Dal Vangelo secondo Giovanni 14,16-21
Se mi amate, osserverete i miei
comandamenti e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché
rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che
il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete
perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora
un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e
voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel
Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei
comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal
Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui".
Dicevamo già
domenica che con l’Ascensione i discepoli si sentono orfani, come anche accade
spesso che gli uomini si lamentino, accusando Dio della sua distanza da noi.
La distanza di Dio,
la sua assenza, dicevamo, è la condizione normale del mondo. Perché stupirsi,
se non si è fatto nulla per cercare la sua compagnia o, addirittura, si è
opposto un frequente e ripetuto rifiuto ad essa?
È la condizione di
tanti oggi: lamentosi e vittimistici, ma allo stesso tempo, tenacemente chiusi
all’offerta di amicizia e compagnia di Gesù e del Vangelo.
Gesù dice: “Non vi lascerò orfani: verrò da voi.” ma
chi vuole Gesù come padre? Questo è il problema di tanta parte dell’umanità
oggi: si rifiuta sdegnosamente la paternità di un amico buono come Gesù, in
nome della propria autonomia orgogliosa, ma poi ci si sente abbandonati e
orfani. È l’itinerario del figlio che chiede al padre metà dell’eredità: per
lui è già morto, tanto che ne pretende l’eredità mentre è ancora vivo, pertanto
senza averne alcun diritto.
Il Vangelo è un
invito (Paolo parla di “vocazione”,
dicevamo domenica scorsa) ad accettare felicemente di essere adottati a figli,
cioè di farci figli del Vangelo. Spesso si vede in questo invito la
capitolazione dell’uomo e la sua umiliazione: perché obbedire ad un altro, non
basto a me stesso? Gesù però non cerca servi o schiavi obbedienti, ma amici: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”.
L’uniformarsi al suo disegno infatti è frutto di un amore che c’è prima, non è
un impersonale chinare il capo.
Siamo alla vigilia
della festa di Pentecoste nella quale rivivremo l’esperienza sconvolgente della
discesa dello Spirito sui discepoli. La Pentecoste viene su chi cerca il
Signore, su chi sente il vuoto di Dio in sé e attorno a sé e viene a colmarlo.
Ma come si potrà colmare un vuoto che non si sente e non si riconosce? L’uomo
soddisfatto, appagato, orgogliosamente sicuro di sé e che si sente padrone del
proprio destino non ha spazio per accogliere uno Spirito nuovo che viene
proprio a suggerire e ispirare quell’amore che ci rende capaci di “osservare i suoi comandamenti”?
Egli è chiamato
Paraclito, cioè difensore, perché ci protegge dal pericolo di una vita spesa
male, che è il danno maggiore che possiamo subire. Una vita può essere breve,
difficile, dolorosa, faticosa, ma niente è peggiore di una vita magari comoda e
lunga, ma inutile e sprecata.
Invochiamo allora
oggi lo Spirito di Dio scoprendo con dolore sincero e profondo il vuoto di Dio
che l’Ascensione ha come svelato ai nostri occhi annebbiati.
“Ed ora cosa faremo?” Si chiesero gli apostoli smarriti dopo l’ascensione
di Gesù al cielo.
Lo stesso ci
chiediamo noi, senza credere di saperlo già, e lo Spirito verrà a suggerirci la
risposta in un modo imprevedibile, che forse anche un po’ ci sconvolge e turba,
ma nell’unico modo “vero”, cioè umano, che Dio conosce: passando attraverso
l’amore sincero di un cuore da figlio.
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