martedì 6 dicembre 2011

Preghiera del 7 dicembre 2011 (II di Avvento)


Dal Vangelo secondo Matteo 20, 1-16

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna".

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e da' loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi". Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo". Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.

Commento
Gesù nella parabola ci parla di gente che lavora e gente che attende di essere presa a giornata. Per l’uomo il lavoro è una dimensione decisiva della vita. Attraverso di esso si acquista dignità e si diventa liberi di costruire la propria vita. Pensiamo all’umiliazione di chi è senza lavoro, come i disoccupati, ma anche alla scarsa importanza che si assegna agli anziani, ormai parte inattiva e improduttiva della società. Chi è senza lavoro è visto come un peso, qualcuno inutile, e la sua condizione è molto triste e umiliante.

Per questo Gesù nella parabola si identifica in un uomo che dà lavoro a tutti. Non importa cosa sanno fare, infatti non fa nessuna selezione, e non importa nemmeno quanto tempo hanno da offrire, chiama a tutte le ore: per lui è importante che tutti abbiano la possibilità concreta di lavorare.  Il Signore Gesù affida a ogni uomo il lavoro di essere suo discepolo e di lavorare per il suo Regno. È un lavoro possibile per tutti, anzi, possiamo ben dire che è “il” lavoro migliore a cui tutti sono chiamati. A ogni ora del giorno, cioè a ogni età della vita e in ogni situazione. Non è infatti qualcosa di legato ad un contesto particolare. Ad ogni ora del giorno e della notte siamo chiamati a lavorare. Ma cosa è la vigna del Signore? In Lc 8 Gesù espone un’altra parabola in cui si parla di un seminatore che getta seme ma trova terreni diversi che producono una quantità di frutto diversa. Questa parabola ci suggerisce che il terreno da coltivare è la nostra vita. C’è un lavoro da compiere perché il nostro terreno sia produttivo, non basta seminare. Bisogna faticare perché il terreno, pur pieno di semi, dia frutto.

È il lavoro di dissodamento, irrigazione e mietitura che permette al seme di portare frutto. È il lavoro che questo tempo di Avvento ci chiama a svolgere. Siamo chiamati a giornata perché non ci troviamo impreparati al Signore che viene a seminare, perché la sua non sia fatica sprecata. Non basta che ci sia il terreno (cioè la nostra presenza) se questo non è pronto ad accogliere il seme, a dargli nutrimento, cioè ascolto, e la giusta umidità, cioè l’attenzione che metta radici nella nostra vita. Bisogna lavorare perché le pietre non facciano seccare il seme o le spine lo soffochino. Le pietre che sono le nostre abitudini che fanno scivolare via il seme sul duro del cuore, attento solo a fare quello che si è sempre fatto e  a essere come si è sempre stati.  A volte troppe pietre le une accanto all’altra non lasciano nemmeno lo spazio perché il seme incontri la terra. A volte invece è l’aridità che fa seccare il seme, cioè la mancanza di pietà e incapacità a fermarsi con sensibilità e tenerezza sulla vita degli altri. Oppure le spine soffocano il seme, quando le preoccupazioni per sé coprono e soffocano ogni altra preoccupazione che viene nascosta dall’egocentrismo e dall’invadenza del sé. L’Avvento è il tempo opportuno a lavorare perché tutto ciò non faccia morire il seme che sta per essere gettato in noi.

Al termine del lavoro infatti ci sarà la ricompensa del Signore. È il frutto buono che il seme della sua Parola produce in una vita che l’ha accolto e fatto crescere con attenzione. È il frutto di quella felicità piena che non è facile scalfire, di quella pace interiore che ci fa resistere anche alle difficoltà o alle avversità. È il frutto buono di una vita mite e senza aggressività, perché non vuole prevalere e schiacciare l’altro, e di una capacità di ascoltare prima di voler a tutti i costi insegnare. Questi frutti buoni nascono e maturano se lavoriamo il terreno che ne accoglie i semi, altrimenti restiamo aridi e senza vita.

Al termine della giornata di lavoro gli operai della prima ora protestano perché si aspettano di essere privilegiati. Non dobbiamo mai dimenticare che il frutto non è merito della nostra bravura e capacità. Chi infatti potrebbe far nascere qualcosa se non viene messo un seme nel nostro terreno? È quello che non capiscono gli uomini presi a giornata: pensano che la ricompensa sia un loro diritto commisurato allo sforzo fatto. Ma non capiscono che se il loro terreno ha molte pietre da togliere o è molto arido, non è un merito dover lavorare molto per renderlo coltivabile. La ricompensa è in quel dono prezioso, uguale per tutti, di semi buoni che producono frutti maturi che nutrono e addolciscono la nostra vita. E quel seme non è nostro diritto riceverlo, né un nostro possesso privato, ma un dono che riceviamo alla fine dell’Avvento con la nascita di Gesù. E il dono è anche essere chiamati a lavorare, che ci venga cioè segnalata la necessità di prepararci alla semina perché questa non sia inutile per noi.

Il Signore chiama tutti a dissodare il terreno, al lavoro quotidiano per essere pronti alla semina, promettendoci la ricompensa di una messe abbondante che è per tutti, di quel regno di pace e di felicità di cui noi a il mondo intero ha così bisogno.

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