Giona 2-3
Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre
notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, e disse:
"Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha risposto;dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce.
Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare,
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
Io dicevo: "Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio".
Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l'abisso mi ha avvolto,
l'alga si è avvinta al mio capo.
Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre.
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore, mio Dio.
Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino al tuo santo tempio.
Quelli che servono idoli falsi
abbandonano il loro amore.
Ma io con voce di lode
offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore".
E il Signore parlò al pesce ed esso
rigettò Giona sulla spiaggia.
Fu rivolta a Giona una seconda volta
questa parola del Signore: "Àlzati, va' a Ninive, la grande città, e
annuncia loro quanto ti dico". Giona si alzò e andò a Ninive secondo la
parola del Signore.
Ninive era una città molto grande,
larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un
giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà
distrutta".
I cittadini di Ninive credettero a
Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la
notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì
di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Per ordine del re e dei suoi grandi
fu poi proclamato a Ninive questo decreto: "Uomini e animali, armenti e
greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si
coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta
dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che
Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a
perire!".
Dio vide le loro opere, che cioè si
erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al
male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
Alla
fine però Giona accetta di ammettere che quel male non può fuggirlo perché non
è solo fuori di sé, ma anche dentro di sé. È quando ammette a tutti i suoi
compagni di sventura che stavano per sua colpa subendo il naufragio, e a non nascondersi
dalla tempesta della vita.
Dicevamo
come il Signore nella tempesta si fa compagno di Giona e lo protegge
accogliendolo nel pesce che lo salva dai flutti.
Lì
nel pesce Giona conosce un momento di intimità con Dio, cioè si ferma a parlare
con lui e ad ascoltarlo, in amicizia, leggendo la sua vita alla luce di quello
che Dio ha da dirgli.
È
quello che facciamo anche qui, in questa “pancia di balena” che è questo luogo:
protetti da Dio, avvolti dalla sua misericordia, troviamo l’intimità con lui
per aprire il nostro cuore e rileggere la nostra settimana alla luce della sua Parola.
La
preghiera di Giona mette in luce innanzitutto la sua piccolezza, il suo essere
in balia della vita che lo trascina, lo percuote e lo inabissa mettendo in
pericolo la sua stessa vita. La sua descrizione ci ricorda il triste fatto di
Lampedusa di quasi un mese fa, quando tanta gente è stata inghiottita dal mare.
Noi non siamo diversi da quei poveri profughi. Anche noi siamo in balia di
forze che ci illudiamo di controllare. Per questo la gente, credendosi forte,
prende distanza da quelle persone anzi a volte le disprezza e le giudica. Noi
però con la preghiera di mercoledì scorso abbiamo voluto proprio dire questo:
anche noi siamo deboli e fragili e il fatto che siamo stati privilegiati da una
vita agiata e senza pericoli non è un merito, ma un dono si Dio che ci rende
creditori nei loro confronti. Abbiamo un debito nei confronti dei più poveri,
ma facciamo così fatica ad ammetterlo e ad accorgerci. Ma proprio nel momento
in cui ci rendiamo conto della nostra fragilità apprezziamo pure la protezione
che Dio ci accorda e nasce il desiderio di ringraziarlo e stare con lui, cioè
la preghiera.
Per
la seconda volta Dio parla a Giona e ripete le stesse parole dell’inizio. Questa
volta però Giona è cambiato e non fugge più. Ha capito che la tempesta del male
travolge tutti e che c’è bisogno di far conoscere a chi si fa trascinare
lontano da Dio che solo in lui troviamo la salvezza dal male.
Ma
la città è grande, e anche noi fa paura: cosa penseranno? Cosa diremo? Cosa
possiamo fare?
Ninive
era città larga tre giorni di cammino, cioè assolutamente sproporzionata alle
forze di un uomo solo. Ma Giona non è solo, con lui c’è Dio che lo ha mandato.
Anche
a noi è proposta una sfida impari: parlare e testimoniare Dio a tanti, gente
difficile, magari dura di cuore e diffidente. Come fare? Non sono le nostre
forze a contare, ma Dio che agisce in noi. Lasciamo trasparire la sua parola
dai nostri gesti e atteggiamenti e tutto sarà facile.
Un
uomo solo riesce a cambiare il destino di una città. È il potere che viene dato
a ogni discepolo di Cristo. Che ne facciamo di questo potere? Anche a noi è
chiesto di essere profeti, di annunciare con tutta la nostra vita che la vera
salvezza viene da Dio e non dalla forza di cui ci sentiamo dotati quando
riusciamo a sovrastare gli altri. Giova vince su Ninive non con la forza delle
armi o della ricchezza, ma con la debolezza della parola e della sua
testimonianza personale: da uomo mezzo affogato a uomo salvato da Dio e
salvatore di tanti.
È
questo che anche a noi Dio propone anche oggi, sta a noi smettere di fuggire e prenderci
la responsabilità di vivere per gli altri, per la salvezza della città grande.
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