venerdì 9 dicembre 2016

Incontro di Avvento con i genitori dei bambini del catechismo - mercoledì 7 dicembre 2016




Cari amici mi fa molto piacere poter vivere questo momento di incontro con voi e vi ringrazio di avere accolto il nostro invito.


Ci troviamo a vivere nel tempo di Avvento che è preparazione e attesa della nascita di Gesù, a Natale. La nostra cultura contemporanea ci spinge a vivere una vita dai “tempi corti”. Cioè tutto si misura sulla lunghezza breve, sull’oggi, sul subito, e vale solo quanto si realizza nell’immediato, quanto dà frutti visibili e tangibili presto, a portata di mano. I “tempi lunghi” invece non piacciono: ci vuole troppa attesa, pazienza ad aspettare risultati di azioni che non possiamo godere subito, perché i frutti saranno in un domani lontano. Costruire con costanza, lentezza, giorno dopo giorno ci rende impazienti e scettici su quanto valga la pena aspettare così tanto per giungere a vedere risultati concreti, se tutto va bene. 


Eppure il vostro ruolo di genitori, e quello nostro di educatori, non può fare a meno di misurarsi con i “tempi lunghi”. A volte è facile provare un senso di insoddisfazione perché ci sembra che i risultati dei nostri sforzi con i nostri figli non arrivino mai o tardino a farsi vedere. Vorremmo piuttosto gustare subito i frutti del nostro impegno e notare i cambiamenti in modo evidente e immediato, così da trarne soddisfazione. La Scrittura nella sua sapienza ci invita a vivere la saggezza dei “tempi lunghi”. Dice il libro dei Proverbi: “È meglio la pazienza che la forza di un eroe, chi domina se stesso vale più di chi conquista una città.” (12,32). 


Ebbene l’Avvento è un tempo che ci vuole educare all’attesa, cioè a preparare noi stessi e la realtà attorno a noi per consentire la realizzazione di una novità che è preannunciata ma ancora non attuata, la nascita di Gesù. Paradossalmente infatti il Natale, la nascita del Signore, non avviene da sé, non è legata ad una data del calendario, ma è il frutto di una preparazione. Diceva un antico mistico tedesco del XVII secolo: “Anche se Cristo nascesse mille volte a Betlemme, a nulla ti gioverà se non nasce almeno una volta nel tuo cuore.”[1]


Che significa questo?


Lo scrittore fiorentino Giovanni Papini scriveva a questo proposito nel giorno di Natale del 1955: “Ma come potrà accadere questa nascita interiore? … Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile purché sia desiderato e aspettato. 


Il giorno nel quale non sentirai amarezza e gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell’amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima. 


Il giorno nel quale non sentirai piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina. 


Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un po’ di letizia a chi è triste e l’impulso di alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l’arrivo di Dio è imminente.


E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l’ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore. 


Non sei più solo, non sarai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a festeggiare l’incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità”.


Cioè, in altre parole, il Natale, più che una data del calendario, è un evento che avviene dentro di noi ed è una vita nuova che nasce. Sì una nuova vita vuole nascere dentro di noi portando un soffio di novità nella tua vita e in questo nostro mondo.


Il mondo di oggi ha molto bisogno di un soffio di vita nuova. Senza prolungarci nel lungo elenco di quanto oggi non va’ bene vorrei solo accennare a una cosa che pesa come una grande ipoteca sul futuro di tutti noi: la violenza.


Innanzitutto la violenza che si manifesta nella guerra. Mai come in questo nostro tempo la guerra si è fatta vicina. Ben tre conflitti divampano alle porte di casa nostra: in Libia, in Siria, in Iraq. Ce ne accorgiamo in modo ancora più forte perché un gran numero di profughi che fuggono da quelle terre giungono sulle nostre coste, suscitando così tanti timori, come sappiamo bene dalle cronache quotidiane. Infatti un paio di decenni fa’ altri conflitti ci avevano “sfiorato”, in ex-Yugoslavia, Bosnia, Serbia, Kosovo, ma ci giungevano solo delle immagini rubate dalle televisioni, si sapeva poco e, soprattutto, non si incontravano persone che venivano da lì. Oggi invece le guerre vicine le leggiamo negli occhi dei migranti che giungono fino a noi con il loro carico di dolore e di paura. Per questo ci fanno ancora più paura.


E poi le sentiamo più vicine perché il terrorismo colpisce in modo cieco e imprevedibile gente innocente che vive nelle città europee che fino a poco fa credevamo sicure e invulnerabili: Parigi, Bruxelles, Monaco, Nizza, Londra, Madrid. Il terrorismo è come una goccia di guerra che trabocca dai luoghi lontani (il Medioriente, i Paesi del Golfo, l’Afghanistan, ecc…) e viene a cadere fuori della propria area, facendo provare l’orrore della guerra in terra di pace.


La reazione a tutto ciò è la paura, che fa chiudere a riccio, alzare i muri, vivere con la mentalità della fortezza assediata che alza i ponti levatoi, come sta avvenendo in tanti paesi europei. Ma vediamo che tutto ciò è inutile. I processi storici in atto sono epocali, veri e propri “segni dei tempi” e non si fermano con un muro o un filo spinato.


C’è bisogno di una risposta più profonda e realistica.


Io credo che l’unica risposta efficace a questo mondo troppo pieno di violenza, guerra, terrorismo non possa che essere preparare il Natale del Signore, colui che Isaia chiama il “Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace” (9,5), quello che gli angeli, al momento della nascita acclamarono con le parole: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14). Gesù con la sua nascita porta la pace nel mondo pieno di violenza. Ma non come una magia, c’è bisogno di fare spazio al principe della pace perché nasca innanzitutto dentro di noi. Sì perché spesso davanti all’esplosione della volenza il sentimento che proviamo è l’impotenza e l’estraneità: “Che posso farci? Che c’entro io?” sono le domande implicite. Ma ogni grande violenza nasce dalla somma di tante piccole violenze. 


Gli studi storici hanno dimostrato come la nascita e l’ascesa del nazismo in Germania negli anni ’20 non fu un’imposizione dall’alto, ma la somma di una rabbia diffusa per l’umiliazione subita nella I guerra mondiale, la ricerca di nemici cui attribuire la grave crisi economica che era seguita. Tanti piccoli cumuli di volenza coltivata nei cuori della gente aveva contribuito a sollevare quella montagna di violenza che si sarebbe scatenata con la II guerra mondiale, l’olocausto di sei milioni di ebrei, la morte di 50 milioni di persone, distruzioni mai viste, ecc… 


La somma di tante piccole violenze crea anche oggi la grande violenza della guerra, del terrorismo e degli odi che sempre più dividono l’Europa in tante Nazioni divise e una contro l’altra. 


Anche dentro di noi rischiamo di accumulare piccole collinette di violenza, i cui frutti malvagi si vedono in giro: l’ostilità diffusa, la competitività sfrenata, l’arroganza e la corruzione, gli egoismo individuali o di gruppo, la difesa degli ingiusti privilegi di casta, la mancanza del senso del bene comune, la ricerca del profitto a tutti i costi, l’insofferenza per chi è misero e portatore di problemi, ecc…


Davanti a tutto ciò non esiste una risposta facile e veloce, e spesso le ideologie nel recente passato hanno proposto delle soluzioni rapide per la realizzazioni di “paradisi terrestri” che si sono rivelati piuttosto degli inferni, pensiamo al comunismo, al fascismo, allo stesso nazismo: poche chiare e semplici parole d’ordine e tutto sarebbe cambiato in breve tempo, ma abbiamo visto come invece è andata a finire.


L’unica risposta è costruire un mondo nuovo con i “tempi lunghi” del Natale. Far nascere infatti richiede una lunga gestazione, lo sanno bene le mamme. Ma poi la pazienza e fatica dello svezzamento, la fase delicata dell’apprendimento, a camminare, a parlare, e poi la scuola, ecc… Quanto è lungo il tempo della nascita di una nuova vita, perché essa giunga alla maturità!


Eppure chi di noi direbbe che è tempo sprecato? Che non vale la pena attendere seguendo passo passo le fasi della crescita naturale di un bambino, senza bruciare le tappe?


Noi davanti ai nostri bambini, come genitori e come educatori, abbiamo la responsabilità di domandarci: “che mondo lasciamo loro in eredità?” Noi vogliamo loro bene e vorremmo che domani vivessero in un mondo buono, ma questo va costruito con tempi lunghi di preparazione di noi stessi e della realtà attorno a noi. E badiamo bene che non ci sono scorciatoie. A volte pensiamo che basti costruire attorno a loro un angolo riparato e preservato dal male, imbottito perché non subiscano colpi e coperto perché non abbiamo freddo, ma non basta: così prepariamo loro una prigione, e non vogliamo crescere i nostri figli come prigionieri di un angolo riparato, da cui poi, tanto, dovranno uscire. Vogliamo che vivano in un mondo tutto buono.


Per questo dobbiamo cominciare da noi stessi. 


I bambini, lo sappiamo bene, imparano da come vedono comportarci noi adulti molto più che da quello che diciamo loro. Essi assorbono come spugne i nostri atteggiamenti, più che i nostri insegnamenti. Ci imitano più che obbedirci. Per questo abbiamo una grande responsabilità circa il futuro che costruiamo concretamente per loro col nostro agire. 


Dobbiamo fin da subito insegnare loro, non a parole ma con i fatti, cosa vuol dire vivere una vita senza violenza, disarmata, non aggressiva, solidale e giusta, generosa e mite, cioè buona e vivibile


A volte si pensa che vivere così rende deboli ed espone i nostri figli ai pericoli di soccombere davanti a chi è più forte. Ma non è vero: c’è una forza più forte della violenza, che è quella di una umanità piena, bella, ricca, che non si piega davanti ai soprusi e alle ingiustizie, che gioisce del bene che può fare e non si tira indietro davanti alle occasioni di farlo.


Vivere questo in noi e insegnarlo col nostro esempio ai nostri figli significa preparare un mondo meno violento per il loro futuro e aiutarli fan da subito a gustare la bellezza della pace. Chi gusta la bellezza profonda della pace domani non potrà mai apprezzare la guerra e la violenza. Cresciamo una generazione di pacifici e costruiremo un mondo di domani in pace. 


Questo vuol dire prepararsi alla nascita del Signore, vivere l’Avvento come attesa fattiva della nascita della vera pace che è Gesù.


Vorrei concludere dicendovi che noi qui a Santa Croce sentiamo questa responsabilità nei confronti dei vostri figli. Per questo gli proporremo, nei giorni che vengono, alcune attività per vivere un impegno per la generosità e per la pace, sapendo che chi ne gusta la bellezza da piccolo non lo dimentica più per tutta la vita e ne sentirà il desiderio per sempre. Vi chiediamo di aiutarci in questo impegno, di sobbarcarvi magari un piccolo sforzo di pazienza per aiutarci, ma per uno scopo grande, seminare semi di bene che germoglieranno e cresceranno per il futuro, nei “tempi lunghi”, appunto.


Ecco alcuni di questi appuntamenti verso il Natale: 


Domenica prossima 11 dicembre ospiteremo a pranzo nel salone alcune persone che vivono per strada e che conosciamo da tanti anni perché ogni sabato andiamo ad incontrarli e portargli un pasto caldo il sabato sera. Chiederemo ai bambini, dopo la messa, di aiutarci a preparare la tavola per loro e se volete potrete fermarvi a pranzo con noi.


Mercoledì 14 dicembre alle ore 18.00 avremo una veglia di preghiera ecumenica per ricordare quanti sono in viaggio esposti ai pericoli, per fuggire dalle guerre e dalla miseria, e quelli che sono morti in mare. È un gesto di solidarietà e condivisione con quanti soffrono per la guerra e la miseria e per questo fuggono affrontando pericoli e sofferenze.


Domenica 18 dicembre dalle 17.30 alle 19.00 faremo un concerto itinerante di beneficenza dei bambini in Corso Tacito, piazza Europa, Largo Villa Glori, raccogliendo le offerte per la cena con i poveri del 4 gennaio.


Venerdì 16 dicembre alle ore 17.00 circa faremo un concerto del coro dei bambini dei canti di Natale alla moschea di via Vollusiano, come segno di amicizia per i musulmani immigrati che lì pregano. 


Mercoledì 4 gennaio avremo la tombolata e cena di Natale con i poveri, dalle 17.30 in poi.


Sabato 14 gennaio faremo un concerto del coro dei bambini dei canti di Natale nell’istituto degli anziani, girando nelle stanze per incontrare i più soli e malati.


Sono tanti impegni a cui potrete liberamente partecipare, secondo le vostre possibilità, come tante piccole culle da preparare a Gesù perché nasca nei cuori nostri e dei nostri figli. Grazie.











[1] Angelus Silesius, Pellegrino cherubico, I,61.

Nessun commento:

Posta un commento