lunedì 23 marzo 2020

Terza lettera su questo tempo di quarantena - 23 marzo 2020



Terni, 23 marzo 2020 

Cari amici, 

i tanti eventi che si susseguono in queste giornate, così cariche di preoccupazione e paure, rischia di farci un po’ dimenticare che ci troviamo nel mezzo del cammino della Quaresima. Viviamo un tempo eccezionale dal punto di vista sociale, economico, delle relazioni, del lavoro, ma questo è anche un tempo speciale dal punto di vista spirituale: siamo nel tempo di preparazione e di esodo da noi stessi verso la passione, morte e resurrezione di Gesù

Certo, forse in questi giorni è più difficile viverlo con piena consapevolezza, come magari abbiamo fatto in altre situazioni più “normali”. Infatti, paradossalmente, se da un lato ci siamo trovati, per la maggioranza di noi, con una grande quantità di tempo da utilizzare, venuti meno i ritmi consueti un po’ affannati, dall’altra scopriamo tutta la nostra incapacità a gestire in maniera pienamente costruttiva e proficua questo tempo ampliato. Sì, magari ci siamo dedicati a tante piccole occupazioni che non potevano svolgere ordinariamente, ma siamo sicuri di aver lasciato sufficiente spazio anche allo “straordinario” di questa Quaresima che bussa alla nostra vita, cioè a quella preparazione ed esodo da noi stessi a cui facevo cenno prima? 

Diamo la dovuta attenzione a questa nostra esigenza vitale, perché una persona che non prega e non alza lo sguardo da sé verso la fonte della vita e dell’amore inaridisce presto, diviene sterile e fredda, rischia di morire dentro, credendo di preservare l’esterno. 

Per vivere seriamente questa preoccupazione ci viene in soccorso la tradizione antica della Chiesa che, basandosi sugli insegnamenti della Scrittura, ci indica tre alleati sicuri nel nostro cammino di Quaresima: la preghiera, il digiuno, la carità. 

Della prima, la preghiera, ho già parlato nelle mie precedenti lettere: è essenziale imparare, se non lo abbiamo fatto prima, e fortificare questo impegno, sempre tenendo presente quanto dicevo già circa il legame forte e indissolubile fra preghiera e azione. Le due cose non possono essere disgiunte e, se manca l’una, l’altra deperisce e muore. Alcuni mi dicono: “non posso fare nulla per gli altri, ma prego molto per loro.” Va bene pregare, è buono e utile, ma dobbiamo anche interrogarci se è vero che non possiamo fare niente, se abbiamo veramente esplorato tutte le nostre possibilità, pur nei limiti così circoscritti della nostra libertà attuale. La preghiera si nutre della nostra azione concreta in favore degli altri, così come il nostro agire pratico è alimentato dalla fiducia che riponiamo in Dio nella preghiera e da essa trae la genialità dell’amore che rende possibile quello che sembrerebbe non esserlo. 

Il digiuno è una pratica antica nel cristianesimo e in molte altre religioni. Esso è proposto e vissuto come mezzo per misurare la propria fragilità e maturare una coscienza più realistica del nostro bisogno di Dio. In questo nostro tempo il digiuno che viviamo si è arricchito, forzatamente, di molti elementi: digiuno della Liturgia eucaristica e dei Sacramenti; digiuno della fraternità fisica e dell’incontro, dello stare con gli altri; digiuno da alcune forme di solidarietà concreta, ecc… Pensiamo all’impossibilità di familiari ed amici a stare accanto alle persone malate di covid-19 negli ospedali, o agli anziani in istituto, o ai carcerati, ai morenti; all’impossibilità di celebrare i funerali. Anche questo è un digiuno imposto a persone già fragili e duramente provate. 

Questo digiuno forzato deve farci riflettere. Infatti non è scontato sentire la mancanza di queste cose. Si trovano facilmente sostituti: la partecipazione alla Messa si sostituisce con le celebrazioni in televisione, certo meglio di niente, ma così fredde e quasi imbarazzanti per il ritrovarsi da soli davanti a uno schermo; i rapporti con gli altri si sostituiscono con i contatti sui social media, così impersonali e che danno l’impressione di essere in relazione con molti, ma senza vero incontro e dialogo; la solidarietà concreta si sostituisce con la preghiera, con le implicazioni che dicevo prima; ecc… In fondo questo digiuno forzato è anche una grande opportunità per il maligno che lavora suggerendoci maliziosamente che forse non è poi così grave fare a meno di queste cose, così si ha tanto più tempo per pensare a sé. In fondo anche il digiuno dal cibo, pratica come dicevo raccomandata dalle religioni, ha il suo stravolgimento nelle forme di anoressia patologica che convincono menti fragili che del cibo si può fare benissimo a meno, anzi che senza si sta meglio. Conosciamo le tragiche conseguenze di questo atteggiamento. Allora stiamo ben attenti a non far diventare questo digiuno forzato una forma di anoressia spirituale, cioè la scelta di fare a meno di ciò che, in fin dei conti, non appare ad occhi materialistici e superficiali essenziale per vivere. Una volta entrati in questa logica sarà poi difficile, in condizione di normalità, riprendere a desiderare di “mangiare”. 

Da un altro punto di vista il digiuno forzato di questi giorni riguarda anche altri aspetti della nostra vita quotidiana meno costruttivi o negativi. Ad esempio il consumismo che spinge ad acquistare in maniera compulsiva, anche quello che non serve; un certo attivismo un po’ nevrotico che ci porta ad accavallare impegni ed appuntamenti non tutti così necessari; una cura ossessiva per il proprio corpo, attraverso pratiche sportive o altro (massaggi, fitness, diete, para-terapie fantasiose o pratiche similari) ben oltre la semplice e sana attività fisica; una socialità di gruppo in ambienti affollati e rumorosi, spersonalizzanti e stordenti, come copertura all’incapacità a relazioni personali impegnative e fedeli; ecc… Impariamo dal digiuno forzato di questi giorni a far a meno di ciò che non solo non è indispensabile, ma nemmeno è utile ed anzi consuma energie e risorse che possono essere impiegate in modo migliore. 

Infine la carità. Già dicevo prima come se da un lato, purtroppo, alcune forme di solidarietà sono rese impossibili dalle restrizioni attuali, ci sono tuttavia margini per inventare nuovi modi di vicinanza, soccorso, aiuto concreto ai più fragili. Specialmente in questo tempo in cui sono venute meno tante forme ordinarie di sostegno: pensiamo alla scuola per i ragazzi disabili che si ritrovano così più soli e ristretti in ambienti circoscritti, agli anziani soli, ai carcerati senza visite, a chi vive per strada senza più la possibilità di chiedere l’elemosina o di ricevere piccoli aiuti dai negozianti, ecc… Siamo sicuri che non si può fare niente per loro, neanche piccoli gesti di vicinanza e solidarietà che nel deserto attuale valgono molto? 

Preghiera, digiuno, carità. La Quaresima è fatta anche di queste tre semplici e profonde pratiche. Non è roba da asceti e monaci del deserto, piuttosto è un sostegno per non sprecare il nostro tempo, difficile ma sempre prezioso. La Pasqua non ci colga impreparati o deperiti dall’anoressia più o meno forzata da ciò che ci rende più umani. Viviamo questa Quaresima speciale come un’occasione speciale: la Resurrezione del Signore ci donerà il cibo nutriente e la vita vera in abbondanza, se l’attendiamo con fiducia e speranza, affamati di umanità vera, di vita vissuta pienamente e con profondità. 

Don Roberto

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