mercoledì 9 ottobre 2013

Preghiera del 9 ottobre 2013


 
Dal libro di Giona, 1

Fu rivolta a Giona, figlio di Amittài, questa parola del Signore: "Alzati, va' a Ninive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me".

Giona invece si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore.

Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e vi fu in mare una tempesta così grande che la nave stava per sfasciarsi. I marinai, impauriti, invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono in mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più in basso della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che cosa fai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo".

Quindi dissero fra di loro: "Venite, tiriamo a sorte per sapere chi ci abbia causato questa sciagura". Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: "Spiegaci dunque chi sia la causa di questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?". Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terra". Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: "Che cosa hai fatto?". Infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva lontano dal Signore, perché lo aveva loro raccontato.

Essi gli dissero: "Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?". Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: "Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia".

Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano, perché il mare andava sempre più infuriandosi contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: "Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di quest'uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere". Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e gli fecero promesse.

Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore, suo Dio.

 

Commento

 

Cari fratelli e care sorelle, riprendiamo oggi il nostro appuntamento settimanale con la Parola di Dio e la preghiera. Esso si colloca al centro del corso delle nostre giornate, come una sosta intermedia fra una domenica e l’altra, proprio per sottolineare che non si può vivere senza che la Parola di Dio risuoni in noi per un tempo troppo lungo.

Spesso la nostra vita assomiglia alle vicende di Giona di cui abbiamo ascoltato la prima parte della vita. Viviamo infatti la tentazione di sfuggire davanti a Dio che si fa presente nella nostra vita. Ma come avviene tutto ciò?

Il Signore si fa presente a Giona attraverso il bisogno della città. Come già abbiamo detto tante volte, Dio ci parla non nei momenti di commozione intima o nelle vicende strettamente personali, sì anche così, ma soprattutto Dio ci parla attraverso la storia. Sono gli eventi del mondo che ci pongono con forza davanti alla responsabilità di essere testimoni e annunciatori di un modo diverso di vivere. Il Signore ci dona una vista capace di accorgersi dei drammi, delle difficoltà, del vuoto che le persone vivono, e attraverso di essi Dio si fa presente a noi come una domanda: è possibile, è giusto che si viva così?

Pensiamo al recente naufragio di Lampedusa, con la morte di trecento persone in fuga dalla miseria. Il papa giustamente ha detto di provare vergogna, ma chiediamoci, perché provare vergogna per un episodio di cui nessuno di noi ha responsabilità? In fondo Giona fa proprio questo ragionamento: perché mi dovrebbe riguardare la sorte della città di Ninive? Dal momento che Dio prepara la sua rovina perché i suoi abitanti sono malvagi, la cosa non mi riguarda.

Ma Dio parla all’uomo e attraverso la storia, nel caso di Giona la storia di Ninive, nel nostro caso la storia dei paesi da cui provengono i migranti, pone una domanda alla sua coscienza che lo rende responsabile della sorte del fratello e della sorella. Giona fugge questa responsabilità e cerca rifugio lontano da Dio.

Quanto è facile, anche per noi, fuggire e cercare di non vedere la vergogna di una ingiustizia che ci riguarda solo perché siamo cristiani e crediamo in un Dio che ci raccoglie in un’unica famiglia di cui ogni uomo è membro.

Cari fratelli e care sorelle, Giona per fuggire attraversa la tempesta, che è la tempesta della vita che ciascuno di noi si trova ad attraversare, più o meno pericolosa, ma che comunque rischia di far perdere la vita, cioè di sprecarla nell’inutilità.

Giona davanti alle onde che lo sovrastano ritrova il senso della sua responsabilità e accetta di assumersi il peso del naufragio imminente, dicendo: "Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia". Questa che sembrerebbe la rovina definitiva di Giona in realtà è la sua salvezza, perché Dio salva l’uomo che si assume la responsabilità dei propri fratelli e sorelle, assumendosene il rischio. Giona infatti non si salva perché se ne sta al sicuro a dormire nella stiva, ignorando tutto quello che avviene attorno a lui, come tante volte ci viene la tentazione di fare, ma caricandosi della responsabilità degli eventi che gli sono messi davanti.

Dio salva Giona nel ventre di un pesce, che è il luogo della preghiera. In esso infatti Giona ritrova la forza e l’audacia di non fuggire più Dio e accetta l’incontro con lui, gli si mette davanti così com’è: pauroso, spaventato, debole.

Cari fratelli e care sorelle, questo nostro incontro settimanale di preghiera è anche per noi il luogo in cui Dio ci vuole riparare perché torniamo a imparare a non fuggire da lui, dalla nostra responsabilità davanti alla storia del mondo e alle mille storie degli uomini che incontriamo. È un angolo di pace, sicuro, ma non perché possiamo dormire il sonno dell’irresponsabilità, ma perché qui Dio ci dona la sicurezza che ci è accanto e che rende il nostro impegno con i fratelli e le sorelle fruttuoso.

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