domenica 22 marzo 2020

Prima lettera su questo tempo di quarantena - 13 marzo 2020



Terni, 13 marzo 2020
Cari amici,

come già tanti hanno sottolineato in questi giorni, l’isolamento forzato che stiamo vivendo ci fa scoprire la bellezza di tante cose che eravamo abituati ad avere e alle quali, forse, non davamo il giusto valore: la celebrazione della S. Messa e i Sacramenti; la gioia dell’incontro; una certa sicurezza della nostra salute; la possibilità di contare sull’aiuto degli altri; la libertà di muoverci; e tante altre cose che ciascuno sa bene.

Ora non ne possiamo più godere pienamente, purtroppo non sappiamo per quanto tempo ancora.

Questa mancanza forzata ci deve aiutare però anche a dare il giusto valore a tutto quello che continuiamo ad avere a disposizione: una cerchia di amici e parenti che condividono la nostra condizione; la sicurezza economica che ne attenua le conseguenze più gravi; l’accesso alle cure mediche gratuite ed efficaci; strumenti che ci permettono di restare in contatto, sentirci, parlarci ed anche vederci a distanza; ecc… Per questo anche se la situazione è oggettivamente grave, non siamo giustificati se cadiamo in un vittimismo lamentoso, come se io fossi la persona che soffre più di tutte. Pensiamo, in questi giorni, a quanti nel mondo quello che non abbiamo più, ed anche quello che abbiamo ancora, non lo hanno mai avuto a disposizione, per tanti motivi diversi: miseria personale, sottosviluppo economico, guerra, ingiustizia sociale e oppressione politica. Proviamo ad immedesimarci con i milioni di persone che vivono da sempre come noi viviamo oggi, ed anche peggio.

In questi giorni sono stati messe in atto molte misure per proteggere dal rischio del contagio, ma resta un altro nemico subdolo e maligno dal quale è difficile liberarsi: la paura. Essa, a sua volta, è fonte di tante altre malattie che minano la nostra persona. Conosciamo bene queste malattie spirituali: l’egoismo, la chiusura, il vittimismo autocompiaciuto, l’aridità, la freddezza, l’egocentrismo, insomma tutti quei modi con cui il diavolo (parola che, sappiamo bene, letteralmente significa “colui che separa”) ci divide e ci allontana dagli altri e da Dio. Come possiamo evitare il contagio della paura? Essa può essere vinta solo da un’unica grande forza: l’amore.

Sì, l’amore vince la paura del male. Dice l’Apostolo Paolo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?” (1 Cor 15,54-55).

E non si tratta solo di un espediente psicologico, una sorta di diversivo per “non pensarci”. Realmente l’amore rafforza le nostre difese interiori sviluppando “anticorpi” efficaci contro le malattie spirituali, le quali, se apparentemente sembrano non colpire il corpo, in realtà debilitano fino a far morire la persona tutta intera, inaridendone l’interiorità.

Non lasciamo che la paura vinca sull’amore, ci ritroveremmo più soli, disperati, prostrati fisicamente e spiritualmente, impotenti di fronte al dilagare del male e infragiliti dalla sfiducia.

Certo, non dobbiamo trascurare le precauzioni a cui le autorità ci chiedono di sottoporci: esse vanno scrupolosamente osservate, per i validi motivi che ben sappiamo. Allo stesso tempo però usiamo la creatività dell’amore, a volte geniale, per trovare nuovi mezzi per tessere una rete protettiva e solidale con gli altri, in modo particolare quanti soffrono come e peggio di noi la situazione attuale. Il tempo non ci manca, ora che siamo tutti in quarantena forzata: sfruttiamolo in modo proficuo. La tentazione, e i messaggi che tante volte ci giungono, ci dicono di usare il tempo pensando più a noi stessi, facendo quello che prima non avevamo modo di fare, di trovare le nostre soddisfazioni in quello che ci piace, ecc… Ma stiamo attenti, ancora una volta sembra che la priorità resti pensare di più a se stessi, prendendosi cura del proprio benessere fisico e psicologico. Attenti però, perché questo rischia di aumentare il proprio isolamento, rendendolo solo un po’ più confortevole. Possiamo forse ricavarne un aiuto psicologico temporaneo, ma non è la soluzione.

Credo che invece questo sia il tempo opportuno per renderci conto che abbiamo alcuni talenti che, nella confusione un po’ nevrotica della vita normale, abbiamo sotterrato sotto una coltre di abitudini scontate e pigrizia spirituale, e di farli fruttare, moltiplicando, e non svilendo, il valore del tempo che abbiamo a disposizione.

Ne faccio un breve elenco che ognuno potrà prolungare pensando a sé e alla propria situazione.

1.     Il talento della preghiera. Lo spazio del nostro silenzio in compagnia di Dio è sempre stato poco. Il frastuono che ci circonda, le faccende che si accavallano e le mille occupazioni corrodono il tempo della preghiera. Aggiungiamo a questo la nostra disabitudine e pigrizia, un senso di disagio, come chi ha a che fare con qualcosa che gli è poco familiare. Pregare è essenzialmente dialogo con Dio. È fatto di ascolto e di risposte, di domande e richieste, di ringraziamento, di semplice piacere di stare assieme. Possiamo leggere un brano della Scrittura, la Parola che Dio ci rivolge personalmente, facciamolo più volte fino a ricavarne il messaggio per noi, e rispondiamo ad esso ammettendo il nostro peccato, riconoscendo cioè la distanza dai sentimenti di Dio, ma anche ringraziandolo per le sue amorevoli attenzioni per noi, per la sua vicinanza, per la sua fiducia nei nostri confronti, ritenendoci capaci di essere migliori, più simili e vicini a lui. Non esitiamo a rivolgergli le nostre richieste, fiduciosi, attenti a chiedere cose buone, senza però autolimitarci: le domande audaci piacciono a Dio, perché ci legano ancora di più a lui nel vincolo di una fiducia illimitata, come un bambino che chiede al padre l’impossibile. Dio che è un Padre buono, ce lo concederà (Lc 11,9-ss.). Non poniamo nemmeno il limite geografico: ricordiamo chi è lontano, isolato (come in carcere o in istituto o in ospedale), chi non vediamo con gli occhi, ma può essere presente nella nostra preghiera, come i migranti in Turchia, in Grecia, in Centro America, le vittime di guerre lontane, i malati che non hanno accesso alle cure, ecc… Dedichiamo uno spazio fisso alla preghiera, recitando le preghiere che conosciamo (Padre Nostro, Ave Maria, ecc…), leggendo la Parola di Dio e rispondendo ad essa, chiedendo e invocando, come dicevo. Nell’impossibilità a partecipare alla Messa seguiamo in televisione o su internet le Liturgie che ci sono offerte.


2.     Il talento dell’amicizia. Proprio perché ci mancano, pensiamo con più affetto ai nostri cari: non solo ai parenti, dei quali siamo più naturalmente portati a preoccuparci, ma anche agli amici e ai conoscenti. Alcuni è tanto che non li sentiamo, o abbiamo allentato i legami, con altri non siamo mai andati oltre l’esteriorità formale. Proviamo a dare un contenuto più profondo e sentito ai nostri affetti, comunicando sincera preoccupazione, pazienza e attenzione nell’ascolto, audacia nel consiglio e nel conforto, partecipazione non superficiale alla vita degli altri, apertura del proprio cuore, lasciandovi entrare gli altri come in una stanza calda, adorna e accogliente. Non sarà facile all’inizio, pensiamo bene come fare e cosa dire, ma facciamolo, e non solo virtualmente, attraverso i social media, ma di persona: il calore della voce, i silenzi, l’intonazione comunicano mille volte meglio di un post o di una figurina, impersonale e fredda!


3.     Il talento della solidarietà concreta. Proviamo a richiamare alla mente quanti sappiamo vivere in situazione di bisogno, magari facciamocene un elenco scritto. Nei momenti di crisi, come questo, i poveri sono quelli che sopportano il peso maggiore, a volte in modo drammatico, e non hanno la forza d’imporsi all’attenzione degli altri, semplicemente scompaiono. Pensiamo ai mendicanti davanti al supermercato, che ora non possono più ricevere nemmeno quel piccolo aiuto economico; a quanti vivono per strada, privi del sostegno della rete di aiuti che più o meno permettevano loro di sopravvivere; agli anziani soli, già fragili, ma ancor più deboli nella gestione della vita quotidiana, intristiti e spaventati; a chi è chiuso in carcere e in istituto, senza più nemmeno il conforto delle visite di amici e parenti; ai malati non gravi, che non possono essere più presi in carico dalle strutture ospedaliere ingolfate da altre necessità, ecc… Con la necessaria prudenza, ma anche con l’audacia e la fantasia dell’amore, pensiamo come possiamo venire in loro soccorso. È possibile per ciascuno di noi fare molto più di quanto crediamo. La paura paralizza la mente, rattrappisce il cuore e irrigidisce le mani nel gesto del rifiuto. L’amore irrobustisce mente, cuore e mani e fa scoprire risorse inimmaginate. Riconosciamo in ognuno di loro il volto del fratello che ci interpella, non lo lasceremo certo nel bisogno!

Se spenderemo per gli altri questi ed altri talenti che il Signore ci ha donato riceveremo da lui la forza di superare questo momento difficile e riceveremo da lui l’invito: “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21).

In conclusione, cari fratelli e care sorelle, non permettiamo al male di portare via dalle nostre vite il tesoro più prezioso che abbiamo, quella fede in Dio che ci è stata donata fin da piccoli e che abbiamo la necessità di alimentare e far crescere ancor di più in questo tempo. Essa è la vera risorsa che ci permette di non cadere nello sconforto e nella disperazione. Nella prova Dio è con noi, nella stessa barca agitata da onde e venti contrari. Il suo esserci ci conforta e ci permette di rivolgerci a lui, magari in modo scomposto e poco adatto, ma con fiducia che non ci lascerà mai delusi (Lc 8,24).

Viviamo questi giorni di Quaresima con lo sguardo fisso verso il traguardo, quella Resurrezione di vita e di gioia che non soccombe alla forza della morte. Restiamo uniti nel vincolo della carità fraterna, nella preghiera, nell’amore vicendevole, nei gesti concreti di preoccupazione e cura reciproca. È questa la nostra forza, la forza debole che ci rende discepoli del Signore, potenti di fronte al male e vincitori davanti ad ogni nemico della vita.


Don Roberto

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