Meditazioni di Quaresima su Abramo
I incontro, 12 marzo 2025
Abramo, padre di tutti i credenti
Uno dei più solidi punti di convergenza tra le tre grandi
religioni monoteistiche è costituito dalla figura del patriarca Abramo, che per
ebrei, cristiani e musulmani rappresenta il modello del credente nell’unico
Dio.
In lui si trova non solo un vago riferimento religioso per i
credenti delle tre fedi, ma il capostipite, il modello, colui attraverso il
quale si fonda la fede delle tre religioni monoteistiche abramitiche. Troppo
spesso si è dato più risalto alle diverse strade che, a partire da questo punto
comune, le tre religioni hanno intrapreso portando a esiti veramente molto
diversi e, per certi versi, incompatibili.
Se vogliamo questo itinerario ricorda quello frequente in
ambito familiare. I fratelli trovano il loro primo e fondamentale punto comune
nei genitori, padre e madre, che costituiscono un imprescindibile punto di
partenza comune. Poi, certamente, le vicende della vita porteranno ciascun
figlio a percorrere itinerari diversi, a giungere a mete diverse, anche
discordanti fra loro, ma nulla potrà strappare dalle radici la loro unica
origine, nella quale si fonda la loro esistenza. Basterebbe poco, cioè
ritornare a questa unica origine, per ritrovare i motivi dell’armonia, pur
nelle diversità.
Questo lo vediamo esemplificato in maniera molto evidente
nella stessa vicenda di Abramo e dei suoi figli.
Ismaele e Isacco: due figli diversi, un destino comune?
Conosciamo le diverse vicende che portarono alla nascita dei
due figli di Abramo. Le riassumiamo brevemente.
Abram e Sarai giungono in età molto avanzata senza figli.
Nonostante Dio rinnovi all’anziano patriarca la promessa di una discendenza
numerosa come le stelle del cielo (cfr. Gen 15,5), possiamo immaginare la
delusione e la frustrazione vissuta dalla coppia. Realisticamente, a causa
dell’età avanzata, la paternità e la maternità sembrano un sogno per loro irrealizzabile.
Che senso ha la promessa di Dio?
Eppure, le prime parole di Sarai nel racconto della Genesi
aprono una nuova strada per ottenere quel figlio che, seppur promesso, tarda ad
arrivare. «Ma Sarai, moglie di Abram, non aveva partorito per lui. Aveva una
domestica egiziana e il suo nome era Agar. Sarai disse ad Abram: “Ecco, ti
prego, il Signore mi ha impedito di partorire; va’, ti prego, verso la mia
domestica: forse avrò un figlio da lei”. Abram ascoltò la voce di Sarai»
(Gen 16,1-2). Non dobbiamo stupirci troppo di questa pratica così lontana dalla
nostra sensibilità, la maternità vicaria veniva praticata normalmente nei casi
di sterilità femminile nel Vicino Oriente Antico.
Però dopo che Abramo va’ con la schiava Agar, lei inizia a
guardare Sarai con scherno, e la stessa Sarai, sentendo su di sé questo sguardo
di disprezzo, manifesta ad Abram tutto il suo disappunto. L’anziano patriarca
autorizza Sarai a disporre della schiava a suo piacimento. Alla fine, la logica
padronale è quella che prevale e Agar viene tormentata dalla sua padrona al
punto da dover fuggire nel deserto.
Eppure, Dio si fa carico della sofferenza di Agar e ha una
parola per lei e per il bambino che nascerà. L’angelo del Signore si rivela ad
Agar presso una sorgente e la consola con una promessa di fecondità simile a
quella fatta ad Abramo (cfr. Gen 15,5; 22,17: «Le disse ancora l’angelo del
Signore: “Certamente moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla,
tanto sarà numerosa”.) Infatti a lei l’angelo del Signore disse: “Ecco,
sei incinta e partorirai un figlio e chiamerai il suo nome Ismaele [=
Dio-ascolta] perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione. Egli sarà come
un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di
lui, e abiterà di fronte/contro la faccia di tutti i suoi fratelli”.
Agar, al Signore che le aveva parlato diede questo nome: “Tu sei il Dio della
visione”, perché diceva: “Non ho forse visto il dorso di colui che mi vede?”.
Per questo il pozzo si chiamò pozzo di Lacai-Roì» (Gen 16,10-14).
Il nome del bambino sarà Ismaele a motivo dell’intervento del
Signore, che ascolta Agar la schiava e si prende cura di lei e del figlio. Il
Dio di Abram si lega indissolubilmente a Ismaele con la benedizione che aveva
già riservato al padre, ma nell’oracolo sono inclusi anche i fratelli.
Infatti, Ismaele non resterà un figlio unico.
Tredici anni dopo la nascita di Ismaele verrà alla luce
Isacco, il figlio del sorriso. Infatti, in ebraico il nome «Isacco» significa
«egli riderà». Questo nome verrà dato da Dio a motivo del sorriso di Abramo
(cfr Gen 17,17: “Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e
disse nel suo cuore: «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età
di novant’anni potrà partorire?»”) e di sua moglie Sara (cfr Gen 18,12: “Allora
Sara rise dentro di sé dicendo: “Avvizzita come sono, dovrei provare il
piacere, mentre il mio signore è vecchio!”). Davanti all’annuncio di un
figlio per l’anziana coppia, il riso di entrambi manifesta incredulità e un non
troppo velato scetticismo.
Dopo tanta attesa, la parola del Signore si compie: «Allora
Sara disse: “Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà
lietamente di me!”. Poi disse: “Chi avrebbe mai detto ad Abramo che Sara
avrebbe allattato figli? Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!”»
(Gen 21,6-7). Isacco, il figlio del sorriso, viene finalmente al mondo, e
questa volta il riso è espressione di una gioia incontenibile, e non più di
scetticismo.
Come si relazioneranno tra loro i due fratelli, entrambi
figli di Abramo, ma nati da madri differenti?
La prima interazione tra i due fratelli è raccontata in un
episodio controverso. Durante una grande festa celebrata in onore di Isacco, lo
sguardo di Sara cade su Ismaele, ed ella reagisce duramente a causa di ciò che
vede: «Il bambino [Isacco] crebbe e fu svezzato, e Abramo fece un grande
banchetto nel giorno che Isacco fu svezzato. Ma Sara vide che il figlio di Agar
l’Egiziana, quello che lei aveva partorito ad Abramo, scherzava [con Isacco suo
figlio]. Disse allora ad Abramo: “Scaccia questa schiava e suo figlio, perché
il figlio di questa schiava non sarà erede con mio figlio Isacco”» (Gen
21,8-10). (Secondo la LXX, la Vulgata e il Targum Onkelos, Ismaele giocherebbe
con Isacco. Secondo il Targum Pseudo-Jonathan, Ismaele starebbe giocando con
gli idoli. Secondo san Paolo, invece, Ismaele perseguiterebbe Isacco (cfr Gal
4,29).)
Noi abbiamo la versione dei fatti dalle parole di Sara, cioè
come lei li vede e li interpreta. Per lei Ismaele vuole usurpare il posto di
primogenito che spetta al figlio di Sara, il «vero» figlio della promessa che
Dio ha fatto ad Abramo.
L’anziano patriarca non reagisce bene davanti alla pretesa di
Sara che, con disprezzo verso «questa schiava» Agar, vuole allontanare Ismaele
e negargli l’eredità e, insieme ad essa, la possibilità di una convivenza e di
una condivisione con il fratello Isacco: «La cosa sembrò molto male agli
occhi di Abramo a motivo di suo figlio. Ma Dio disse ad Abramo: “Non sembri
male ai tuoi occhi, riguardo al fanciullo e alla tua schiava, tutto quello che
dirà a te Sara; ascolta la sua voce, perché in Isacco da te prenderà nome una
stirpe. Ma io farò diventare una nazione anche il figlio della schiava, perché
egli è tua discendenza”» (Gen 21,11-13). I piani di Dio sono veramente
imperscrutabili!
Come promesso da Dio, Abramo sarà padre di una moltitudine di
nazioni anche attraverso Ismaele (cfr Gen 17,4-6.20). I percorsi dei due
fratelli, dunque, si dividono, ma entrambi i figli di Abramo rimangono sotto il
segno della benedizione divina come prima linea dopo Abramo di una vasta
generazione di discendenti. Anche se lontani, si ritrovano uniti dal Dio di
Abramo, che è anche il loro Dio.
Due vite in parallelo
Dopo questo episodio traumatico per il loro rapporto le vite
di Isacco e Ismaele non si incrociano per lungo tempo, ma, in modo
significativo, sono descritte nella Scrittura come due percorsi simili che
passano attraverso la separazione dal padre e un’esperienza di salvezza
ricevuta da Dio mentre si trovano ad affrontare la morte (cfr Gen 21,14-21;
22,1-19).
Dispersa nel deserto, dopo essere stata scacciata da Abramo,
Agar piange, temendo che suo figlio possa morire per la sete. Dio ascolta la
voce di Ismaele, il quale, trovandosi vicino alla morte, compie il significato
del suo nome – letteralmente «Dio ascolta» – quando viene salvato
dall’intervento del Signore: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito
la voce del fanciullo là dove si trova. Àlzati, prendi il fanciullo e tienilo
per mano, perché io ne farò una grande nazione» (Gen 21,17-18).
Successivamente, Isacco, su invito di Dio, verrà condotto da
Abramo sul monte per essere sacrificato. Isacco è prossimo a morire e si
troverà quindi in una situazione molto simile a quella del fratello Ismaele
assetato nel deserto. Anche nel caso di Isacco l’angelo del Signore interverrà
per salvare la vita del figlio di Abramo e rinnovare la promessa di
benedizione: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto
questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di
benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del
cielo e come la sabbia che è sul lido del mare» (Gen 22,16-17).
Dobbiamo notare che, a differenza di Sara che nutre
sentimenti opposti per i due giovani, per Abramo sono entrambi figli amati, da
cui Abramo si separa con dolore, come sottolinea efficacemente il Talmud
babilonese: «Dio disse ad Abramo: “Ti prego, prendi tuo figlio, il tuo
unico, che ami, Isacco” (Gen 22,2). Quando Dio disse: “Tuo figlio”, Abramo
obiettò: “Io ho due figli!”. Dio gli disse: “Il tuo unigenito”. Abramo rispose:
“Questi è l’unico figlio per sua madre, e quello è l’unico figlio per sua
madre!”. Dio gli disse: “Quello che ami”. Abramo replicò: “Io li amo
entrambi!”. Dio allora gli disse: “Isacco!”»
Dunque i due percorsi paralleli di Isacco e Ismaele sono
segnati dal distacco dai genitori per costruire una loro famiglia, e dalla
benedizione di Dio che promette attraverso di entrambi una grande posterità.
Eppure, c’è ancora il tempo per un ultimo incontro tra di
loro, che avviene nel momento altamente drammatico della morte del padre: «Lo
seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela, nel
campo di Efron, figlio di Socar, l’Ittita, di fronte a Mamre. Il campo che
Abramo aveva comprato dagli Ittiti. Lì furono sepolti Abramo e sua moglie Sara.
Dopo la morte di Abramo, Dio benedisse il figlio di lui Isacco e Isacco abitò
presso il pozzo di Lacai-Roì» (Gen 25,9-11).
Isacco e Ismaele si trovano uno accanto all’altro nel
piangere la morte del padre. Ismaele si reca a Macpela, dove si trova sepolta
Sara, madre di Isacco, la donna che dapprima lo aveva voluto per vincere la
propria incapacità di generare, ma che in seguito lo aveva rigettato. Isacco,
invece, andrà ad abitare presso il pozzo di Lacai-Roì, la località dove Agar
aveva visto il Signore che aveva udito il suo lamento e aveva benedetto lei e
la sua discendenza (cfr Gen 16,14).
I due fratelli incrociano e mescolano le loro storie, e l’uno
va nei luoghi dell’altro, in un fecondo scambio che li pone l’uno vicino
all’altro in una sorta di implicita riconciliazione familiare. Da questo
momento in poi, senza la figura del padre che li univa per mezzo del legame di
sangue ma che li aveva divisi per la pace e il quieto vivere della famiglia, i
due fratelli saranno prossimi nel condividere la benedizione al di là delle
grettezze e delle piccinerie umane.
Quella che potrebbe sembrare la stereotipata scena di un
funerale diventa il coronamento dell’essere fratelli separati, ma non distanti.
«Questa è la discendenza di Ismaele…» (Gen 25,12); «Questa è la
discendenza di Isacco…» (Gen 25,19): pochi versetti separano i fratelli e i
loro discendenti che nella vita continueranno a vivere uno di fronte all’altro
come ci ricorda la Scrittura: «[Ismaele] si era stabilito di fronte/contro
la faccia di tutti i suoi fratelli» (Gen 25,18). La particella ebraica ‘al
può essere letta come «di fronte» oppure «contro». Quale opzione sceglieranno i
due fratelli? In questa ambivalenza c’è tutto il valore profondo della scelta
personale che imprime alla storia direzioni diverse.
Eppure, nonostante tutto, Isacco e Ismaele possono prosperare
sotto il segno di una benedizione condivisa, anche se diversa, ed essere dei
buoni vicini, generazione dopo generazione. Infatti, secondo la tradizione
della Bibbia (ma anche del Corano), dietro i personaggi di Isacco e Ismaele ci
sono due popoli così lontani, così vicini come gli Israeliti e i Cristiani e
gli Arabi-Musulmani, che, posti gli uni accanto agli altri nella terra su cui
abitano, possono scoprire una radice comune come figli di Abramo, benedetti
dallo stesso Dio. Tutto dipende dalla scelta di ciascuno di essere l’uno «di
fronte» oppure «contro» l’altro. La diversità non è condanna al conflitto e
alla rivalità, ma può essere vissuta nell’armonia se si torna alla comune
radice abramitica.
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