mercoledì 23 ottobre 2013

Preghiera del 23 ottobre 2013


 
Giona 2-3


Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio, e disse:

"Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha risposto;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce.
Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare,
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
Io dicevo: "Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio".
Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l'abisso mi ha avvolto,
l'alga si è avvinta al mio capo.
Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre.
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore, mio Dio.
Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino al tuo santo tempio.
Quelli che servono idoli falsi
abbandonano il loro amore.
Ma io con voce di lode
offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore".

E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia.

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: "Àlzati, va' a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico". Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.

Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta".

I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: "Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!".

Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.

 Commento

 La scorsa volta abbiamo ascoltato il racconto della fuga di Giona quando Dio gli parla del male che c’è nella grande città di Ninive.

Alla fine però Giona accetta di ammettere che quel male non può fuggirlo perché non è solo fuori di sé, ma anche dentro di sé. È quando ammette a tutti i suoi compagni di sventura che stavano per sua colpa subendo il naufragio, e a non nascondersi dalla tempesta della vita.

Dicevamo come il Signore nella tempesta si fa compagno di Giona e lo protegge accogliendolo nel pesce che lo salva dai flutti.

Lì nel pesce Giona conosce un momento di intimità con Dio, cioè si ferma a parlare con lui e ad ascoltarlo, in amicizia, leggendo la sua vita alla luce di quello che Dio ha da dirgli.

È quello che facciamo anche qui, in questa “pancia di balena” che è questo luogo: protetti da Dio, avvolti dalla sua misericordia, troviamo l’intimità con lui per aprire il nostro cuore e rileggere la nostra settimana alla luce della sua Parola.

La preghiera di Giona mette in luce innanzitutto la sua piccolezza, il suo essere in balia della vita che lo trascina, lo percuote e lo inabissa mettendo in pericolo la sua stessa vita. La sua descrizione ci ricorda il triste fatto di Lampedusa di quasi un mese fa, quando tanta gente è stata inghiottita dal mare. Noi non siamo diversi da quei poveri profughi. Anche noi siamo in balia di forze che ci illudiamo di controllare. Per questo la gente, credendosi forte, prende distanza da quelle persone anzi a volte le disprezza e le giudica. Noi però con la preghiera di mercoledì scorso abbiamo voluto proprio dire questo: anche noi siamo deboli e fragili e il fatto che siamo stati privilegiati da una vita agiata e senza pericoli non è un merito, ma un dono si Dio che ci rende creditori nei loro confronti. Abbiamo un debito nei confronti dei più poveri, ma facciamo così fatica ad ammetterlo e ad accorgerci. Ma proprio nel momento in cui ci rendiamo conto della nostra fragilità apprezziamo pure la protezione che Dio ci accorda e nasce il desiderio di ringraziarlo e stare con lui, cioè la preghiera.

Per la seconda volta Dio parla a Giona e ripete le stesse parole dell’inizio. Questa volta però Giona è cambiato e non fugge più. Ha capito che la tempesta del male travolge tutti e che c’è bisogno di far conoscere a chi si fa trascinare lontano da Dio che solo in lui troviamo la salvezza dal male.

Ma la città è grande, e anche noi fa paura: cosa penseranno? Cosa diremo? Cosa possiamo fare?

Ninive era città larga tre giorni di cammino, cioè assolutamente sproporzionata alle forze di un uomo solo. Ma Giona non è solo, con lui c’è Dio che lo ha mandato.

Anche a noi è proposta una sfida impari: parlare e testimoniare Dio a tanti, gente difficile, magari dura di cuore e diffidente. Come fare? Non sono le nostre forze a contare, ma Dio che agisce in noi. Lasciamo trasparire la sua parola dai nostri gesti e atteggiamenti e tutto sarà facile.

Un uomo solo riesce a cambiare il destino di una città. È il potere che viene dato a ogni discepolo di Cristo. Che ne facciamo di questo potere? Anche a noi è chiesto di essere profeti, di annunciare con tutta la nostra vita che la vera salvezza viene da Dio e non dalla forza di cui ci sentiamo dotati quando riusciamo a sovrastare gli altri. Giova vince su Ninive non con la forza delle armi o della ricchezza, ma con la debolezza della parola e della sua testimonianza personale: da uomo mezzo affogato a uomo salvato da Dio e salvatore di tanti.

È questo che anche a noi Dio propone anche oggi, sta a noi smettere di fuggire e prenderci la responsabilità di vivere per gli altri, per la salvezza della città grande.

 

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