giovedì 16 marzo 2017

“La Chiesa di papa Francesco” - III incontro “Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio”




“La Chiesa di papa Francesco”
Itinerario di riflessioni, esperienze, preghiera
per una Quaresima nella gioia del Vangelo

III incontro
"Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio"
  

Compiamo oggi il terzo “passo” del nostro cammino di Quaresima, dopo il primo incontro il mercoledì delle ceneri in cui abbiamo riflettuto sulla “Chiesa in uscita” di papa Francesco e il secondo, sabato scorso, in cui abbiamo incontrato i poveri alla stazione di Terni.
Oggi ci vogliamo soffermare su quello che abbiamo vissuto sabato scorso, riflettendo sul nostro rapporto con i poveri.
Papa Francesco con quella sua famosa espressione pronunciata in uno dei suoi primissimi interventi pubblici, tre giorni dopo la sua elezione, che si può definire come programmatica del suo papato: “Come mi piacerebbe una Chiesa povera e per i poveri![1] ha voluto esprimere la necessità di ristabilire quella centralità dei poveri e della povertà che il Concilio aveva con forza evidenziato.

Bisogno di chi?
Il 18 maggio 2013 papa Francesco così diceva durante la veglia di Pentecoste in piazza San Pietro: “Quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano alcuni e sempre facevo questa domanda: «Ma, lei dà l’elemosina?» «Sì, padre!». «Ah, bene, bene». E gliene facevo due in più: «Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?» «Ah, non so, non me ne sono accorto». Seconda domanda: «E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?». Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri.”[2]
Con questa semplice affermazione, che sembra solo un raccontino da parroco di campagna, Francesco metteva in evidenza alcune cose significative sul tema su cui oggi ci soffermiamo.
1.     Il papa opera una inversione di prospettiva. Quando si parla di poveri nella Chiesa si pensa ad essi come ad un problema sociale di cui essa si prende cura. Il volontariato cioè darebbe una risposta alle emergenze sociali e in qualche modo supplisce alle carenze dell’assistenza pubblica italiana. Senza entrare nelle polemiche se questo sia giusto, opportuno o meno, insomma si evidenzia come il volontariato cristiano è il modo con cui alcuni volenterosi cercano di rispondere ai grandi bisogni dei poveri.
Francesco capovolge la prospettiva: il rapporto con i poveri nasce da un bisogno dei cristiani. È innanzitutto la risposta al loro bisogno di entrare in un rapporto stretto, “carnale” con Cristo. Siamo noi ad avere bisogno di un rapporto con essi per non essere estranei a Cristo.
È un po’ come se dicessimo che fare la comunione è necessario perché sennò che facciamo di tutte quelle ostie consacrate? Qualcuno dovrà pure mangiarle! In realtà sappiamo bene che siamo noi ad aver bisogno di nutrirci del corpo e del sangue di Cristo, e la nostra vita spirituale deperisce se non lo facciamo. È essenzialmente il nostro bisogno a motivare la celebrazione del sacramento dell’Eucarestia, e non il bisogno del corpo di Cristo di essere mangiato!

2.     Il nostro rapporto con i poveri è qualificante del giudizio di Dio sulla nostra vita. Non è un caso che il racconto del papa si colloca all’interno della confessione, cioè del momento delicato in cui sciogliamo il nostro peccato davanti a Dio perché lo perdoni. Francesco evidenzia che comunemente il modo con cui noi ci rapportiamo con i poveri non viene tenuto in considerazione nel fare il “bilancio” della propria vita davanti a Dio. Il papa non fa che attualizzare il testo di Mt 25: “ero affamato e non mi hai dato da mangiare, nudo e non mi hai vestito…” aggiungendo “ho un corpo, e tu non te ne sei nemmeno accorto…

3.     Il vero incontro con i poveri non può che essere un rapporto personale; graduale, come tutti i rapporti personali, che ha bisogno di essere iniziato, costruito, coltivato, goduto. Questo esprime la gradualità dei termini del racconto: prima dare una elemosina, poi guardare negli occhi, e infine toccare la carne. È il cammino del cristiano che entra in intimità con Cristo, cioè l’incontro con i poveri è una porta che dà accesso a Cristo, non l’unica, ma nemmeno una secondaria, se consideriamo che su questo saremo giudicati. Si veda Evangelii Gaudium: “Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, … ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro”.[3]

4.     Infine il papa dice: “Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri.” Cioè “toccare” il corpo dei poveri, ovvero non fermarsi ad un rapporto superficiale e sbrigativo ma personale e profondo restituisce ai poveri, e ce la fa scoprire, tutta la dimensione umana dei poveri, che è fisica (toccare la carne) e spirituale (il dolore dei poveri). In qualche modo voler bene alle loro necessità fisiche è la chiave d’accesso all’universo umano e spirituale dell’uomo. In un mondo in cui o si enfatizza la dimensione materiale, per cui vale solo ciò che ha valore, si compra, è quotato in borsa, ecc.. , o si vede solo la dimensione spirituale, per cui tutto è psicologia, sentirsela, sentimento, passione, ecc… i poveri ci introducono a maturare una dimensione equilibrata e vera dell’uomo: corpo e spirito, bisogni fisici e necessità spirituali.

Il posto dei poveri nella Chiesa
Ma poi papa Francesco mette in luce anche un altro aspetto del rapporto dei cristiani con i poveri. Quanto detto infatti prima a livello personale, vale altrettanto se lo proiettiamo a livello comunitario-ecclesiale. Cioè non solo la Chiesa fa un servizio per i poveri, ma riceve da loro molto di più. In che senso?
Un altro famoso Papa santo, Giovanni XXIII, in un suo discorso a un mese dall’apertura del Concilio disse: “La Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri.”[4] Che la Chiesa sia “di tutti”, se vogliamo, è già contenuto nel termine cattolica, cioè universale, ma proprio per questo Giovanni sente il bisogno di sottolineare che la Chiesa senza i poveri non è completa. Essi occupano un posto al suo interno indispensabile e insostituibile. La Chiesa senza i poveri è menomata, parziale, come una chiesa senza bambini, o senza anziani, o senza uomini, solo per le donne.
Francesco ha chiaro che bisogna restituire ai poveri il posto che disattenzione e dimenticanza gli hanno sottratto, relegandoli al posto di clienti, fruitori di servizi, invece che fratelli a pieno titolo, anzi privilegiati.
Per essere di tutti, la Chiesa deve comprendere i poveri, anzi essi sono la garanzia che essa non è settaria, parziale, elitaria. Se in essa i poveri si trovano a loro agio, se essi hanno un posto privilegiato, ebbene vuol dire che veramente la Chiesa è universale, sennò è un club di amici, destinata a scomparire, come dice Francesco:  “Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti.[5]
Anzi per Francesco il posto dei poveri nella Chiesa ha un fondamento cristologico: “Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso «si fece povero (2 Cor 8,9).”[6] Escluderli dal suo interno significa fare fuori Gesù, come dei figli che si vergognano delle umili origini del proprio padre.

Il fatto che i poveri abbiano un posto al centro e non a fianco della Chiesa significa che essi devono essere inclusi nelle dinamiche e attività ecclesiali. Anche essi cioè vanno coinvolti, evangelizzati, resi partecipi della celebrazione liturgica, catechizzati, responsabilizzati dell’annuncio, ecc…: “Desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria.”[7] Possiamo in sintesi dire, sempre usando un’espressione cara a papa Francesco, che le periferie devono trovare un posto al centro.

Ma non è solo questo. La centralità dei poveri nella vita della Chiesa significa anche un’altra cosa, e cioè che il servizio di aiuto ai poveri non è qualcosa di meramente sociale o burocratico, ma ha un forte valore sacramentale. È servizio al corpo di Cisto, è presenza di Dio, il luogo del servizio ai poveri è terra santa nella quale vanno tolte le scarpe, come Mosè davanti al roveto ardente (Es 3,5). Per questo non possiamo applicare criteri sociologici, politici, economici, ecc.. ma solo la logica della misericordia e dell’amore di Dio, che a volte è così contraddittoria e paradossale: “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia». Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una «forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa».”[8] Possiamo dire in questo caso che avviene così un movimento di senso opposto a quello indicato prima, e cioè che è il centro che si sposta e va in periferia, sì perché il centro della Chiesa è Cristo, e Cristo è uomo di periferia, nato, vissuto e morto fuori dalla capitale, socialmente umile, estraneo ai circoli di quelli che contavano e decidevano le sorti politiche, sociali e culturali del tempo. I poveri spingono i cristiani a questo movimento di “esodo” da quelli che sono considerati i  “centri” che contano per scoprire il vero centro della vita di fede, cioè la periferia.

I poveri sono maestri, ma non nel senso di comunicazione di una sapienza mondana. In questo senso essi non sono migliori di noi, spesso imbevuti di pregiudizi e false idee. Ma sono maestri perché portatori di una sapienza spirituale che la loro stessa realtà comunica: “[I poveri] con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa.[9]

Il servizio ai poveri non è una professione o una specializzazione solo di alcuni, chi è portato o chi è incaricato o chi è formato a questo scopo. È piuttosto l’esercizio ordinario della pratica di fede, tanto quanto andare a messa, fare la comunione, pregare o leggere la Scrittura. Non sono cose solo per esperti, ma esercizio dell’ordinaria vita cristiana: “Nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. … nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale.[10]

Infine il rapporto con i poveri è in qualche modo una verifica dell’autenticità evangelica della vita di una chiesa o comunità cristiana: “Quando san Paolo si recò dagli Apostoli a Gerusalemme per discernere se stava correndo o aveva corso invano (cfr. Gal 2,2: “Quattordici anni dopo, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito a una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano.”), il criterio-chiave di autenticità che gli indicarono fu che non si dimenticasse dei poveri (cfr. Gal 2,10: riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi. Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare.)."[11] 

I poveri sono decisivi nella missione che definisce l'essenza della Chiesa: "La bellezza stessa del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via.”[11] In questa espressione troviamo un grande suggerimento per la missione. Infatti troppo spesso si pensa ad essa come a qualcosa per la quale bisogna fare affidamento sulle “doti attrattive” di qualcuno: la simpatia, la capacità di parlare e intrattenere, le doti di cantare, suonare strumenti, organizzare e gestire eventi, ecc… In realtà Francesco sa che non sono queste doti a contare, cioè ad essere attrattive e affascinanti, quanto piuttosto il fatto che una comunità lascia trasparire il proprio amore per i poveri,  l’umanità piena della vita cristiana che tiene conto e privilegia proprio i più deboli e fragili e se ne prende cura come fratelli e sorelle. In fondo tanto dell’affetto e della stima per papa Francesco, anche in ambienti non cristiani o non favorevoli alla Chiesa, deriva proprio da questo suo atteggiamento di amore privilegiato per i poveri. È una preziosa indicazione missionaria che richiama non un uso strumentale dei poveri ma il fatto che, come già detto prima, essi sono la prova dell’autenticità della vita evangelica di una comunità cristiana.







[2] Discorso pronunciato a San Pietro durante la veglia di Pentecoste del 18 maggio 2013.
[3] EG 198.
[4] Radiomessaggio dell'11 settembre 1962.
[5] EG 207.
[6] EG 197.
[7] EG 200.
[8] EG 198.
[9] EG 198.
[10] EG 201.
[11] EG 195.

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