Incontro con i genitori dei ragazzi del
catechismo
Parrocchia di Santa Croce 20 ottobre 2013
Ci
incontriamo oggi per provare ad interrogarci su un tema di grande importanza e
cioè come aiutare i nostri ragazzi a crescere nel modo migliore.
So che
questa è una preoccupazione che abbiamo particolarmente a cuore. Infatti ci
preoccupiamo della loro salute, della loro istruzione, dell’educazione e, qui a
Santa Croce, della loro crescita spirituale. Sono tutti elementi importanti e
nessuno di essi va trascurato per il loro bene.
La Scrittura
in questo nostro compito così serio ci può essere di grande aiuto. In essa
infatti è racchiusa una sapienza profonda che viene direttamente da Dio, il
quale ci vuole comunicare proprio attraverso le sue parole il senso ultimo
della vita e come raggiungere la felicità che viene da esso.
Proviamo
allora oggi insieme a interrogare la Scrittura per cogliere alcuni aspetti di come
aiutare i nostri ragazzi a crescere bene.
Vorrei oggi
introdurvi ad una figura un po’ particolare, il profeta Giona. È un profeta un
po’ bizzoso e così restio a prendersi la responsabilità del bene comune.
Leggiamo la prima
parte della sua storia:
Fu rivolta a Giona, figlio di
Amittài, questa parola del Signore: "Alzati, va' a Ninive, la grande
città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me".
Giona invece si mise in cammino per
fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave
diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per
Tarsis, lontano dal Signore.
Ma il Signore scatenò sul mare un
forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per
sfasciarsi. I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e
gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona,
sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva
profondamente. Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che
cosa fai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà
pensiero di noi e non periremo".
Quindi
dissero fra di loro: "Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia
causato questa sciagura". Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli
domandarono: "Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è
il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo
appartieni?". Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del
cielo, che ha fatto il mare e la terra". Quegli uomini furono presi da
grande timore e gli domandarono: "Che cosa hai fatto?". Infatti erano
venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro
raccontato.
Essi gli dissero: "Che cosa
dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?".
Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: "Prendetemi e
gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so
che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia".
Quegli uomini cercavano a forza di
remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava
sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e
dissero: "Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di
quest'uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci
secondo il tuo volere". Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare
placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore,
offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.
Ma il Signore dispose che un grosso
pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre
notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio.
Il racconta
inizia con Dio che si rivolge a Giona e gli indica quanto male c’è nella città
di Ninive.
Dio si
manifesta a lui non tanto per giudicarlo o per dirgli cosa deve fare e non deve
fare. Il suo intervento è aprirgli gli occhi sul male della città. Dio fa
questo perché a lui interessa che gli uomini siano felici e non facciano una
brutta fine, cioè non siano né operatori di violenza e di male, né vittime.
Infatti il male ha questa capacità distruttiva di rovinare la vita sia di chi
lo fa che di chi lo subisce, anche se a volte non ci sembra, e abbiamo come l’impressione
che si possa accettare il male come una dimensione normale della vita, nostra e
degli altri.
Non per Dio,
che vede nel male che entra nella vita degli uomini, e la città è il luogo dove
gli uomini stanno insieme, il problema più grande e il dramma più urgente.
Per questo
ne parla a Giona, come per fare una confidenza all’amico.
Giona però
per tutta risposta scappa via da lui.
Non vuole
vedere il male, preferisce ignorarlo.
Dio sperava
che Giona si sentisse interrogato dal male che imperversava nella città, ma
invece il profeta scappa la domanda e cerca rifugio lontano, dove non può
sentire Dio che gli mette questo tarlo fastidioso in testa.
Il modo che
sceglie Giona per fuggire non è molto originale: si butta a capofitto nel
viaggio. Il viaggio nella Scrittura è spesso una immagine della vita. Giona
pensa che il viaggio riesca a nasconderlo a Dio e a non fargli più sentire quelle
parole sul male della città così fastidiose. Anche noi spesso cerchiamo nell’affanno
di una vita piena di cose il modo per ignorare Dio e il male. Certo, la vita di oggi ci impone tante cose da
fare e spesso gli impegni si accavallano con un ritmo incessante: lavoro, faccende
domestiche, burocrazia, responsabilità familiari, ecc… a volte sembra che una giornata
non abbia sufficienti ore per farci entrare tutto quello che si ha da fare.
Ma se
facciamo un piccolo esame di coscienza, è vero che non c’è un angoletto libero?
È vero che non c’è un tempo vuoto che noi ci affanniamo di riempire con
qualcosa da fare, perché sennò ci sentiamo male? Io credo che noi usiamo anche tanto tempo in
sciocchezze, proprio per riempirci la vita di cose perché non vi sia un vuoto
per pensare e per lasciarsi raggiungere dalla voce di Dio.
E nel
viaggio incontriamo anche la tempesta. Difficile che si possa sfuggire dalla
tempesta, ciascuno di noi lo sa. Davanti ad essa siamo presi dal panico e
cominciamo a fare fuori tutto quello che ci sembra possa essere la sua causa,
come facevano i marinai. Togliamo quello, chiudiamo quello, smettiamo l’altro,
ecc… nella speranza di riuscire a eliminare la causa della tempesta.
Ma siamo
sicuri che essa sia fuori di noi?
Giova
sceglie invece l’altra via possibile, si estranea e si mette a dormire in un
angoletto tranquillo aspettando che passi, ma quella non passa.
Questi dei
atteggiamenti descrivono anche noi, come ci muoviamo davanti alle difficoltà e
ai problemi della vita.
Giona però
viene svegliato dagli altri e ammette che la causa della tempesta sta dentro di
lui, in quel suo essersi fatto complice del male della città, chiudendo le
orecchie alla parola di Dio che glielo indicava chiedendogli di provare a fare
qualcosa.
Finalmente
Giona si assume la responsabilità del male, e tutto cambia. La nave trova la
salvezza, i marinai sono pieni di felicità. Certo per fare questo Giona deve
andare fino infondo e affrontare la fatica di nuotare in mezzo ad acque
difficili. Prima se ne stava tranquillo a dormire, ma la tempesta lo stava
facendo finire a fondo, ora si deve dare da fare, le cose fi fanno più complicate,
ma si intravede una via di uscita.
Soprattutto
Dio non lascia solo Giona ad affrontare le onde del mare. Finalmente le ha
affrontate senza fuggirle come se non lo riguardassero, e per questo Dio lo
aiuta e lo avvolge nella sua protezione, il ventre di quel pesce. Finalmente in
questo momento. Giona riscopre la paternità buona di Dio e impara a pregare,
cioè gusta la bellezza di starsene un po’ a tu per tu con Dio, senza fuggirlo,
senza distrarsi in mille cose da fare, senza fare finta che non ci sia.
La messa
della domenica è un po’ questo momento in cui gustiamo la protezione avvolgente
di Dio che ci prende in disparte, ci risolleva dalle onde fra le quali ci
affatichiamo a navigare durante tutta la settimana, e ci fa riscoprire la
bellezza di non fuggire da lui.
Però per
gustare tutto questo dobbiamo fuggire dalle due tentazioni che dicevo: quella
di pensare che il male sta solo fuori di noi e quella di cercare di sfuggirlo
standosene in un angoletto tranquillo, a dormire il sonno del pensare a se
stessi.
La liturgia
domenicale ci tuffa nel mare del mondo, ma non per farci morire affogati, ma
per farci trovare la protezione di Dio dai pericoli. Finché ce ne stiamo in
disparte senza sentirci interrogati dal male del mondo, siamo agitati dalle
tempeste senza riuscire a capire come uscirne, ma se ascoltiamo Dio senza
scappare via la tempesta si placa perché non siamo più soli ad affrontarla.
Noi
rischiamo di comunicare loro questo nostro modo di vivere, senza aiutarli a
maturare invece un senso di responsabilità verso gli altri, cioè la Ninive
della Bibbia. Tante volte, con l’intento di proteggerli dal male, noi gli
comunichiamo che per essere felici bisogna trovarsi un angoletto dove mettersi
al riparo, come Giona, dormendo al coperto mentre fuori c’è la tempesta, oppure
a dare la colpa a gli altri, pensando che il male sta sempre fuori di noi.
Purtroppo
però facendo così non li aiutiamo a crescere bene, anzi, si troveranno
impreparati ad affrontare la tempesta e navigare solo per scappare non fa arrivare
da nessuna parte.
Per questo
io vi consiglio, di cuore e spassionatamente, di assomigliare al Giona della
fine del brano, che si assume la responsabilità del male che si abbatte su lui
e i suoi compagni e ne affronta la fatica personale di farsene carico, scoprendo
così anche la bellezza della compagnia di Dio. Così facendo darete l’esempio
migliore di come vivere felici, e questo è veramente il regalo più bello e
importante che possiamo fare loro.
Nessun commento:
Posta un commento