giovedì 2 aprile 2020

Quarta lettera su questo tempo di quarantena - 31 marzo 2020



Cari amici,

     leggiamo nel libro dell’Esodo al cap. 24 che Mosè dopo aver ricevuto da Dio le prescrizioni della Legge si reca sul monte Sinai da solo per ricevere da lui il sigillo dell’alleanza, quelle tavole della legge che riassumono e simboleggiano il patto di amore che Dio, di sua iniziativa, ha voluto stabilire col suo popolo. Egli chiede in cambio della sua benevolenza che Israele sia fedele a lui e non lo abbandoni per affidarsi agli idoli pagani, ricambiando così l’amore gratuitamente ricevuto.

Mosè nella Scrittura è una figura chiave nella storia di fede del popolo d’Israele: egli è definito l’amico di Dio, perché è l’unico che conversava con lui faccia a faccia e che aveva accesso diretto in un dialogo intimo: “Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico” (Es 33,11).

Mosè è la guida del popolo nel cammino di liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, attraverso i 40 anni nel deserto fino a giungere alla terra promessa ad Abramo. 

Mosè infine è intercessore presso Dio per la salvezza del popolo nei momenti di infedeltà o di crisi nel lungo e difficile cammino nel deserto.

Anche noi ci troviamo nel cammino di Quaresima, il santo viaggio che dalla schiavitù del male ci conduce verso la liberazione da esso, mediante la partecipazione all’evento più rilevante della storia della salvezza: la Resurrezione del figlio di Dio, il Signore Gesù.

Come già dicevamo, per noi quest’anno la Quaresima è un tempo nel quale la forza del male si manifesta veramente con una durezza forse unica nella storia delle ultime generazioni. Il cammino è irto di difficoltà e di ostacoli, di pericoli e di morte, di minacce e di grande dolore per tutti i popoli.

E, come avvenne per Israele, anche nel deserto di oggi un uomo si è incamminato verso il monte dell’incontro con Dio per intercedere davanti a lui per la salvezza dell’umanità intera colpita dalla malattia mortale. Papa Francesco pochi giorni fa ha voluto realizzare una preghiera straordinaria in una piazza San Pietro deserta per invocare da Dio la salvezza dalla pandemia. La sua preghiera, nutrita della Parola evangelica, si è conclusa con l’elevazione dell’Eucarestia a benedizione del mondo intero.

L’immagine toccante di quella preghiera è rimasta impressa nei nostri cuori. Papa Francesco si è come caricato, con tutta la sua fragilità fisica, del male di tutto il mondo, del peccato di orgoglio, delle divisioni egoistiche, delle paure che hanno paralizzato tante mani e raffreddato tanti cuori, per implorare da Dio la vittoria del bene su un male che sembra trionfare con forza inarrestabile.

Ascoltiamo le sue parole, a commento del brano evangelico di Marco 4, 35-41:

“In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».”

Il papa ha commentato così:

“Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti.”

Ha poi riconosciuto che la tempesta agita un mondo pieno di ingiustizie e soffocato da un ego umano dilatato senza limite, fino a occupare il posto stesso di Dio in un delirio di onnipotenza:

“La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. … Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli. … siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.”

Infine Francesco ha presentato a Dio l’umile richiesta di donare la salvezza che l’umanità, da sola, non può darsi:

“L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai. E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi”

(se vuoi leggere tutto il commento: 
http://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2020/documents/papa-francesco_20200327_omelia-epidemia.html
se vuoi vedere tutto il filmato: https://www.youtube.com/watch?v=YtxP7Ya98uk)

In questo ultimo tratto del cammino quaresimale, prima della domenica delle palme che ci introduce alla Settimana Santa, facciamo nostra la preghiera del papa.

Innanzitutto accogliamo l’invito a riconoscere umilmente come spesso un senso di sé dilatato e concentrato tutto su se stessi ha ridotto lo spazio di Dio a un angolo remoto e circoscritto della nostra esistenza. Vuoi che sia l’angolo dello “spirituale”, cioè dei pii pensieri e delle pie intenzioni separate dalla prassi quotidiana; o l’angolo di un armamentario di prescrizioni e di leggi morali che sono funzionali a farci sentire sempre dalla parte del giusto (in fondo se non ho ucciso, non ho rubato, non ho mentito, che male posso aver mai fatto?); oppure l’angolo dal quale si vede solo il male che non ho fatto ma non il bene che non ho voluto, la solidarietà che non ho mostrato, l’aiuto che non ho prestato, ecc... (vedi Mt 25,42-43 nel quale la condanna è per chi non ha offerto soccorso, e non per chi ha compiuto chissà quali delitti).

E poi con il papa affidiamo a Gesù i nostri timori, i limiti e le mancanze, ciò di cui non ci sentiamo capaci o all’altezza, nella certezza che lui c’è, è nella barca con noi in mezzo alla tempesta.

Domenica prossima celebreremo l’entrata di Gesù in Gerusalemme, fra due ali di folla festante. È come se il Signore salga sulla barca della nostra vita. Egli sa che dense nubi di tempesta oscurano i suoi e i nostri cieli personali, quelli dell’umanità intera. Egli sa che presto soffieranno venti impetuosi che sconquassano e scoperchiano i nostri ripari rassicuranti e tranquilli. Egli sa che gli uomini possono poco contro tutto ciò, che la tempesta ha una forza soverchiante, eppure entra a Gerusalemme, non cerca un riparo tranquillo per sé, non sta a riva come uno spettatore lontano. Egli non abbandona l’umanità in balìa della forza del male che mostra in queste ore tutta la sua arroganza. Gesù c’è, entra nella città, sale sulla nostra barca.

Davanti a questo i discepoli sono titubanti: cosa vorrà dire tutto ciò? Non capiscono, come noi non capiamo tutto quello che ci sta accadendo. Però si fidano, e vanno con lui. A loro Gesù chiede di avere fiducia, di non pretendere di capire tutto ora. A Pietro nell’ultima cena Gesù dice: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo.” (Gv 13,7)

Sì, abbiamo bisogno di fidarci, ora, per poter domani comprendere. Dopo la Resurrezione, come ai discepoli di Emmaus, Gesù aprirà la nostra mente e diremo con loro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32)

Cari amici, fidiamoci di lui, come papa Francesco ci propone oggi. Attraversiamo con lui la tempesta dei giorni di passione e morte, per trovare, con lui, la pace e la gioia del cuore nel giorno della sua Resurrezione. La tentazione è pretendere di capire e dominare il nostro oggi, di scampare il pericolo evitando di attraversarlo, di arrabbiarci perché non ci sono risparmiati i giorni della prova. Ma solo attraversandoli capiremo e solo vivendo con lui la passione potremo incontrarlo nella nostra Emmaus, compagno di strada fiducioso e paziente a dimostrarci col calore della sua presenza che l’amore di Dio non ci lascia, anzi ci salva dalla forza del male più amara e cattiva, quella che vuole allontanarci da lui.

Viviamo con questo spirito i giorni che ci aspettano, giorni santi e benedetti nei quali leggere la nostra vita e quella del mondo con lo sguardo di Gesù, deciso a non lasciarci soli e a restare nostro amico fino all’ultimo.

Don Roberto

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