Gli antenati di Gesù
Iniziamo oggi queste nostre quattro tappe di riflessione
sull’Avvento che vogliono essere un tentativo di comprendere più in profondità
a partire dal Vangelo l’evento della nascita di Gesù che festeggiamo a Natale.
Spesso infatti diamo per scontato di “sapere” cosa accadde a
Natale, e certamente, nelle linee essenziali, è vero, lo sappiamo. Abbiamo
ascoltato fin da piccoli il racconto della nascita di Gesù e ne abbiamo una
immagine chiara, aiutati anche da quell’invenzione straordinaria di San
Francesco che è il presepe: “Questo è il
mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la
nascita del Divino infante.”
Però c’è bisogno di capire e conoscere meglio il valore di
quell’evento, nel contesto ampio della storia nella quale Dio ha voluto portare
la salvezza agli uomini.
Il primo elemento di questi nostri incontri è appunto la
storia. Il Natale non è un evento astorico e atemporale, una specie di luogo
spirituale e dei sentimenti, ma è un evento storico e come tale va preso in
considerazione. Non a caso l’Avvento è un “tempo” cioè un pezzo della nostra
storia, e il fatto che non coincida con nessuno dei “tempi” nei quali è
suddivisa e scandita la vita ordinaria della società (non è un mese, né una
settimana, non è all’inizio dell’anno solare o dell’anno sociale, ecc…) sottolinea
proprio questa sua caratteristica di tempo di Dio che si incontra col tempo
della nostra vita personale e comunitaria. È un incontro però che non avviene
da sé, per natura né per abitudine, ma deve essere voluto e cercato da
ciascuno.
Questi nostri incontri vogliono essere, appunto, un aiuto a
scandire questo tempo perché entri nella nostra vita con più consapevolezza.
Il primo di questi nostri incontri vuole mettere a fuoco il
“prima di Gesù” cioè la storia da cui è sorto il Messia. Lo facciamo provando a
percorrere quello che i Vangeli ci dicono di questo.
Innanzitutto bisogna fare una prima grande distinzione fra il
Vangelo di Giovanni e quelli sinottici (Matteo, Marco e Luca).
Giovanni non racconta da dove viene Gesù, ma ne dà un’interpretazione teologica,
facendo subito emergere che la sua origine è Dio. Fin dall’inizio Giovanni
vuole mettere in luce la caratteristica principale della fede cristiana e cioè
quella di Un Dio unico ma in tre persone. La nascita di Gesù fa scoprire questa
realtà fin dall’inizio. Gesù è presentato come “il Verbo” che è sempre stato
nella storia, anzi l’ha creata, ma ora si presenta a noi nella fisicità della
storia attraverso una vicenda umana. Probabilmente qui Giovanni vuole suggerire
che la Parola – che poi prenderà il nome di Gesù Cristo – è il “progetto”
(Logos significa parola ma anche progetto) con cui tutta la realtà è stata
pensata. Gesù Cristo è il progetto del mondo e della storia. Non a caso Giovanni
per parlare della nascita di Gesù usa la parola “carne” che è molto forte (Gv
1,14) e non corpo, perché indica proprio il livello più basso e materiale
dell’uomo, il suo elemento puramente fisico. Dio non solo di è fatto uomo,
storia, vita, ma addirittura carne.
Giovanni non spiega né introduce, ma va al cuore della realtà
ultima dell’incarnazione affermando che Cristo realizza in maniera definitiva e
ultima l’unione fra Dio e l’uomo. Possiamo dire che faccia un percorso che
parte dal più alto, la realtà Divina di Gesù, ma poi giunge fino all’estremità
più bassa che c’è, la carne. In mezzo c’è tutta la storia che viene in lui
ricapitolata e assunta.
I Sinottici invece agiscono in modo diverso.
Marco è essenziale. Non narra nemmeno la nascita di Gesù, non si sofferma
sull’evento storico dell’incarnazione nelle sue origini, ma inserisce subito
Gesù nel solco preparato per lui da Giovanni Battista e il primo fatto storico
che riguarda Gesù è il suo battesimo. Anche in questo caso, come Giovanni,
vediamo che il primo elemento ad essere messo in luce è la realtà di Gesù
seconda persona della Trinità. Infatti nel battesimo si manifesta lo Spirito
sotto forma di colomba e si ode la voce del Padre che chiama Gesù “Figlio”.
Gesù viene introdotto nella storia dell’uomo da adulto, per questo c’è bisogno
di uno che lo accompagni e lo preceda, Giovanni.
Matteo invece inizia con il lungo elenco della genealogia di Gesù. Anche Luca
riporta la genealogia di Gesù, anche se lo fa immediatamente dopo il racconto
del battesimo di Gesù. Per tutti e due ha importanza da dove arriva Gesù come
uomo storico, figlio di una storia umana.
In Matteo l’elenco inizia con Abramo e conduce attraverso
Davide e la serie dei re di Giuda fino a Giuseppe, “lo sposo di Maria dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.”
In Luca invece la lista procede all’inverso e risale, sempre
da Giuseppe, ma va oltre Abramo fino ad arrivare ad Adamo “che traeva la sua origine da Dio”.
Un problema si pone circa la diversità di questi due elenchi
di nomi. In realtà, molto probabilmente, Matteo compila l’elenco della stirpe
secondo la legge, cioè prendendo la linea genealogica di Giuseppe, padre legale
di Gesù, mentre Luca usa la linea di sangue, cioè di Maria, anche se anch’egli
usa come punto di partenza Giuseppe, poiché il giudaismo non concepiva una
genealogia per via di madre. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che il
Vangelo di Luca è quello che ci presenta con più abbondanza di particolari la
figura di Maria, tanto che la tradizione orientale raffigura Luca come un uomo intento
a dipingere la prima icona della Vergine.
Nonostante queste differenze, per tutti e due gli evangelisti
comunque questa lunga lista di nomi è molto importante. A noi dice poco, e anzi
sembra noiosa ed inutile. Per gli antichi però la genealogia aveva grande
importanza, tanto che, ad esempio, quelle delle famiglie più nobili erano
custodite come memoria preziosa negli archivi del Tempio. Per questo Erode, che
non poteva vantare nobili origini, le fece distruggere, per non essere messo a
confronto con esse.
La prima cosa da sottolineare è un elemento che emerge subito
con chiarezza da questa genealogia: essa sottolinea l’universalità della missione
salvifica di Gesù, che non si limita al contesto giudaico. Questo è significato
da due fatti rilevanti. In Matteo infatti, nonostante che una genealogia di
solito non citava nomi di donne, sono inserite quattro donne straniere: Tamar,
Racab, Rut, la moglie di Uria (cioè Bersabea), proprio per sottolineare
l’universalità della salvezza per una storia che coinvolge popoli diversi (è
quello che dice Gesù riguardo al centurione romano di cui ammira la fede: “molti
verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco
e Giacobbe nel regno dei cieli,” Mt 8,11 e il senso dell’invito “Andate dunque e fate
discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo” di Mt 28,19). L’ultimo nome è ancora un nome di
donna, Maria, a sottolineare una salvezza che riguarda tutte le parti
dell’umanità, anche quella considerata meno a quel tempo, come quella femminile.
Luca invece esprime lo stesso concetto risalendo fino ad Adamo per rilevare non
solo l’appartenenza di Cristo all’umanità, cosa più scontata, ma l’universalità
della salvezza da lui portata nel mondo. È quello che Paolo capisce bene ed
esprime nella sua teologia della “ricapitolazione” mettendo in stretta
connessione Adamo capostipite dell’umanità nella caduta con Gesù capostipite
della nuova umanità redenta.
Ai primi ascoltatori di quei vangeli le genealogie dunque
erano familiari ed anche amate, perché quei nomi erano pieni di significato e
riportavano ai tempi primordiali dell’umanità, alle radici della propria
identità culturale ed umana:
Adamo, avvolto dalla nostalgia per la
perduta beatitudine del paradiso;
Seth che nacque dopo che Caino uccidesse
Abele, il primo omicidio-fratricidio della storia;
Enoch del quale si dice che abbia avuta
familiarità con Dio tanto da essere da lui rapito in cielo;
Matusalemme, il vecchissimo;
Noè, circondato nell’arca dal fragore
delle acque che cancellarono l’umanità peccatrice dalla terra;
Quei nomi cioè sono
pieni di immagini evocative e sono come le pietre miliari di un lungo cammino
familiare a chi li udiva in successione e li portava dal Paradiso fino ad Abramo,
padre nella fede, primo credente e amico di Dio.
Isacco, che stava per essere sacrificato
sull’altare di quella amicizia con Dio;
Giacobbe che lotto una notte intera con Dio e ricevette alla fine la sua
benedizione.
Questi nomi incarnano l’essenza della vicenda umana come è
descritta nell’Antico Testamento: ben piantato nella realtà terrena, fatta di
uomini, famiglie, bestie, lavoro, lotte, fatica, ecc… ma tuttavia camminando
sempre al cospetto di Dio, presenza vicina. Tutte queste figure riuniscono in
sé e nelle proprie vicende la più densa e concreta realtà umana e allo stesso
tempo lo slancio verso Dio che è alla loro portata. È quella realtà che viene
resa più vera che mai nell’incarnazione. Queste figure parlano dell’Emmanuel, cioè
di “Dio con noi”.
Poi si giunge a Davide, il re. Con lui ha inizio la
grande storia del popolo. È una vicenda che sta scritta nella carne di Israele:
lotte senza fine e sanguinose, poi la pace, con Salomone, lo splendore di
Gerusalemme con la costruzione del Tempio, ma poi di nuovo una serie infinita
di vicende alterne, fatte di tradimenti, riprese, cadute, orrori, guerre, fino
all’abominio della distruzione del regno e l’esilio a Babilonia. La storia di
Israele conosce così il suo abbassamento, il popolo vive nell’indigenza e
l’oscurità.
In questo contesto di abbassamento si inserisce Giuseppe,
sposo di Maria; egli è un artigiano, così povero da poter offrire al tempio
come vittima per la purificazione solo una coppia di “giovani colombe” invece dell’agnello prescritto (Lc 2,24).
L’intera storia dell’umanità, e poi del popolo, è compresa in
questi nomi. Gesù viene dentro questa storia e tutto il vissuto di fatica,
dolore, gioia, che essa racchiude.
Torniamo alla particolarità della presenza di figure
femminili. Esse sono qualcosa di straordinario anche per le vicende delle loro
vite:
Rut,
nonna di Davide, per i giudei più puri rappresentava una macchia in rapporto
alla stirpe regnante, perché era una straniera, moabita, e aveva così in
qualche modo inquinato il sangue del re;
Tamar era la moglie del figlio maggiore di Giuda. Questi morì precocemente
senza avere avuto figli, pertanto sua moglie, come era previsto dalla legge,
passò al secondo figlio, Onan, il quale però la prese controvoglia, senza
rispettare i suoi diritti, per questo Dio si adirò e lo fece morire. Giuda
allora ebbe timore di darle il suo terzo figlio e per paura di perdere anche
lui glielo negò. Allora Tamar per poter avere figli si vestì da prostituta e
attese Giuda sulla strada che faceva per andare al gregge. Lì da lui concepì i
due figli Fares e Zara che continuarono la genealogia di Gesù.
Racab era una pagana che ospitò a Gerico gli esploratori spie di Giosuè nella
città nemica;
Rut,
era un’ostessa o prostituta, parola che ha tutti e due i significati in
ebraico;
Bersabea, che la genealogia ha il pudore di non citare per nome, chiamandola “quella che era stata la moglie di Uria”.
Essa fu protagonista della vicenda vergognosa di Davide che, invaghitosi di
lei, causò la morte del marito per prendersela. Storia disonorevole di inganno,
tradimento e crudeltà omicida nei confronti di un innocente ufficiale del suo
esercito. Il profeta Natan rivelò a Davide l’ira di Dio per questo fatto ed
egli ebbe la forza di pentirsi, digiunando e facendo penitenza, e ottenendo
così il perdono di Dio. In questa vicenda è riassunta una profonda realtà
umana, e cioè come la più grande dignità e il fulgore regale, la stessa
profezia e poesia ispirata, la forza di lottatore e la magnanimità si mescolano
anche all’abiezione del disonore e del tradimento, ma possono trovare la loro
sintesi nel perdono di Dio che ridona dignità all’uomo nonostante tutto.
In conclusione, le genealogie stanno a rendere in maniera
plastica ed esplicita, per chi ne riesce a cogliere il potere evocativo, quello
che avvenne con la nascita di Gesù: Dio si è fatto uno di noi. È entrato nella
storia degli uomini, con i suoi alti e bassi, momenti gloriosi e abbassamenti
ignominiosi, con le loro sublimità e colpe. Gesù si è preso il peso di tutta
questa storia di colpe e di grandezze per portarlo davanti a Dio verso un nuovo
destino di salvezza.
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