In quel tempo Gesù disse ai discepoli: “Se il tuo fratello commetterà una
colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai
guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi
ancora con te una o due persone, perché ogni
cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se
poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la
comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In
verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo,
e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si
metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli
gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io
in mezzo a loro”. Allora Pietro gli si avvicinò e gli
disse: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte
dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli
rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.”
Commento
Oggi festeggiamo San
Francesco, un santo a cui siamo legati dalla memoria del suo passaggio in
questa chiesa di S. Croce e per la testimonianza cristiana che seppe dare con
la sua umiltà. Egli iniziò la sua esperienza di fede proprio partendo dalla
coscienza del peccato di cui era carico. Il suo movimento infatti entrò a far
parte del più vasto fenomeno dei “penitenti”, cioè di quei cristiani che
facevano del riconoscimento del proprio peccato e della richiesta di perdono a
Dio la chiave del proprio vivere cristiano.
Riporta le Leggenda dei tre compagni:
“Molte persone, vedendo i frati sereni nelle
tribolazioni, alacri e devoti nella preghiera, non avere né ricevere denaro,
coltivare tra loro amore fraterno, da cui si riconosceva che erano veramente
discepoli del Signore, impressionate e dispiaciute, venivano da loro, e
domandavano scusa delle offese fatte. Essi perdonavano di cuore, dicendo:
" Il Signore vi perdoni! ", e davano consigli utili alla loro
salvezza.” (1445)
I primi compagni di
Francesco si presentano cioè come uomini felici di vivere il vangelo e, proprio
per questo, suscitavano in chi li incontrava una domanda di perdono. Ma cosa
significa vivere il perdono?
Il brano del vangelo di Matteo che
abbiamo ascoltato ci aiuta a comprenderlo. I discepoli infatti avevano esordito
chiedendo a Gesù “Chi è il più grande nel
regno dei cieli ?” La loro domanda rivela una certa immagine del regno dei
cieli che potrebbe apparire piuttosto simile al “regno di quaggiù”, con le sue
gerarchie e i suoi primati. Gesù non nega questa immagine, ma ne afferma la
logica invertita: è grande chi è piccolo, come il bambino, o si fa’ piccolo,
come chi è umile e servitore, proprio quelli che nel mondo occupano il fondo
della scala sociale. E, non a caso, per esemplificare questa gerarchia
invertita parla del perdono. Infatti esso ha una forza sconvolgente di tutti
gli schemi mondani e le loro gerarchie di valore. Il perdono mette in
discussione il concetto di torto e di ragione, di diritto e di dovere, di
giusto e di sbagliato e ne offre una visione a volte capovolta rispetto al
normale modo di pensare.
Per questo il mondo ha paura dell’esercizio
del perdono, e lo combatte con forza. La nostra civiltà infatti si fonda sul
diritto che se da un lato è garanzia davanti al sopruso e all’ingiustizia, dall’altro
rivela tutti i limiti dell’accontentarsi della giustizia, rinunciando all’esercizio
di un amore che travalica ogni limite, anche quello della giustizia.
Il perdono infatti non è giustizia,
ma è rinuncia al diritto e assunzione della colpa su di sé. Dice Gesù infatti
che anche chi subisce un torto e meriterebbe quindi una riparazione o
quantomeno soddisfazione e scuse, deve invece farsi carico del male subito e
assumersi la responsabilità di chi lo compie. In qualche modo anche il male, e
non solo il bene, come è più normale riconoscere, crea un legame forte fra chi
lo subisce e chi lo provoca, legame dal quale siamo resi responsabili. Gesù
infatti affida a chi subisce il torto la responsabilità della liberazione del
colpevole dal male di cui si è fatto complice.
È quanto faceva Francesco e i suoi,
come ci narra lsempre a Leggenda dei tre
compagni:
“Francesco, pieno della
grazia dello Spirito Santo, ai sei frati …. disse: " Fratelli carissimi,
consideriamo la nostra vocazione. Dio, nella sua misericordia, ci ha chiamati
non solo per la nostra salvezza, ma anche per quella di molti altri. Andiamo
dunque per il mondo, esortando tutti, con l'esempio più che con le parole, a
fare penitenza dei loro peccati e a ricordare i comandamenti di Dio"
(1440).
Tutto ciò è inconcepibile per il
mondo: oltre al danno, anche la beffa di doversene far carico, si direbbe
parafrasando un proverbio popolare. Gesù afferma il principio dell’insofferenza
radicale per il male, ovunque esso si trovi: in sé, attraverso il pentimento e
la richiesta di perdono, ma anche nell’altro, attraverso la pratica della
ricerca della vittoria sul male. Non basta infatti dimenticare, dice Gesù, passarci
sopra, bisogna estirpare la radice di male che attecchisce nel fratello e
impedire che produca altri frutti malvagi.
Questo avviene, continua Gesù,
attraverso una vera e propria “liturgia del perdono”, insistente, paziente,
tenace, convincente, personale. È la responsabilità del perdono di cui dobbiamo
farci carico. A volte noi rifiutiamo di accettare questo fardello, come un
ingiusto addebito; anzi ci sentiamo già buoni se non desideriamo vendetta e
rivalsa del male subito. Ma il Signore sa che lasciato libero di radicarsi nel
cuore del fratello il male continuerà a fruttificare e ad allargare il suo
veleno nelle vite di molti.
Ecco che allora l’insistenza paziente
e disarmata del fratello è la medicina che guarisce dal male e fa la differenza
dal giudizio, anche quello giusto, che schiaccia l’uomo sotto il peso della sua
colpa e lascia le cose come stanno. Per questo il perdono vero è un’arma
potente contro il male, ed è temuto dal maligno. Ha la forza di trasformare le
persone e le situazioni.
Gesù conclude parlando della forza
della preghiera. Sì, perché sa perdonare solo l’uomo che prega, cioè chi ha coscienza
innanzitutto del proprio bisogno di perdono e aiuto da parte di Dio e non si
vergogna di chiederglielo. Dio dona il perdono come una forza che si comunica e
si esercita nella fraternità.
Chi non sa perdonare non conosce
nemmeno il pentimento. Chi si sente già buono perché passa sopra e dimentica i
torti subiti vorrebbe che Dio e i fratelli facessero finta di niente del
proprio peccato e lo lasciassero così come è.
Dio però non ci lascia così come
siamo, ma vuole la salvezza di ciascuno. Perciò ci invita a riconoscere il
nostro peccato, a chiederne umilmente perdono e a prendersi la responsabilità
del male che si manifesta negli altri. È quello che ha fatto Gesù, accettando
che il male non meritato e non suo si caricasse sulle sue povere spalle col
peso schiacciante della croce. Così egli l’ha vinto e così ciascuno di noi può
rivestirsi della stessa potenza e vincerlo.
Nessun commento:
Posta un commento