Incontro conferenza di San Vincenzo
Da dove nasce questa contentezza?
Che cosa fa sì che siamo contenti di dedicare tempo, fatica e
preoccupazioni a gente con cui non abbiamo niente in comune?
Non sono domande sciocche, anche perché sono le domande che
il mondo ci pone: ma chi te lo fa fare? Non è tempo sprecato? Cosa pensi di
risolvere? Ecc…
Tante obiezioni che in modo esplicito o implicito ci vengono
poste.
Infatti esiste una mentalità radicata nel mondo e forte che
ci dice che la vera felicità sta nell’essere voluti bene, nell’essere al centro
dell’attenzione, nell’avere successo, nell’essere ammirati o almeno approvati.
Ognuno nel piccolo palcoscenico della sua vita cerca di vivere il proprio
momento di protagonismo e di essere apprezzati per le nostre capacità, e in
questo normalmente la gente trova la propria soddisfazione.
C’è un “Vangelo del mondo”
che viene proclamato con forza e annunciato quotidianamente in modo tenace e
persuasivo: “Pensa a te stesso, fai strada a te stesso, preoccupati di te
stesso…”
Questo “Vangelo del
mondo” fu annunciato con forza anche a Gesù, come ci riporta il vangelo.
Quando era sulla croce, impotente, sconfitto e vinto dal male, invece di
provarne pietà, la gente lo deride e gli annuncia il vangelo amaro del mondo: “Se sei veramente il figlio di Dio, scendi
dalla croce e salva te stesso!” è l’ultima arrogante sfida: dimostraci se
sei capaci di essere un vincente, capace di fuggire dal male, e noi ti
ammireremo e ti daremo atto che sei veramente uno da approvare. Da secoli
questo vangelo continua a essere proclamato e annunciato, anche a noi.
Fuggire dal male: ecco la cosa più importante.
Gesù però non fugge dal male, anzi con la croce si fa carico
di un male che non era nemmeno meritato, lui innocente di ogni reato e
condannato ingiustamente per invidia. Paga lui di persona per colpe non sue. Ma
con questo suo modo di fare vince la forza del male e risorge, il terzo giorno,
sconfiggendo tutti i poteri di questo mondo che avevano voluto imporgli quella
sonora sconfitta: i romani, i farisei e il sinedrio, la gente comune che lo
deride.
Anche a noi viene annunciato questo vangelo: pensa a te e preoccupati di te, non farti toccare
dal male altrui, sfuggi anche solo di guardarlo, ecc…
La nostra esperienza però ci dice che questo vangelo del
mondo non è poi così vero. Ci siamo fidati, abbiamo visto un fratello o una
sorella, ci siamo lasciati convincere a non dare ascolto al vangelo del mondo e
non siamo fuggiti davanti al dolore altrui. Questo è il primo importantissimo
passo che abbiamo compiuto: invece di girarci dall’altra parte, di ignorare, di
dire che non sta a noi occuparcene, che non ci riguarda e anzi ci da anche
fastidio, abbiamo voluto incontrare il male e guardarlo in faccia.
La prima nostra scoperta è che il male non ci fa più paura
perché ha assunto dei tratti umani: è il volto della donna con la famiglia lontana,
la classica badante, che cerca di costruire un futuro migliore per i suoi
figli, è il volto dell’immigrato da paesi in guerra o nella miseria, è il volto
dell’anziano solo e che non ce la fa più tanto ad andare avanti senza aiuto, è
il volto della famiglia con tanti figli, dei disoccupati, di chi si trova
sull’orlo del baratro e riesce a fatica e tirare avanti. Insomma il volto del
male non ci fa più paura, ma pietà.
Come secondo punto vorrei allora sottolineare: questa è la nostra grande vittoria! Nell’incontro con i
poveri abbiamo vinto la paura che fa fuggire e abbiamo imparato la pietà che fa
voler bene. Per questo ci piace venire qui e lavorare per gli altri.
Il vangelo del mondo che ci insegna a fuggire viene
pesantemente smentito: le espressioni del male non ci fanno più paura, anzi ci
spingono a fermarci e a farci vicini.
Come accadde a un uomo che andava tra Gerico e Gerusalemme:
Lc 10,30-35
Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: "Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno".
La tradizione dei padri della Chiesa legge questa parabola
identificando nel buon samaritano il Signore stesso e in noi i locandieri: è
Gesù che ce li porta davanti, ce li affida e ci da anche i soldi, cioè i
sentimenti e le capacità di accoglienza che ci permettono di prendercene cura,
e ci promette di darcene ancora in futuro, se non ci bastassero.
Ed ecco allora il terzo punto importante: dobbiamo imparare
a chiedere a Gesù i “soldi” buoni da spendere per aiutare questi poveri, per
usare l’espressione della parabola del buon samaritano. Cioè imparare a
pregare.
Amici, pregare sembra qualcosa di inutile: a che serve? Ancora più per gente come noi che pensa di non esserne capace, che pensa di trovarsi in imbarazzo o
in difficoltà, che fa' fatica a fermarsi mezz'ora. La preghiera però è quel gesto di Gesù di darci i soldi per
prenderci cura dei poveri. Ci dà i sentimenti buoni, la pietà; ci dona la
pazienza di sopportare anche chi magari è un po’ molesto; ci dona la cortesia e
la tenerezza del sorriso; la benevolenza di un ascolto che non si stanca; la
tenacia e la costanza per non stancarci; la forza di sopportare la fatica; la
gioia di sentirsi appagati per il bene che si fa’.
Non rifuggiamo dal chiedere a Dio il denaro da spendere coi
poveri, altrimenti dovremo fare affidamento solo sui nostri soldi. Ma, onestamente,
chiediamoci: ci bastano? Il “vangelo del
mondo” anche su questo aspetto della vita predica con forza: “fai conto
solo su te stesso, sulle tue forze, non chiedere mai, non mostrarti debole e
bisognoso dell’aiuto altrui!” Quanto anche noi siamo esposti a questa
predicazione e quanto la facciamo nostra!
Noi però sappiamo che non ce la possiamo fare da soli! E
nemmeno Gesù lo pretende da noi. Infatti a quei locandieri non dice: “io ho
fatto la mia parte, ora datevi da fare voi e prendetevene cura!” ma
piuttosto è lui stesso a dare loro i mezzi per farlo e promette che non gliene
farà mancare mai in futuro quando ne avranno bisogno. È quello che sperimentiamo
nel nostro servizio ai poveri: quante volte abbiamo sentito che è il Signore a
darci la forza di continuare, di non stancarci e mollare tutto.
Insomma amore per i poveri e preghiera sono come le due facce
della stessa medaglia: l’una non esiste senza l’altra.
Continuiamo allora con tenacia a farci permeare dal vangelo
di Gesù per vincere il vangelo del mondo. È la buona battaglia di cui parla
l’apostolo Paolo che ci dà la vera felicità e la corona di vittoria sul male.
2Tm 4,7-8
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