domenica 24 novembre 2019

Liturgia bizantina - XIII domenica di Luca – 24 novembre 2019




Filippesi 3,20-4,3

Fratelli, La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose.

Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!

Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d'accordo nel Signore. E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita.


Luca 18,18-27

 Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?». Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». Costui disse: «Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza». Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco. Quando Gesù lo vide, disse: «Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!». Quelli che ascoltavano dissero: «Allora chi potrà essere salvato?». Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio».

Commento
Cari fratelli e care sorelle, abbiamo ancora negli occhi e nel cuore la festa che domenica scorsa ci ha riuniti in tanti luoghi assieme ai poveri di cui si celebrava la III giornata mondiale. Una memoria che la dice lunga su quanto essi siano in realtà poco presenti all’attenzione e alla preoccupazione degli uomini, e tanto spesso anche dei cristiani, tanto che papa Francesco ha avvertito l’esigenza di dedicare loro una domenica dell’anno liturgico per riportarli al centro dell’attenzione delle comunità cristiane.

Oggi abbiamo ascoltato nel vangelo il racconto di un ricco che, almeno per un po’, si fece povero davanti al Signore chiedendo a lui come vivere.

Ricco infatti, oltre ovviamente a chi ha molti beni, è chi ritiene di non dover mai chiedere, imparare, ricevere dagli altri. Perché il ricco è sempre superiore, al di sopra di chi ha davanti, e per questo si può permettere di giudicare tutti e fare a meno di tutti. Chi è povero al contrario ha bisogno di tutto, sa di non poter fare a meno dell’aiuto di nessuno, e tante volte ci colpisce la sua capacità di tessere le numerose relazioni umane da cui dipende la sua stessa sopravvivenza.

Quel ricco notabile davanti a Gesù depone i panni di chi sa tutto e chiede a Gesù cosa deve fare, come spendere una vita da cui ha ricevuto molto: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?» Certo, non può fare a meno, nel porre la sua domanda, di usare quelle formule di cortesia formale di chi vuole catturare la benevolenza dell’interlocutore, e Gesù glielo fa notare e rivela che l’ostentazione di quell’artificiosa umiltà dimostra proprio la mancanza di una vera umiltà del cuore.

Ogni pio israelita, continua Gesù, sa rispondere alla domanda del notabile: seguire scrupolosamente la Legge divina salva dal perdere la propria vita. 

Ma ecco che a questo punto quel notabile rivela la ricerca di un oltre: per trovare il senso della vita non gli è bastato fare ciò che ogni pio israelita sa di dover fare. Non gli è bastato obbedire alla legge per trovare la gioia della vita piena.

Il brano parallelo del vangelo di Marco segna questo passaggio con una notazione significativa: “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse…” (Mc 10,21). Cioè tutto cambia nel dialogo fra Gesù e quell’uomo: quello che si è detto prima diventa di poca importanza, mentre ora emerge che dietro le parole rivolte a Gesù c’è la ricerca di un senso della vita che vada oltre la giustificazione che ciascuno può darsi da sé con un’osservanza rigorosa. Solo ora, possiamo dire, avviene il vero incontro con Gesù, il quale solo ora fissa lo sguardo su di lui, ci dice Marco.



Sì, l’incontro col Signore si realizza quando il nostro cuore sente il bisogno di un oltre che non trova nell’ottemperare ai propri doveri, nel fare con scrupolo e puntualità ciò che si è già imparato a fare, ciò che si deve fare. Avviene quando realizziamo che solo nell’incontro personale con lui possiamo raggiungere quella vita piena che non ci dà nessun onesto compimento del proprio dovere.

 Il Signore allora gli rivela la via per trovare quell’oltre: “vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi.” Gli dà tre indicazioni. Innanzitutto “vendi tutto quello che hai”, cioè deve farsi povero, senza quell’ossequio che rivela un senso di superiorità o, almeno, di parità, ma con una coscienza umile di sé, di chi sa che, come un vero povero, non può vivere senza chiedere, imparare, ricevere dagli altri e da Dio, che tutto ci può dare perché possiede la ricchezza dell’umanità piena. E poi, continua Gesù, “distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli”, cioè non si può prescindere da un rapporto significativo con i poveri, ai quali donare il nostro grezzo voler bene perché loro lo trasformino in qualcosa di bello e prezioso come un tesoro che trova il suo scrigno in una dimensione, appunto, ulteriore, quel cielo che è la dimora di Dio con i suoi amici: i poveri e gli umili. Solo così, è il terzo invito di Gesù, possiamo divenire suoi discepoli: “poi vieni e seguimi”. In questo andare con Gesù c’è la realizzazione di quell’oltre del quale il ricco notabile sentiva il bisogno e che lo aveva spinto a rivolgersi a lui, anche se un po’ goffamente da ricco sapiente.


Ma ecco che la risposta di Gesù pone la necessità di una scelta. L’incontro con Gesù apre una via, offre un nuovo orizzonte denso di significato, attraente, ma poi sta a ciascuno la scelta di incamminarvisi.   

Quel notabile ha trovato ciò che cercava, lo possiamo ben dire, ha sentito lo sguardo di Gesù posarsi su di sé ed essere da lui amato, ha udito le sue parole, ma non vi ha affidato il suo cuore. La sua vita è rimasta ancorata alla sua ricchezza, hanno vinto le ragioni della prudenza, del buon senso e della convenienza secondo il mondo. È rimasto un uomo onesto e corretto, ma resta anche profondamente triste. 

Gesù trae mestamente le somme da quanto accaduto, con quelle parole divenute proverbiali “È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!” parole che spaventano i discepoli che erano con lui, i quali si chiedono impauriti: “chi potrà mai intraprendere un cammino così difficile come quello proposto da Gesù al ricco notabile?”. Gesù risponde all’obiezione dei discepoli: lui per primo ha percorso quella strada per poterla indicare agli uomini come un cammino percorribile. Come sempre, Gesù non chiede agli uomini ciò che lui non abbia, per primo, già vissuto. È lui che si è fatto povero nascendo come un uomo, piccolo e umile, donando tutto se stesso ai poveri che ha incontrato, nella docile obbedienza al Padre. Sì, veramente ciò che sembra impossibile agli uomini è possibile a chi si affida a Dio che non fa mancare la forza e l’amore per vincere la tristezza di una vita spaventata di seguirlo.
 
 

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