione, quello in cui viviamo tutti noi (“Egli era nel mondo”). Ha un significato quindi molto ampio: è la natura fisica (il mondo materiale), ma anche la cultura, le leggi, la società. Infatti non è la natura fisica a non aver accolto Gesù, anzi, Gesù l’ha creata e poi assunta in sé tutta quanta senza problemi, ma è l’umanità e tutte le sue espressioni (culturali, politiche, religiose, tradizionali, ecc…) che hanno rifiutato il Signore (“eppure il mondo non lo riconobbe”). Giovanni dice “eppure” per sottolineare lo stupore per il fatto che il mondo pur essendo stato fatto da Gesù (“il mondo fu fatto per mezzo di lui”), per cui diremmo “predisposto, adatto” a riconoscerlo e accoglierlo, non lo ha ricevuto come Salvatore, come invece ci si poteva aspettare. È la dimostrazione della libertà dell’uomo. Infatti, pur essendo stato fatto da Dio, il mondo e l’uomo aveva bisogno di essere redento, perché liberamente aveva deciso di darsi da sé le proprie leggi e non seguire quelle di Dio, fin dai suoi primi passi, disobbedendo con Adamo ed Eva.
Dunque Gesù, fin dalla nascita, si pone in rapporto di “alterità” rispetto al “mondo” inteso in questo senso: è qualcosa di diverso, per giungere, a volte, ad essere qualcosa di opposto e inconciliabile, come ci testimoniano altri passi evangelici:




sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto.” (Mc 4,19)




Fin dall’inizio della sua esistenza nel mondo Egli non trova spazio in esso, è come un corpo estraneo: nasce fuori della città, il luogo massimo della vita sociale e culturale e religiosa, perché non c’è posto per lui (“Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.”).
Questa realtà di alterità però non è l’unica possibilità: si può realizzare che il mondo accolga Gesù, a patto però che accetti di trasformare se stesso: “A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio.”
Il mondo quindi per il prologo di Giovanni ha una valenza neutra: non è né malvagio né buono, di per sé stesso. Il suo valore positivo o negativo dipende dal fatto se esso vive secondo le regole che si è dato da se stesso, rifiutando quelle di Dio e divenendo quindi qualcosa di inconciliabile con lui, oppure si sottomette al volere di Dio, si conforma a lui, e quindi lo accoglie come qualcuno di casa e familiare, e allora il mondo è trasformato e diviene come un luogo in cui pregustare il Regno che Gesù è venuto a inaugurare e che si compirà pienamente solo alla fine dei tempi.
Questa è infatti proprio la missione di Gesù: trasformare angoli di “mondo” in squarci di “Regno di Dio”, per farlo intravedere, pregustare agli uomini e invitarli a farsi anche loro operatori di questa trasformazione perché il regno si allarghi fino a comprendere tutto il mondo.
Ciò si realizza ad esempio nei miracoli, quando cioè si sovverte la legge “naturale” del mondo e si impone la legge di misericordia e salvezza di Dio. I miracoli che sono ad esempio le guarigioni e le resurrezioni, ma anche quando il perdono vince sulla condanna (es: l’adultera) o quando prevale l’amore per Gesù su quello per sé stessi (chiamata dei dodici che lasciano tutto); ecc…
Per fare un esempio banale, pensiamo ad un martello. Esso di per sé è uno strumento di una certa utilità (per inchiodare il legno), anche se è stato usato in modo malvagio per inchiodare Gesù alla croce. Dipende dalla volontà di chi lo usa. Non possiamo dire che il martello è malvagio in sé, perché è stato strumento dell’uccisione di Gesù, né che è sempre buono, perché è utile al falegname: può infatti essere tanto un utile strumento che una pericolosissima arma.
Questa diversità di valutazione delle realtà mondane secondo con quali occhi le si guarda emerge anche da 1Cor 1,27:”Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti”

Un altro brano in cui Gesù parla molto del “mondo” è nel Vangelo di Giovanni 17:
1 Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. 2 Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3 Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4 Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. 5 E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.
6 Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. 7 Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8 perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. 9 Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. 10 Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11 Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.
12 Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. 13 Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14 Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
15 Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. 16 Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17 Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18 Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; 19 per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità.

25 Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. 26 E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».



Vediamo alcuni elementi che emergono da questo lungo brano:
Gesù inizia parlando della sua missione: far conoscere Dio agli uomini che sono nel mondo: “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo”. Gli uomini sono “dal mondo”, cioè sono parte di esso, lo è il loro modo di vivere e le situazioni in cui si trovano a vivere, la loro cultura, ecc… Conoscere Dio fa uscire gli uomini da questa realtà mondana, estranea a Dio e li fa entrare in rapporto stretto con lui, attraverso Gesù fatto uomo. In questo modo si salvano, perché entrano in una prospettiva nuova di vita che è lo squarcio di Regno inaugurato: “non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.” (Gv 12,47).
Gesù prega per i suoi perché essi resteranno nel mondo, cioè dentro la vita, mentre lui se ne sta per andare via, e pertanto hanno bisogno di continuare a restare legati a lui per distinguersi da esso anche dopo della sua partenza e per non farsi risucchiare tornando ad essere “come il mondo”, o “del mondo” : “Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. … Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato…”
L’opera di Gesù con i discepoli è stata esattamente quella di tirarli fuori dal mondo, cioè dalle sue leggi, le sue logiche, le sue mentalità, tradizioni, ecc… per radicarli in una dimensione diversa, quella del Regno, tanto che ora può dire che, anche se vivono “nel mondo”, non sono “del mondo”, e proprio per questo motivo il mondo li sente come un corpo estraneo, così come è accaduto per Gesù stesso: “Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.” Dice S. Paolo a questo proposito: “Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato.” (1Cor 2,12) oppure: “un tempo viveste, alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle Potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli.” (Ef 2,2), ecc…
Il mondo di per sé non “riconosce” Dio perché segue le proprie leggi, Ma Gesù conosce il Padre e lo ha fatto conoscere ai suoi, attraverso la sua manifestazione più chiara, l’amore: “Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro.”
Questa è in estrema sintesi l’idea del mondo che emerge dal vangelo.
Cosa significa questo discorso per noi?
Il mondo è la realtà “naturale”, istintiva, spontanea che viviamo ordinariamente, così come ci viene proposta: è la cultura in cui viviamo in senso ampio, il “come si vive”, e quindi i contesti o ambiti in cui viviamo, come ad esempio il lavoro, lo studio, la politica o anche la famiglia.
Pensiamo alla famosa frase di Gesù: “Rendete dunque quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio” (Lc 20,25)
Per se stesse tutte queste porzioni di mondo non sono né buone né cattive, come il martello di cui parlavamo, lo diventano a seconda di come le viviamo: secondo le loro leggi interne che il mondo si è elaborato da sé, o secondo la legge di misericordia e di amore del Vangelo del Signore Gesù?
Questo è il fondamento della libertà cristiana, per il quale Paolo afferma con grande spregiudicatezza:
“«Tutto è lecito!». Ma non tutto è utile! «Tutto è lecito!». Ma non tutto edifica.” (1Cor 10,23)
Possiamo dire che il cristiano è colui che nella sua vita quotidiana non da mai nulla per scontato e si pone sempre, prima di agire, questa domanda: agisco secondo le loro leggi interne che il mondo si è elaborato da sé, o secondo la legge di misericordia e di amore del Vangelo del Signore Gesù?

Allora il mondo è da rifiutare?
A partire dai primissimi secoli cristiani si è diffusa una lettura di questo rapporto da avere con il “mondo” un po’ diversa da quella che Gesù insegna nel Vangelo. La cultura semitica di cui infatti il Signore è figlio e che si esprime nell’intera Bibbia ha un’idea dell’uomo unitaria: anima e corpo, spirito e materia sono unite inscindibilmente, due dimensione dell’unico uomo che Gesù considera sempre nella sua interezza, senza dividerlo mai.
La cultura greca in cui invece si sviluppa il pensiero cristiano nei suoi primi secoli prevede una visione della realtà umana un po’ diversa, utilizzando le categorie della filosofia platonica che avevano allora maggiore diffusione nella cultura. Secondo questa visione la realtà era nettamente divisa nelle sue due componenti materiale e immateriale. La prima aveva una valenza negativa, perché costituiva l’esteriorità ingannevole delle realtà che fuorviava l’uomo dalla conoscenza della reale essenza delle cose, che era quella immateriale. In contesto cristiano questo portava al disprezzo per tutto quello che era fisico e materiale, per dare invece importanza solo al versante spirituale della realtà umana. Questo giungeva fino all’estremo disprezzo per ogni dimensione fisica (corpo, salute, bellezza, benessere, ecc…) vista come una nemica da combattere per far prevalere quella spirituale (anima, salvezza, bontà, felicità, ecc…).
In questo sistema di pensiero il “mondo” ha via via assunto una valenza negativa: esso andava rifiutato in totale e abolito, mentre, come abbiamo visto, per Gesù si deve invece trasformarlo dal di dentro per dargli un’anima, per farlo diventare un mezzo di manifestazione della logica sovvertita del regno di Dio.
Questa mentalità è arrivata fino ad oggi in tante concezioni tradizionali che si dicono cristiane.
Potremmo dire che l’atteggiamento più in sintonia con quello di Gesù è: non rifiuto ma conversione al Vangelo. Chiaramente questo processo è molto più difficile, perché dà libertà, e quindi responsabilità, a ciascuno di noi di agire: non c’è più la netta divisione fra ciò che è buono da accettare e ciò che è male da rifiutare, ma una realtà complicata e multiforme da comprendere amare e trasformare, assumendosela e convertendola assieme a me che la vivo. È molto più difficile, ma è anche una sfida che ci restituisce una grande libertà e responsabilità. Dalla logica della rinuncia al mondo e del sacrificio alla logica della misericordia e della trasformazione del mondo.
La famiglia allora, in questo senso, come una delle dimensioni naturali del mondo non è di per sé un male (come magari una certa mentalità cristiana antiquata faceva pensare, privilegiando la scelta del celibato come perfezione maggiore rispetto al matrimonio), come non è di per sé un bene (non è “santa” automaticamente, come una certa ideologia familista moderna vorrebbe magari contrabbandare semplicisticamente), ma è invece una dimensione concreta e spirituale della vita che va evangelizzata, cioè convertita assieme a me che la vivo.
Il Vangelo ci offre le coordinate di come operare questa conversione, seguendo l’esempio e gli insegnamenti di Gesù.

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