venerdì 14 marzo 2025

Meditazione biblica quaresimale - Abramo capostipite della fraternità - mercoledì 12 marzo 2025

 

Meditazioni di Quaresima su Abramo

I incontro, 12 marzo 2025

 

Abramo, padre di tutti i credenti

Uno dei più solidi punti di convergenza tra le tre grandi religioni monoteistiche è costituito dalla figura del patriarca Abramo, che per ebrei, cristiani e musulmani rappresenta il modello del credente nell’unico Dio.

In lui si trova non solo un vago riferimento religioso per i credenti delle tre fedi, ma il capostipite, il modello, colui attraverso il quale si fonda la fede delle tre religioni monoteistiche abramitiche. Troppo spesso si è dato più risalto alle diverse strade che, a partire da questo punto comune, le tre religioni hanno intrapreso portando a esiti veramente molto diversi e, per certi versi, incompatibili.

Se vogliamo questo itinerario ricorda quello frequente in ambito familiare. I fratelli trovano il loro primo e fondamentale punto comune nei genitori, padre e madre, che costituiscono un imprescindibile punto di partenza comune. Poi, certamente, le vicende della vita porteranno ciascun figlio a percorrere itinerari diversi, a giungere a mete diverse, anche discordanti fra loro, ma nulla potrà strappare dalle radici la loro unica origine, nella quale si fonda la loro esistenza. Basterebbe poco, cioè ritornare a questa unica origine, per ritrovare i motivi dell’armonia, pur nelle diversità.

Questo lo vediamo esemplificato in maniera molto evidente nella stessa vicenda di Abramo e dei suoi figli.

 

Ismaele e Isacco: due figli diversi, un destino comune?

Conosciamo le diverse vicende che portarono alla nascita dei due figli di Abramo. Le riassumiamo brevemente.

Abram e Sarai giungono in età molto avanzata senza figli. Nonostante Dio rinnovi all’anziano patriarca la promessa di una discendenza numerosa come le stelle del cielo (cfr. Gen 15,5), possiamo immaginare la delusione e la frustrazione vissuta dalla coppia. Realisticamente, a causa dell’età avanzata, la paternità e la maternità sembrano un sogno per loro irrealizzabile. Che senso ha la promessa di Dio?

Eppure, le prime parole di Sarai nel racconto della Genesi aprono una nuova strada per ottenere quel figlio che, seppur promesso, tarda ad arrivare. «Ma Sarai, moglie di Abram, non aveva partorito per lui. Aveva una domestica egiziana e il suo nome era Agar. Sarai disse ad Abram: “Ecco, ti prego, il Signore mi ha impedito di partorire; va’, ti prego, verso la mia domestica: forse avrò un figlio da lei”. Abram ascoltò la voce di Sarai» (Gen 16,1-2). Non dobbiamo stupirci troppo di questa pratica così lontana dalla nostra sensibilità, la maternità vicaria veniva praticata normalmente nei casi di sterilità femminile nel Vicino Oriente Antico.

Però dopo che Abramo va’ con la schiava Agar, lei inizia a guardare Sarai con scherno, e la stessa Sarai, sentendo su di sé questo sguardo di disprezzo, manifesta ad Abram tutto il suo disappunto. L’anziano patriarca autorizza Sarai a disporre della schiava a suo piacimento. Alla fine, la logica padronale è quella che prevale e Agar viene tormentata dalla sua padrona al punto da dover fuggire nel deserto.

Eppure, Dio si fa carico della sofferenza di Agar e ha una parola per lei e per il bambino che nascerà. L’angelo del Signore si rivela ad Agar presso una sorgente e la consola con una promessa di fecondità simile a quella fatta ad Abramo (cfr. Gen 15,5; 22,17: «Le disse ancora l’angelo del Signore: “Certamente moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla, tanto sarà numerosa”.) Infatti a lei l’angelo del Signore disse: “Ecco, sei incinta e partorirai un figlio e chiamerai il suo nome Ismaele [= Dio-ascolta] perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione. Egli sarà come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di lui, e abiterà di fronte/contro la faccia di tutti i suoi fratelli”. Agar, al Signore che le aveva parlato diede questo nome: “Tu sei il Dio della visione”, perché diceva: “Non ho forse visto il dorso di colui che mi vede?”. Per questo il pozzo si chiamò pozzo di Lacai-Roì» (Gen 16,10-14).

Il nome del bambino sarà Ismaele a motivo dell’intervento del Signore, che ascolta Agar la schiava e si prende cura di lei e del figlio. Il Dio di Abram si lega indissolubilmente a Ismaele con la benedizione che aveva già riservato al padre, ma nell’oracolo sono inclusi anche i fratelli. Infatti, Ismaele non resterà un figlio unico.

Tredici anni dopo la nascita di Ismaele verrà alla luce Isacco, il figlio del sorriso. Infatti, in ebraico il nome «Isacco» significa «egli riderà». Questo nome verrà dato da Dio a motivo del sorriso di Abramo (cfr Gen 17,17: “Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e disse nel suo cuore: «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?»”) e di sua moglie Sara (cfr Gen 18,12: “Allora Sara rise dentro di sé dicendo: “Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”). Davanti all’annuncio di un figlio per l’anziana coppia, il riso di entrambi manifesta incredulità e un non troppo velato scetticismo.

Dopo tanta attesa, la parola del Signore si compie: «Allora Sara disse: “Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente di me!”. Poi disse: “Chi avrebbe mai detto ad Abramo che Sara avrebbe allattato figli? Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!”» (Gen 21,6-7). Isacco, il figlio del sorriso, viene finalmente al mondo, e questa volta il riso è espressione di una gioia incontenibile, e non più di scetticismo.

Come si relazioneranno tra loro i due fratelli, entrambi figli di Abramo, ma nati da madri differenti?

La prima interazione tra i due fratelli è raccontata in un episodio controverso. Durante una grande festa celebrata in onore di Isacco, lo sguardo di Sara cade su Ismaele, ed ella reagisce duramente a causa di ciò che vede: «Il bambino [Isacco] crebbe e fu svezzato, e Abramo fece un grande banchetto nel giorno che Isacco fu svezzato. Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che lei aveva partorito ad Abramo, scherzava [con Isacco suo figlio]. Disse allora ad Abramo: “Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non sarà erede con mio figlio Isacco”» (Gen 21,8-10). (Secondo la LXX, la Vulgata e il Targum Onkelos, Ismaele giocherebbe con Isacco. Secondo il Targum Pseudo-Jonathan, Ismaele starebbe giocando con gli idoli. Secondo san Paolo, invece, Ismaele perseguiterebbe Isacco (cfr Gal 4,29).)

Noi abbiamo la versione dei fatti dalle parole di Sara, cioè come lei li vede e li interpreta. Per lei Ismaele vuole usurpare il posto di primogenito che spetta al figlio di Sara, il «vero» figlio della promessa che Dio ha fatto ad Abramo.

L’anziano patriarca non reagisce bene davanti alla pretesa di Sara che, con disprezzo verso «questa schiava» Agar, vuole allontanare Ismaele e negargli l’eredità e, insieme ad essa, la possibilità di una convivenza e di una condivisione con il fratello Isacco: «La cosa sembrò molto male agli occhi di Abramo a motivo di suo figlio. Ma Dio disse ad Abramo: “Non sembri male ai tuoi occhi, riguardo al fanciullo e alla tua schiava, tutto quello che dirà a te Sara; ascolta la sua voce, perché in Isacco da te prenderà nome una stirpe. Ma io farò diventare una nazione anche il figlio della schiava, perché egli è tua discendenza”» (Gen 21,11-13). I piani di Dio sono veramente imperscrutabili!

Come promesso da Dio, Abramo sarà padre di una moltitudine di nazioni anche attraverso Ismaele (cfr Gen 17,4-6.20). I percorsi dei due fratelli, dunque, si dividono, ma entrambi i figli di Abramo rimangono sotto il segno della benedizione divina come prima linea dopo Abramo di una vasta generazione di discendenti. Anche se lontani, si ritrovano uniti dal Dio di Abramo, che è anche il loro Dio.

 

 

 

Due vite in parallelo

Dopo questo episodio traumatico per il loro rapporto le vite di Isacco e Ismaele non si incrociano per lungo tempo, ma, in modo significativo, sono descritte nella Scrittura come due percorsi simili che passano attraverso la separazione dal padre e un’esperienza di salvezza ricevuta da Dio mentre si trovano ad affrontare la morte (cfr Gen 21,14-21; 22,1-19).

Dispersa nel deserto, dopo essere stata scacciata da Abramo, Agar piange, temendo che suo figlio possa morire per la sete. Dio ascolta la voce di Ismaele, il quale, trovandosi vicino alla morte, compie il significato del suo nome – letteralmente «Dio ascolta» – quando viene salvato dall’intervento del Signore: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. Àlzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione» (Gen 21,17-18).

Successivamente, Isacco, su invito di Dio, verrà condotto da Abramo sul monte per essere sacrificato. Isacco è prossimo a morire e si troverà quindi in una situazione molto simile a quella del fratello Ismaele assetato nel deserto. Anche nel caso di Isacco l’angelo del Signore interverrà per salvare la vita del figlio di Abramo e rinnovare la promessa di benedizione: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare» (Gen 22,16-17).

Dobbiamo notare che, a differenza di Sara che nutre sentimenti opposti per i due giovani, per Abramo sono entrambi figli amati, da cui Abramo si separa con dolore, come sottolinea efficacemente il Talmud babilonese: «Dio disse ad Abramo: “Ti prego, prendi tuo figlio, il tuo unico, che ami, Isacco” (Gen 22,2). Quando Dio disse: “Tuo figlio”, Abramo obiettò: “Io ho due figli!”. Dio gli disse: “Il tuo unigenito”. Abramo rispose: “Questi è l’unico figlio per sua madre, e quello è l’unico figlio per sua madre!”. Dio gli disse: “Quello che ami”. Abramo replicò: “Io li amo entrambi!”. Dio allora gli disse: “Isacco!”»

Dunque i due percorsi paralleli di Isacco e Ismaele sono segnati dal distacco dai genitori per costruire una loro famiglia, e dalla benedizione di Dio che promette attraverso di entrambi una grande posterità.

Eppure, c’è ancora il tempo per un ultimo incontro tra di loro, che avviene nel momento altamente drammatico della morte del padre: «Lo seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela, nel campo di Efron, figlio di Socar, l’Ittita, di fronte a Mamre. Il campo che Abramo aveva comprato dagli Ittiti. Lì furono sepolti Abramo e sua moglie Sara. Dopo la morte di Abramo, Dio benedisse il figlio di lui Isacco e Isacco abitò presso il pozzo di Lacai-Roì» (Gen 25,9-11).

Isacco e Ismaele si trovano uno accanto all’altro nel piangere la morte del padre. Ismaele si reca a Macpela, dove si trova sepolta Sara, madre di Isacco, la donna che dapprima lo aveva voluto per vincere la propria incapacità di generare, ma che in seguito lo aveva rigettato. Isacco, invece, andrà ad abitare presso il pozzo di Lacai-Roì, la località dove Agar aveva visto il Signore che aveva udito il suo lamento e aveva benedetto lei e la sua discendenza (cfr Gen 16,14).

I due fratelli incrociano e mescolano le loro storie, e l’uno va nei luoghi dell’altro, in un fecondo scambio che li pone l’uno vicino all’altro in una sorta di implicita riconciliazione familiare. Da questo momento in poi, senza la figura del padre che li univa per mezzo del legame di sangue ma che li aveva divisi per la pace e il quieto vivere della famiglia, i due fratelli saranno prossimi nel condividere la benedizione al di là delle grettezze e delle piccinerie umane.

Quella che potrebbe sembrare la stereotipata scena di un funerale diventa il coronamento dell’essere fratelli separati, ma non distanti. «Questa è la discendenza di Ismaele…» (Gen 25,12); «Questa è la discendenza di Isacco…» (Gen 25,19): pochi versetti separano i fratelli e i loro discendenti che nella vita continueranno a vivere uno di fronte all’altro come ci ricorda la Scrittura: «[Ismaele] si era stabilito di fronte/contro la faccia di tutti i suoi fratelli» (Gen 25,18). La particella ebraica ‘al può essere letta come «di fronte» oppure «contro». Quale opzione sceglieranno i due fratelli? In questa ambivalenza c’è tutto il valore profondo della scelta personale che imprime alla storia direzioni diverse.

Eppure, nonostante tutto, Isacco e Ismaele possono prosperare sotto il segno di una benedizione condivisa, anche se diversa, ed essere dei buoni vicini, generazione dopo generazione. Infatti, secondo la tradizione della Bibbia (ma anche del Corano), dietro i personaggi di Isacco e Ismaele ci sono due popoli così lontani, così vicini come gli Israeliti e i Cristiani e gli Arabi-Musulmani, che, posti gli uni accanto agli altri nella terra su cui abitano, possono scoprire una radice comune come figli di Abramo, benedetti dallo stesso Dio. Tutto dipende dalla scelta di ciascuno di essere l’uno «di fronte» oppure «contro» l’altro. La diversità non è condanna al conflitto e alla rivalità, ma può essere vissuta nell’armonia se si torna alla comune radice abramitica.

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