martedì 9 ottobre 2012

Preghiera del 10 ottobre 2012


Genesi 18,1-15

 il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo”. Quelli dissero: “Fa’ pure come hai detto”.

Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: “Presto, tre misure di fior di farina, impastala e fanne focacce”. All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: “Dov’è Sara, tua moglie?”. Rispose: “È là nella tenda”. Riprese: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”. Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda, dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: “Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”. Ma il Signore disse ad Abramo: “Perché Sara ha riso dicendo: “Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia”? C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio”. Allora Sara negò: “Non ho riso!”, perché aveva paura; ma egli disse: “Sì, hai proprio riso”.

 

Commento

Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ascoltato un brano dal libro della Genesi su cui ci siamo soffermati altre volte. In esso si narra quella “liturgia dell’accoglienza” di Abramo, uomo amico di Dio e per questo amico degli uomini, di tutti gli uomini, anche dello sconosciuto, anche dello straniero.

Proprio questa caratteristica di Abramo gli permette non solo di incontrare Dio che si avvicina a lui sotto forma dei tre forestieri, ma anche di ospitarlo e di servirlo con quella premura e sollecitudine tutta orientale che il brano descrive sommariamente.

Sì, il Signore del cielo, Dio onnipotente, Re dell’universo e Signore di tutte le cose attraversa i deserti del mondo per incontrare l’uomo. È una cosa straordinaria, per la mentalità dell’Antico Israele, a cui Dio non si era mai presentato così, faccia a faccia, tranne che a Mosè. Per noi, uomini del Nuovo Testamento una simile esperienza è divenuta più abituale, con la nascita del “Dio con noi”, Gesù, Signore e nostro compagno di strada. Forse però è per noi necessario recuperare tutto il senso di straordinarietà che si respira in questo brano della Genesi per il fatto che Dio visita l’uomo. Sì, Abramo lo accoglie perché è amico dell’uomo e ha assunto in sé quella caratteristica che i Padri della Chiesa attribuirono a Dio stesso, chiamandolo il “Filantropo”, cioè l’amico degli uomini.

Anche nella nostra realtà odierna Dio si fa cercatore dell’uomo e ci visita. Ma qual è il nostro atteggiamento? Se ci facciamo imitatori di Abramo, impareremo da lui ad essere amici di tutti gli uomini e riconosceremo Dio nel volto di chi ci si fa vicino, anche quando esso ci sembra estraneo o, addirittura, ostile.

Lo stesso brano del libro della Genesi però ci mostra l’esempio di chi non condivide lo stesso atteggiamento di Abramo. È il caso di Sara, sua moglie, che assiste in disparte alla scena dell’incontro con i tre forestieri. Abramo la rende partecipe della necessità dell’accoglienza chiedendole di preparare focacce per gli ospiti inattesi ed ella, evidentemente, non vi si sottrae. Però non è sufficiente fare qualcosa. Il suo cuore resta infatti freddo e ostile. Dio infatti, riconoscente per l’ospitalità ricevuta, vuole benedire Abramo e Sara col dono più grande che ci sia, e cioè la fecondità e la riapertura di un futuro che appariva bloccato dalla sterilità. Sara però ride di questo dono. Il suo riso, amaro e scettico, è frutto del suo amore per la sua stessa sterilità che nasce dalla rassegnazione al suo stato, divenuto nella sua mente non solo normale e ormai immutabile, ma addirittura desiderato come una parte irrinunciabile di sé.

Fratelli quanto assomiglia il riso di Sara alla serenità rassegnata, al sottile piacere con cui anche noi accettiamo troppo spesso la sterilità di una vita bloccata, che non sa più nemmeno desiderare un futuro diverso per sé e per gli altri! Sì, come Sara, nessuno ci può accusare di non fare qualcosa di utile e di buono, ma con quale cuore lo facciamo? Troppo spesso ospitiamo nel nostro cuore lo stesso suo buon senso: “che si può pretendere ormai da me? Che cambi atteggiamento, che mi apra alla novità di un futuro diverso, che ricominci da capo?” troppi motivi ce lo impediscono: l’età, le abitudini, il consolidamento di una vita ormai strutturata e ormai irrimediabilmente già vissuta.

Fratelli e sorelle, soffermiamoci a contemplare la scena di Abramo, Dio e Sara: sono così vicini, nella stessa tenda, ma come è lontano e freddo il cuore della donna, così resistente dall’accogliere con gioia la benedizione di Dio e così attaccata e compiaciuta del suo essere ormai anziana e sterile. Sara coltiva il sottile piacere di vivere una vita inutile, finita, senza più sorprese, e per questo non trova più né motivi di gioire (per la novità della fecondità donata) né di soffrire (per la sterilità sofferta). Rimane solo il lamento, così comune nel nostro parlare, ma anche così desiderato, come un ultimo piacere che nessuno può toglierci e che volentieri ci concediamo l’un l’altro.

Fratelli e sorelle, rinunciamo con gioia al riso amaro di Sara per assumere invece la gioia del cuore di Abramo. Anch’egli è vecchio, ma i suoi gesti e le sue parole esprimono la giovanilità dell’amore. È questo infatti, e non gli artifici del corpo e degli atteggiamenti superficiali, a renderci giovani e capaci di ridare vita ad altri, di riaprire il futuro a chi lo vede bloccato e sigillato dal dolore e dalla tristezza. Diverremo di nuovo capaci di ridere di gioia e non di tristezza, e non nasconderci da Dio per la paura, come fa Sara sorpresa nel suo atteggiamento amaro e scettico, ma ad incontrarlo mentre ci visita. Stupiamoci delle opportunità che ci sono ancora date, numerose e belle, di vivere la “liturgia dell’accoglienza” di Abramo, accogliamo Dio nel fratello estraneo e diverso da noi, e vivremo con gioia in ogni stagione della nostra vita, perché vecchiaia e gioventù sono le condizioni del cuore che si chiude o che si apre all’amore di Dio e impara da lui a viverlo.

 

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