giovedì 24 maggio 2012

Preghiera del 23 maggio 2012



Dal Vangelo secondo Giovanni 14,16-21


Se mi amate, osserverete i miei comandamenti e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.

Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui".



Dicevamo già domenica che con l’Ascensione i discepoli si sentono orfani, come anche accade spesso che gli uomini si lamentino, accusando Dio della sua distanza da noi.

La distanza di Dio, la sua assenza, dicevamo, è la condizione normale del mondo. Perché stupirsi, se non si è fatto nulla per cercare la sua compagnia o, addirittura, si è opposto un frequente e ripetuto rifiuto ad essa?

È la condizione di tanti oggi: lamentosi e vittimistici, ma allo stesso tempo, tenacemente chiusi all’offerta di amicizia e compagnia di Gesù e del Vangelo.

Gesù dice: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi.” ma chi vuole Gesù come padre? Questo è il problema di tanta parte dell’umanità oggi: si rifiuta sdegnosamente la paternità di un amico buono come Gesù, in nome della propria autonomia orgogliosa, ma poi ci si sente abbandonati e orfani. È l’itinerario del figlio che chiede al padre metà dell’eredità: per lui è già morto, tanto che ne pretende l’eredità mentre è ancora vivo, pertanto senza averne alcun diritto.

Il Vangelo è un invito (Paolo parla di “vocazione”, dicevamo domenica scorsa) ad accettare felicemente di essere adottati a figli, cioè di farci figli del Vangelo. Spesso si vede in questo invito la capitolazione dell’uomo e la sua umiliazione: perché obbedire ad un altro, non basto a me stesso? Gesù però non cerca servi o schiavi obbedienti, ma amici: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. L’uniformarsi al suo disegno infatti è frutto di un amore che c’è prima, non è un impersonale chinare il capo.

Siamo alla vigilia della festa di Pentecoste nella quale rivivremo l’esperienza sconvolgente della discesa dello Spirito sui discepoli. La Pentecoste viene su chi cerca il Signore, su chi sente il vuoto di Dio in sé e attorno a sé e viene a colmarlo. Ma come si potrà colmare un vuoto che non si sente e non si riconosce? L’uomo soddisfatto, appagato, orgogliosamente sicuro di sé e che si sente padrone del proprio destino non ha spazio per accogliere uno Spirito nuovo che viene proprio a suggerire e ispirare quell’amore che ci rende capaci di “osservare i suoi comandamenti”?

Egli è chiamato Paraclito, cioè difensore, perché ci protegge dal pericolo di una vita spesa male, che è il danno maggiore che possiamo subire. Una vita può essere breve, difficile, dolorosa, faticosa, ma niente è peggiore di una vita magari comoda e lunga, ma inutile e sprecata.

Invochiamo allora oggi lo Spirito di Dio scoprendo con dolore sincero e profondo il vuoto di Dio che l’Ascensione ha come svelato ai nostri occhi annebbiati.

“Ed ora cosa faremo?” Si chiesero gli apostoli smarriti dopo l’ascensione di Gesù al cielo.

Lo stesso ci chiediamo noi, senza credere di saperlo già, e lo Spirito verrà a suggerirci la risposta in un modo imprevedibile, che forse anche un po’ ci sconvolge e turba, ma nell’unico modo “vero”, cioè umano, che Dio conosce: passando attraverso l’amore sincero di un cuore da figlio.

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