Mc 1,12-13
Commento
L’evangelista Marco, a differenza del vangelo di Luca (cap. 4) descrive il passaggio di Gesù nel deserto all’inizio della sua vita pubblica di annuncio del Vangelo con due brevissimi versetti, sintetici ma molto densi di significato.
Per prima cosa Marco (ma anche
Luca) sottolineano che Gesù va nel deserto “sospinto” dallo Spirito Santo. È un’espressione
forte, direi fisica di un impulso irresistibile che lo Spirito imprime alla
persona di Gesù. Questo significa che Gesù va nel deserto non per mettere alla prova
se stesso, per dimostrare il suo valore, o per spavalderia o curiosità, ma ci
va perché vi è irresistibilmente spinto dall’amore. Poteva evitarlo, ma lo
Spirito, l’amore, gli impone di non risparmiarsi questa esperienza difficile,
aspra. Il deserto infatti è il luogo inospitale per eccellenza, inadatto alla
vita, per l’aridità e le temperature estreme, pericoloso, pieno di insidie per
la vita, umana, vegetale e animale, senza punti di riferimento, privo di
bellezza e attrattività, ecc… Ad esso si contrappone la terra fecondata dall’acqua,
rigogliosa, nella quale si vive bene, dal clima mite e temperato, dove si è
protetti e confortati, dove la vita è favorita e può sviluppare agevolmente
tutte le proprie possibilità.
Le parole di Marco all’orecchio
di un ebreo non potevano non risultare evocative: 40 giorni nel deserto
richiamano immediatamente l’esperienza dell’esodo di Israele dalla schiavitù d’Egitto
verso la terra promessa, ricca e ospitale. Come a dire che Gesù, come ogni uomo,
non può sfuggire dalla schiavitù del male se non attraverso un passaggio lungo
e difficile nel deserto. Esso infatti è terra di lotta con il male e per Gesù
terra di vittoria su Satana. Il tentatore, il divisore da Dio e dagli uomini,
infatti mette alla prova Gesù in vari modi (ce lo descrive bene Luca). Egli
però non è presente solo nel deserto, ma scorrazza liberamente in ogni dove, ma
nel deserto si vede, è facilmente individuabile, perché assume le sue forme
estreme, si manifesta chiaramente e pienamente in tutta la sua forza. Altrove,
nella terra confortevole, egli c’è e agisce ugualmente, ma è più mascherato,
diventa accettabile, quasi banale, insinuato fra le pieghe della normalità del
vivere quotidiano, nella banalità delle sue forme che divengono naturali,
scontate, normali. Difficilmente lo individuiamo e lo isoliamo dalle sue
lusinghe e maschere accattivanti. Nel deserto invece tutto è più netto: bene e
male, luce e ombra, buono e cattivo. La luce è forte e le ombre nette, la precarietà
della vita la rende ancora più sensibile a ciò che la favorisce e ciò che la
ostacola. Per questo è nel deserto che si può combattere e vincere il male,
dove esso si manifesta in tutta la sua crudezza e nudità. Altrove lo accettiamo
come normale.
Nel deserto, dice Marco, ci sono
le bestie selvatiche e gli angeli. Cioè il male è selvatico, come dicevo già, perfettamente
adattato all’ambiente, ma anche il bene si vede e opera, attraverso gli angeli.
Quanto detto del male infatti vale anche per il bene. Nel deserto gli angeli si
vedono, operano, sono pronti al fianco di chi ha bisogno di soccorso. Nel resto
del mondo anche essi sono banalizzati, come mascherati dalle illusioni della
propria forza, capacità, astuzia ed esperienza. Si fa più facilmente ricorso
alle proprie capacità che all’aiuto di Dio, ed anche quando questo è offerto si
fa più fatica a riconoscerlo, perché sembra un diritto acquisito, qualcosa di
scontato, nelle cose.
Cosa è il deserto? Dove lo
viviamo? In alcune eccezionali situazioni estreme?
No, il deserto è la vita vera,
così come essa è, spogliata dalle illusioni e mascheramenti che la rendono un’oasi
confortata e sicura per pochi, che attutiscono i colpi, che attenuano le luci e
le ombre, che stemperano le tinte forti in sfumature più o meno gradevoli, ma comunque
accettabili, che mescolano il male e il bene in un modo tale che si fa fatica a
distinguerli e a identificarli con chiarezza. Senza le illusioni e
mascheramenti la vita si manifesta per quello che è: una lotta fra il bene e il
male che chiede in ogni momento di prendere posizione, per non soccombere alla sua
forza. Il deserto è la vita concreta, vera, nelle sue componenti autentiche e
non filtrate dal proprio benessere che giustifica, dalla pigrizia che rende
accettabile tutto, dalla sordità che stempera i toni e fa sentire solo la
propria voce. Il deserto è la condizione continua della vita di Gesù. Gesù
rimane nel deserto sempre, la sua vita è sempre di lotta, per stabilire la
vittoria della vita contro tutto ciò che la minaccia e calpesta, per offrire
guarigione, salvezza, perdono, in una terra opulenta per pochi e malata,
disperata, maledetta per moltissimi.
È nel deserto che la parola di
Gesù risuona netta e cristallina, autorevole e forte, piena dell’energia e
della potenza di Dio e del suo Spirito di amore. Nella terra confortata e
opulenta essa è attutita, ovattata dal brusio di fondo, dalle melodie
accattivanti dell’ordinarietà. È nel deserto che i gesti di Gesù sviluppano
tutta la loro forza salvifica perché agiscono direttamente contro il principe
del male e lo sconfiggono, mentre nella terra confortata e opulenta esse sono
continuamente ostacolate, deviate dalle mille eccezioni, i distinguo, il
fastidio sordo e resistente che respinge tutto ciò che è eccessivo, fosse pure
l’amore di Dio, il suo Spirito.
Gesù fuori dal deserto è
impotente, è tacitato, esautorato. Nei palazzi del potere, quello di Erode e di
Pilato, tace, è inerme e passivo. È nella terra arida del peccato che il suo
potere recide le radici del male e dona la salvezza.
Le parole di Marco quindi
risuonano per noi oggi come un invito a vivere nel deserto e a non indugiare nelle
vie del mondo confortato e opulento, ovattato, difeso, protetto e privilegiato.
Bisogna vivere nel deserto per conoscere Gesù e stare con lui, per far propria
la sua lotta e il suo potere di guarigione, salvezza e perdono.
Nessun commento:
Posta un commento