giovedì 6 aprile 2017

“La Chiesa di papa Francesco” - IV incontro: “La dimensione sociale dell’evangelizzazione”



“La Chiesa di papa Francesco”
Itinerario di riflessioni, esperienze, preghiera
per una Quaresima nella gioia del Vangelo

La dimensione sociale dell’evangelizzazione
  
“Vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice[1] afferma papa Francesco all’inizio del IV capitolo della Evangelii Gaudium, dedicato proprio a questo argomento.
È evidente dunque l’importanza che viene data a questa dimensione. Essa è in linea con quanto dicevamo nel primo incontro, ricordando la dimensione “in uscita” della Chiesa secondo Francesco, cioè una Chiesa che ha il suo punto di interesse e di attenzione primaria al di fuori di se stessa.

La dimensione personale della fede
Noi spesso siamo portati a dare rilievo soprattutto alla dimensione “personale” della fede. Questo aspetto è importante e risponde ad una esigenza, molto sentita qualche decennio fa, di uscire da un ritualismo esteriore e senza coinvolgimento personale. La Chiesa del pre-Concilio infatti proponeva ai fedeli degli schemi e modelli che avevano portato a questa situazione. Vediamone alcuni aspetti:
1.     La impossibilità, e quindi la non necessità, di comprendere la liturgia, perché celebrata in latino.
2.     La sostituzione di questa con pratiche devozionali ripetitive e meccaniche, come la recita di giaculatorie, litanie, ecc…; il rosario ad esempio rientra in questo genere.
3.     L’assenza della Bibbia dall’orizzonte del credente, al quale era vietato leggerla.
4.     Il carattere individuale dell’itinerario ascetico proposto ai fedeli.
5.     uno schema “militante”, da esercito: da una parte ci sono i capi che hanno il ruolo di analizzare la realtà e decidere il da farsi, dall’altra la truppa alla quale è richiesto solo di obbedire ciecamente, senza porsi domande.
6.     Il forte moralismo come adesione a modelli precostituiti e scrupolosa osservanza di norme di comportamento precostituite.
7.     Una fissità a-storica della fede, concepita come un deposito immutabile e senza evoluzione storica.
Questi elementi favorivano una ripetitività esteriore, senza capire e senza sentire la necessità di un rapporto personale con Dio, diretto e nutrito di Bibbia e liturgia.
A questo stato di cose la Chiesa nel post-Concilio propose una serie di correzioni:

1.     Innanzitutto la liturgia in lingua volgare consentiva la partecipazione attiva del popolo, che anzi gli era richiesta.
2.     La diffusione di nuove forme di preghiera, meno individuali e ripetitive, comunitarie e nutrite di letture bibliche, come ad esempio la lectio divina, le ore recitate comunitariamente, ecc...
3.     L’invito rivolto a tutti a leggere e studiare la Bibbia, che apriva orizzonti inediti per un rapporto diretto e personale con Dio che cercava un dialogo con ciascuno.  
4.     Il nuovo protagonismo di tutti i fedeli, chierici e laici, con pari dignità e responsabilità, anche se con ruoli diversi, nel gestire l’azione pastorale nelle parrocchie, nei movimenti, e in generale nella Chiesa.
5.     Il nuovo modello di Chiesa come “popolo di Dio” che dava un’inedita importanza alle relazioni interpersonali, al senso comunitario, al camminare insieme e non individualmente.
6.     Lo sviluppo di un senso forte della coscienza personale che, nutrita del Vangelo, dei sacramenti e della vita di fede, deve orientare le scelte dei fedeli; questi devono pertanto maturare una forte autonomia morale difronte alle sfide complesse e multiformi che di volta in volta gli si presentano.
7.     La storicizzazione dell’evoluzione delle forme e anche di alcuni contenuti della fede e del modo di comunicarli.

Si sviluppò pertanto quello che si può definire un forte “personalismo”, cioè la crescita di un valore ricco e ampio della persona, del suo protagonismo, del coinvolgimento di tutte le sue facoltà intellettuali, di fede, morali, culturali, ecc… per lo sviluppo di una partecipazione sentita e coinvolta alla vita della Chiesa: liturgia, sacramenti, pastorale, preghiera, ecc… Fu una grande rivoluzione.
Come però in tutti i casi di reazione culturale e innovamento, essi provocarono a volte uno sbilanciamento eccessivo nella direzione opposta, sviluppando il personalismo in quello che possiamo chiamare un eccessivo intimismo di tipo sentimentale e individualistico.
Esso è particolarmente evidente, ad esempio, nella celebrazione liturgica. Mentre prima i fedeli erano spettatori passivi, l’evoluzione successiva ha enfatizzato una partecipazione sì più sentita e coinvolta, ma che a volta da valore solo al proprio sentire e al ripiegamento su di sé piuttosto che al sintonizzarsi in un’azione comunitaria, portando alla fine all’isolamento individuale. Per molti infatti conta solo quello che sento io dentro di me, perdendo così la dimensione di comunità che celebra assieme, secondo il senso originario della liturgia.
Un altro aspetto è lo sviluppo di una idea di fede che riguarda e coinvolge solo la sfera dei miei sentimenti personali, fino a ritenere che la fede sia autentica solo se mi emoziona e risponde alla ricerca di un appagamento psicologico che dia serenità e calma interiore, una sorta di “yoga cristiano”.
Lo sviluppo di simili atteggiamenti è del tutto corrispondente all’ampliarsi dell’individualismo come tratto culturale dell’uomo moderno, che perde la dimensione sociale, intesa come complesso di legami forti e durevoli con gli altri che inseriscono l’individuo in un contesto da cui non può prescindere per definire chi è. Oggi sempre più spesso, al contrario, l’uomo si presenta come avulso dal contesto, definito solo dalle proprie caratteristiche personali, esaltate nella loro unicità che isola e individua; allo stesso modo il credente fatica a trovare una sua collocazione armoniosa dentro una comunità.
Ecco che dunque, partendo da questo dato storico, comprendiamo meglio l’importanza del fatto che papa Francesco esprime la sua preoccupazione per un modo di vivere la propria fede senza una forte connessione con una comunità di fede e con la realtà sociale che ci circonda:
Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli.[2]  … Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio[3].”

La ricerca del “Regno di Dio”
Per rendere pienamente questa esigenza papa Francesco usa il tema della “ricerca del Regno di Dio”  per descrivere la vita del credente.
“«Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33). … La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali.”[4]
Questo tema ha molte implicazioni. Questa dimensione infatti va ben oltre quella personale, anche se la coinvolge profondamente. Bisogna infatti da un lato essere ciascuno cittadino di quel Regno, cioè sudditi di una signoria che è quella di Gesù e non del mondo con le sue leggi e regole, ma questo non basta, bisogna altresì anche  operare perché anche la realtà attorno a noi si adegui a questa signoria:
Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra[5] … Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra[6].
Francesco usa un’espressione felice individuando un tratto distintivo delle comunità cristiane che mostrano la loro maturità, e cioè la capacità di “generare storia”:
 “La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia.”[7]
Comunità cioè di fedeli che non si accontentano di essere protagonisti di eventi interiori, di movimenti dell’anima o di crescite personali, ma che aspira a che il proprio agire incida a livello sociale, della realtà esterna, cioè “generi storia” e che storia personale e storia sociale si mescolino e abbiano l’una incidenza sull’altra. È segno di fedeltà al principio dell’incarnazione che chiede di riverificare in ogni esperienza di fede il tratto di ingresso nella storia, di concreta partecipazione ai suoi processi per la trasformazione del mondo.
Il papa evidenzia due campi in cui è necessario sviluppare la ricerca del Regno di Dio: uno è “l’inclusione sociale dei poveri”, l’altro “la pace e il dialogo sociale.”[8]
Del primo aspetto abbiamo già parlato l’altra volta, vediamo ora il secondo.

Pace e dialogo
La pace, dice papa Francesco, non è semplice assenza di conflitto. Infatti questa può verificarsi anche nel caso in cui i potenti impongono un loro ordine per conservare il proprio privilegio impedendo ai poveri di cambiarlo. La vera pace è invece frutto della giustizia, cioè si realizza quando tutti gli uomini in una società possono svilupparsi in modo armonioso e senza diseguaglianze.
Perché questo si realizzi c’è bisogno che la società viva la dimensione del popolo:
diventare un popolo è qualcosa di più, … . È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia.”
E aggiunge:
“Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale.”[9]
Questi quattro principi sono:

Il tempo è superiore allo spazio
Il filosofo ebraico Heschel nell’esporre il significato del Sabato nella spiritualità ebraica[10] mette bene in luce questo tema, che papa Francesco riprende. Egli afferma che non è un caso che Dio chieda agli uomini di dedicargli un tempo, piuttosto che uno spazio. Lo spazio infatti nella sensibilità e prassi umana suscita un istinto di dominio: lo spazio va occupato, posseduto, conquistato. Il tempo invece non lo permette, e per questo è il luogo della presenza di Dio.
Dice papa Francesco:
Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. ... Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. … privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici.[11]
Occupare spazi dà risultati immediati e crea diseguaglianza, invece innescare processi vuol dire portare a cambiamenti che avranno rilevanza nel futuro e i cui frutti sono duraturi e si vedranno nella lunghezza dei tempi.
Lo spazio non “genera storia”, il tempo sì, e il cristianesimo è religione della storia, non del potere su un luogo. Ogni volta che la Chiesa si è illusa di esercitare la propria influenza “occupando” spazi di potere si è illusa di dominarli, in realtà ha creato una caricatura di sé. Quando invece si è posta come un lievito che facesse fermentare la cultura, la mentalità, il modo di agire di un popolo, nella lunghezza del tempo e con processi che non davano immediati frutti evidenti, allora sì che è stata feconda:
La parabola del grano e della zizzania (cfr Mt 13, 24-30) descrive un aspetto importante dell’evangelizzazione, che consiste nel mostrare come il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo.”[12]


L’unità prevale sul conflitto
Questo secondo principio è abbastanza evidente: bisogna spendere le proprie energie per superare i conflitti. Spesso essi sono generati dalla diversità, assunta come un elemento di incompatibilità fra le persone o i gruppi sociali. Lo vediamo nel fenomeno degli stranieri o delle persone di altra cultura e religione: istintivamente essi sono visti come antitetici o nemici.
Bisogna superare questo senso conflittuale della differenza, scoprendo che essa possa essere integrata nell’unità delle diversità.

La realtà è più importante dell’idea
Scrive il papa:
L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento. Bisogna passare dal nominalismo formale all’oggettività armoniosa. Diversamente si manipola la verità, così come si sostituisce la ginnastica con la cosmesi.”[13]
Spesso ci si innamora delle idee, perché chiare e mie, ma si rinuncia a confrontarle con la realtà, da essa bisogna partire per dare un fondamento al pensare e progettare.

Il tutto è superiore alla parte
In un’epoca di globalizzazione si corre il rischio, afferma papa Francesco di cadere in due pericoli opposti. Da un lato quello di “affogare” nel mare della globalità che tutto racchiude ma fa perdere identità; dall’altro quello di reagire esaltando il proprio particolare come se potesse esistere e conservarsi così come è sempre stato, come in un museo avulso dalla realtà che cambia.
Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra.”[14]
Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. ... Allo stesso modo, una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo.[15]

Il dialogo
Infine papa Francesco indica il dialogo come lo strumento privilegiato per portare avanti la costruzione della società. Questa diviene sempre più complessa: la dimensione scientifica e tecnologico, quella delle culture diverse, le religioni, gli Stati e gli organismi internazionali. Sono tutti ambiti nei quali i cristiani non possono restare estranei. Non si possono ignorare perché ci si sente superiori, come detentori di una verità che annulla l’altro, né confondersi perdendo la propria identità. Il dialogo è la via perché la propria identità si rafforza nel confronto con l’altro, il diverso.
Spesso si ha paura del dialogo, come se esso manifestasse debolezza. Al contrario esso è la vera forza, perché manifesta che non si ha paura di mettersi in questione e di rendere ragione del proprio modo di pensare e di essere. Dal dialogo la nostra identità esce rafforzata e arricchita. A volte si ha un’idea del possesso della verità come un’esclusiva cattolica, essa invece è frutto dell’azione dello Spirito, di una relazione feconda con una persona, Gesù, che la rivela tutta intera, ma in modo personale e non astratto e dottrinale. La verità va cercata e scoperta nel dialogo che fa emergere il meglio di ciascuna parte, se sincero e rispettoso della dignità altrui.

Viviamo la dimensione di “uscita” e “sociale” del nostro essere cristiani
Quanto abbiamo detto in questi nostri incontri di Quaresima ci interpellano come singoli e come comunità. Come vivere la dimensione di “uscita” e “sociale” del proprio essere cristiani?
Il tempo che ci attende deve essere caratterizzato dall’estroversione perché il messaggio della Pasqua sia un lieto annuncio da comunicare a tutti.
Cominceremo questa domenica con la distribuzione delle palme  in strada. È un’occasione significativa per vivere quanto detto sulla Chiesa di papa Francesco.






[1] EG 176.
[2] EG 178.
[3] EG 180.
[4] EG 180.
[5] EG 182.
[6] EG 183.
[7] EG 181.
[8] EG 185.
[9] EG 220-221.
[10] Cfr. A.J. Heschel, Il Sabato: suo significato per l’uomo moderno, 1951, tr. it., Milano, Rusconi, 1972
[11] EG 223.
[12] EG 225.
[13] EG 232.
[14] EG 234.
[15] EG 235.

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